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domenica 23 settembre 2018

Fra ottanta anni

Si tratta di fare un piccolo gioco mentale.
Provare a mettersi nei panni di uno storico del 2100 che studiasse le dinamiche sociali e politiche in atto in Italia durante questi ultimi tempi.
Gioco complicato. Potrebbe non esistere più alcun interesse per la storia. Potrebbe non esistere più l'interesse per il nostro paese. Potrebbero non esserci più le fonti in grado di ricostruire questi momenti. E senza fonti, senza documenti, non esiste la conoscenza storica come ci ha insegnato Henri-Irénée Marrou. In realtà potrebbe anche non esistere più il genere umano, perlomeno come lo abbiamo conosciuto fino a qui. O il pianeta Terra stesso, data l'insostenibilità sempre più evidente del nostro modello di vita predatorio.
Ma proviamoci lo stesso.
Questo eventuale storico si troverebbe di fronte ad alcune dinamiche ed alcuni eventi piuttosto chiari:
  1. Una democrazia che vede la sostanziale scomparsa, o estrema debolezza, dei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni di categoria, giornali, ecc.), come mediatori di interessi e stabilizzatori delle relazioni istituzionali.
  2. Una mitizzazione del "popolo" inteso come massa indistinta di persone piuttosto indifferente alle provenienze di ceto, funzione e classe sociale ma compattata da un generale riferimento a confusi valori identitari e nazionali. 
  3. Un corpo sociale prostrato da una lunghissima crisi economica, con una intera generazione di giovani sostanzialmente "perduta", che avverte l'esigenza di guide forti e decisi cambi di rotta. 
  4. Una comunicazione politica sempre meno legata a statistiche e a dati di realtà e sempre più basata su costruzioni immaginarie, sull'uso della propaganda, sulla divisione binaria in "buoni" e "cattivi" e sul "noi" e "loro".
  5. Attacchi violenti sempre più frequenti, quasi quotidiani, contro migranti, omosessuali e oppositori politici di sinistra da parte di gruppi con evidenti riferimenti nazi-fascisti.
  6. Tentativi evidenti - e rivendicati come necessità primaria, salvifica - da parte della compagine governativa di epurare le burocrazie tecniche nei ministeri (funzionari scelti con concorso pubblico e non dipendenti dal potere politico).  
  7. Sostanziale chiusura delle frontiere. Limitazione delle prestazioni socio-assistenziali ai soli cittadini "italiani".
  8. Una politica estera orientata alla costruzione di alleanze con paesi con evidenti problemi di mancanza di democrazia e limitazione dei diritti civili.
  9. Uno scontro continuo e reiterato con gli organismi internazionali di qualunque tipologia e livello (Sostanziale rifiuto del multilateralismo e ritorno al sovranismo). 
  10. Progetti di legge che limitano i diritti delle donne, contrastano l'attivismo politico e i movimenti sociali, incentivano la vendita e l'uso delle armi.
Il gioco mentale per quanto mi riguarda finisce qui.
Nel senso che tutti questi dieci punti sono stati già sperimentati negli anni '30 del novecento.
La storia  non si ripete mai nello stesso modo. Ma è fatta di cicli con similitudini evidenti. I famosi "corsi e ricorsi". Nel 2100 lo storico che si trovasse di fronte a questi "fatti stilizzati" saprebbe anche come è andata a finire.
Noi, nel 2018, possiamo solo pensare, vigilare e agire.
Che è sempre meglio che credere, obbedire, combattere.


domenica 7 novembre 2010

L'olio d'oliva e l'invenzione dell'economia

Dunque siamo alle olive. Le giornate sono brevi, si alternano giorni di luce e giornate dominate dall'elemento acqua: gialli Van Gogh e nebbie grigio esistenzialista. Ore e ore passate sugli alberi. Si parla. Si scherza. Si riflette. C'è, nel lavoro agricolo, un qualcosa che favorisce immediatamente la socializzazione. E' bello, questo fatto. Storicamente nelle campagne ci si aiutava, fra contadini. Scambio manodopera, cooperazione, mutuo soccorso. Tutto scomparso, o quasi, con l'avvento dei "coltivatori diretti", degli "imprenditori agricoli", delle "aziende". E' la modernità, bellezza.

C'entra forse nulla, ma mi ci ha fatto anche pensare la lettura di un libro che ho trovato illuminante e fondamentale: L'invenzione dell'economia di Serge Latouche. In questo libro c'è una tesi forte: l'assurdità di considerare l'economia una "scienza" che si muove secondo leggi naturali. E' un dibattito vecchio eppure nessuno, nemmeno i marxisti più intransigenti, aveva mai portato una critica così serrata e costitutiva al mondo degli economisti. La scienza economica per Latouche altro non è se una scienza necessaria a un determinato modo di produrre e scambiare merci, quello capitalistico. Modo che non è nato con l'uomo e che non morirà con esso.
Ecco, per l'agricoltura è un pò la stessa cosa. Non è sempre stato che i contadini comprassero il seme sul mercato. Per migliaia di anni i contadini hanno selezionato ed usato i propri semi. E nemmeno è sempre stato che gli agricoltori vendessero i loro prodotti sul mercato. Per quasi tutta la storia dell'umanità le merci dell'agricoltura erano destinate in gran parte all'autoconsumo oppure, spesso, prodotti e venduti "su prenotazione" (a famiglie più abbienti e cittadine). Un altro mondo. E però non è detto che sia meglio oggi, che il prezzo del grano lo fa la borsa di Chicago.

Quel che è certo è che la nostra civiltà mediterranea è caratterizzata dall'olivo forse ancor più che dal vino. L'olio extra-vergine di qualità è davvero uno dei beni agricoli più affascinanti, importanti, basilari. E certamente il "mercato", totem della moderna economia, non è oggi in grado di valorizzarlo adeguatamente.

PS L'extra vergine Pantarei di Arianna Occhipinti è veramente mostruosamente buono.

martedì 26 ottobre 2010

Autunni

C'è questa voce che mi sta letteralmente stregando... Cat Power col suo disco, Juke Box (grazie Giuli!)... Toni alla Joni Mitchell, lampi alla Janis, una produzione tipo Daniel Lanois per Bob Dylan. Disco perfetto per questo autunno che già si presenta con piogge e nebbie e vigne giallo canarino. Tra l'altro lei è bellissima ed è del 1972. Che annata!
E poi c'è l'autunno di una nazione. Questo nostro paese che naviga nel declino senza nemmeno rendersene conto, pensando d'essere ancora un "paese avanzato". Che l'unica è galleggiare cercando una qualche corrente che ci dia un senso.
Ci sono libri come American Tabloid di James Ellroy, che in realtà ho letto quest'estate, ma che è così pieno di decadenza ed immoralità da essere giocoforza autunnale. Un capolavoro. Un romanzo che ha dentro tutto, mafia, terrorismo, guerra fredda, puttane d'alto bordo, grandi politici, piccole comparse, strade secondarie e tonnellate d'alcolici. Così cinico, così esaltante.
E infine non è autunno senza Fornovo. Vini di Vignaioli/Vins de vignerons, forse la mia fiera preferita. Pioverà, farà freddo (è sempre così) ma ci si scalderà, come sempre, tra persone e vini autentici. Qui informazioni sulla fiera. 

venerdì 17 settembre 2010

2010

Qualcosa si è già cominciato a raccogliere. Siamo indietro, come previsto. Acidità alte, zuccheri ancora bassini, sul Verdicchio la media è intorno ai 17,5° babo. Una annata più stile 2005 che 2004. Per ora. Ma c'è ancora tempo. Ondate di sole e pioggia previste da qui fino ai primi di ottobre. Sono le annate che mi piacciono di più, basta non innervosirsi e fare le scelte giuste.
La settimana prossima via col Sangiovese. E poi si vedrà.

martedì 17 novembre 2009

Olive e nebbie

Di ritorno da un tour de force niente male fra i grandi vini bianchi della Loira, di cui scriverò a breve. Venerdì sarò in partenza per Berlino dove mi attenderanno una giornata di degustazioni sabato 21 novembre alla Kesselhaus nella Kulturbrauerei (Prenzlauerbergcdalle 15.00 alle 21.00 - Schonnhauser Alle) ed una presentazione dei vini nella vineria Al Contadino sotto le Stelle in Auguststraße 34 nella giornata di domenica 22. Intanto ecco le prime nebbie della stagione che rallentano un pò la raccolta delle olive. Dopo il super raccolto dell'anno scorso è un'altra buona annata, con una quantità buona e olive che si presentano piuttosto sane. A buon intenditor...




mercoledì 12 novembre 2008

Si coglie l'oliva

Il tempo dei campi è fiera armonia di stagioni vissute
D’ogni dove la luce è chiaro disvelo
Apertura di senso e sostanza
Riposate colline rigonfie respirano piano
Fra schegge di sole assoluto

Il tempo dei campi è strana armonia di autunno passato
Si coglie l’oliva sopra gli alberi centenari
E risuonano voci lontane
Dentro una calma inaudita
Di pace e silenzio fra i rami d’argento

Il tempo dei campi è lenta armonia di inverno assolato
E noi, noi siamo spiriti privi di sogni
Appesi a una vita sparita in un giorno
Strade in discesa nella notte senza ritorno
Alito di vento fra i rami d’argento

Il tempo dei campi è chiara armonia di colori e paure

mercoledì 15 ottobre 2008

La fine di un mondo

Fa sorridere George W. Bush, il peggior Presidente della storia degli Stati Uniti d’America. Dopo aver vinto le elezioni truccandole, dopo aver trascinato il paese in una guerra che ha dissanguato il bilancio federale, dopo aver sottovalutato e mal gestito l’emergenza creata da Katrina, dopo aver portato il mondo al disastro finanziario con politiche economiche dissennate, ha avuto il coraggio di alzare la cornetta del telefono e chiedere G8 straordinari e misure a salvaguardia della stabilità.
Fa ancor più sorridere che ci sia stato qualcuno dall’altra parte a rispondergli.
Fa sorridere che la guerra in Iraq sia una delle molte cause di questa crisi e non lo dica nessuno. Dopotutto abbiamo esportato la democrazia. Poco importa che la finanza islamica oggi sia ben più solida della nostra e che i cinesi, a breve, siederanno al tavolo dei potenti. Saddam è stato giustiziato. Ma un occidentale sopravvive a Baghdad senza scorta 11 minuti.
Fa sorridere che sia esistito chi pensava davvero che una nazione potesse continuare a consumare più di quello che produceva all’infinito.
Fanno sorridere i potenti del mondo, apparsi impotenti. Ora serviranno migliaia di miliardi di dollari per recuperare fiducia e credibilità. Ed è facile immaginare a chi toccheranno i sacrifici nei prossimi difficili mesi. Le misure approvate recentemente hanno tutte le caratteristiche di una gigantesca socializzazione delle perdite (tanto ormai i profitti sono stati privatizzati da tempo). 
Fa sorridere il governo inglese che con Thatcher e Blair ha privatizzato tutto ciò che era privatizzabile e nel giro di un anno ha già nazionalizzato tre colossi finanziari.
Fa sorridere che dopo avere de-localizzato, in nome della globalizzazione, oggi si dica “bisogna tornare all’economia reale”. Intanto abbiamo trasferito know-how e tecnologie in paesi che oggi producono a costi molto inferiori ai nostri e siamo pieni di call-center e venditori di polizze ma ci mancano i tornitori.
Fanno molto sorridere i tanti giornalisti economici che “siamo quasi fuori dalla crisi” oppure “il sistema è solido” oppure “il mercato correggerà gli squilibri” ed ora invece invocano lo Stato padrone in soccorso di quelli che gli hanno pagato le marchette i questi anni.
Fanno sorridere i molti che “i banchieri sono dei ladri” e ancora fino a ieri facevano la fila a comprare bond argentini, fondi azionari, obbligazioni Lehman Brothers.
Fanno sorridere i tanti che oggi “ci vuole l’etica negli affari” e fino a ieri plaudivano a Ricucci, Coppola, Tanzi e Cragnotti.
Fa sorridere il nostro Presidente del Consiglio. Tanto. Dopo aver discusso in nove minuti una finanziaria che non ha minimamente preso in considerazione questa crisi, lui che tromba per tre ore di seguito e dorme tre ore per notte, ha detto che forse andavano chiuse le borse. Cioè i mercati. Che neanche Lenin… Sì, ma poi ha smentito…
Fa sorridere la sinistra radicale. Ora che potrebbe dire di avere qualche flebile ragione, non esiste più. Per colpa di scarsa lungimiranza politica, di bassi personalismi, di incapacità di innovazione teorica.
Ma soprattutto fanno sorridere Walter Veltroni e gli altri dirigenti del Partito Democratico. Erano comunisti quando non andava più di moda. Allora sono divenuti socialdemocratici, ma non era già più di moda. Sono diventati semplicemente democratici. Ma ora che hanno molti amici nella finanza e hanno finalmente scoperto le magnifiche sorti (e progressive) del mercato, torna di moda improvvisamente l’intervento pubblico. Non ci capiscono più niente. Chissà i loro elettori. Accantonata in fretta e furia la tassazione delle rendite finanziarie promessa nel programma 2006 de l’Unione (roba da comunisti, il mercato non avrebbe gradito), hanno però scippato il TFR degli italiani per regalarlo alla previdenza privata. Proprio quella che sta fallendo in tutto il mondo. Dei geni. Alessandro Profumo, gran capo di Unicredit, è amico loro. Unicredit ha venduto derivati a mezza Italia, comprese molte giunte rosse, compresi alcuni comuni marchigiani. Come credenziali per co-gestire la crisi queste appaiono assai deboli.
Fa sorridere tutto questo. Ma è un sorriso amaro.
Questa crisi economica non è la fine del mondo. Ma rappresenta la fine di un mondo.Quello che appare sempre più chiaro è che indipendentemente dagli andamenti borsistici si sta entrando in una dura recessione. Parola che fa rima con disoccupazione. La storia insegna che i periodi di recessione colpiscono maggiormente le classi deboli. Ed è facile immaginare che i costi sociali dell’aggiustamento macroeconomico verranno sopportati proprio da quelle categorie che già sono in sofferenze: lavoratori dipendenti, famiglie mono-reddito, pensionati, giovani precari.  
Il secolo breve, il novecento, sta finendo in questi giorni per la seconda volta. Il secolo americano finisce d’autunno così come nell’autunno di diciannove anni fa era finito il sogno della Rivoluzione di ottobre. E’ la fine di un orizzonte culturale e sociale, la fine di quello che da qualche tempo viene chiamato Pensiero Unico. L’idea, cioè, che il benessere individuale e collettivo dipendesse dal mercato e che il mercato fosse esclusivamente il luogo del confronto economico.
Questa non è una crisi finanziaria passeggera ma è una crisi di sistema come lo era stata quella del 1929. E come quella crisi ridisegnerà le mappe della geopolitica e del potere economico. Accadrà nei prossimi anni e sarà un fatto ineluttabile. Lo dobbiamo ad una serie macroscopica di errori nelle politiche economiche del governo americano; alle problematiche di un modello di sviluppo insostenibile nel lungo periodo ed incentrato sul consumo dissennato di beni, di risorse naturali, di energia; ad una speculazione finanziaria che è stata voluta libera e globale; ad una Europa troppo timida e basata su principi monetaristi e finanziari prima che su solide basi politiche e democratiche.
La fine del liberismo di cui molti iniziano a parlare dovrà essere la fine delle facili ricette, delle risposte semplicistiche ad un mondo complesso. La fine di un paradigma.
Non sarà la fine della globalizzazione ma porterà alla mutazione della globalizzazione che abbiamo conosciuto finora. E qui sta la grande possibilità, la grande occasione: la costruzione di un un nuovo modello economico e sociale appare ora non solo possibile ma necessaria. Ci sono le competenze teoriche e le forze umane per farlo. Quello che finora è mancata è una chiara volontà politica: la capacità, propria delle classi dirigenti, di trasformare idee, pratiche, progetti, culture in agenda politica globale.
L’alternativa fa rabbrividire: società spaventate ed impaurite in preda ad una grave crisi economica senza chiari orizzonti democratici e cooperativi hanno già mostrato di rivolgersi a uomini della Provvidenza e a governi autoritari.

PS Sono molto contento del premio Nobel per l'economia a Paul Krugman. Non tanto per il ricordo dei suoi modelli di economia internazionale studiati all'università quanto perché ha sempre difeso e diffuso le proprie idee con coerenza in anni in cui il vento della teoria economica spirava in direzioni opposte. E poi le sue critiche alla globalizzazione sono venute molto prima di Seattle ma non si è mai venduto come guru no-global.
Un nuovo paradigma economico non può non vederlo tra i protagonisti, insieme ad Amartya Sen e Joseph Stiglitz.

venerdì 10 ottobre 2008

Stranezze d'autunno

Nell’auto nuova ma usata che ho da poco comprato c’è ancora un’autoradio a cassette. L’altra sera tornando a casa tardissimo, dopo l’intera giornata passata in vigna ed in cantina, vi ho inserito una roba vecchissima. Sì, lo so, sono dei terronazzi pop coi capelli lunghi cotonati. Ma sono passati vent’anni, mese più mese meno, da quando andai insieme a Massi ad ascoltarli in quello che si chiamava ancora Palatrussardi e così ho goduto come una scimmia col rock-metallo dei primi Bon Jovi. A chi storce il naso dico di andarsi ad ascoltare Homebound train dall’album New Jersey (del 1987 o 1988, non ricordo proprio bene). Perché come macchiette da MTV i ragazzi in questione, e specialmente Tico Torres e Richie Sambora, suonavano veramente da paura.
La vendemmia è finita. A breve i commenti. Credo che entrerò in letargo per qualche giorno perché sono stanchissimo.
L'altro giorno vendemmiavo alla Spescia. Raccoglievo, come sempre faccio, in piccole cassette per far arrivare l’uva perfettamente integra alla pressa. Di fianco, in un gigantesco vigneto di decine e decine di ettari, c’era una vendemmiatrice meccanica. L’ho osservata per un pò. Per scuotimento raccoglie gli acini lasciando i raspetti sulla pianta. Insieme agli acini raccoglie, ovviamente, tutto quello che alloggia sui filari in quel momento. Foglie, lumache, api, lucertole, nidi, ecc. Il tutto viene sversato nelle canali. Ovviamente la massa di acini spezzati, mosto e altro viene irrorata di antiossidanti in quantità. Le canali trainate da trattori vengono portate in un punto dove la massa viene riversata in un gigantesco cassone di raccolta che, una volta pieno, trainato da un enorme trattore si fa circa 10 km. di salite, discese e curve per arrivare alle presse della nota azienda vinicola industriale locale. Non so bene che cosa arrivi a destinazione, ma posso immaginare a quali trattamenti enologici venga sottoposto. E so che l’azienda in questione vincerà anche quest’anno i vari premi vinicoli in circolazione. Il vino è generalmente sulfureo ed amaro. Ma evidentemente piace. E chissenefrega delle mille piccole attenzioni, del momento perfetto per la raccolta, delle temperature, dei pH, tanto tutto si può correggere. Forse il coglione sono io. Forse i coglioni siamo noi vignaioli-artigiani che non stiamo a far tanti conti su quanto ci costa un quintale d’uva e su come o dove dovremmo risparmiare.
A proposito, ho bevuto il Nebiolo 2004 di Baldo Cappellano. Grandissimo vino. Elegante, dritto, senza sbavature. Viola, tabacco, sensazioni terrose, tannini veri. Cangiante nel bicchiere. Buonissimo. Forse proprio coglioni non siamo. Forse i coglioni sono quelli che han dato i premi a Brunelli che non eran brunelli. Un pò come quei giornalisti economici che dicevano che andava tutto bene...

giovedì 25 settembre 2008

Tom Waits i Balcani e la vendemmia 2008.

Sul piatto del giradischi gira il vinile di The heart of Saturday night di Tom Waits; nello stomaco scende uno stupendo single speyside malt distillato nel 1994 da The Glenrothes; Giulia reclama a gran voce il suo latte in braccio a sua madre; Giacomo dorme da un pò senza sapere ancora che gli ho appena comprato la maglietta di Pato; il camino arde per la prima volta in questo autunno 2008. Finalmente un breve momento di serenità... Ad inizio carriera Tom Waits non aveva ancora quella voce martoriata che a tanti non piace ed a me sì. Ma i giri di pianoforte, quelli sì, erano già gli stessi. Che ti si appiccicano all'anima senza che te ne accorgi, e ti viene subito voglia di tirar tardi in compagnia del whisky di cui sopra. Seguendo pensieri sconnessi e ricordi assopiti di tempi morti, persone scomparse, strade interrotte e nottate passate troppo in fretta. 
Si è fatto freddissimo. L'altra mattina c'erano 8,5°. Piove e spira un'aria gelida dai Balcani. Abbiamo già preso l'acqua in vigna tre volte. L'uva è perfetta e va raccolta ma stiamo andando lentissimi. Purtroppo danno ancora acqua domani e sono solo al 30% della raccolta con le vasche che fermentano in modo deciso. I profumi sono splendidi. Quelli di un annata fresca. Pompelmo rosa sul primo tonneau de Gli Eremi... Sui bianchi sto spingendo un pò le macerazioni perché l'uva è sanissima e la buccia ottima. 

giovedì 13 dicembre 2007

Verso l'inverno


Giorni di pioggia, giorni sempre più freddi. Giorni di decomposizione, di ritorno alla terra, di forze discendenti. Ho sempre amato la fredda decadenza del tardo autunno, le giornate dalla luce scarsa ed evanescente, i primi freddi che poi non sono mai primi per davvero. Mi è sempre piaciuto l'odore di foglie bagnate, di terra umida, di sottobosco marcescente, di fuoco appena acceso, di cenere spenta, di legna affumicata.
In mezzo a tutto questo i vini nuovi fermentano ancora, lentissimamente, pericolosamente sul confine fra grandezza e perdizione. In mezzo a tutto questo In rainbows dei Radiohead è un disco contraddittorio, ma bellissimo nella parte finale, adattissimo alla stagione e a questi anni instabili. In mezzo a tutto questo c'è il Natale che arriva, inesorabile, noioso e sempre necessario a rinsaldare per un attimo appena comunità disperse, distratte, distrutte.