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mercoledì 24 novembre 2021

Appunti sparsi. Noi. La vendemmia 2021. I prossimi tempi.

Mentre una fitta nebbia ci impedisce di continuare la raccolta delle olive - ce ne sono tante e belle - alcune riflessioni si rincorrono, sfuggenti, da qualche tempo.

I vini della vendemmia 2021 riposano nelle vasche e nelle botti. A parte qualche residuo zuccherino qua e là, sono buoni. Alcuni sono molto buoni. È stata una vendemmia piuttosto veloce nei tempi di raccolta e molto lenta nelle fermentazioni, come era prevedibile. Una vendemmia molto diversa dalla precedente che era stata disastrosa soprattutto per quanto riguardava il mio approccio. Se infatti ero uscito dalla 2020 con dubbi e insicurezze, con una sorta di incapacità di giudizio e di azione che mi pareva assurda dopo ventidue vendemmie, con questa vendemmia ho riscoperto il piacere della vinificazione. Intendiamoci: è sempre qualcosa di piuttosto masochista, con le notti insonni e tutto quanto... Ma in qualche modo mi pare di aver recuperato il senso più profondo del mio lavoro.

Il microscopio. 

In qualche modo il microscopio è stata la chiave. Non che il microscopio in sé possa risolvere i problemi. Però quel che è successo è che si sono come disciolte molte delle incrostazioni ideologiche sul "naturale" che in questi anni si erano progressivamente stratificate in me, in noi. Da un lato il microscopio mi ha letteralmente riportato proprio dentro alla Natura. Dall'altro mi ha sganciato finalmente dalla retorica del "Naturale". Sembra una contraddizione ma non lo è. Penso ad esempio al bellissimo libro di Christelle Pineau "Cornoletame e microscopio" in cui si fa una approfondita analisi antropologica del movimento del vino naturale.


Osservare l'estremamente piccolo, il microcosmo di lieviti e batteri, mi ha guidato verso riflessioni più macro, su questo nostro mondo incastrato nella pandemia, preda di rancori, paure, muri. È stato un viaggio in qualche modo catartico, e lo è ancora. 

Osservare la vita microscopica e le sue influenze sul nostro lavoro, sulle nostre vite; immaginare il virus come fosse un lievito. E poi pensare alle nostre società. Alle nostre aziende. Alle nostre istituzioni. Al nostro ambiente. Pensare a come tutto sia collegato e a come tutto sia estremamente fragile.

La realtà è che mi sto progressivamente allontanando dal "vino naturale". Da sempre ho criticato certi atteggiamenti e valutato i rischi di alcune operazioni. In tempi non sospetti: sia nei libri, che in vari contributi web (solo una selezione per chi fosse curioso: qui qui e qui). Nonostante questo ci ho creduto e continuo a pensare che quella rivoluzione sia stata foriera di un più ampio rinnovamento del mondo del vino tout court. 

Eppure oggi l'esplosione stile supernova del "naturale" e il suo enorme successo mi sembrano in gran parte una rappresentazione già vista, vecchia. Con tutte le sue narrazioni, i suoi selfie, le sue forzature, le sue bottiglie feticcio, i suoi influencer, il suo circo e i suoi circoli e le sue falsità belle e buone. Proprio nel momento in cui i nodi della catastrofe ecologica che ci circonda vengono definitivamente al pettine, proprio quel mondo, il nostro mondo, balbetta parole come "sostenibilità" e "biodinamica" ma in fondo in fondo è del tutto silente. E politicamente ininfluente.

Peggio. Una parte del movimento si dimostra, rispetto alla pandemia in atto, dubbiosa nei confronti della scienza quando non apertamente negazionista e cospirazionista. Il che fa il paio - devo dire in modo coerente (non me ne ero mai reso pienamente conto) - con una idea di agronomia e di enologia che si allontana sempre di più da una qualsivoglia ragionevole base scientifica. (Che poi il mondo scientifico sia pieno di problemi questo è un altro piano del discorso e qui nessuno si è mai tirato indietro rispetto ad una critica serrata alle sue distorsioni). 

Mi chiedo: cosa fare di fronte a tutto questo disagio? E la risposta è complicata, difficile.

Forse ritirarsi e decrescere. Ri-educarsi. Fare politica attiva. E piantare un sacco di alberi. 

Questo è ciò che abbiamo fatto ed è ciò che continueremo a fare. Che il vino, in fondo, è sempre stato solo una scusa. 

giovedì 24 maggio 2018

Il senso di Musica Distesa, se c'è

Mia madre aveva sperato che passati i quaranta mi sarei dato una sistemata.
Ed anche io.
Ora vado per i quarantasei e sono ancora qui a organizzare una specie di festival post-hippy. Complici   una famiglia che è più rock di me ed un gruppo di ragazzi giovani e meno giovani che - uniti in associazione - sta prendendo il testimone.
Ma quando la tensione per la nuova edizione inizia a salire, quando sei alle prese con piani di sicurezza, permessi sanitari, presidi antincendio, siae, rooming per gli artisti, budgets che non quadrano mai, gestione dei volontari, logistica varia, cazzi e mannelli... inevitabile come la morte arriva la domanda fondamentale: chi cazzo ce lo fa fare?
E non c'è in realtà una risposta.
Se non che abbiamo bisogno sempre più, dentro questo mondo impazzito, di spazi autentici di poesia e di libertà.



Eccoci ancora quindi!
Come sempre l'ultimo weekend di giugno (29, 30 giugno e 1 luglio 2018) e come sempre nella dolce campagna di Cupramontana, nei Castelli di Jesi. Con alcune novità: la prima è l’aggiunta di una data di anteprima giovedì 28 giugno presso il MIG – Musei In Grotta di Cupramontana, con una performance live nel cuore del centro storico della Capitale del Verdicchio.
La seconda è la riflessione tematica che vestirà ogni giornata con un abito differente: dalle donne in musica del venerdì al ritmo meticcio del sabato fino al relax e al buon bere della domenica.
Terza e ultima novità è la presenza di un secondo palco, più piccolo ma più immerso nella natura. Come sempre sarà possibile campeggiare presso l’Agriturismo (www.musicadistesa.org/faq), prenotare una stanza in una delle strutture convenzionate col Festival (www.musicadistesa.org/alloggi-convenzionati), accedere con l’abbonamento per i tre giorni o acquistare i biglietti per le singole giornate, tutto sempre in prevendita attraverso il circuito Ciaotickets (www.ciaotickets.com/organizzatore/festivalmusicadistesa).


Giovedì 28 giugno presso il MIG – Musei In Grotta di Cupramontana si esibirà il giovane cantautore cremasco Nicola Savi Ferrari, che proporrà il suo originale mix di canzoni in italiano, francese e inglese. A seguire una selezione musicale animerà la prima serata de La Distesa, il tutto a ingresso gratuito.

Venerdì 29 giugno sarà la giornata dedicata all'universo femminile, con Cristina Donà, cantautrice che non ha bisogno di presentazioni per il ruolo che ha ricoperto nella storia della musica indipendente degli anni '90 e 2000; Mèsa, giovanissima artista romana entrata a far parte del magico roster di Bomba Dischi; Eleviole?, progetto solista di debutto di Eleonora Tosca degli Ariadineve; il duo electro I'm Not a blonde, che sta avendo incredibili riscontri anche fuori dall'Italia.

Sabato 30 giugno Musica Distesa sarà animata dal tema del ritmo e del meticciato. Sul palco ci sarà Balera Favela, trio di elettronica composto dai tre fuoriclasse Go Dugong, Ckrono e prp che incendierà il Festival con il suo mix di cumbia, kuduro, baile funk; poi i belgi Phoenician Drive, capaci di mescolare suoni del Maghreb con la classica psichedelia della West Coast americana; i milanesi Les Enfants, dal suono rock compatto ed epico; gli Hit-Kunle, capitanati dall'italo-nigeriana Folake Oladun che propongono un esplosivo mix di afro funk e tropical rock; Franco e La Repubblica dei Mostri, una band dalle sonorità new acoustic e post rock; in chiusura il duo di elettronica Deux Alpes ci farà rivivere la celebre quindicesima tappa del Tour de France 1998 con protagonista Marco Pantani. Nel pomeriggio invece ci sarà il filosofo del gusto Gaetano Saccoccio con “John Coltrane e l’arte della fermentazione: a love supreme”, una chiacchierata alcolica e informale fra vino, birra, sake e qualche buon disco. L’intera giornata di sabato sarà infine animata da Mitoka Samba, orchestra di percussioni e prima scuola di samba in Italia, che farà risuonare l’aia di Musica Distesa di ritmi brasiliani.

Domenica 1 luglio infine, La Distesa diventerà il tempio del relax, del buon cibo e del bere naturale. Tre sono i laboratori previsti (per i quali è necessario prenotarsi scrivendo una mail a lab@musicadistesa.org): “VinYoga – Un viaggio per scoprire l’essenza del vino”, un percorso di Yoga e meditazione creato dalla yogini e sommelier Amy Wadman per aprire i Chakra e i sensi a essi collegati. Poi, che Festival sarebbe senza la birra? Il laboratorio “Acid Trips – Dal Lambic alle Italian grape ales”, tenuto dal titolare del Jack Rabbit di Jesi Marco Tombini e dal giudice BJCP Cristiano Spadoni, sarà un viaggio nel poliedrico mondo delle birre acide, dalla tradizione belga al movimento “sour” italiano. Infine “Just Like a Woman – Quando il vino parla al femminile” chiuderà idealmente la nona edizione del Festival Musica Distesa, unendo in un’unica grande degustazione Bob Dylan, le donne e il vino naturale: quattro storie di vignaiole, la Sicilia di Arianna Occhipinti, il Piemonte di Bruna Ferro e di Nadia Verrua, l’Emilia di Elena Pantaleoni, quattro storie di vigne e vini raccontate dal toscanaccio Stefano Amerighi.

www.musicadistesa.org
www.facebook.com/festivalmusicadistesa
Info generiche: info@musicadistesa.org
Contatti stampa: stampa@musicadistesa.org
Laboratori: lab@musicadistesa.org

Direzione Artistica: Giuliano Dottori: cantautore, chitarrista e produttore, ha al suo attivo tre dischi solisti e svariate collaborazioni con alcuni dei nomi più interessanti della scena musicale italiana, come gli Amor Fou, Raphael Gualazzi, Niccolò Agliardi, Andrea Biagioni, David Ragghianti e moltissimi altri.
www.giulianodottori.it
direzioneartistica@musicadistesa.org

Artwork: Fortuna Todisco www.fortunatodisco.it

Foto e Video: Claudio Del Monte www.frammentisimili.it

Progetto Grafico: Daniela De Santis https://danieladesantis.portfoliobox.net

lunedì 16 gennaio 2017

Decrescita enologica

Fuori nevica.
La campagna è come assorta. Accoglie la neve sulla propria pelle e ne accetta l'algida leggerezza.
Per noi agricoltori giornate come queste sono essenziali; per spezzare il ritmo delle nostre giornate, del nostro lavoro quotidiano, del nostro fluire nella natura. Per riflettere un po'.
Negli ultimi mesi mi sono reso conto di quanto sia stufo del "discorso sul vino".
Bevute compulsive, etichette, vecchie annate, riconoscimenti, difetti, vino naturale, fiere, ristoranti, sommelier, degustazioni cieche, ecc. Insomma, tutto ciò che è in qualche modo corollario del mio/nostro lavoro... L'idea stessa del Vino con la "v" maiuscola: come merce, come status symbol, come paradigma del "Made in Italy"... Tutta l'importanza che ci diamo e che ci danno, che ci porta a piantare nuove vigne, a fare più bottiglie, ad alzare i prezzi, a sviluppare nuovi prodotti, a trovare nuovi importatori. E la ricerca del consenso e dell'approvazione di giornalisti e consumatori. Del Mercato.

Questo mondo del vino non è che parte del mondo della Crescita. Dello sviluppo infinito. Le magnifiche sorti e progressive dell'export italiano, ad esempio. Il gigantesco talent show della bellezza/bontà italica. Una narrazione fatta di grandi bottiglie postate su Facebook (magari davanti agli occhi una persona cui non diamo importanza) e uffici stampa che si dannano l'anima per pavoneggiarsi con questo o quel direttore di Consorzio.

A me piaceva - e piace - stare in vigna a potare. Odorare la terra. Restare qualche minuto a dialogare coi miei vini in cantina. Soli.
In silenzio.
Saranno gli anni che passano o saranno i troppi wine geeks in circolazione, ma vedo sempre meno passione e sempre più omologazione.
Nessuno sciamano e troppi tecnici.
Il buonopulitoegiusto.
Tutto questo mi fa sentire fuori luogo, fuori posto. Io che non voglio più premi, che non voglio più medagliette, che non voglio crescere per crescere
e "gestire un'azienda"
e competere
e posizionare i miei prodotti
e pensare a cosa dire e non dire.

Io che voglio solo seminare. Dialogare. Osservare.

...Quanti timorati della vita, negli ultimi tempi, hanno guadagnato interesse per la "degustazione del vino"? Solo questa circostanza avrebbe dovuto insospettire, con giusta ragione, invece è stata superficialmente salutata come rivincita del sensibile e riconoscimento tardivo del liquido. La verità è che chi segue griglie consolidate e grammatiche date, ama riconoscere e riconoscersi nelle cose del mondo: non le incontra, ci si rispecchia. Degustare diventa una pura pratica a rimorchio, consolatoria e allucinatoria financo. Coazione a ripetere a contrasto dell'horror vacui. Ideologi dell'abilità del nulla, i narcisisti del vino proseguono sulla strada del riconoscimento di tipologie, varietà e aromi per consolidare se stessi sul piano di una frivola autorevolezza comunitaria. In effetti questo atteggiamento, spesso inconsapevole, corrisponde a bulimia cognitiva: come l'illusione della conoscenza consiste nell'accumulazione di dati e informazioni, così la narcosi dell'esperto di vino corrisponde all'assaggio compulsivo di più esemplari possibile, magari a confronto e nello stesso giorno, della stessa tipologia, con un bicchiere roteante che viene ossessivamente riempito e svuotato...  (Nicola Perullo - Epistenologia - pag. 69) 

mercoledì 13 maggio 2015

TerroirMarche, fra sogno e realtà.


Il primo maggio 2015 il nostro Consorzio TerroirMarche ha compiuto 2 anni. 
Nato quasi per caso in un lungo viaggio comunitario a Montpellier, quello che sembrava un piccolo sogno è diventato una bella realtà: un luogo di aggregazione di vignaioli bio che condividono idee e pratiche per difendere e valorizzare il proprio "terroir". Banale a dirsi, impresa titanica a farsi - in una regione come la nostra dove fra campanili vecchi e nuovi, politica e politici vecchi e nuovi, consorterie e maneggi vecchi e nuovi, vere e proprie sperimentazioni "dal basso" è difficile farle crescere, specie nel mondo dell'agricoltura.
Per questo sarà importante esserci ad Ascoli i prossimi 16 e 17 maggio a Palazzo dei Capitani per quella che sarà la nostra Fiera - non fiera. 
Non sarà infatti la solita fiera del vino più o meno naturale.
Sarà una cosa nuova e diversa perché per la prima volta sono i vignaioli stessi, senza l'intermediazione di associazioni o proloco o amministrazioni o distributori o organizzatori di eventi, a rischiare del loro ed a impegnarsi in prima persona per questo evento.
Sarà una cosa nuova e diversa perché accanto ai classici banchi di assaggio ci saranno 5 importanti laboratori dove si proveranno a capire i perché e i percome dei nostri vini: troppo spesso nella comunicazione si danno per scontate questioni che in realtà non lo sono, come l'identità, l'autenticità, il reale peso specifico dei vini di un determinato territorio. 
E tutto finisce in un calderone indistinto.
Noi pensiamo che ci sia ancora molto da capire sui vini e sui terroirs marchigiani.
Infine sarà una cosa nuova e diversa perché si parlerà non solo di vino ma anche di tutela e difesa del paesaggio, di alimentazione bio, di una visione che non è solo quella di una generica "agricoltura di qualità" in stile Expo ma che riguarda più profondamente la discussione sul nostro modello di sviluppo, cioé sul nostro futuro.
#Siateci.

sabato 16 novembre 2013

Bibenda e Gambero Rosso

Molti clienti/wine lovers hanno notato dopo molti anni l'assenza dei miei vini dalle pagine delle guide Duemilavini di Bibenda e Vini d'Italia di GamberoRosso. Bene, nessun mistero: quest'anno non ho fornito campioni a queste guide. La ragione è legata alla politica editoriale che mi è sembrata emergere negli ultimi tempi in queste due importanti testate. Riporto due link, in modo da essere il più chiari possibile:

http://www.intravino.com/grande-notizia/cercare-di-vivere-senza-leditoriale-di-eleonora-guerini-sul-gambero-rosso-e-riuscirci/

http://www.bibenda.it/bibenda7/singolo-articolo.php?id=1002&pagina=1&limite_inizio=10&vis_com=1

Ho sempre pensato fosse giusto sottoporre i propri prodotti ad un esame critico ed accettare ogni tipo di giudizio senza dare troppo peso ai risultati, sia buoni che cattivi, delle degustazioni. In fondo si tratta di un grande gioco - divertente per alcuni, un po' noioso ed autoreferenziale per altri - che ha avuto, negli anni passati, il solo grande torto di costruire un immaginario del vino di qualità e del gusto fortemente distorto. Ma era un immaginario dal fiato corto e lo si sta vedendo.
Quello che non sono accettabili sono la mancanza di rispetto e la disonestà intellettuale, entrambe ben presenti negli articoli di Bibenda e GamberoRosso. Molto spesso nlle polemiche che hanno invaso il web durante il 2013 le risposte, le pseudo-ritrattazioni, le rettifiche, le scuse non richieste sono state quasi peggiori delle iniziali proposizioni. A dimostrazione che in realtà si voleva lanciare un messaggio chiaro ed inequivocabile: attenzione, gli unici detentori del "vero gusto" siamo noi. Noi certifichiamo la "qualità". Noi e solo noi garantiamo il "buono". E magari anche il pulito ed il giusto. Purché non si disturbi il manovratore, però.
Ecco la grande mistificazione. Va bene il bio. Va bene la sostenibilità. Va bene anche il naturale. Ma deve essere come diciamo noi.
Che sarebbe come dire a Francis Bacon che la sua estetica produce quadri troppo angoscianti.

lunedì 15 luglio 2013

Trova l'intruso

Alcune recensioni del Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico DOCG Gli Eremi 2010.

"...è una delle migliori versioni: ampiezza fruttata e lievi note boisé e di anice lo rendono accattivante e profondo. In bocca è dinamico, succoso e teso; polposo e suadente al centro del palato, salino e lungo in chiusura".
Slowine - Slowfood 

"The savouriness and minerality of Verdicchio, but much more brooding and certainly not sweet. Fantastic tactile impact on the palate with acidity built like bricks. Very linear and direct and not polished at all. Very young".  17/20, Drink 2013-2018
Walter Speller

"Abbigliato di una veste oro lucente. In prima battuta sensazioni di kumquat, mango e ananas, seguite da profumi di camomilla e refoli di pietra focaia. In bocca ostenta corpo e notevole freschezza, sfumando sapido e decisamente minerale. Durevole persistenza..." Quattro grappoli
Duemilavini - Bibenda 

"...Discorso diverso per Gli Eremi '10 dove l'acescenza ne omologa il tratto confondendo il varietale andando oltre il confine che noi riteniamo difetto"
Gambero Rosso

"Olfatto di personalità e complessità fuori dal comune, i profumi di erbe disegnano un ventaglio aromatico di rara purezza; bocca sfumata e ricca di dettagli, la profonda energia sapida è dissimulata da una succosità aggraziata, dal finale lungo". 18/20
L'Espresso 


mercoledì 3 luglio 2013

Musica Distesa 2013: modalità OFF

Riflessioni postfestival. Grazie a te Max Demian from Recanati.

Il 16 febbraio Corrado scrive una mail che dice più o meno questo
"Ho deciso, a fine giugno scateniamo la 5° e ultima edizione di Musica Distesa e poi ovviamente muoriamo in piscina. chi ci sta?". Suo fratello da milano risponde disilluso "ho paura", la sua compagna di vita manda soltanto due parole, private e dolcissime. Il sottoscritto (tirato dentro senza motivo apparente) scrive "Questa è una giusta battaglia contro l'ignavia che impera, orsù dunque, armiamoci e partite..".
Siamo a metà febbraio, passano due mesi e nessuno produce più una riga sull'argomento, siamo lontani e in fondo ci conosciamo poco, magari è stata una boutade - pensa chi scrive. E invece a metà aprile i fratelli Dottori (che sono autentici folli, come può essere folle uno che lascia una vita agiata per fare il contadino o quell'altro che di mestiere fa il cantautore intimista) se ne escono con la storia del crowdfundig.
L'idea che qualcuno regali quattrini per un misconosciuto festival nella campagna marchigiana sembra improponibile (di questi tempi poi) e i primi giorni c'è già chi pensa di mollare il colpo. Ma la verità è che gli appassionati ci credono e piano piano si fanno vedere, le quote aumentano fino a sfondare il budget previsto (3500 sudatissimi euro) due giorni prima della scadenza del progetto in rete. 100 ragazze e ragazzi, che a volte non conosciamo minimamente, finanziano un evento culturale, scelgono di non restare immobili a guardare e dicono "facciamolo".
E'la prima volta che accade in questo paese (almeno per quanto ne sappiamo) che un evento di 3 giorni si faccia senza l'aiuto di un'amministrazione comunale, o di un imprenditore locale, o chissà chi altro. Pagare prima per avere dopo, sulla fiducia, senza paura. C'è qualcosa di altamente umano in tutto questo, energia pura per chi ha tutto in testa ma niente in mano. E' la svolta.
Le band ci sono, lo staff pure, spunta un cartellone credibile e variegato, l'obbligo morale verso i 100 raisers tira fuori il meglio. La Distesa è in ballo, la voce gira, le Marche hanno un festival nuovo, una rassegna di musica (band tra le migliori in Italia oggi, sfido chiunque a dire il contrario) cultura e cibi spirituali, come recitano i flyer di Stra. C'è l'artwork, arriva il nuovo logo, le t-shirt con la Distesa stilizzata, Casamedusa fornisce un impianto della madonna (e quell'X32 spettacolare), il CSA Sisma ci mette la cucina, Riccardo la perizia dell'enologo, Giovanni Gaggia gli arazzi e la sua arte, i campeggiatori le tende, Nicolas rompe i coglioni ma quello è un gatto adorabile e gli si perdona tutto.
Alla vigilia del festival (è un giovedì) c'è Italia Spagna. La guardiamo sul pc perché Corrado non possiede una tv, Bonucci sbaglia il rigore decisivo e una bottiglia di grappa fatta in casa mette tutti ko (non distesi, stroncati), il meteo dice pioggia su pioggia. E venerdì piove, governo ladro, e Gio finisce fuori strada sfasciando il pick-up con l'adesivo del Green Leaves appiccicato lì da chissà quale altro proprietario, e fa freddo, la gente scarseggia e non si sa che fare.
Ma (lo dice il corvo, non lo dico io) non può piovere per sempre e il giorno dopo, e quello dopo ancora, arriva il sole e tante belle e nuove facce, variegate e splendide nel loro incedere cuoriose. Più di 600 pasti forniti, 250 litri di birra e non si sa quanti di verdicchio, più di 25 tende accampate in giardino, gli ostelli di Cupramontana con le camere occupate dai "distesi".
Il Festival finalmente nasce, o rinasce. E tutto quello che è stato lo potete capire da soli guardando questa immagine qui sotto.
Una cosa troppo bella, un abbraccio al mondo. Un tuffo nel vuoto si, ma in costume da bagno...
La Musica si è distesa, e noi con lei.


Ringraziamenti:
Le band (Atterraggio Alieno Rhò C+c=Maxigross Blue Willa Persian Pelican Lava Lava Love Honeybird & the Birdies), Claudia Ciccarelli e il bellissimo Circolo Revers di Sarnano, Angelica Bellabarba e Nermina Delic, Paolo Perego e Francesco Campanozzi di Casamedusa, i ragazzi del CSA Sisma di Macerata, Michele STRA Marchetti, Nicolò Zaganelli e Artevox per l'aiuto e "Time to pretend" (è stato il segnale, lui sa perché), la sfasata che pensava fossimo satanisti ("sul programma c'è scritto cibi spirituali, non potete mica rubare le ostie sapete?"). Grazie a Maddalena e Giacomo per l'ospitalità, alle ragazze del bar (Giulia Angela Giorgia Arianna Irene), i piccoli Jack Giulia Lapo Zeno e la loro splendida nonna, il bimbo Spiderman e pure Gea che si è persa e ritrovata. Tania di Musicraiser e tutte le persone che fanno girare la ruota (come ha scritto qualcuno di recente). Grazie ai perfomer, ai ragazzi del reading Vogliamo Tutto, ad Andrea Tantucci del Maiale Volante, ai dj di Bloody Sound Fucktory e a Fanta (ribattezzato fantabasta), e agli amici di sempre che hanno fatto la strada per non perdersi la festa. Un enorme grazie a te ignoto ragazzo sui vent'anni che hai lasciato 2 euro al banchetto perché te lo sentivi, perché (parole sue) voleva contribuire pure lui. Siete stati tutti fantastici, anche e soprattutto quelli che ho dimenticato di ringraziare. 

Grazie infine a Valeria Corrado e Giuliano, per chi scrive queste righe siete stati la parte più bella. 
Max



giovedì 20 giugno 2013

mercoledì 8 maggio 2013

Undici annate de Gli Eremi



Dopo qualche mese di decantazione, eccomi a parlare di una bellissima giornata di ottobre, passata a degustare tutte le annate prodotte del mio vino simbolo: la riserva Gli Eremi. Erano presenti molti giornalisti e blogger del settore, da Vittorio Manganelli a Carlo Macchi, da Alessandro Morichetti a Francesca Ciancio, da Riccardo Vendrame a Maurizio Silvestri e Gianni Fabrizio.
Per me è stato molto emozionante ripercorrere le stagioni che hanno contraddistinto vendemmie differenti ed un lungo percorso evolutivo professionale. Ma la cosa migliore è ricordare la degustazione attraverso le parole di un ottimo giornalista straniero che di vino italiano è grande conoscitore: Walter Speller.

"Corrado Dottori is one of the main protagonists in the cru debate surrounding fine Verdicchio. He gave up a job in Milan to return to Cupramontana to take over the 3 ha of vines his grandfather left him, one, more than 30 years old, in San Michele and two in San Paolo. Not entirely a bianchista, Dottori also produces a red wine made from Montepulciano, Sangiovese and Cabernet Sauvignon. But it is clear that Verdicchio is his baby, and the one that gets the most attention is the Gli Eremi single-vineyard bottling. 

The Dottori famliy is very much part of the historic fabric of Cupramontana. Right in the middle of this hill town on the main street is the family's home, an impressive, charmingly chaotic patrician house which, from the outside, hides the fact that the wines were once made in cellars hewn out of the tufo rock underneath the house. Dottori is active in the local government of Cupramontana and as part of this role is one of the instigators of vineyard research, which focuses on soil, exposition and altitude, and which resulted in the first map of Cupramontana. It should eventually open the way to a vineyard classification. 

Dottori's own 'cru', the Gli Eremi, is made without any concession to commerce and divides opinions. Dottori tends his vineyards strictly organically while applying biodynamic elements, notably the famous cow-horn preparation. To Dottori, organic viticulture is just a tool which allows the vineyard to produce grapes without any distortion - to express itself as directly as possible. Dottori also wants the resulting wine to express the vintage without any fine-tuning. For the Gli Eremi, this means a brief maceration on the skins for about 10% of the grapes for four days, and fermentation triggered by indigenous yeast, which are given a head start by a pied de cuve he adds to the tanks. After fermentation, the wine stays for 6 months on the lees in oak, followed by 6 months in stainless steel for a natural stabilisation, and 6 months in bottle before release. The Gli Eremi is rock-solid Verdicchio, and a formidable cru, but with an embarrassingly modest price tag. 

La Distesa, Gli Eremi 2010 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 17 Drink 2013-2018 

The savouriness and minerality of Verdicchio, but much more brooding and certainly not sweet. Fantastic tactile impact on the palate with acidity built like bricks. Very linear and direct and not polished at all. Very young. (WS) 13.5%

La Distesa, Gli Eremi 2009 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2011-2016
More closed than 2010 and a touch sweeter. More generous and direct on the palate. Crisp acidity and great concentration of ripe fruit. Bitter almond finish. Great length and tension and quite straightforward. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2008 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 17.5 Drink 2012-2020
Hazelnut and real depth, and with the first signs of age. Savoury, the fruit is still hiding. Almost salty minerality. Bitter grapefruit. Lots of substance, and structure. well built and will last for quite a while. Very long. Begs for food. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2007 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 15.5 Drink 2009-2015 

Very hot and very difficult year and with little acidity. According to Dottori, the elevated levels of volatile acidity saved the wine, as it gives an impression of freshness. Quite sweet and honeyed. Baking spice, sweet brioche and fruit cake. Very round and sweet and extracted and with spiking acidity. A little uneven and hot on the finish. RS is 7 g/l. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2006 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2009-2017
A very cool year with plenty of rain, but an explosion of heat at the beginning of September, which led to a rash accumulation of sugars. Dottori had to break off his holiday to start harvesting in order to prevent overripe grapes. Very spicy, with brooding sweet fruit. Rich, sweet and ripe and a little rustic but with great grip. The alcohol seems a little biting. (WS) 14.5%

La Distesa, Gli Eremi 2005 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2008-2018
 
The vintage was a very cold one with lots of rain, which caused a little bit of botrytis on the ripest grapes. Complex and elegant, but with a peppery prickle. Quite understated on the nose. Fine, ripe mandarin impression on the palate followed by a bitter almond finish. Restrained generosity. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2004 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 17.5 Drink 2008-2020
2004 is considered a classic year in the Marche. Harvest, in mid October, was quite late and the grapes showed high acidity. There was also the occurrence of a little botrytis, as a result of what Dottori calls a classic Cupramontana climate with rains and cool periods. 2004 is the first vintage he used indigenous yeast. Intense sunflower yellow, almost like a sweet wine. Dark, sweet nose with hazelnut and wax. An energetic charge of fierce acidity. Very lively and tactile. Hints of browning apple and waxy notes but it is a complex whole. Electrifying finish. Tongue-grabbing action. (WS)
14%

La Distesa, Gli Eremi 2003 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 15.5 Drink 2006-2015
 
The only wine Dottori acidified with tartaric acid due to the hot year. Compact and savoury nose not giving much away. Merest hint of camomile. Creamy notes and high acidity on the palate, which dies away quickly. Finish is a bit numb and much less complex than I have come to expect. But certainly not a run-of-the-mill Verdicchio. (WS) 14%

La Distesa, Gli Eremi 2002 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16 Drink 2004-2016
 
A vintage with lots of rain, botrytis and high acidity. The deep colour indicates the high level of botrytis, according to Dottori. Very deep yellow. Quite developed on the nose with hints of butterscotch ansd acacia honey, but not exuberant. Very honeyed on the palate and at the same time lots of austere acidity. A little phenolic too. Very long and with lots of freshness on the finish. (WS) 14%

La Distesa, Gli Eremi 2001 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 18 Drink 2006-2022
 
Considered a classic year characterised by heat spikes. The wine was fermented in stainless steel. Quite composed on the nose with a little camomile and orange peel. Squeezed sweet lemon and orange palate. Really vibrant and tactile. Impressive stuff. (WS) 14%

La Distesa, Gli Eremi 2000 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16 Drink 2004-2016
 
Dottori’s first vintage and a very hot year. Savoury and a little earthy with hints of sage and minerals. Crushed lemon and orange palate. Great acidic impact and tension. The fruit doesn't last that long, but the tactile, lemony sensation does. Almost no signs of decay. Ends a little alcoholic. (WS) 

La Distesa, Spumante Metodo Classico 2004 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2012-2018
 
Never released onto the market. The base wine was aged for one year in barrique. Disgorged in 2011(!). Deep, straw yellow. Mandarin, hazelnut and a hint of mushroom and baking spice. Very full on palate with lots of substance and literally bags of lemon and mandarin fruit underlined with brioche notes. Pretty lively mousse. Impressive for a first effort. (WS)" 



venerdì 20 gennaio 2012

Della classicità

Settimana importante. Giornate di potature intense, spesso sotto un sole invernale quasi accecante.
E alcuni vini che mi fanno riflettere. In compagnia di due grandi del terroir jesino, Natalino Crognaletti ed Alessandro Fenino, uno straordinario Verdicchio Castelli di Jesi Villa Bucci 1992, quasi una pietra filosofale del nostro vitigno bandiera. Poi il grandissimo Mersault JM Roulot 2009, cristallino e puro, durante la bella serata alla cineteca di Bologna, inaugurazione della bella rassegna di Jonathan Nossiter. E infine, alla memoria, un commovente Amarone della Valpolicella Quintarelli 1993, in quel bellissimo winebar che è il twinside.
Così, discutendone avidamente anche con Jonathan e con Fabio Giavedoni, quello che è emerso da questo percorso casualissimo attraverso la storia di questi vini è una idea piuttosto condivisa di "classicità". Vini dove a farla da padrone è la tradizione, la fedeltà ad un canone, la riconducibilità ad un paradigma. E ciò che stupisce è l'assoluta mancanza di noia innanzi a tutto ciò. La meraviglia, anzi, di fronte a ciò che sembra assomigliare ad un ideale platonico. Che è poi tutto il contrario della sperimentazione, degli estremismi, della ricerca di effetti speciali di cui soffrono sia i più feroci difensori della Tecnica, sia i più accaniti rappresentanti della Nouvelle Vague naturalista.
E la riflessione che si può essere grandi classici senza essere per forza mainstream e conformisti e che la tradizione, quando è magica, può essere più rivoluzionaria di un progresso privo di senso.


venerdì 25 novembre 2011

Un pò di storia

Volevo assaggiare un grande vino californiano e sono stato accontentato. Chateau Montelena Cabernet Sauvignon 1986 è un vino che si stenta a considerare americano. Nessun sentore di quercia, nessuna sovra estrazione, nessuna invadenza alcolica. Un carattere decisamente bordolese, in senso classico: acidità presente e viva, un tannino non addomesticato ma rinfrescante, un naso giocato sulla finezza, con note di erbe aromatiche, cuoio, cacao, marasca. Giusto per intendersi: l'azienda è quella del famoso "Paris Tasting" nel 1976 quando il suo Chardonnay 1973 mise in riga alla cieca i più famosi Borgogna. Fatto storico che viene considerato in USA come l'atto fondativo della grandezza del vino californiano.
Poi mi sono ritrovato a bere un pò di storia del vino italiano. In quel di Glendale, sobborgo di Los Angeles: a dimostrazione di quanto assurdo e complesso sia il mondo del vino.


Undici gradi alcolici, botte grande numerata, acidità tagliente, vitigni alloctoni, naso irrequieto eppure affascinante. Il Vino da tavola Fiorano 1988 è la fotografia del vino italiano prima delle guide, prima del boom, prima del vino frutto, prima della tecnologia. Una storia bella e triste. Che potete leggere in questo bellissimo pezzo di Eric Asimov, dove si ricordano, fra l'altro, le lodi che Veronelli tesseva nei confronti dei vini di Alberico Boncompagni Ludovisi principe di Venosa.
Un vino davvero emozionante.

martedì 1 novembre 2011

Il Grande Verdicchio - Parte Seconda

I grandi "vecchi" del Verdicchio alla Sagra dell'Uva di Cupramontana. (Video di Mauro Fermariello)


Umani Ronchi: Vecchie Vigne 2009 - Canestrari: Coroncino 2000 - Brunori: Le Gemme 1995 - Bonci: San Michele 1994 - Garofoli: Serra Fiorese 1994 - Fazi Battaglia: San Sisto 1993 - Colonnara: Cuprese 1991 - Crognaletti: San Lorenzo 1991 - Bucci: Villa Bucci 1988.

lunedì 24 ottobre 2011

Cose che risollevano il morale

This must be the place è un film imperfetto. Qualche buco narrativo e qualche dialogo sottotono non scalfiscono, però, la potenza di immagini straordinarie e di un Sean Penn favoloso. E' un film rock'n'roll, coraggioso per come racconta l'assurdo e per come fotografa la vita. E Sorrentino è veramente il più importante regista italiano degli ultimi vent'anni. (Parentesi: il cameo di David Byrne che recita se stesso vale, da solo, il prezzo del biglietto)
Il millesimo 2002 dello Champagne Pascal Mazet, Premier Cru a Chigny-Les-Roses, è gessoso, croccante e disteso. Quando lo Champagne è così non ce n'è per nessuno. Per altro costa meno di 20 euro in cantina...
E poi arrivano mail così: "I have now tasted the wines – I opened the bottles 10 days ago, they were still slightly closed. I still have them open in a fridge and taste them every three days, they seem to get all the time better and better, fantastic! I have had same kind of experiences with other biodynamic quality producers we work with. Beautiful, beautiful wines, very focused and pure terroir wines. I have to say that I am highly impressed and in love with the wines".  

domenica 11 settembre 2011

Offida Pecorino: lo stato dell'arte.

La scorsa settimana sono stato invitato dalla Vinea, nell'ambito della rassegna Divino in vino, nella bellissima Offida. Al sabato convegno interessante - moderato da Alessandro Morichetti - "Comunicare il vino al tempo di internet e delle marchette" insieme a Mauro Erro, Jacopo Cossater, Fiorenzo Sartore e Giovanni Arcari. Bella discussione, pubblico caldo, in tutti i sensi, e conclusioni vaghe, come sempre nei convegni.
Alla domenica mattina gran degustazione cieca di 25 Offida Pecorino annata 2010.
Premesso che mi ritrovo al 100% nel bel post di Mauro, provo a dire la mia su quanto assaggiato.
Affrontando un unico vitigno proveniente da un piccolo territorio in una annata singola mi aspettavo come prima cosa di avere la chiara nettezza di una matrice territoriale. Illuso. Cinque batterie da cinque vini ci hanno comunicato cose molto diverse e, spesso, contrastanti.
Essendo in Centro Italia, mi aspettavo di ottenere sensazioni olfattive da bianco, non dico marchigiano, ma almeno del Centro Italia. In ben pochi casi è emerso questo.
Sapendo il Pecorino vitigno acido e austero, questo mi sarei aspettato. E invece ho ritrovato nella larga parte dei campioni vini morbidosi, al limite della dolcezza, spesso molto aromatici e accattivanti.
Prima considerazione: nel Pecorino offidano la mano enologica è invasiva e si sente tanto.

Siccome uno degli appunti che è stato mosso ai blogger nel convegno del sabato è che (sic): "L'80% dei post e dei commenti è critico e negativo". Non posso allora eludere le cose positive che sono emerse dalla degustazione (che tra l'altro a me è piaciuta molto per via dei "compagni di merende": il livello dei degustatori è risultato molto alto).
E dunque una materia prima che, nella grandissima parte dei campioni, è risultata valida: struttura, acidità, alcool, potenziale evolutivo. Che il Pecorino sia un vitigno sul quale puntare non ci sono dubbi. Il dubbio, semmai, è su quale identità dargli, ammesso che abbia senso dargliene una.
Seconda considerazione: l'uva c'é e la zona è zona vocata. Non avrebbe allora senso seguire la tradizione di un Pecorino in uvaggio con trebbiano e passerina, magari provando vinificazioni meno estreme e più "naturali"? Così, per capire bene il terroir, innanzitutto... Io son convinto che per un vitigno simile sia più vicino il modello "Trebbiano d'Abruzzo" che il modello "Sauvignon blanc" altoatesino. Ma forse mi sbaglio.

Infine i vini che mi sono piaciuti.
Alla cieca è un casino. Perché poi succede che noi difensori dei vignaioli artigiani ci ritroviamo a scoprire di aver gradito i vini delle cooperative sociali da milioni di bottiglie. Ma tant'è. Questo è il gioco. E allora giochiamo.
And the winner is: Offida Pecorino Rugaro 2010, Cantina dei colli ripani. Bel vino, naso fine, floreale, dalle note ammandorlate. Elegante. Molto buono in bocca, bellissima acidità dritta e pulita, decisamente rinfrescante nonostante una vena di dolcezza.
Poi mi sono piaciuti: LiCoste 2010, Domodimonti, dal naso piuttosto neutro di erbe officinali e mandorla, elegante, e dalla bocca spessa, voluminosa con una acidità ben integrata ed una chiusura asciutta e pulita; Villa Piatti 2010, Collevite, di stile ossidativo, presenta sentori di frutta secca, di mallo di noce. E' austero e territoriale. Peccato la nota dolciastra di chiusura; Altissimo 2010, San Francesco, naso un pò compresso si apre su sensazioni decisamente agrumate, floreali (ginestra, acacia) ed in bocca è ricco, grosso, sebbene con un pò troppo residuo zuccherino; niente male infine i Pecorino di Valle del Sole, San Filippo, Tenuta Cocci Grifoni. 
Purtroppo erano assenti dalla batteria i vini di Aurora, Fiorano e Poderi San Lazzaro, cioé alcuni fra i vini più interessanti del comprensorio offidano. In ogni caso complimenti alla Vinea per l'ottima organizzazione e speriamo che Mister Pecorino sia in grado di sfruttare al meglio l'occasione della prossima DOCG. Auguri.

giovedì 23 giugno 2011

Piccolo giochino irriverente

E' passato qualche giorno da quando la Commissione Assaggio che rilascia le certificazioni per le DOC ha bocciato un campione che avevo mandato in degustazione. Non è la prima volta. Non sarà l'ultima. Ho già ripetuto diverse volte certe considerazioni in merito al sistema delle denominazioni in Italia. A questo punto mi sento di proporre a chi verrà nei prossimi mesi a trovarmi in cantina o nelle fiere a cui parteciperò un piccolo gioco innocente: farò assaggiare il vino in questione, chiaramente senza dire prima di cosa si tratti, in modo da farsi un'idea precisa se siamo noi vignaioli che non sappiamo fare il vino o se siano le commissioni assaggio a non saperlo giudicare. Senza polemica, eh?!
Sulla questione ecco il pensiero illuminato di Sandro Sangiorgi (sull'ultima miniatura):


"La denominazione d’origine è ormai un contenitore vuoto?
Non è una novità che molti vini italiani stimati dagli enofili di mezzo mondo non rientrino in una denominazione di origine o, pur essendo in regola, vengano sottratti al disciplinare. Numerosi produttori preferiscono che sulle loro migliori bottiglie appaia la dizione “vino da tavola” o “vino da tavola a indicazione geografica tipica”, mentre altri, che credono ancora nel significato della denominazione, si vedono respingere i campioni dalle commissioni perché colpevoli di eccesso di originalità. Nella miniatura vorrei riflettere solo su quest’ultimo aspetto, visto che il rapporto tra denominazione di origine e fisionomia del vino è così articolato e complesso da meritare un saggio a sé stante.
È sempre più ampia la forbice tra la concezione e la percezione di territorialità delle commissioni d’assaggio e le sensazioni espresse da molti vini dotati di personalità, sia quelli realizzati con un metodo totalmente organic, sia quelli concepiti in modo convenzionale ma prodotti con cura naturale. È impressione diffusa che i giudici-degustatori emettano le proprie sentenze basandosi su parametri sempre più ristretti ed elementari. Tale approccio favorisce il lato pratico di chi coordina l’assegnazione delle denominazioni e deve sveltire le pratiche, poiché i disciplinari doc e docg crescono in proporzione ai vini che ne fanno richiesta e dunque aumenta il numero delle commissioni. Inoltre, le poche regole necessarie a una prima sfoltitura sono accessibili anche a chi non ha la vocazione all’assaggio comparato e degusta come un fiscalista. A rimetterci sono i vini meno immediati, quelli dal primo impatto silente e un poco oscuro, capaci però di trasformarsi e durare nel bicchiere, quelli dotati di un equilibrio dinamico e di una partecipazione gustativa graduale, coinvolgente e, per questi motivi, non canonica. Vittime di un modo unilaterale di considerare il vino che premia sensazioni stabili e rassicuranti e penalizza un effluvio imprevedibile e una sana emotività. Alcuni osservatori pensano che l’origine del danno perpetrato dalle commissioni d’assaggio nasca all’interno dei licei di Enotecnica e nelle facoltà di Agraria dove ci si specializza in Enologia. Il circolo vizioso è evidente. Attraverso quali vini si esercitano gli alunni nelle lezioni dedicate all’esame organolettico? Naturalmente con quelli “canonizzati” dalle commissioni d’assaggio. Per chi studia e pratica la scienza enologica la degustazione è uno strumento fondamentale, perché permette di leggere e comprendere il liquido odoroso al di là delle pur dettagliate risultanze chimiche. Alcuni studenti mi hanno confermato che, purtroppo, accade il contrario di quello che sarebbe corretto aspettarsi: sono i collaudati profili chimici a delineare la gerarchia qualitativa. Così, appena un vino non corrisponde al modello indicato – vedi, ad esempio, quando si avverte un’ossidazione inattesa o una volatile superiore alla media tecnicamente accettabile – viene considerato difettoso e, di conseguenza, da respingere. Magari era un esemplare virtuoso, dotato di una promettente complessità, dinamico e godibile da un palato attento. Eppure, viene autorizzata la fascetta a prodotti che sin dal colore non appaiono autentici – ci sarebbe da chiedersi se sono stati realizzati con le uve previste dal disciplinare – oppure a liquidi che finiranno in bottiglie vendute sullo scaffale del supermercato a un prezzo improbabile. È più facile valutare vini semplici o molto schematici perché non pongono dubbi, non suscitano riflessioni; più difficile cogliere la bellezza nelle sensazioni desuete".

mercoledì 8 giugno 2011

Milano e dintorni

Breve giro nel milanese. Il 9 giugno degustazione organizzata dall'AIS di Milano presso l'hotel Westin Palace su due grandi autoctoni delle Marche: Verdicchio e Pecorino. Info sul sito dell'AIS.
L'11 giugno invece parteciperò alla presentazione dell'ultimo libro edito da Derive e Approdi sul tema vino: Dionisio Crocefisso di Michel Le Gris. Info sul sito del Centro Sociale Folletto di Abbiategrasso dove si svolgerà l'evento.

mercoledì 1 giugno 2011

Fuffa VS Sostanza, questo è il problema

La realtà è che sono irrimediabilmente attratto dall’autenticità. E’ strano per chi, negli anni del liceo e per molto tempo successivamente, adorava l’estetica di certo decadentismo. L’arte per l’arte e balle varie.
E’ che alla fine impari che ci deve essere una qualche verità, una autenticità che è l’unico senso compiuto di questa nostra esistenza umana.
E serve un minimo di maturità per distinguere la fuffa dalla sostanza. Per cogliere ciò che è davvero importante sotto le più diverse etichette. Perché l’uomo inventa etichette di continuo, questo è il fatto. Neoclassicismo, romanticismo, verismo, decadentismo, dadaismo. Musica indipendente, alternativa, classica, leggera, metallara. Vini territoriali, biodinamici, veri, naturali, artigianali. E così via. All’infinito. Ma la verità, la scintilla, la poesia, si nascondono al di sotto di quelle etichette.
Ci arrivi, a scoprire l’autentico, con la sola arma della sensibilità. Non con la critica razionale. No. Ci arrivi con l’assoluta libertà di giudizio. Con una dialettica delle emozioni che ti rende particolarmente suscettibile alla bellezza della verità.
Ecco, per tornare alla Guerra del gusto di cui si accenna in Mondovino, quando metto il naso nel Volnay premier cru Taillepieds 1998 del Domaine De Montille subito trovo un vino scontroso, duro, aspro. Lentissimo ad esprimersi. E però c’è dentro il vino una tensione gustativa, una linea minerale, una materialità pulsante che esprimono la verità pura e semplice della terra. L’autenticità irrevocabile della natura.

mercoledì 20 ottobre 2010

Minchia, l'Abruzzo

Un paio di giorni in libertà. Dalle Marche scendiamo a sud. Controguerra, Torano Nuovo e Teramo. Poi Assergi, Campo Imperatore e Santo Stefano Sessanio, bellissimo paese medievale colpito dal terremoto. E ancora: L'Aquila, scioccante e deprimente; le case di Berlusconi; la scoperta di un posto incredibile, fuori dal mondo, come la Rocca di Calascio.
Quanto è bello l'Abruzzo? Come mai non c'eravamo mai stati? Si mangia bene, si beve bene, si spende poco, cosa volere di più?
A Teramo il Ristorante Cantinone, a Fonte Cerreto l'albergo ristorante Nido d'Aquila, a Calascio il Rifugio della Rocca, sono posti consigliatissimi (con carni buone e non solo).
L'Igt Indigena di Cioti 2009 (Trebbiano+altri vitigni autoctoni) è fresco, leggero ma piacevolissimo e molto pulito. Il Montepulciano d'Abruzzo Marina Cvetic 2006 di Masciarelli è di stile bordolese, fine, potente, con tannini dolci ed un naso elegante di cacao, rabarbaro e frutti rossi. Il Montepulciano "base" di Cataldi Madonna 2008 ha una beva facile ed è asciutto e pieno. L'azienda, sita nella piana di Ofena, fa vini di stile molto moderno, ma decisamente buoni e a prezzi corretti.
Insomma, verrebbe voglia di tornarci immediatamente, all'ombra del Gran Sasso.