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martedì 24 febbraio 2015

Un po' di geologia (parte seconda)

Una delle poche idee in fatto di zonazione dei Castelli di Jesi è quella venuta affermandosi negli ultimi anni di una differenza fra riva destra e riva sinistra del fiume Esino.
Accattivante dal punto di vista mediatico, con i suoi rimandi "bordolesi", in realtà questa suddivisione risulta piuttosto contraddittoria dal punto di vista del risultato nel bicchiere e sembra restare - in assenza di ulteriori ricerche e comparazioni - solamente una suggestione.
Da un punto di vista strettamente geologico la differenza maggiore appare invece quella fra nord-est e sud-ovest della denominazione lungo una ideale linea di demarcazione che corre parallela al mare passando dalle estremità più nord-orientali dei comuni di Staffolo e San Paolo di Jesi, passando per Pianello Vallesina e Moie, giunge ai settori più nord-orientali di Montecarotto e Serra dè Conti: a destra di tale linea immaginaria le colline sono mediamente più basse e risalgono al Pleistocene (quaternario) e al Pliocene superiore  con una maggiore omogeneità di terroir.
A sinistra di tale linea le pendenze si fanno decisamente più ripide, sia a destra che a sinistra dell'Esino, le colline sono di formazione più antica (Pliocene inferiore con affioramenti del Miocene) e la geologia si fa molto più complessa e variegata.
Tutto ciò potrebbe aprire le porte di uno studio approfondito e scientifico sulle correlazioni fra suoli e vini, sempre tenendo presente della rilevanza delle esposizioni e delle altitudini che nei Castelli di Jesi vedono una variabilità molto importante.

I processi di trasgressione e regressione marina, le dinamiche di sedimentazione, intorbidimento e deriva, i movimenti sismici e tettonici lungo milioni di anni hanno "modellato" le colline, un tempo fondali dell'adriatico, secondo complessi fenomeni che oggi possono essere riscontrati sia nella stratificazione verticale che nelle discontinuità orizzontali lette nelle mappe geologiche a disposizione.
Dal punto di vista di un vignaiolo, ignorante in materia di geologia, alcune generalità possono però essere riscontrate:

1) Le storiche "rivali" del Verdicchio Montecarotto e Cupramontana condividono in vaste porzioni del loro territorio la Litofacies arenitico-conglomeratica di Montecarotto (FAAb): essa è costituita da corpi conglomeratici passanti lateralmente a corpi arenitico-conglomeratici e sabbiosi, di forma lenticolare e giacitura concordante... I singoli corpi ciottolosi si presentano, il più delle volte, con una base erosiva e si sviluppano con spessori variabili da alcuni decimetri a qualche metro e con estensioni laterali assai variabili... Localmente sono presenti intercalazioni arenitico-sabbiose e pelitiche dello spessore di qualche decimetro. Il grado di organizzazione all'interno dei singoli corpi è piuttosto variabile, come risulta dall’analisi di strati successivi o di singoli intervalli.
Si tratta fondamentalmente di pietra arenaria che si può anche vedere spesso affiorare in grosse conformazion lungo le strade (es. contrada Romita verso il convento dei Frati Neri).  

2) Una grande parte del terroir di Cupramontana vede la presenza diffusa del Membro delle arenarie di Borello (FAA2), più antica rispetto alla precedente (pliocene inferiore) e caratterizzata da una alternanza di strati arenitici (arenaria) e pelitici (argille). Gli strati arenitici sono generalmente compatti, hanno uno spessore variabile da qualche decimetro ad alcuni metri, granulometria di norma medio-fine e colore grigio-giallastro; lo spessore degli intervalli pelitici è solitamente inferiore rispetto a quello degli strati arenitici, il loro colore è grigiastro e l'aspetto scagliettato.
Molto spesso questa formazione giallastra che si incide abbastanza facilmente viene in zona erroneamente chiamata "tufo": in realtà il tufo vero e proprio è di origine vulcanica e non c'entra nulla con le arenarie.

3) Già nella carta geologica 1 a 100.000 e poi ancora meglio nelle carte 1 a 50.000 e 1 a 10.000 è possibile vedere una evidente difformità nella zona fra Cupramontana-Staffolo dove a dominare sono invece sedimentazioni più antiche, in particolare lo Schlier (SCH) e la Formazione Gessoso-solfiera (GES) risalenti a periodi precedenti al Pliocene, ovvero all'epoca del Miocene e della crisi di salinità del Mediterraneo. Ma più in generale sia la parte che da Cupramontana va verso Apiro (Cerretine, Colognola, La Croce, Palombara e poi la parte media del torrente Esinante intorno alla Abbazia di S. urbano) che la Valle del torrente Cesola fra Cupramontana e Staffolo (contrade di Manciano, Carpaneto, Colonnara, San Michele, Spescia, Follonica, Salmagina, ecc.) risultano geologicamente molto più complesse.


File:Marl vs clay & lime.PNG

In particolare ciò che muta è la dose di CaCO3 presente nel suolo, cioé del carbonato di calcio: da questa dose dipende la classificazione in argille e/o marne e l'effetto sulla dinamica gustativa finale dei vini.
Che questo possa essere alla base di una qualche differenza nei vini di queste zone di Cupramontana, Staffolo e Apiro?   



   

domenica 25 gennaio 2015

Un po' di geologia (parte prima)

Della geologia dei Castelli di Jesi si sa tanto o poco, a seconda dei punti di vista.
Si sa tanto nel senso che abbiamo la fortuna di avere molte ricerche sia storiche che tecniche sull'argomento e di avere (fra le poche regioni in Italia) una mappatura vicina al 100% del territorio regionale non solo in scala 1 a 50.000 (carta geologica d'Italia) ma anche in scala 1 a 10.000, quindi con una eccezionale precisione.
Si sa poco nel senso che raramente si è colta l'occasione per applicare questa enorme ricchezza di informazioni al settore vitivinicolo. Si parla in generale di colline argillose, di sedimenti marini risalenti al Pliocene, di presenza calcarea legata alla dorsale appenninica.
Nel disciplinare del vino Verdicchio dei Castelli di Jesi grande attenzione è data al vitigno e alle sue note fruttate mentre il riferimento al suolo è semplicemente questo:
"Le aree collinari, ove si sviluppa la denominazione, confluenti nel bacino del fiume Esino 
presentano un alto contenuto in argille, alta percentuale di carbonato di calcio, scarsa permeabilità, 
erodibilità, diversa frazione pelitica e calcarenitica"
Un po' poco - credo - per un vino che vuole essere il più importante bianco italiano.
Di geologia io sono un totale ignorante ma negli ultimi tempi mi sono intrippato a tal punto da leggere un sacco di studi e provare a decodificare le carte geologiche soprattutto di Cupramontana.
Da ignorante ho scoperto un sacco di cose, prima fra tutte che è vero che l'area dei Castelli dei Jesi è piuttosto omogenea dal punto di vista geologico, nel senso che la formazione dei suoli risale evidentemente all'emersione rispetto al mare Adriatico, ma è anche vero che tale emersione non è stata "pacifica" ma piena di progressioni e regressioni, oltretutto in ambiente sismico. Tutto ciò ha fatto sì che le sedimentazioni siano più complesse di quel che comunemente noi ignoranti crediamo e che non sappiamo minimamente i possibili effetti di tale complessità su una viticoltura realmente di "terroir".
Il primo grande evento che può considerarsi rilevante ai fini di una geologia del terroir marchigiano è la cosiddetta "cridi di salinità" ed avviene nel Miocene superiore (Messiniano, circa sette milioni di anni da noi): la pressione della zolla africana contro quella eurasiatica conduce alla chiusura dello stretto di Gibilterra, il Mediterraneo resta isolato dall’Atlantico e ne consegue il disseccamento. La prova del prosciugamento e dei conseguenti fenomeni chimico-deposizionali del bacino del Mediterraneo è data dai forti spessori di gessi ed evaporiti riscontrabili in Appennino.
Nel Pliocene la reingressione delle acque dall’Atlantico è molto rapida a scala geologica, e riporta sedimenti abissali sul fondo dei bacini. In questo periodo, cioè fra 5 e 2,5 milioni di anni fa, l'Adriatico occupa interamente tutta la zona collinare dei Castelli di Jesi. 


Nel quaternario invece si ha la massima espansione dell'Adriatico con il Po e i suoi affluenti che arrivano sino ad Ancona. La causa sono le glaciazioni che videro un notevole ritiro di tutti i mari e un evidente allargamento delle terre emerse. 
Il passaggio fra il Pliocene e il Pleistocene (prima era del quaternario) risulta quella più rilevante per il terroir jesino: è a questa fase di ritiro definitivo dell'Adriatico che si deve la sedimentazione più importante, la Formazione delle Argille Azzurre (simbolo geologico FAA) che si ritrova su gran parte dell'Appennino dal Piemonte all'Emilia Romagna alla Toscana e che "domina" le zone più importanti e vocate a destra e a sinistra dell'Esino.
Ciò che è importante sottolineare è la complessità geologica di questa formazione: le Argille Azzurre compaiono in numerosi fogli della Carta Geologica d'Italia (a scala 1:50.000), e molti sono i membri e le litofacies (caratteristiche fisico-chimiche) in esse riconosciute. In passato, alcuni di questi membri e litofacies, corrispondenti a corpi più o meno sabbiosi o marnosi che si intercalano alle argille e che raggiungono talora spessori fino al centinaio di metri, sono stati elevati al rango formazionale.
A Cupramontana questa formazione è prevalente tanto che uno dei sinonimi riscontrati in letteratura è anche "formazione di Macerata-Cupramontana" e presenta differenze rispetto alla stesse sedimentazioni di altri Castelli di Jesi.
Nel prossimo post cercherò di scendere più nello specifico, provando a inserire in questa storia geologica qualche riferimento al vino. Per ora vanno tenute a mente i gessi, le argille e i corpi più o meno sabbiosi o marnosi.