Visualizzazione post con etichetta moralista filosofia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta moralista filosofia. Mostra tutti i post

lunedì 16 gennaio 2017

Decrescita enologica

Fuori nevica.
La campagna è come assorta. Accoglie la neve sulla propria pelle e ne accetta l'algida leggerezza.
Per noi agricoltori giornate come queste sono essenziali; per spezzare il ritmo delle nostre giornate, del nostro lavoro quotidiano, del nostro fluire nella natura. Per riflettere un po'.
Negli ultimi mesi mi sono reso conto di quanto sia stufo del "discorso sul vino".
Bevute compulsive, etichette, vecchie annate, riconoscimenti, difetti, vino naturale, fiere, ristoranti, sommelier, degustazioni cieche, ecc. Insomma, tutto ciò che è in qualche modo corollario del mio/nostro lavoro... L'idea stessa del Vino con la "v" maiuscola: come merce, come status symbol, come paradigma del "Made in Italy"... Tutta l'importanza che ci diamo e che ci danno, che ci porta a piantare nuove vigne, a fare più bottiglie, ad alzare i prezzi, a sviluppare nuovi prodotti, a trovare nuovi importatori. E la ricerca del consenso e dell'approvazione di giornalisti e consumatori. Del Mercato.

Questo mondo del vino non è che parte del mondo della Crescita. Dello sviluppo infinito. Le magnifiche sorti e progressive dell'export italiano, ad esempio. Il gigantesco talent show della bellezza/bontà italica. Una narrazione fatta di grandi bottiglie postate su Facebook (magari davanti agli occhi una persona cui non diamo importanza) e uffici stampa che si dannano l'anima per pavoneggiarsi con questo o quel direttore di Consorzio.

A me piaceva - e piace - stare in vigna a potare. Odorare la terra. Restare qualche minuto a dialogare coi miei vini in cantina. Soli.
In silenzio.
Saranno gli anni che passano o saranno i troppi wine geeks in circolazione, ma vedo sempre meno passione e sempre più omologazione.
Nessuno sciamano e troppi tecnici.
Il buonopulitoegiusto.
Tutto questo mi fa sentire fuori luogo, fuori posto. Io che non voglio più premi, che non voglio più medagliette, che non voglio crescere per crescere
e "gestire un'azienda"
e competere
e posizionare i miei prodotti
e pensare a cosa dire e non dire.

Io che voglio solo seminare. Dialogare. Osservare.

...Quanti timorati della vita, negli ultimi tempi, hanno guadagnato interesse per la "degustazione del vino"? Solo questa circostanza avrebbe dovuto insospettire, con giusta ragione, invece è stata superficialmente salutata come rivincita del sensibile e riconoscimento tardivo del liquido. La verità è che chi segue griglie consolidate e grammatiche date, ama riconoscere e riconoscersi nelle cose del mondo: non le incontra, ci si rispecchia. Degustare diventa una pura pratica a rimorchio, consolatoria e allucinatoria financo. Coazione a ripetere a contrasto dell'horror vacui. Ideologi dell'abilità del nulla, i narcisisti del vino proseguono sulla strada del riconoscimento di tipologie, varietà e aromi per consolidare se stessi sul piano di una frivola autorevolezza comunitaria. In effetti questo atteggiamento, spesso inconsapevole, corrisponde a bulimia cognitiva: come l'illusione della conoscenza consiste nell'accumulazione di dati e informazioni, così la narcosi dell'esperto di vino corrisponde all'assaggio compulsivo di più esemplari possibile, magari a confronto e nello stesso giorno, della stessa tipologia, con un bicchiere roteante che viene ossessivamente riempito e svuotato...  (Nicola Perullo - Epistenologia - pag. 69) 

mercoledì 20 luglio 2011

Genova, dieci anni fa

Eravamo giovani e avevamo ragione. Ed è piuttosto inglorioso per i tanti che hanno pontificato, di destra e di sinistra, riconoscere oggi questa semplice verità. 
"Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che... tendenze apparentemente distinte erano unite da un'idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l'epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un'azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l'idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l'idea di comunità. ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea..." (Naomi Klein, The Guardian).
Nel frattempo anche le DOC sono in mano ai geni del branding. E di qui a poco non si produrranno più vini ma "etichette". 

domenica 13 febbraio 2011

I talebani del vino

File:Flag of Taliban.svg
Da qualche tempo, partecipando alle varie fiere del vino naturale, oppure girovagando per blog, colgo definizioni strambe di questo mondo variegato. "Talebani", "Massimalisti", "Integralisti", "Messianici". E ancora: "Ideologia", "Settarismo", "Estremismo", "Radicalismo", parole in libertà che vogliono disegnare il profilo di persone che, di mestiere, producono vino.
Sono il primo ad ammettere le contraddizioni insite nel mondo del "vino vero", così come la presenza di forzature e radicalismi. Eppure, per la mia esperienza, la grande parte dei produttori che fanno parte di questo mondo sono persone affabili, normali, simpatiche. Che non lanciano alcun messaggio violento o aggressivo. Semplicemente credono nella bontà delle proprie idee e nella forza del proprio lavoro.
Talebano non è una parola "neutra" e non dovrebbe - credo - essere usata a cuor leggero. Dopotutto si parla solo di vino.
Noto una deriva pericolosa. Per la quale ad una presunta eresia, quella appunto del "naturale", si risponde con il rafforzamento del paradigma, del dogma, del sistema. Finendo col divenire ancora più estremisti dei presunti eretici. Con l'ovvio corollario della delegittimazione altrui.
Nel caso specifico osservo un richiamo alla Scienza fuori luogo. Come se lo scontro fosse fra modernità ed arretratezza, fra lumi e tenebre, fra progresso e tradizione, fra scienza ed alchimia, fra realtà e misticismo. Avevo già provato a districare la matassa qui: http://ladistesa.blogspot.com/2010/04/il-vino-naturale-ed-il-dominio-della.html
Credo che la conferma più lampante della mia analisi siano le parole di un noto produttore intervenuto di recente sulla questione. Ecco alcune sue parole: 

"Sono un antinaturalista convinto e sono grato alla ragione che ci ha permesso di arrivare fin qui. La magia è un modo per nascondere la propria ignoranza dei fenomeni naturali. Ovviamente odio i vini naturali o meglio quelli che ostentano di essere tali. Nessun vino è naturale (tende a diventare aceto per sua natura) e non lo è nemmeno l’uva. La vite deve essere addomesticata (violentata direbbe un ambientalista!) per produrla altrimenti produrrebbe legno"

"I “vini naturali” sono una brutta invenzione dei giornalisti che porta indietro di anni la bevuta che si stava imponendo. Con un piccolo intermezzo per i vini eleganti si è passati dai vini-pasto ai vini-feccia. Come dire dalle caverne alle palafitte".

"Non credo che ci sia un produttore di vini “naturali” di buon senso che qualche volta non abbia usato i sistemici (altrimenti qualche anno avrebbe saltato la vendemmia)". 

"Il naturalismo vive di tanti miti. ne va sfatato un altro, cioè che il lievito selezionato abbia un potere omologante e che il lievito “indigeno” (ma chi è?) determini – o aiuti a determinare – la territorialità del vino. Beh smettiamola con queste favole, tra l’altro cattive. Non esiste alcuno studio scientifico che dimostri questa convinzione, nemmeno come ipotesi. il lievito selezionato permette di pulire il vino prima di mandarlo in fermentazione e permette di farlo fermentare a temperature basse (vi ricordate il compiacimento del solito contadino quando il suo vino “bolle”? e quello che si vuole?). Ora il problema non è che il naturalista non vuole usare queste procedure perché non sono naturali, ma perché “non può” usarle. Il suo vino non completerebbe la fermentazione e probabilmente finirebbe per estenuarsi in una fermentazione languente con un sicuro aumento della volatile. Non c’era qualcuno (ancora tra noi) che voleva riprodurre il vino bevuto da Gesù? che per questa ragione si è lasciato piuttosto crocifiggere"

Qualcuno ha ancora dei dubbi su chi siano i "massimalisti" e gli "estremisti"?
Per quanto mi riguarda sono stufo. Stufo di dover produrre vino aggiungendo sempre un aggettivo. Mi piacerebbe produrre vino e basta. E che fossero gli altri a dover scrivere "bevanda a base di uva ed enzimi, lieviti selezionati, sostanze azotate, tannini, gomma arabica, mosto concentrato rettificato, vitamine, polivinilpirrolidone, e chi-più-ne-ha-più-ne-metta". Così come mi piacerebbe non essere io a certificarmi bio, ma che fossero i convenzionali a certificarsi chimici, dichiarando loro, e non noi, che cosa buttano nei campi.
E' una proposta da Talebano?