Visualizzazione post con etichetta rock. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta rock. Mostra tutti i post

sabato 27 gennaio 2024

The Docks: rock a Milano trent'anni fa

I Docks nascono al Liceo Classico Manzoni di Milano più o meno tra la fine del 1988 e l'inizio del 1989. C'è questa rassegna di giovani rock-bands nella palestra del liceo - che è in autogestione - e mi viene da pensare che i ragazzi che stanno suonando (per lo più cover dei Clash, degli U2, dei Police) sono davvero davvero molto fighi. E così la pensano pure quasi tutte le ragazze. Quindi perché non provare a mettere su una band? 

Mio fratello Giuliano è piccolissimo, dodici anni, ma già studia chitarra classica. Ed io, che di anni ne ho sedici, da poco ho una piccola tastiera Casio con cui provo a strimpellare qualcosa. L'immaginario ovviamente è quello del pop anni ottanta.

I fratelli Dottori nel 1988

Ma per mettere su un gruppo serve una voce: io sono davvero stonato e Giuli ha ancora una voce bianca. Il mio compagno di classe e grande amico Paolo Ricotti è abbastanza intonato. Lo sento cantare in gita scolastica, quando a un certo punto salta fuori una chitarra. Così gli propongo di fare una prova. L'idea è quella di un repertorio di rock-blues classico, con qualche incursione nel cantautorato italiano. Fatico a ricordare chi partecipa alle prime prove ma nell'autunno del 1989 la prima line-up dei Docs (senza la k) è certamente questa: Paolo Ricotti (voce), Corrado Dottori (tastiere), Giuliano Dottori (chitarra), Carlo Ferrari (basso), Paolo Peroni (batteria), Paola Maraone (cori). In questa formazione esordiamo live il 2 dicembre 1989. Affittiamo una sala in via dei Missaglia (zona Grattosoglio) e vendiamo i biglietti ad amici, compagni di classe e conoscenti vari. (Diciassette anni e la mia prima giacca di pelle, un chiodo prestatomi dalla mia amica Paola La Rosa).

Siamo scarsi. Ma in quei primi momenti siamo veramente scarsi. Eppure la sola idea di far parte di una rock-band ci pare la cosa più importante e figa del mondo. Una questione di identità personale, di visione delle cose. La musica per noi è questa roba qui: poca tecnica e grande passione. E poi ore e ore passate ad ascoltare i pezzi da suonare per trovare gli accordi giusti e le note degli assoli. Tutto ad orecchio, spesso suonando sui dischi. Ma i dischi che puoi permetterti sono pochi e spesso ti devi arrangiare "scaricando" i pezzi sulle musicassette direttamente dalla radio, sperando che lo speaker non parli troppo e nel momento sbagliato.

Paolo, Corrado, Giuliano (con la sua prima chitarra elettrica)

Fin dall'inizio alterniamo cover e pezzi nostri. Rock delle origini, Dire Straits, Police, Beatles, Jimi Hendrix, Zeppelin e Floyd; ma anche Zucchero e Vasco: tutto parecchio mainstream ma in un calderone in cui i primi pezzi originali provano a mettere insieme blues e funky con testi spesso venati di satira. Tra le "influenze" di questa fase ci sono gli ancora inediti Elio e Le Storie Tese - che ascoltiamo grazie a mitologiche cassette piratate che girano nei licei milanesi - e poi lo ska dei primissimi Casino Royale (qui ospiti nella mitica trasmissione "Doc") e il soul emiliano dei Ladri di Biciclette. In un certo senso siamo totalmente fuori moda: il 90% delle band di adolescenti in quel periodo suona metal: Megadeth e Manowar a manetta! 

La seconda line-up della band vede l'ingresso di Matteo Maraone al basso e, per un breve periodo, di Filippo Casoni come chitarrista ritmico. Il gruppo cambia il nome in The Docks (a volte con l'articolo a volte senza). Si suona in diversi contesti: in feste private più o meno assurde, al Teatro Gnomo - dietro il Liceo Manzoni - in una rassegna di gruppi giovanili, e poi in oratori, in spazi appositamente affittati,  in circoli ACLI e in locali come lo storico Magia Music Meeting di via Salutati 2 (qui qualche info). La "base operativa" è la sala prove "Malibù" che poi diventa anche studio di registrazione.

Magia Music Meeting 22/05/1992 - scaletta

Nel frattempo esplode il grunge e su Videomusic inizia a circolare quella che sarà la musica degli anni novanta: oltre a tutte le band di Seattle ecco Red Hot Chili Peppers, The Black Crowes, Spin Doctors, Countin' Crowes, Radiohead ma anche Litfiba, il primo Ligabue, Timoria, Frankie Hi-Nrg Mc, Rats, Negrita, Almamegretta, Ritmo Tribale, Africa Unite, ecc. Per noi sono anni di ascolti e di grande fermento musicale. E non solo per noi: sembra che finalmente il rock, in tutte le sue varie sfaccettature, riesca a far breccia in un paese da sempre legato musicalmente solo alle canzoni sanremesi. Ecco le chitarre e le batterie! Ecco testi differenti dal solito. Il fermento che si respira è quello che di lì a poco genererà la prima "vera" scena alternativa italiana (CSI, Marlene Kuntz, La Crus, Afterhours, Massimo Volume, Bluvertigo, Subsonica, Estra, Scisma, ecc.) che vede in Milano uno dei centri nevralgici.

In quel periodo il Malibù Studio è la casa dei Quartiere Latino di Paolo Martella che usciranno di lì a poco per Wea con l'album "Prima di subito" ottenendo un certo riscontro (apriranno anche alcune date del tour di Vasco Rossi Gli Spari Sopra): si tratta di progetto molto anni novanta, un crossover piuttosto chitarristico di funky, rock, rap e simil grunge. Niente di che, ma con loro inevitabilmente si cazzeggia e ci si confronta. 

I Docks respirano tutta quest'aria che li circonda e la scrittura cambia prendendo la direzione di un rock italiano con radici americane, psichedeliche, folk, sporcato da ovvie influenze grunge, specie nelle lunghe code strumentali. Le canzoni sono tutte scritte da noi fratelli Dottori: io mi occupo dei testi e Giuliano della musica. Nel 1993 la band trova la line-up definitiva: Paolo "Probus" Ricotti (voce), Giuliano Dottori (chitarre) Corrado Dottori (tastiere), Matteo Maraone (basso) e Paolo Fabrizio (Batteria). 

The Docks nella formazione definitiva

Siamo ancora davvero scarsi ma crediamo nei pezzi che abbiamo. E con questa formazione iniziamo le registrazioni della demo "Cadere nell'asfalto". Undici pezzi di cui due cover: un rock tirato del disco solista di Mick Jagger ("Wandering spirit" uscito nel 1993 e prodotto da Rick Rubin) e una rivisitazione di "Shelter from the storm" di Bob Dylan. Le canzoni originali sono un mix di pezzi con qualche anno sulle spalle e composizioni più recenti. I testi descrivono una città dura, decadente e competitiva, ci sono riferimenti alla droga e alla depressione e c'è ben poco sentimentalismo. D'altronde la "Milano da bere" è diventata Tangentopoli e la Lega Nord di Umberto Bossi ha appena vinto le elezioni.

E correre più forte
la città ti taglia fuori
correre più forte 
la città non ha pietà 
(Le mille luci dei navigli)

Questa città ci oscura la mente
è figlia di una nebbia volgare
sentiamo il suo velenoso respiro
non credere all'oro lucente che vedi
(Cadere nell'asfalto

E poi resti lì
senza parole
per sopravvivere
oppure ridere
e troppe stelle
in un cielo nero
rincorrono il sole
senza toccarsi
(E se perdo)

Gli arrangiamenti lasciano spazi sempre più importanti alla Stratocaster distorta di Giuliano e al basso aggressivo di Matteo Maraone, pienamente in stile anni novanta. Accanto a episodi naïf e piuttosto banali alcuni pezzi sono comunque degni di nota: la psichedelica e scarna "Notte Nera", il funkettone hard-rock "Nuoce alla salute", la classica ballad "E se perdo" e il mid-tempo grunge "La strada che ci porta in fondo", forse il pezzo migliore scritto dai fratelli Dottori, specie per il suo essere assolutamente "anni novanta".

Nasci s'una sera che non hai scelto
lastricata di mattoni dorati
fiancheggiata da alti alberi in fiore
costruiscono muri lungo la strada
scuri e possenti, pieni di mistero
e ti senti forte, bello e sicuro
Ma quella strada poi 
non ti basta più 
senti voci e rumori intorno a te
Dobbiamo andare in fondo
sulla strada che ci porta in fondo

Le registrazioni coprono l'arco di un anno, più o meno tutto il 1994, e avvengono sia al Malibù Studio che al New Hammil Recording Studio, su bobine analogiche. I costi sono elevati e si registra in gran parte in presa diretta, poche take e pochissime sovra-incisioni. Un altro mondo rispetto alle possibilità offerte dalla tecnologia digitale che verrà. Da notare che i pezzi incisi al Malibù vengono registrati e mixati da un giovane Marco Trentacoste che suona nei V.M.18 e diventerà poi un importante producer, oltre che il chitarrista dei Deasonika.

La demo viene distribuita in musicassetta in poche centinaia di esemplari. La band farà un'ultima apparizione al mitico Rock Planet di Milano il 13/01/1995 per poi sciogliersi definitivamente. 

In occasione dei trent'anni da quelle registrazioni è divertente riascoltare su cassetta alcune di quelle canzoni. E devo ammettere che è ancora più divertente sfruttare i progressi della tecnologia per provare a giocare un po': portandole in digitale e ri-lavorandole grazie all'Intelligenza Artificiale e ai moderni software audio. Per sorridere su chi eravamo e su quanto, alla fine, ci siamo divertiti.             

lunedì 23 settembre 2019

Chasin' wild horses - Buon compleanno, Bruce.

Scendemmo e, una volta usciti, raggiungemmo l'abbeveratoio dei cavalli. Mio padre si lavò il sangue e si strofinò la faccia, poi risalimmo sul furgone. Si mise al volante e si diresse in centro a Holt, a un negozio di liquori che si chiamava Payday, dove comprò una bottiglia di whiskey e qualche birra. Le mise in un sacchetto di carta. Poi tornammo in campagna e fermò il furgone in cima a una collinetta sabbiosa in un pascolo. (Kent Haruf - Vincoli)

Affittai una camera in un albergo a breve distanza dalla strada dei locali notturni. Per due dollari mi rifilarono una stanza a piano terra con vista sull'oceano, un letto con un materasso sottile, un lavandino e la chiave del cesso sul corridoio. Misi i miei ricambi nel cassettone e, uscendo, mi strappai due capelli dalla testa. (James Ellroy - Dalia Nera)

A ovest, per tutta la notte, lampi ramificati scaturiti dal nulla tremarono dietro i cumulonembi di mezzanotte, illuminando a giorno il deserto lontano di una luce bluastra, e contro l'orizzonte balenante le montagne si stagliavano dure e nere e livide, distanti e aliene come terre la cui vera geologia non era la pietra ma la paura. (Meridiano di sangue - Cormac McCarthy)

Al lavoro era dura. Di pomeriggio svaniva la nebbia e il sole picchiava. I raggi si spostavano dall'azzurro della baia verso quella specie di vassoio formato dalle colline di Palos Verdes, ed era come una fornace. Nel conservificio era peggio. Non c'era aria fresca, neanche quanto bastava a riempire una sola narice. (La strada per Los Angeles - John Fante)

Per capire Western Stars bisogna partire da qui.
E forse da un pugno di film. Crazy Heart, con uno straordinario Jeff Bridges nei panni di un musicista country in declino; I Cowboys con un vecchio John Wayne e le musiche di John Williams; Il Lungo addio di Robert Altman (sempre con le musiche di John Williams); The Wrestler con Mickey Rourke (e la bellissima omonima canzone dello stesso Springsteen); Verso il sole ovvero l'ultimo film di Michal Cimino.
Cose diversissime fra loro ma accomunate dal senso della fine, da personaggi che vivono sul limitare dell'ultimo giro di giostra.
Springsteen ha fatto il suo disco più bello degli ultimi vent'anni. Un disco molto diverso da quel che aspettavamo. Un disco che nasce dentro alle pieghe più nascoste e oscure della sua autobiografia e come coerente prosecuzione dell'incredibile spettacolo teatrale di Broadway.
Western Stars è al tempo stesso la cosa più vicina a Nebraska e la più lontana. Dove la musica di Nebraska era scarna e poco prodotta in Western Stars ci sono arrangiamenti e orchestrazioni ricchissimi, una produzione magnifica e a volte lussuriosa. Il disco del 1982 andava alle radici del folk tradizionale americano, anche se in fondo era permeato di una patina proto-punk e new wave (si pensi ai Suicide). Western Stars è invece un disco in cui la matrice folk vira verso un certo pop cantautorale, verso la California delle grandi colonne sonore hollywoodiane più che della psichedelia.
Eppure questa scelta si rivela, lentamente, ascolto dopo ascolto, come coerente alle storie raccontate. Perché qui le stelle dell'ovest sono sì quelle del deserto ma anche le stelle che non ce l'hanno fatta, attori di serie B, cantanti dimenticati, anti-eroi che hanno perso pure l'ultimo treno. Ma sia chiaro: bollare i personaggi dell'ultimo Springsteen come i "soliti" perdenti di Darkness o di The River non ci aiuta a capire che qui siamo oltre.  
Western Stars è infatti un disco che parla di vecchiaia e di depressione, di una quotidianità molto lontana dagli omicidi di Charles Starkweather o dalle pistole di Johnny99.
È un disco di una verità e di una urgenza dolorose: Bruce ha 70 anni, non c'è più traccia in lui dell'icona pop degli anni ottanta, ma nemmeno del workin' class hero dei settanta. Con Western Stars siamo tornati a Tunnel of love, per certi versi, non a caso un altro disco meraviglioso ma fortemente incompreso: ci sono i dubbi, le incertezze, le ombre di un uomo solo in un momento di svolta. Là era un amore finito, qui è che siamo proprio al tramonto.
Tornerà la E-street, torneranno gli stadi, tornerà il dovere di portare in giro ancora una volta la fiaccola del rock'n'roll: sempre più pesante e sempre meno lucente. Ma il viaggio del Bruce scrittore di canzoni ha senso invece oggi fra le strade desertiche di Western Stars, mentre si perde lungo questi binari, quando se non è il capolinea poco ci manca.
Non è un caso, non può esserlo, che il disco sia cantato da dio. Non ha forse mai cantato così bene Bruce Springsteen, e questo ha semplicemente dell'incredibile.
I woke up this morning è un verso che ritorna spesso nel disco, ma sbaglia chi lo associa ad uno stanco cliché blues, ad un'assenza di idee: alzarsi dal letto è un impresa titanica per chi soffre di depressione, e di questo si sta parlando; chi ha letto la sua potente autobiografia sa quale sia il demone che accompagna la vita di Springsteen.
Bruce è invecchiato e non lo nasconde più, anzi ce lo sbatte in faccia. Siamo invecchiati anche noi con lui. Le storie, bellissime e cinematografiche, raccontate in questo disco ci ricordano - ancora una volta! - a che punto siamo della strada, dove sono arrivati Wild Billy, Mary, Terry, e noi con loro. Con una coerenza ed una verità disarmanti queste storie, che sarebbero da far studiare ai tanti finti songwriters di oggi, ci ricordano che là dove un tempo c'erano auto in corsa verso la libertà oggi ci sono pillole e whiskey nascosti dentro sacchetti di carta.
C'è un altro libro che Western Stars mi ha ricordato, un altro libro che parla di deserti e persone sole che lottano contro demoni interiori o ricordi del passato. Si chiama Lullaby Road di James Anderson. È la storia del camionista Ben Jones che fa il postino privato lungo la statale 117 in mezzo a chilometri e chilometri di deserto nello Utah. A Ben Jones succedono cose, finisce col ritrovarsi per caso dentro a una brutta brutta storia. Ma nella quotidianità del fare il proprio lavoro al meglio, nel fronteggiare con dignità un destino che ha sempre qualcosa di inesorabile, Ben Jones troverà la forza per andare avanti, proprio come gli eroi blue collar del boss, proprio come le ex-stelle di un west che non esiste più. Un'altra piccola pagina del grande romanzo americano.

Tutti hanno una buona stella. Anche se continuavo a ripetermi quanto fossi sveglio ed esperto per guidare nel deserto, sapevo che era solo la fortuna a fare la differenza.
A un cero punto, durante la notte, la strada si era confusa con il deserto proprio come sapevo che sarebbe successo. È opinione comune che in caso di guida a visibilità zero il conducente debba stare  
nella scia del veicolo di fronte a lui, o seguirne i fanali, se riesce a vederli. Sulla 117 era raro avere qualcuno da seguire, e comunque non ero uno a cui piaceva star dietro agli altri. Un paio di volte, in passato, al valico di Soldier Pass, una fila di veicoli aveva seguito il capogruppo fino a cadere da uno strapiombo. Se dovevo finire in un burrone, non avevo certo bisogno di qualcuno che mi indicasse la strada. Preferivo essere stupido da solo. Si fa prima.
(Lullaby Road - James Anderson)

domenica 3 febbraio 2019

25 anni dopo

Se c'è un disco che ha segnato per me gli anni novanta, questo è August and everything after dei Counting Crows. Più ancora del grunge, più ancora del southern rock, molto più del brit pop. Nel suo assoluto conservatorismo musicale, nel suo rifarsi molto semplicemente alla grande tradizione del folk-rock americano, quel disco di Adam Duritz e compagni ha accompagnato i vent'anni di un'intera generazione "solo" per il fatto di essere fatto di grandissime canzoni: testi meravigliosi e melodie gigantesche. Non serve molto altro, no?
Quello che non si sapeva era che il titolo dell'album veniva da una canzone, la tittle track, che sull'album non finì mai perché Adam non terminò il testo. 
Dopo circa venticinque anni, e dopo che il pezzo era circolato in bootlegs come nella migliore tradizione del rock del secolo scorso, i Countin' Crows si sono decisi a farne una versione definitiva, con arrangiamento orchestrale. La loro New York City Serenade, la loro chiusura del cerchio, un altro tassello del grande romanzo americano (per chi volesse approfondire il testo che è un piccolo gioiello). 
Nove minuti di poesia per ricordarci da dove veniamo.


giovedì 24 maggio 2018

Il senso di Musica Distesa, se c'è

Mia madre aveva sperato che passati i quaranta mi sarei dato una sistemata.
Ed anche io.
Ora vado per i quarantasei e sono ancora qui a organizzare una specie di festival post-hippy. Complici   una famiglia che è più rock di me ed un gruppo di ragazzi giovani e meno giovani che - uniti in associazione - sta prendendo il testimone.
Ma quando la tensione per la nuova edizione inizia a salire, quando sei alle prese con piani di sicurezza, permessi sanitari, presidi antincendio, siae, rooming per gli artisti, budgets che non quadrano mai, gestione dei volontari, logistica varia, cazzi e mannelli... inevitabile come la morte arriva la domanda fondamentale: chi cazzo ce lo fa fare?
E non c'è in realtà una risposta.
Se non che abbiamo bisogno sempre più, dentro questo mondo impazzito, di spazi autentici di poesia e di libertà.



Eccoci ancora quindi!
Come sempre l'ultimo weekend di giugno (29, 30 giugno e 1 luglio 2018) e come sempre nella dolce campagna di Cupramontana, nei Castelli di Jesi. Con alcune novità: la prima è l’aggiunta di una data di anteprima giovedì 28 giugno presso il MIG – Musei In Grotta di Cupramontana, con una performance live nel cuore del centro storico della Capitale del Verdicchio.
La seconda è la riflessione tematica che vestirà ogni giornata con un abito differente: dalle donne in musica del venerdì al ritmo meticcio del sabato fino al relax e al buon bere della domenica.
Terza e ultima novità è la presenza di un secondo palco, più piccolo ma più immerso nella natura. Come sempre sarà possibile campeggiare presso l’Agriturismo (www.musicadistesa.org/faq), prenotare una stanza in una delle strutture convenzionate col Festival (www.musicadistesa.org/alloggi-convenzionati), accedere con l’abbonamento per i tre giorni o acquistare i biglietti per le singole giornate, tutto sempre in prevendita attraverso il circuito Ciaotickets (www.ciaotickets.com/organizzatore/festivalmusicadistesa).


Giovedì 28 giugno presso il MIG – Musei In Grotta di Cupramontana si esibirà il giovane cantautore cremasco Nicola Savi Ferrari, che proporrà il suo originale mix di canzoni in italiano, francese e inglese. A seguire una selezione musicale animerà la prima serata de La Distesa, il tutto a ingresso gratuito.

Venerdì 29 giugno sarà la giornata dedicata all'universo femminile, con Cristina Donà, cantautrice che non ha bisogno di presentazioni per il ruolo che ha ricoperto nella storia della musica indipendente degli anni '90 e 2000; Mèsa, giovanissima artista romana entrata a far parte del magico roster di Bomba Dischi; Eleviole?, progetto solista di debutto di Eleonora Tosca degli Ariadineve; il duo electro I'm Not a blonde, che sta avendo incredibili riscontri anche fuori dall'Italia.

Sabato 30 giugno Musica Distesa sarà animata dal tema del ritmo e del meticciato. Sul palco ci sarà Balera Favela, trio di elettronica composto dai tre fuoriclasse Go Dugong, Ckrono e prp che incendierà il Festival con il suo mix di cumbia, kuduro, baile funk; poi i belgi Phoenician Drive, capaci di mescolare suoni del Maghreb con la classica psichedelia della West Coast americana; i milanesi Les Enfants, dal suono rock compatto ed epico; gli Hit-Kunle, capitanati dall'italo-nigeriana Folake Oladun che propongono un esplosivo mix di afro funk e tropical rock; Franco e La Repubblica dei Mostri, una band dalle sonorità new acoustic e post rock; in chiusura il duo di elettronica Deux Alpes ci farà rivivere la celebre quindicesima tappa del Tour de France 1998 con protagonista Marco Pantani. Nel pomeriggio invece ci sarà il filosofo del gusto Gaetano Saccoccio con “John Coltrane e l’arte della fermentazione: a love supreme”, una chiacchierata alcolica e informale fra vino, birra, sake e qualche buon disco. L’intera giornata di sabato sarà infine animata da Mitoka Samba, orchestra di percussioni e prima scuola di samba in Italia, che farà risuonare l’aia di Musica Distesa di ritmi brasiliani.

Domenica 1 luglio infine, La Distesa diventerà il tempio del relax, del buon cibo e del bere naturale. Tre sono i laboratori previsti (per i quali è necessario prenotarsi scrivendo una mail a lab@musicadistesa.org): “VinYoga – Un viaggio per scoprire l’essenza del vino”, un percorso di Yoga e meditazione creato dalla yogini e sommelier Amy Wadman per aprire i Chakra e i sensi a essi collegati. Poi, che Festival sarebbe senza la birra? Il laboratorio “Acid Trips – Dal Lambic alle Italian grape ales”, tenuto dal titolare del Jack Rabbit di Jesi Marco Tombini e dal giudice BJCP Cristiano Spadoni, sarà un viaggio nel poliedrico mondo delle birre acide, dalla tradizione belga al movimento “sour” italiano. Infine “Just Like a Woman – Quando il vino parla al femminile” chiuderà idealmente la nona edizione del Festival Musica Distesa, unendo in un’unica grande degustazione Bob Dylan, le donne e il vino naturale: quattro storie di vignaiole, la Sicilia di Arianna Occhipinti, il Piemonte di Bruna Ferro e di Nadia Verrua, l’Emilia di Elena Pantaleoni, quattro storie di vigne e vini raccontate dal toscanaccio Stefano Amerighi.

www.musicadistesa.org
www.facebook.com/festivalmusicadistesa
Info generiche: info@musicadistesa.org
Contatti stampa: stampa@musicadistesa.org
Laboratori: lab@musicadistesa.org

Direzione Artistica: Giuliano Dottori: cantautore, chitarrista e produttore, ha al suo attivo tre dischi solisti e svariate collaborazioni con alcuni dei nomi più interessanti della scena musicale italiana, come gli Amor Fou, Raphael Gualazzi, Niccolò Agliardi, Andrea Biagioni, David Ragghianti e moltissimi altri.
www.giulianodottori.it
direzioneartistica@musicadistesa.org

Artwork: Fortuna Todisco www.fortunatodisco.it

Foto e Video: Claudio Del Monte www.frammentisimili.it

Progetto Grafico: Daniela De Santis https://danieladesantis.portfoliobox.net

mercoledì 21 marzo 2018

Springsteen on Broadway

L'altro giorno girovagando per il web in modo del tutto casuale mi sono imbattuto in un post di Ermanno Labianca, figura storica dello springteenianesimo italiano ed internazionale (fondatore della storica fanzine Follow that dream) oltre che giornalista e discografico, evidentemente di ritorno dallo spettacolo teatrale di Bruce.

Ti passano davanti la sua e la tua vita. Con lui, torni anche tu tra le altalene, davanti all’albero che ti ha visto crescere e che non puoi più abbracciare perche’ li e’ rimasta solo l’aria che lo faceva respirare e rivivi i punti alti e i più bassi del tuo cammino. È stata un’emozione che per ora posso descrivere solo così. Credevo di avere visto tutto: non avevo mai visto Bruce Springsteen asciugarsi dagli occhi qualcosa che non fosse sudore.
Non e’ soltanto uno storytelling, non e’ un rock’n’roll show e non e’ l’esposizione acustica di canzoni nate in altro modo.
È una resa dei conti.

Mi sono reso conto che a giugno saranno trent'anni dalla mia prima volta con Bruce sul palco (era a Torino l'11 giugno del 1988) e che da allora fondamentalmente ho visto tutte le sue versioni live, con e senza e-street band, in elettrico ed in acustico, in grandi stadi o piccoli teatri, in Italia oppure all'estero. L'ho incontrato, aspettato, ascoltato, toccato e ammirato per 32 volte.
Questa volta no.
Il Bruce teatrale non riuscirò a vederlo. Per varie ragioni. Economiche, lavorative, familiari.
E però ha ragione Ermanno Labianca, ho come l'impressione che questa a Broadway sia davvero una resa dei conti: con la propria vita, coi propri fantasmi, con il tempo che passa inesorabilmente. Emergeva chiaramente tra le pagine dell'autobiografia Born to run e si è palesata, forse per la prima volta con grande nettezza, a Roma, al Circo Massimo, nel luglio del 2016. Un concerto meraviglioso, forse uno dei più belli, anche per quell'emozione sottopelle che sembrava non passare mai, fin dall'inizio con un Bruce commosso come non lo avevo visto mai, alla fine di NYC Serenade, guardando un pubblico oceanico come dovesse essere l'ultima volta.
E così, all'improvviso, ho capito che non sono pronto.
Non sono pronto per questa resa dei conti.
Non sono ancora pronto per la fine del sogno.


lunedì 19 febbraio 2018

La Musica Vuota on tour

Qualche presentazione del mio romanzo è in cantiere.
Macerata, Ancona e Bologna con format differenziati e in luoghi del cuore.


Nel frattempo grazie a "LaFeltrinelli" per la bella sinossi/recensione.

"Edoardo Alessi è un broker o “private banker”, come recita la targhetta nel suo ufficio, diviso tra carriera e affetti (la compagna Raffaella e l’amante Maria). Una passione sfrenata per la musica – ascoltata e suonata – ormai messa da parte da una carriera nel settore finanziario, il rifiuto della sua provenienza contadina, la vita vuota milanese, domande che a tratti lo attanagliano del tipo “Chi sei diventato?”. Se lo chiede spesso e non sa darsi risposta. Forse la può trovare tra gli appunti, i ritagli di giornale e gli scritti di una vita, suoi e del padre, che di tanto in tanto rilegge e che sono dispersi per tutto il romanzo. Una digressione continua (o forse, meglio, un flusso di coscienza), alternando ricordi e presente, tra viaggi per lavoro – anche in California e Messico – sempre a cavallo e in bilico tra la presenza di Maria e Raffaella, l’amico Ceska e, nel finale, lo zio di Edoardo. Corrado Dottori, qui alla sua prima prova narrativa, ci racconta una storia di vita, come tante, ma sicuramente con il pregio, e non è poco, di evitare facili rassicurazioni e autoindulgenze, in una ricerca di senso che tenta, questo sì, di evitare, o magari soltanto dimenticare, che a un certo punto (di non ritorno), se non si accettano compromessi, la nostra “musica” diventa vuota, quasi sempre. (forse)".


martedì 21 novembre 2017

La Musica Vuota, dal 7 dicembre in libreria

Edoardo Alessi, consulente finanziario di successo in crisi di identità, ritrova sette scatoloni pieni di diari, fotografie e lettere, conservati nella casa di montagna dei nonni paterni. I suoi scritti di gioventù si mescolano con le memorie del padre adolescente e rivoluzionario a formare una strana commistione di storie mai raccontate, sensi di colpa e recriminazioni. Il racconto di una storia familiare complessa. L’assenza dei genitori, militanti di estrema sinistra negli anni di piombo, tormenta Edoardo spingendolo a ricostruire il proprio passato e quello di un padre poco conosciuto, a cui lo lega una passione sfrenata per la musica rock. Un album in particolare, Exile On Main Street dei Rolling Stones, ritorna in maniera circolare a scandire i momenti salienti del romanzo, potentissimo catalizzatore in grado di innescare una continuità culturale e politica tra due mondi. Perché Edoardo, dopo un’adolescenza da militante nei movimenti studenteschi, spesa tra contestazione nei centri sociali, feste e concerti rock, è diventato ciò che non avrebbe mai voluto essere, un private banker? Tra viaggi in California, Marocco e Messico, tra affetti del presente (il vecchio amore mai dimenticato Maria e l’attuale bellissima compagna Raffaella, l’amico di infanzia Ceska) e di un passato che a volte incombe (il padre morto, la madre latitante, i nonni che lo hanno cresciuto e infine Joe, suo zio), La Musica Vuota è una sorta di memoir di un’intera generazione a cavallo e in bilico tra due secoli.

Guarda qui il booktrailer:


mercoledì 26 luglio 2017

La musica, il mio prossimo libro e Thegiornalisti

Nel 2012, in "Non è il vino dell'enologo", scrivevo questo:

"Se vendi vali. E per vendere devi costruire un prodotto rassicurante, facile, smussato, meglio se divertente, commovente solo a comando. 
Siamo all’estrema rappresentazione della cultura pop, nata come ribellione all’Arte parruccona ed istituzionale e divenuta, in soli quarant’anni di cultura consumistica, nuovo paradigma. 
Così, non c’è alcuna differenza fra il disco costruito dal produttore hip-hop di Los Angeles, grazie a veri e propri algoritmi del successo pop, ed il film Blockbuster pieno di effetti speciali e dalla sceneggiatura puntellata di espedienti. O fra il libro best seller appositamente commissionato allo scrittore top di turno ed il vino costruito da agronomi ed enologi consulenti, già a partire dalla concimazione del vigneto e perfezionato passaggio dopo passaggio fino all’assemblaggio finale.
E allora tutto deve essere non troppo acido, molto profumato, con una morbidezza suadente ed appagante. Senza sbavature, senza punture. Perchè nel nulla dei wine bars metropolitani colmi di ipocrisie e conformismi niente deve disturbare o suonare dissonante rispetto all’happyhour ben confezionato con prodotti del discount a basso costo. Figuriamoci il vino. Figuriamoci la musica. Nulla deve apparire troppo profondo, magari perché proveniente da una tradizione o da una ricerca. Che nella vita dell’uomo economico, scissa fra lavoro e tempo libero, il secondo non può essere faticoso e complesso. Deve solo scivolare. Scivolare via"

Parlavo di "Gusto" e, nelle quasi quaranta presentazioni in giro per tutta l'Italia, è stato forse il passaggio che più ho letto. Mi è tornato in mente questo passo mentre lavoravo alle bozze del mio prossimo libro e ascoltavo un pezzo dei Thegiornalisti, ovvero la band dell'anno.



Ora, essendo cresciuto negli anni ottanta, pensavo di aver visto tutto. Tutto il peggio del consumismo applicato alla musica. Sia chiaro: amo certa leggerezza. Cantavo Vamos à la playa e ho ascoltato, e ascolto, musica considerata "commerciale". Ma qui siamo davvero oltre. E non mi stupisce il successo di questi ragazzi. Rappresentano esattamente la nostra società attuale, la nostra gioventù, il nostro mondo occidentale.
Il mio nuovo libro, in uscita in autunno per Pequod, parlerà di queste cose. Di musica. Di scelte. Di autenticità. Dopo un saggio economico ed un libro sul vino, un romanzo puro. La fase è quella dell'ultima revisione, forse la più difficoltosa. Stay tuned!

giovedì 18 settembre 2014

Il mondo dalla nostra parte

E alla fine Giuliano Dottori ci fece anche ballare e cantare. Enjoy it! Colonna sonora qui a La Distesa per rendere la vendemmia 2014 un po' meno #vendemmiadimmerda. :-)

lunedì 22 luglio 2013

Springsteen&I

Esce oggi nelle sale di tutto il mondo Springsteen&I, un documentario prodotto da Riddley Scott che parla dei fans di Bruce Springsteen. Da quel che ho sentito in giro per la rete il film prova a spiegare ciò che non è spiegabile. Per esempio cosa porti due quarantenni padri di famiglia a prendere un aereo per Cork, cittadina semisconosciuta dell'Irlanda, per vedere il Boss per la ennesima volta (29? 30? ho perso il conto...) festeggiando i venticinque anni dal loro primo concerto.
Che sembra stupido, ma non lo è affatto.
Ha a che fare col salvarsi la vita, quando sei adolescente e non sai veramente chi sei e cosa vuoi. Ha a che fare col sentirsi parte di una comunità, quando invece il mondo parla altri linguaggi. Ha a che fare con la voglia di riscatto e di autenticità, in un mondo sempre più falso e preconfezionato.
Retorica? In qualche modo certamente sì.
Ma anche epica. Il racconto springsteeniano ha in sé la potenza della grande epica, quella che prende la vita e la rimodella per dargli un senso che vada oltre la realtà quotidiana.
Questa cifra "epica" è ciò che si respira in ogni concerto di Springsteen, che si sia nel piccolo teatro dove le canzoni vengono scarnificate e suonate acustiche, o nel grande stadio dove le canzoni si trasformano in momento di festa e di baldoria collettiva, o nel piccolo stadio irlandese dimenticato dal signore dove si possono vedere a occhio nudo gli effetti della crisi economica globale.
Sta qui l'unicità di Bruce. Che non sapeva suonare la chitarra come Hendrix, non sapeva cantare come Elvis, non sapeva scrivere come Dylan, ma ha preso i suoi talenti e li ha mischiati e frullati e intagliati in modo da costruire il più straordinario monumento della storia del rock'n'roll. Ma che, soprattutto, se ne va in giro per il mondo da più di quarant'anni come un aedo, come un menestrello, come un messaggero a diffondere l'epica del rock.
E allora capita che sei sotto al palco a ragionare di quel disco 2 di "The River" che hai letteralmente consumato e pensi che ci sono un sacco di canzoni che vengono suonate raramente. E poi c'è un ragazzo, Derek, che gira da tempo per tutta l'Europa con un cartello con su scritto "The price you pay". E succede che Bruce lo guarda, va in transenna e prende quel cartello. Risale sul palco e suona per la prima volta in Europa dal 1981 quella che è - per me - una delle sue più incredibili canzoni e soprattutto uno dei suoi testi più belli.
La magia si compie. Ed un'altra volta ancora ne è valsa la pena.

You make up your mind, you choose the chance you take
You ride to where the highway ends and the desert breaks
Out on to an open road you ride until the day
You learn to sleep at night with the price you pay

Now with their hands held high, they reached out for the open skies
And in one last breath they built the roads they’d ride to their death
Driving on through the night, unable to break away
From the restless pull of the price you pay

Oh, the price you pay, oh, the price you pay
Now you can’t walk away from the price you pay

Now they’d come so far and they’d waited so long
Just to end up caught in a dream where everything goes wrong
Where the dark of night holds back the light of day
And you’ve gotta stand and fight for the price you pay

Oh, the price you pay, oh, the price you pay
Now you can’t walk away from the price you pay

Little girl down on the strand
With that pretty little baby in your hands
Do you remember the story of the promised land
How he crossed the desert sands
And could not enter the chosen land
On the banks of the river he stayed
To face the price you pay

So let the games start, you better run you little wild heart
You can run through all the nights and all the days
But just across the county line, a stranger passing through put up a sign
That counts the men fallen away to the price you pay,
and girl before the end of the day,
I’m gonna tear it down and throw it away 

mercoledì 3 luglio 2013

Musica Distesa 2013: modalità OFF

Riflessioni postfestival. Grazie a te Max Demian from Recanati.

Il 16 febbraio Corrado scrive una mail che dice più o meno questo
"Ho deciso, a fine giugno scateniamo la 5° e ultima edizione di Musica Distesa e poi ovviamente muoriamo in piscina. chi ci sta?". Suo fratello da milano risponde disilluso "ho paura", la sua compagna di vita manda soltanto due parole, private e dolcissime. Il sottoscritto (tirato dentro senza motivo apparente) scrive "Questa è una giusta battaglia contro l'ignavia che impera, orsù dunque, armiamoci e partite..".
Siamo a metà febbraio, passano due mesi e nessuno produce più una riga sull'argomento, siamo lontani e in fondo ci conosciamo poco, magari è stata una boutade - pensa chi scrive. E invece a metà aprile i fratelli Dottori (che sono autentici folli, come può essere folle uno che lascia una vita agiata per fare il contadino o quell'altro che di mestiere fa il cantautore intimista) se ne escono con la storia del crowdfundig.
L'idea che qualcuno regali quattrini per un misconosciuto festival nella campagna marchigiana sembra improponibile (di questi tempi poi) e i primi giorni c'è già chi pensa di mollare il colpo. Ma la verità è che gli appassionati ci credono e piano piano si fanno vedere, le quote aumentano fino a sfondare il budget previsto (3500 sudatissimi euro) due giorni prima della scadenza del progetto in rete. 100 ragazze e ragazzi, che a volte non conosciamo minimamente, finanziano un evento culturale, scelgono di non restare immobili a guardare e dicono "facciamolo".
E'la prima volta che accade in questo paese (almeno per quanto ne sappiamo) che un evento di 3 giorni si faccia senza l'aiuto di un'amministrazione comunale, o di un imprenditore locale, o chissà chi altro. Pagare prima per avere dopo, sulla fiducia, senza paura. C'è qualcosa di altamente umano in tutto questo, energia pura per chi ha tutto in testa ma niente in mano. E' la svolta.
Le band ci sono, lo staff pure, spunta un cartellone credibile e variegato, l'obbligo morale verso i 100 raisers tira fuori il meglio. La Distesa è in ballo, la voce gira, le Marche hanno un festival nuovo, una rassegna di musica (band tra le migliori in Italia oggi, sfido chiunque a dire il contrario) cultura e cibi spirituali, come recitano i flyer di Stra. C'è l'artwork, arriva il nuovo logo, le t-shirt con la Distesa stilizzata, Casamedusa fornisce un impianto della madonna (e quell'X32 spettacolare), il CSA Sisma ci mette la cucina, Riccardo la perizia dell'enologo, Giovanni Gaggia gli arazzi e la sua arte, i campeggiatori le tende, Nicolas rompe i coglioni ma quello è un gatto adorabile e gli si perdona tutto.
Alla vigilia del festival (è un giovedì) c'è Italia Spagna. La guardiamo sul pc perché Corrado non possiede una tv, Bonucci sbaglia il rigore decisivo e una bottiglia di grappa fatta in casa mette tutti ko (non distesi, stroncati), il meteo dice pioggia su pioggia. E venerdì piove, governo ladro, e Gio finisce fuori strada sfasciando il pick-up con l'adesivo del Green Leaves appiccicato lì da chissà quale altro proprietario, e fa freddo, la gente scarseggia e non si sa che fare.
Ma (lo dice il corvo, non lo dico io) non può piovere per sempre e il giorno dopo, e quello dopo ancora, arriva il sole e tante belle e nuove facce, variegate e splendide nel loro incedere cuoriose. Più di 600 pasti forniti, 250 litri di birra e non si sa quanti di verdicchio, più di 25 tende accampate in giardino, gli ostelli di Cupramontana con le camere occupate dai "distesi".
Il Festival finalmente nasce, o rinasce. E tutto quello che è stato lo potete capire da soli guardando questa immagine qui sotto.
Una cosa troppo bella, un abbraccio al mondo. Un tuffo nel vuoto si, ma in costume da bagno...
La Musica si è distesa, e noi con lei.


Ringraziamenti:
Le band (Atterraggio Alieno Rhò C+c=Maxigross Blue Willa Persian Pelican Lava Lava Love Honeybird & the Birdies), Claudia Ciccarelli e il bellissimo Circolo Revers di Sarnano, Angelica Bellabarba e Nermina Delic, Paolo Perego e Francesco Campanozzi di Casamedusa, i ragazzi del CSA Sisma di Macerata, Michele STRA Marchetti, Nicolò Zaganelli e Artevox per l'aiuto e "Time to pretend" (è stato il segnale, lui sa perché), la sfasata che pensava fossimo satanisti ("sul programma c'è scritto cibi spirituali, non potete mica rubare le ostie sapete?"). Grazie a Maddalena e Giacomo per l'ospitalità, alle ragazze del bar (Giulia Angela Giorgia Arianna Irene), i piccoli Jack Giulia Lapo Zeno e la loro splendida nonna, il bimbo Spiderman e pure Gea che si è persa e ritrovata. Tania di Musicraiser e tutte le persone che fanno girare la ruota (come ha scritto qualcuno di recente). Grazie ai perfomer, ai ragazzi del reading Vogliamo Tutto, ad Andrea Tantucci del Maiale Volante, ai dj di Bloody Sound Fucktory e a Fanta (ribattezzato fantabasta), e agli amici di sempre che hanno fatto la strada per non perdersi la festa. Un enorme grazie a te ignoto ragazzo sui vent'anni che hai lasciato 2 euro al banchetto perché te lo sentivi, perché (parole sue) voleva contribuire pure lui. Siete stati tutti fantastici, anche e soprattutto quelli che ho dimenticato di ringraziare. 

Grazie infine a Valeria Corrado e Giuliano, per chi scrive queste righe siete stati la parte più bella. 
Max



mercoledì 12 giugno 2013

sabato 4 maggio 2013

Proviamoci!



Cari amici
dopo due anni di pausa abbiamo deciso di far ripartire il festival Musica Distesa. Il 28,29,30 giugno ci ritroveremo per ascoltare buona musica, bere del buon vino e provare a rinnovare gesti culturali indipendenti. Per fare questo abbiamo bisogno anche del vostro aiuto: abbiamo deciso di non ricorrere a sponsorizzazioni o contributi pubblici ma per far vivere il festival abbiamo iniziato una campagna di auto-finanziamento qui:https://www.musicraiser.com/projects/962-festival-musica-distesa-2013 Basta un login e una carta di credito e potrete scegliere fra molte diverse ricompense (libri, CD, magliette, ecc.)
Abbiamo un mese di tempo per raccogliere i fondi necessari al cachet degli artisti e alle spese di organizzazione (service audio, Siae, ecc.).
Grazie!

Dear friends
after a two year break we decided to restart the festival Musica Distesa. The 28,29,30 June, we will get to listen to good music, drink good wine and try to renew independent cultural ideas. To do this we need your help: we decided not to use any sponsorship or grants but to make the festival we began a campaign of crowfunding here: https://www.musicraiser.com/projects/962-festival-musica-distesa-2013  You login and with a credit card you can choose between many different rewards (books, CDs, T-shirts, etc.).
We have a month to raise the necessary funds for the cachet of the artists and the costs of organization (audio service, SIAE, etc..).
Thank you!

https://www.facebook.com/MusicaDistesa

domenica 1 luglio 2012

Growin' up with Bruce


Era il pomeriggio dell'11 giugno 1988 quando Massi, Paolo ed io entravamo, sedicenni, allo Stadio Comunale di Torino per inseguire il Sogno. Senza ancora sapere che da quell'esperienza ne saremmo usciti diversi. Sono passati gli anni, e la fiaccola del rock'n'roll ha continuato a girare per il mondo. Con alti e bassi, dentro a diluvi pasquali, dentro ai fantasmi di Tom Joad, fra le note di una Jungleland da sempre sognata, nella rabbia di un'America umiliata dall'11 settembre prima, e da un presidente idiota poi, nelle pieghe del folk delle origini,  con le illusioni di un nuovo presidente nero. Il rock, quella combinazione strana di musica e teatro, di poesia e fisicità, di sogno e realtà.
Ecco, siamo cresciuti con Bruce. Adolescenti, ragazzi, uomini, padri.
Così, a chiudere il cerchio, l'11 giugno 2012, esattamente ventiquattro anni dopo, entravo allo stadio Nereo Rocco con mio figlio Giacomo a vedere nuovamente il Jersey Devil dare tutto e di più in quella che è tuttora l'ultima grande messa del rock'n'roll.


giovedì 23 febbraio 2012

We take care of our own

Alla fine devo dire che dal vivo il pezzo c'ha un gran bel tiro.

giovedì 26 gennaio 2012

Cinquant'anni di Amnesty International

Nel 1962 veniva fondata Amnesty International, nel 1962 usciva il primo disco di Dylan. Chimes of freedom è il disco che li festeggia entrambi.

venerdì 13 gennaio 2012

Keef

Il libro definitivo. L'autobiografia di Keith Richards, Life. Una vita di rock'n'roll. Una vita oltre. Un libro fantastico, che racconta un'epopea, una cultura. Un mondo che non c'è più, di cui lui è stato l'autentico simbolo. Riff incredibili, avventure da cineteca, storie di donne e stupefacenti e ribellioni, il blues di un'anima scatenata. E poi le accordature aperte, le canzoni scritte con Jagger, le fughe in Marocco ed in Francia. Poi non resta che metter su Exile on main street e cantare a squarciagola.



...Ma che fine ha fatto l'auto? Noi l'abbiamo lasciata in quel garage, piena di droga. Mi piacerebbe sapere che fine ha fatto la roba. Forse nessuno ha mai rimosso i pannelli. Forse qualcuno la guida ancora, imbottita di stupefacenti...

...Il mondo non suscitava in noi altri interessi all'infuori degli stratagemmi per non perdere la fornitura dell'energia e sgraffignare qualcosa da mangiare al supermercato. Le donne erano solo al terzo posto della lista. Luce, cibo e poi, ehi, sei stato fortunato...

...La scrissi nel sonno Satisfaction. Non avevo la minima idea di averla scritta, ma grazie al cielo avevo un piccolo registratore a cassette Philips. Quella mattina lo guardai, per miracolo, ricordando di aver inserito una cassetta nuova di zecca la sera prima, e vidi che era alla fine. Premetti il tasto di riavvolgimento e trovai Satisfaction. Solo un'idea sommaria... Poi, quaranta minuti di me che russavo...

...Un'epopea di quel periodo fu il viaggio in auto a base di acidi che feci con John Lennon - un episodio di tale sregolatezza che riesco a malapena a evocarne un frammento... Io e Johnny eravamo talmente fusi che perfino anni dopo a New York alle volte lui mi chiedeva: "Cosa è successo in quel viaggio?"... Con noi c'era una ragazza molto dolce... Di recente l'ho consultata per questo libro, e la sua rievocazione differisce non poco dalla mia...

...La levitazione è probabilmente ciò che più s'avvicina, per analogia, a quel che provo - che si tratti di Jumpin' Jack, di Satisfaction o di All down the line - quando mi accorgo di aver centrato il tempo giusto, e tutta la band è dietro di me. E' come decollare... La gente mi dice: "Perché non smetti?". Ma io non posso andare in pensione finché non tiro le cuoia. Non credo che la gente capisca cosa sento. Non lo faccio per i soldi, o per voi. Lo faccio per me...

...Di fronte a Mick non mostrai alcuna reazione riguarda ad Anita. Decisi di vedere come le cose si sarebbero concluse. Non era la prima volta che entravamo in competizione per una bambola... Ma, sai, mentre tu ti divertivi, bello, io mi scopavo Marianne. L'avevi lasciata sola, toccava a me consolarla. Anzi dovetti sgattaiolare via di fretta, quando l'amico tornò a casa... Udimmo la sua auto parcheggiare di sotto, ci fu un gran trambusto, io mi sporsi dalla finestra, recuperai le scarpe e me la svignai attraverso il cortile, accorgendomi di aver dimenticato le calze. Bé, Mick non era il tipo da mettersi a cercare le calze. Io e Marianne ci scambiamo ancora questa battuta. Lei mi manda dei messaggi: - Non ho ancora trovato le tue calze...In ogni caso Anita non si divertì con quel pisellino striminzito. So che Mick ha un paio di coglioni enormi, ma non compensa il resto, giusto?...

venerdì 2 dicembre 2011

Padri e figli

Oggi è una di quelle giornate in cui mio padre mi manca di brutto.
Così, per caso, ho messo su l'ultimo CD del cofanetto live 75-85 del boss ed ecco che parte l'ormai leggendaria introduzione.

... Quando stavo crescendo io e mio padre litigavamo sempre, quasi su tutti gli argomenti. Ma... io avevo dei capelli davvero lunghi, scendevano oltre le spalle. Quando avevo 17 o 18 anni il mio vecchio li odiava veramente; quando ci mettevamo, litigavamo tanto che io finivo per passare molto tempo fuori di casa. E d'estate non era tanto male, perche' faceva caldo, e gli amici erano tutti fuori; ma d'inverno, mi ricordo quando stavo giu' in paese e prendevo un sacco di freddo ... e quando il vento soffiava avevo una cabina telefonica nella quale mi riparavo. E chiamavo la mia ragazza, qualsiasi ora fosse, solo per parlarle, anche tutta la notte... fin quando, finalmente, trovavo il coraggio di tornare in casa ... mi fermavo un momento nel viale, e lui era la' ad aspettarmi, in cucina. Io mi mettevo i capelli dentro il collo della camicia ,entravo... lui mi chiamava perche' tornassi a seder con lui. La prima cosa che mi chiedeva era cosa pensavo di fare di me stesso. E la peggiore cosa e' che non riuscivo mai a spiegarglielo. Mi ricordo che una volta ebbi un incidente in moto; mi ritrovai disteso nel letto, e lui fece entrare un barbiere che mi taglio' i capelli, e, ragazzi... mi ricordo che gli dissi che lo odiavo,e che non me ne sarei mai dimenticato. Lui mi diceva:"ragazzo, non vedo l'ora che ti prendano nell'esercito. Quando ti prenderanno nell'esercito faranno di te un uomo. Ti taglieranno i tuoi lunghi capelli e faranno di te un uomo". Questo successe, credo, nel '69. E c'erano molti ragazzi del vicinato che partivano per il Vietnam... Mi ricordo il batterista della mia prima band che veniva verso casa mia con indosso l'uniforme da marine dicendo che andava, e non sapeva dove... molti ragazzi partirono, e molti non tornarono; e molti di quelli che tornavano non erano piu' gli stessi. Mi ricordo, il giorno in cui arrivo' la cartolina di leva, la nascosi ai miei, e tre giorni prima della chiamata militare io e i miei amici uscimmo, restammo svegli tutta la notte.... e la mattina della partenza, tutti sull'autobus, eravamo cosi' spaventati... E andai... e mi scartarono! Tornai a casa... Non c'era niente che desiderassi tanto... mi ricordo il ritorno a casa dopo essere stato via tre giorni... entrai in cucina, mio padre e mia madre erano seduti li' dentro. lui mi dissa:"dove sei stato", io risposi che ero andato alla visita militare Mi chiese:" cosa ti hanno detto?" io risposi:"non mi hanno preso", e lui disse:" questa e' un'ottima cosa". 

Che poi parte quell'armonica che ti squarcia il petto e pensi che quella roba lì è la cosa più vicina all'idea di rock che ci sia mai stata. Lacrimuccia inclusa.

lunedì 24 ottobre 2011

Cose che risollevano il morale

This must be the place è un film imperfetto. Qualche buco narrativo e qualche dialogo sottotono non scalfiscono, però, la potenza di immagini straordinarie e di un Sean Penn favoloso. E' un film rock'n'roll, coraggioso per come racconta l'assurdo e per come fotografa la vita. E Sorrentino è veramente il più importante regista italiano degli ultimi vent'anni. (Parentesi: il cameo di David Byrne che recita se stesso vale, da solo, il prezzo del biglietto)
Il millesimo 2002 dello Champagne Pascal Mazet, Premier Cru a Chigny-Les-Roses, è gessoso, croccante e disteso. Quando lo Champagne è così non ce n'è per nessuno. Per altro costa meno di 20 euro in cantina...
E poi arrivano mail così: "I have now tasted the wines – I opened the bottles 10 days ago, they were still slightly closed. I still have them open in a fridge and taste them every three days, they seem to get all the time better and better, fantastic! I have had same kind of experiences with other biodynamic quality producers we work with. Beautiful, beautiful wines, very focused and pure terroir wines. I have to say that I am highly impressed and in love with the wines".  

sabato 24 settembre 2011

24 settembre 1991

                                                            Fonte: Corriere della Sera

Sono passati vent'anni.
Io lo ascoltai per la prima volta nel gennaio del 1992, qualche mese dopo l'uscita in america, in una serata universitaria decisamente alcolica. Mi furono presentati come la rinascita rock, da gente "che ne sapeva". Non ci feci molto caso. Poi, però, MTV e Videomusic non smisero di mettere in rotazione il video di Smells like teen spirit per tutti i mesi successivi e chiunque dovette farci i conti. All'epoca, e in parte ancora oggi, preferivo altra musica. Per restare all'ambito grunge, certamente preferivo i Pearl Jam. Ma Nevermind fu un disco devastante e seminale, l'ultimo vero disco che ha cambiato la storia del rock. La grandezza del gruppo la scoprii dopo la morte di Cobain, ascoltando l'MTV Unplugged in New York dove i pezzi della band, spogliati della furia elettrica, mi apparvero nella loro cristallina grandezza pop.
Ma non è questo il punto.
Il vero punto sono quegli anni. Qunado le majors decidevano di investire per lanciare gruppi dell'underground diversissimi tra loro come Nirvana, come Countin' Crows, come Spin Doctors, come Smashing Pumpkins. Quando l'ambiente musicale faceva il paio con un ambiente sociale e culturale; quando la musica era vissuta ancora in relazione ad una idea di comunità reale e non virtuale; quando la politica era parte del discorso, non a caso esplodendo proprio a Seattle nel 1999 quella gioventù globale/locale che Nirvana e Pearl Jam avevano cristallizzato da tempo nelle loro canzoni.
Il rapporto fra controcultura e grandi mezzi economici, fra rock alternativo e mainstream musicale, fra ribellismo e istituzioni, fra tutto ciò che bolle nel mondo underground e ciò che appare in superficie: io credo che sia uno dei grandi problemi dell'oggi. Almeno per quanto concerne l'arte, la cultura, la politica. E ci metto anche il vino, tié!