venerdì 25 febbraio 2011

Credo in un solo dio...

Se esiste un dio della potatura il suo nome è Marco Simonit. Se vogliamo spiegare ai giovani quanto è figo stare in campagna e quanto è bello essere vignaioli questo è lo spot definitivo:


Tutti i video on-line della scuola di potatura della vite sono fatti molto bene e possono aiutare a capire molte questioni legate alla viticoltura. Questo sul cordone speronato a Montalcino è fantastico:

sabato 19 febbraio 2011

Per chi non c'era...

...E per chi c'era ed ha un pò di nostalgia...


domenica 13 febbraio 2011

I talebani del vino

File:Flag of Taliban.svg
Da qualche tempo, partecipando alle varie fiere del vino naturale, oppure girovagando per blog, colgo definizioni strambe di questo mondo variegato. "Talebani", "Massimalisti", "Integralisti", "Messianici". E ancora: "Ideologia", "Settarismo", "Estremismo", "Radicalismo", parole in libertà che vogliono disegnare il profilo di persone che, di mestiere, producono vino.
Sono il primo ad ammettere le contraddizioni insite nel mondo del "vino vero", così come la presenza di forzature e radicalismi. Eppure, per la mia esperienza, la grande parte dei produttori che fanno parte di questo mondo sono persone affabili, normali, simpatiche. Che non lanciano alcun messaggio violento o aggressivo. Semplicemente credono nella bontà delle proprie idee e nella forza del proprio lavoro.
Talebano non è una parola "neutra" e non dovrebbe - credo - essere usata a cuor leggero. Dopotutto si parla solo di vino.
Noto una deriva pericolosa. Per la quale ad una presunta eresia, quella appunto del "naturale", si risponde con il rafforzamento del paradigma, del dogma, del sistema. Finendo col divenire ancora più estremisti dei presunti eretici. Con l'ovvio corollario della delegittimazione altrui.
Nel caso specifico osservo un richiamo alla Scienza fuori luogo. Come se lo scontro fosse fra modernità ed arretratezza, fra lumi e tenebre, fra progresso e tradizione, fra scienza ed alchimia, fra realtà e misticismo. Avevo già provato a districare la matassa qui: http://ladistesa.blogspot.com/2010/04/il-vino-naturale-ed-il-dominio-della.html
Credo che la conferma più lampante della mia analisi siano le parole di un noto produttore intervenuto di recente sulla questione. Ecco alcune sue parole: 

"Sono un antinaturalista convinto e sono grato alla ragione che ci ha permesso di arrivare fin qui. La magia è un modo per nascondere la propria ignoranza dei fenomeni naturali. Ovviamente odio i vini naturali o meglio quelli che ostentano di essere tali. Nessun vino è naturale (tende a diventare aceto per sua natura) e non lo è nemmeno l’uva. La vite deve essere addomesticata (violentata direbbe un ambientalista!) per produrla altrimenti produrrebbe legno"

"I “vini naturali” sono una brutta invenzione dei giornalisti che porta indietro di anni la bevuta che si stava imponendo. Con un piccolo intermezzo per i vini eleganti si è passati dai vini-pasto ai vini-feccia. Come dire dalle caverne alle palafitte".

"Non credo che ci sia un produttore di vini “naturali” di buon senso che qualche volta non abbia usato i sistemici (altrimenti qualche anno avrebbe saltato la vendemmia)". 

"Il naturalismo vive di tanti miti. ne va sfatato un altro, cioè che il lievito selezionato abbia un potere omologante e che il lievito “indigeno” (ma chi è?) determini – o aiuti a determinare – la territorialità del vino. Beh smettiamola con queste favole, tra l’altro cattive. Non esiste alcuno studio scientifico che dimostri questa convinzione, nemmeno come ipotesi. il lievito selezionato permette di pulire il vino prima di mandarlo in fermentazione e permette di farlo fermentare a temperature basse (vi ricordate il compiacimento del solito contadino quando il suo vino “bolle”? e quello che si vuole?). Ora il problema non è che il naturalista non vuole usare queste procedure perché non sono naturali, ma perché “non può” usarle. Il suo vino non completerebbe la fermentazione e probabilmente finirebbe per estenuarsi in una fermentazione languente con un sicuro aumento della volatile. Non c’era qualcuno (ancora tra noi) che voleva riprodurre il vino bevuto da Gesù? che per questa ragione si è lasciato piuttosto crocifiggere"

Qualcuno ha ancora dei dubbi su chi siano i "massimalisti" e gli "estremisti"?
Per quanto mi riguarda sono stufo. Stufo di dover produrre vino aggiungendo sempre un aggettivo. Mi piacerebbe produrre vino e basta. E che fossero gli altri a dover scrivere "bevanda a base di uva ed enzimi, lieviti selezionati, sostanze azotate, tannini, gomma arabica, mosto concentrato rettificato, vitamine, polivinilpirrolidone, e chi-più-ne-ha-più-ne-metta". Così come mi piacerebbe non essere io a certificarmi bio, ma che fossero i convenzionali a certificarsi chimici, dichiarando loro, e non noi, che cosa buttano nei campi.
E' una proposta da Talebano?

lunedì 7 febbraio 2011

Pane e libertà

Pane o libertà? Il mio post precedente citava un report della Fao sul prezzo del cibo, i commenti hanno finito col parlare di libertà. Giusto così. Eppure non riesco a togliermi dalla testa il Manzoni e la rivolta del pane in cui si trova coinvolto Renzo. (Qui il link ad un bel pezzo  che ne parla).
La realtà è che l'ottantanove arabo è qualcosa di straordinario e preoccupante. Ho chiesto di scriverne a Giovanni Bochi, antropologo specializzato in mondo arabo che ha vissuto a Il Cairo, oltre che in Libano e Siria. Queste le sue parole:
"La rivolta democratica e anti-autoritaria che ha investito l’Egitto ha sorpreso molti analisti: a guidarla non sono i Fratelli Musulmani, il gruppo di opposizione più popolare e organizzato, ma le giovani generazioni istruite, frustrate dalla mancanza di libertà civili e dalla cronica disoccupazione. Gli slogan di Piazza Tahrir non hanno come obiettivo Stati Uniti e Israele, quanto il regime di Mubarak, che da trent’anni ha imposto sul paese lo stato di emergenza. Ad accrescere il malcontento, soprattutto fra i ceti popolari, è stato l’aumento dei prezzi alimentari, in un paese che importa larghe quantità di grano dall’estero. Mentre i dimostranti premono per le dimissioni di Mubarak, dietro le quinte prende forma una “transizione morbida” dalla crisi. Protagonista sembra essere il vice-presidente Omar Suleiman, ex-capo dell’intelligence con solide credenziali militari. Questa sembra l’opzione suggerita dalle cancellerie occidentali, per le quali un improvviso vuoto di potere può aprire scenari di caos e radicalizzazione politica sul modello della rivoluzione iraniana del 1979.  In questo senso vanno interpretati i tentativi del regime di riportare il paese alla normalità, con un misto di aperture politiche e repressione: da una parte, Suleiman ha fatto alcune concessioni, aprendo un tavolo di trattative con le opposizioni; dall’altra, continuano gli arresti e le intimidazioni nei confronti di giornalisti e attivisti politici. La variabile indipendente è costituita dalla resistenza del movimento di protesta, nato e cresciuto grazie a Facebook e Twitter. Nessuno dei partiti di opposizione, a partire dai Fratelli Musulmani, sembra infatti in grado di orientarne e controllarne  gli umori. Anche la marginalizzazione e la progressiva uscita di scena di Mubarak, tuttavia, potrebbero non garantire un vero sbocco democratico.  Aldilà della personalità del rais, il regime egiziano si fonda un esteso apparato militare e poliziesco, che ha vaste ramificazioni nella società così come nell’economia. Vera cartina di tornasole della crisi è l’esercito. Fino ad ora, ha assunto una posizione neutrale, che gli ha guadagnato la simpatia dei manifestanti anti-Mubarak e il sostegno implicito dell’amministrazione americana.  Anche l’esercito, tuttavia, è parte integrante del regime egiziano: sotto Mubarak le alte sfere militari hanno beneficiato di molti privilegi, che non sono intenzionati a perdere.  Se le proteste di piazza dovessero intensificarsi, con l’obiettivo di forzare la caduta del regime, allora l’esercito dovrebbe decidere da che parte stare". 

venerdì 4 febbraio 2011

Pane, amore e fantasia

Le recenti rivolte in Algeria e Tunisia, che sono all'origine anche dei moti in Egitto, sono nate inizialmente a causa dell'aumento dei prezzi del pane.
La Fao (Food and agriculture organization) avverte che i prezzi degli agroalimentari nel mondo non sono mai stati così alti. Secondo il "Food price index 2010" dell'organizzazione dell'Onu, generi alimentari fondamentali, come grano, cereali, zucchero e carni, hanno superato i record storici del 2008 quando l'impennata dei prezzi aveva causato violente proteste in America Latina, Africa ed Asia. L'indice Fao è aumentato del 32% nella sola seconda metà del 2010 e il trend non accenna a diminuire nel 2011.
Questa la notizia.
Poi c'è la realtà. Qualunque agricoltore sa che i prezzi pagati all'origine sono bassissimi e comunque molto raramente in grado di coprire i costi di produzione e di garantire un reddito decente. Questo è più o meno vero in tutto il globo e per molte produzioni agricole.
Ovviamente la colpa è del clima, della crisi, dell'aumento della domanda, della mancanza di liberalizzazioni, della scarsa diffusione di Ogm e così via... Mai nessuno che dica una parte della verità: esattamente come il petrolio oramai i prezzi delle "materie prime" agricole rispondono a meccanismi solo finanziari: i futures e i derivati le cui quotazioni dipendono dalle borse merci mondiali e dalle dinamiche imposte delle grandi catene di distribuzione alimentare multinazionali. Ecco perché i contadini guadagnano poco e i consumatori pagano tanto.
E' la globalizzazione, baby. Alla faccia della sovranità alimentare.