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giovedì 10 ottobre 2019

Di catastrofi e civiltà decadute

Dall'introduzione di "Come vignaioli alla fine dell'estate" di Corrado Dottori
Ed. DeriveApprodi. Collana Habitus.

"...Siamo in mezzo alle rovine di Micene, in mezzo a grandi blocchi di pietra che testimoniano di una grande civiltà in frantumi. Ecco, proprio lì, in mezzo ad alcune pietre di una antica dimora devastata, cresce una vite. Una vite selvatica. Che prova a farsi strada e a sopravvivere là dove non c’è più nulla.
La vite. Pianta resiliente, testarda e ribelle. Unica forma di vita in mezzo al vuoto.
È un’immagine che mi fa riflettere sul movimento dei vignaioli naturali. Su quanto sia al centro del grande cortocircuito fra natura e cultura e su quanto poco stia facendo per prendere davvero posizione di fronte alla catastrofe ecologica.
La crisi ambientale che stiamo vivendo è in gran parte una crisi della Politica.
Nel 1975 Wallace Broecker pubblicava su «Science» un articolo dal titolo emblematico: Climatic Change: Are we on the Brink of a Pronounced Global Warming? L’insostenibilità del nostro modello di sviluppo è cioè cosa nota da sessant’anni almeno, eppure non è mai stata davvero al centro delle campagne elettorali o dei programmi politici di nessun grande partito politico di massa.
  Nella riedizione di Tempi storici Tempi biologici, nel 2005, Enzo Tiezzi affermava «con un misto di imbarazzo e di orgoglio che le previsioni di vent’anni fa si sono dimostrate fondate e scientificamente corrette». Nulla si crea e nulla si distrugge, la legge della termodinamica non fa sconti a nessuno: il ciclo del Carbonio sta alla base dell’aumento fuori controllo delle temperature del pianeta. I politici lo sanno da tempo. Ma nessuno ha mai davvero agito..."


In vendita nelle librerie, on-line e presso la casa editrice.

mercoledì 20 febbraio 2019

Natura ibrida e vino meticcio

Il Meticcio è il nostro rosato.
Si tratta di un vino particolare, nato principalmente da una suggestione di Valeria: era l’estate del 2015 con l’emergenza degli sbarchi, con l’impennata dei richiedenti asilo, con la gigantesca fuga dalla guerra in Siria. Guardavamo al dibattito in corso, che anticipava quello diventato egemone attualmente, con un misto di paura e rassegnazione. E venne spontanea l’idea di lavorare sul concetto di meticciato, di mescolenza.
Il vino rosato non è assolutamente tradizionale nella regione Marche. Quella abitudine al rosa diffusa nelle Puglie e negli Abruzzi si ferma sul Tronto per qualche misteriosa ragione.
Se Valeria pensava al lato politico e antropologico di questo vino, io ne indagavo la possibilità di farne un paradigma della mia battaglia contro il feticcio-vitigno. Contro la tendenza imperante a ragionare sulla purezza della varietà e a basare su tale purezza un’identità enologica regionale: il Verdicchio, il Montepulciano, il Pecorino.
Meticciato contro identità. Confusione contro purezza. Ci interessava stressare questi concetti, provocare, arrivare all’estremo del lavoro iniziato con la mescolanza dei vitigni bianchi: vitigni bianchi e rossi pigiati assieme, pelli che si uniscono e macerano assieme.
Il terroir sparisce o al contrario si esalta?
L’incontro con Marcel Deiss in Alsazia, anni fa, era stato illuminante: raggiungere la purezza del terroir e dell’annata mescolando i vitigni anziché vinificarli singolarmente. Utilizzare i vitigni come mezzi, come pezzi di un puzzle, come differenti colori.
La storia del vino è la storia dei viaggi, degli spostamenti, delle transumanze. Si pensi alle colonie greche o agli approdi dei fenici. È una storia dapprima mediterranea e poi, sulla scia dell’espansione dei commerci mondiali, una storia capitalista. La selezione dei vitigni, la loro diffusione, la loro propagazione, il loro allevamento, le forme della vinificazione: la viticoltura è solo un altro esempio di organizzazione della natura sotto il segno dell’economia. Ecco che nella mia regione - che fino alla metà del novecento conosceva una grande variabilità di vitigni - l’avvento di una agricoltura industriale, delle denominazione di origine e infine della globalizzazione dei mercati ha portato al sostanziale trionfo del mono-vitigno. Ma è un esigenza commerciale, un costrutto economico: non ha nulla né di storico né di “ecologico”. Il Verdicchio arriva nel quindicesimo secolo insieme a migranti lombardo-veneti, e non è altro che Trebbiano di Soave. A fine settecento i francesi molto probabilmente portano il Pinot nero nel nord e la Grenache nel sud della regione: quest’ultimo viene oggi chiamato Bordò e  inizia a godere di un certo successo. Ma l’intera regione è meticcia, ne sono testimoni i cento dialetti e le molte cesure linguistiche: non potevano che risentirne i vigneti che erano totalmente promiscui e i vini che in larghissima parte venivano da uvaggi e blends...
Uva della Madonna, Empibotte, Greco, Pampanone, Dolcino, Moscatello, Balsamina, Passerina, Albanella, Vernaccia Cerretana, Prungentile, Bottirone, Chiapparone, Uva dei cani…
Solo nel 1871 iniziano a studiarsi i vitigni presenti nelle Marche grazie al lavoro della neonata commissione ampeleografica , ma sarà solo con la fine della mezzadria, quasi un secolo dopo, che la viticoltura marchigiana inizierà a specializzarsi, buttando via il bambino con l’acqua sporca: alla giusta attenzione per la selezione delle varietà e dei cloni migliori non è corrisposta una riflessione sull’importanza della biodiversità e sul legame dei vitigni con clima e suoli.
Oggi, nel pieno del cambiamento climatico, abbiamo bisogno come non mai di ampliare la ricchezza di vitigni a disposizione. Allo stesso tempo vini meticci, cioè radicati in un luogo eppure completamente privi di una singola identità, trovo che possano rappresentare davvero una innovazione estetica ed ecologica, una moderna visione del terroir: meno tradizionalista ma più calata nella contemporaneità di una natura sempre più ibrida.

martedì 18 dicembre 2018

Il biologico è la strada migliore per tutelare la Terra

Il Consorzio TerroirMarche interviene sugli attacchi rivolti in questi giorni all’agricoltura biologica. “I benefici del bio sono dimostrati a livello scientifico in termini di biodiversità, difesa dei suoli e contrasto al riscaldamento globale”

Nelle ultime settimane sulla stampa e sui social media sono apparsi attacchi verso il mondo dell’agricoltura biologica tesi a metterne in dubbio i suoi numerosi benefici in termini di tutela ambientale rispetto all’agricoltura convenzionale. A controbattere a questi interventi sulla base della ricerca scientifica è il Consorzio TerroirMarche, che riunisce i vignaioli biologici delle Marche impegnati da anni a promuovere un approccio alla campagna rispettosa dell’ambiente.

“Non conosciamo le ragioni profonde di questa improvvisa levata di scudi” affermano i soci di TerroirMarche. “Forse a qualcuno dà fastidio il crescente successo dei prodotti agroalimentari bio (in Italia le vendite hanno segnato un +15% nel 2017e un +153% rispetto al 2008, mentre l’export del bio made in Italy vale quasi 2 miliardi grazie a un +408% rispetto al 2008 – Dati Nomisma). Possiamo anche ipotizzare una reazione del mondo del “biotech” alla bocciatura da parte della Corte di Giustizia Europea di tecniche come il genoma editing e la cisgenesi. Quel che è certo è che questi contributi sono pericolosi, a maggior ragione se provengono da personalità del mondo politico e accademico nei giorni della conferenza mondiale sul clima Cop24 in corso in Polonia, dove si discute di riscaldamento globale e futuro del pianeta”.

Già da diversi anni la ricerca scientifica, sottolinea il Consorzio TerroirMarche, ha identificato il metodo biologico come il più indicato ad affrontare i problemi del cambiamento climatico, del risparmio idrico, della fertilità del suolo. Già nel 2002 il paper della FAO “Organic agriculture, environment and food security” ha chiarito che: le emissioni di CO2 per ettaro nei sistemi di agricoltura biologica sono inferiori dal 48% al 66% rispetto ai sistemi convenzionali; l'agricoltura bio consente agli ecosistemi di adattarsi meglio agli effetti del cambiamento climatico e offre un notevole potenziale per ridurre le emissioni dei gas serra agricoli; i suoli a gestione biologica hanno un alto potenziale per contrastare il degrado del suolo poiché sono più resistenti sia allo stress idrico che alla perdita di nutrienti. A ciò va aggiunto che sono in costante crescita le ricerche che mostrano il maggiore valore nutritivo dei prodotti da agricoltura biologica e la maggiore conservazione di biodiversità.

Molti degli attacchi rivolti in questi giorni al mondo della viticoltura bio si concentrano sull’uso del rame. “A questo proposito – precisano gli agricoltori di TerroirMarche – è bene fare chiarezza su alcuni punti. Prima di tutto il rame è utilizzato anche in agricoltura convenzionale, ma è solo in agricoltura biologica che viene assoggettato a limiti stringenti. La recente normativa europea ha ulteriormente ridotto i limiti di utilizzo del rame fino a 4 kg per ettaro all’anno. I vignaioli biodinamici già oggi hanno un limite di 3 Kg ed è innegabile che è nel settore della viticoltura naturale che si è sviluppata negli anni la maggior sensibilità verso una progressiva riduzione del rame”.

Microbiologi di fama internazionale come Claude e Lydia Bourguignon hanno recentemente dichiarato che anche alle dosi precedenti l’uso del rame in viticoltura non ha effetti tossici riscontrabili. In terreni ricchi di humus, come generalmente quelli dove si coltiva in modo biologico o biodinamico, la dotazione di sostanza organica permette infatti di immobilizzare il rame riducendone la tossicità. Il rame è così assorbito dalla pianta solo in piccole dosi e quindi anche il contenuto nella pianta è basso. “Inoltre, come il ferro, anche il rame è un componente importante dei sistemi enzimatici del metabolismo respiratorio e della fotosintesi. Agisce sulla sintesi della lignina e sulla germinazione del polline, favorisce l’accrescimento apicale, aumenta la traspirazione ed è indispensabile nella formazione della clorofilla e dei complessi proteici che agiscono durante la fotosintesi. Eppure viene assimilato ai pesticidi di sintesi!”.

“Rigettiamo pertanto con forza il tentativo di equiparare convenzionale e biologico dal punto di vista dell’uso dei pesticidi – affermano con forza i soci del Consorzio Terroir Marche – e di ridurre il movimento biologico a nicchia di mercato che basa il suo successo solo su narrazioni rassicuranti o, peggio, a tendenza giovanilistica e radical chic. La viticoltura e l’agricoltura biologica sono un settore rilevante e trainante dell’agricoltura italiana e uno dei capisaldi della lotta al cambiamento climatico”.

Per ulteriori approfondimenti

Il Paper della FAO:
http://www.fao.org/docrep/005/y4137e/y4137e02b.htm

Sulla sostenibilità del bio: https://www.researchgate.net/publication/279868579_Eco_e_bio_agricoltura_sostenibile_o_insostenibile

Sul maggior valore nutritivo del cibo bio:
https://www.cambridge.org/core/journals/british-journal-of-nutrition/article/higher-antioxidant-and-lower-cadmium-concentrations-and-lower-incidence-of-pesticide-residues-in-organically-grown-crops-a-systematic-literature-review-and-metaanalyses/33F09637EAE6C4ED119E0C4BFFE2D5B1

Sulle alternative al rame:
http://www.agribionotizie.it/le-alternative-alluso-del-rame-in-agricoltura/


domenica 20 agosto 2017

Vendemmia 2017. Un'annata di svolta.

Ieri si è cominciato a raccogliere qualche grappolo. Inutile ricordare che il 19 agosto nei Castelli di Jesi fino a qualche anno fa era impensabile vendemmiare. Nemmeno si facevano le campionature, per la verità. Generalmente si cominciava con le basi spumanti nella prima quindicina di settembre.
La cosa incredibile è che questa annata non verrà ricordata solo per la canicola estiva. L'intera dinamica è stata "storta", con inverno e primavera caldi; con una incredibile gelata tardiva (-2 gradi il 22/23 di aprile); con 2 grandinate il 25 giugno ed il 14 luglio; con una siccità in giugno, luglio e agosto che davvero ha pochi precedenti.
Il singolo evento "sfortunato" in campagna è sempre capitato. Sono gli eventi estremi ciclici e ripetitivi, come quelli cui stiamo assistendo, che ci fanno toccare con mano ciò che le teorie - fisiche e biologiche - già ci avevano predetto: il cambio epocale dei nostri climi, delle nostre stagioni e, dunque, in definitiva, dei nostri terroirs. Non si tratta più di stagioni strane o particolari: si tratta della normalità con cui avremo a che fare nei prossimi anni. Inutile piangere, sbagliato farsi trovare impreparati.
Da questo punto di vista l'annata 2017, a differenza della 2003, della 2007 o della coppia 2011 e 2012, che in qualche modo le sono simili, è l'occasione da una parte per mettere alla prova ciò che abbiamo imparato; dall'altra costituirà una sorta di anno zero per il lavoro che ci aspetterà nel futuro.
Due sono le considerazioni che in questa estate mi sono venute in mente:

1) Il nostro lavoro di vignaioli, di fronte a quello che sta succedendo, sarà sempre più quello di tutori del suolo e custodi della sostanza organica. Più che produrre uva da vino, saremo baluardo contro la desertificazione. Tutto il resto - di fronte a ciò che sta succedendo - mi sembra irrilevante e riduttivo.

2) Mi colpisce sempre più la sostanziale incapacità della "scienza agronomica", quella delle Università, di aiutare i viticoltori di fronte ad eventi cui si era preparati da tempo. In questo senso - ma è solo un esempio - l'effetto nefasto delle selezioni clonali degli ultimi vent'anni mostrano il disastro intellettuale, prima che economico, cui si è andato incontro. Se a ciò si aggiunge la programmazione "politica" che ha portato ad espianti di gran parte del patrimonio di vigne vecchie - le uniche che stanno rispondendo in modo positivo alla siccità ed alla calura - viene da chiedersi cosa sarà di noi fra cinquant'anni...

3) Noi viticoltori "naturali", in virtù del lavoro sul suolo fatto, di una concezione non produttivistica della pianta-vite, di una visione olistica dell'ecosistema vigneto e della fisiologia della pianta, siamo pronti alla sfida. Non sarà annata del secolo e nemmeno del decennio. Sarà un'annata dalla quale imparare, ancora una volta, qualcosa del nostro stare in un terroir.

Portiamola a casa!


lunedì 8 luglio 2013

Stagione controcorrente

Un inizio di luglio così fresco non lo ricordavo da tempo. Sarà che è ancora vivo il ricordo di due annate come la 2011 e, soprattutto, la 2012 caratterizzate da ondate di caldo africano e scarsità di pioggia, ma questa estate sembra davvero una classica estate cuprense. Brezze piacevoli di giorno con temperature sotto i 30° e maglioncino alla sera come dovrebbe essere la norma in collina. Vedremo come andranno la fine di luglio ed il mese di agosto. Ma alcuni dati del centro meteo regionale sulla primavera e sui mesi di maggio e giugno sono indicativi di una stagione decisamente controcorrente rispetto agli ultimi anni.

In particolare per ciò che riguarda maggio:
"Le sovrabbondanti precipitazioni sono corrisposte ad un incremento dei giorni piovosi[3] che, a livello regionale, hanno fatto registrare una media di 16 giorni, con un incremento del 114%, il secondo valore più alto dal 1961 (preceduto dai 17 giorni di maggio 1980). Piogge che si sono andate a cumulare a quelle già cospicue di questa prima parte dell'anno: nel periodo gennaio-maggio 2013 infatti, la precipitazione totale è stata di 464mm, che supera del 46% la norma del quarantennio, con un numero di giorni pioggia pari a 57 giorni, +47% rispetto al 1961-2000 (secondo valore più alto dal 1961, preceduto solo dal 1978). La stagione primaverile (marzo-maggio) si è conclusa invece, con un totale di 284mm, +42% l'anomalia, la quinta più piovosa dal 1961."

Meteo ASSAM Regione Marche - precipitazioni mese gennaio-maggio 2013


Mentre per ciò che riguarda giugno così si esprime l'ASSAM:
"Ne sono successe di cose a giugno. Cercheremo di descriverle, provando ad essere chiari e non troppo tediosi.
Partiamo dal dato della temperatura media regionale: 20°C[3] che poco si discosta dalla media 1961-2000[4], appena di +0,4°C, ma che nasconde un rilevante significato. Quello del 2013 infatti è stato il più freddo giugno da 18 anni a questa parte; bisogna risalire al 1995 per trovare un mese "peggiore", quando la temperatura mensile si scostò di -1,2°C dalla media. Quella differenza di mezzo grado circa nasconde anche un andamento spiccatamente dinamico, con la prima e la terza decade del mese più fredde rispetto alla media (-0,8°C e -1,5°C le anomalie), contrapposte alla seconda decade decisamente più calda, +4,3°C rispetto alla media, frutto di una ondata di calore piuttosto intensa per nostra fortuna non così duratura come quelle del 2012. Il periodo di freddo invece, della durata massima di circa 8-10 giorni va cercato tra la fine di maggio e la prima parte di giugno, anche se molte delle temperature diurne più basse si sono verificate nel freddo di fine mese:
Notizie molto interessanti anche sul fronte delle precipitazioni, con un totale medio regionale di 87mm, superiore di 19mm alla media 1961-2000. Dal 2000, in giugno, solo in 3 anni la precipitazione si è mantenuta al di sopra della media: 2009, 2010 e nel 2013. E' continuato quindi a piovere, più della norma, come testimoniano i 551mm caduti da inizio anno (primo semestre 2013), con un surplus di +165mm rispetto al 1961-2000, terzo valore più alto per il periodo gennaio-giugno dal 1961. Ad oggi abbiamo raggiunto il 66% del totale di pioggia annua che di norma cade sulla nostra regione. Ancora più sensazionale è il totale degli ultimi dodici mesi, da luglio 2012 a giugno 2013, pari a ben 1111mm, con un incremento di +274mm, record per lo stesso periodo dal 1961; tra l’altro la quantità si è distribuita lungo 107 giorni di pioggia[5], fatto molto rilevante considerato che di mezzo c'è stata l'estate più arida dell'ultimo cinquantennio.

Dunque, ricapitolando: moltissima pioggia che ha ri-equilibrato i terreni dopo la siccità dello scorso anno e clima fresco/freddo che ha frenato fioritura e allegagione. La combinazione di queste caratteristiche ha portato a
- un'altissima pressione della peronospera ma anche una bellissima spinta vegetativa dei vigneti con pareti fogliari che non vedevo da tempo.
- un probabile "ritardo" nella maturazione, perlomeno rispetto alle ultime due annate. Dipende da come andranno i prossimi due mesi ma mi sento di escludere vendemmie agostane come negli ultimi due anni. Il che non è un male.

giovedì 8 gennaio 2009

Varie ed eventuali

Tornato da poco da un breve giro della Costiera Amalfitana. Ne scriverò a breve. Ora volevo scrivere uno di quei post davvero inutili ed incasinati che mi piacciono tanto.
Innanzitutto: pare che l'ultimo sia stato il dicembre più piovoso dal 1872. Ce n'eravamo accorti. Il telo copri piscina è divenuto a sua volta una piscina ed il muschio è cresciuto ovunque, nell'erba, nei vialetti, su muretti. Fatto sta che, nonostante la neve abbondante al nord, la pioggia infinita e le temperature rigide di quest'inverno, il 2008 è risultato uno degli anni più caldi di sempre. I dati parlano chiaro (vedi qui): noi vignaioli dovremo, quindi, seriamente confrontarci sempre più con il cambiamento climatico in modo aggressivo perché ormai non basta più nemmeno anticipare le vendemmie. Sì, ma come?
Poi: Vittoria Brancaccio, presidente di Agriturist (Confagricoltura) dichiara: “Niente trionfalismi per la fine d’anno dell’agriturismo! Inesistente l’annunciato “boom” per l’agriturismo delle festività appena concluse. Ospiti e presenze come lo scorso anno, ma l’offerta è aumentata del 6%. Oltre 20 mila posti letto rimasti vuoti". Finalmente, mi viene da dire. L'agriturismo in Italia è in crisi da almeno due anni ma nessuno lo dice, anzi. La causa? L'esplosione dell'offerta accompagnata da un lieve calo della domanda: le presenze straniere sono stabili mentre il piccolo boom italiano si è rivelato per quello che era, cioè una moda passeggera. Anche nelle Marche il calo c'è, ed ovviamente ne abbiamo risentito anche noi
Infine: meno male che c'è Giovanni Allevi che ci fa divertire. Io non l'ho mai particolarmente apprezzato, il marchigiano del momento. Gli riconosco un gran talento, quello dell'affabulatore e del markettaro di classe. Musicalmente non mi ha mai trasmesso granché. Ma, si sa, nel vuoto anche la mediocrità brilla. Ora che tutti gli danno addosso, da Uto Ughi ad un incazzatissimo direttore d'orchestra della RAI, quasi quasi mi diventa simpatico. Se non fosse che di fronte al talento geniale ed istrionico del "mio" Stefano Bollani qualunque nota suonata, così come qualunque polemica suscitata, dal "conterraneo" Allevi perda inesorabilmente valore.

martedì 24 giugno 2008

Un post incasinato

Mischio un pò di tutto, in modo un pò casuale.
Inizio con alcuni commenti su questa prima parte di stagione 2008. Consiglio a chi è interessato di visitare questa pagina del centro agro-meteo delle Marche: Meteo Assam. I dati confermano le sensazioni. Una primavera molto piovosa e solo apparentemente "fredda", nel senso che in realtà le medie delle temperature sono più alte rispetto alla media storica, confermando che anche in annate fresche la tendenza è decisamente quella di un riscaldamento globale. Come ho già scritto, si è dovuta mantenere una attenzione massima ai trattamenti a causa delle continue pioggie. I miei vigneti, trattati con basse dosi di rame, sono per ora assolutamente esenti da segni di malattie e la cosa mi riempie di soddisfazione. Le viti hanno una vegetazione impressionante, hanno avuto una fioritura notevole e portano una carico di uva decisamente elevato. Si dovrà avere ora massima cura nella gestione della parete fogliare e, soprattutto, nella gestione dell'inerbimento/sovescio. E' chiaro che se in annate calde come il 2007 l'attività è stata quella di limitare al massimo la competizione idrica, in annate come questa la mia idea è quella di cercare di consentire alle erbe di svilupparsi al meglio per togliere l'acqua in eccesso alle viti. In questo senso sono molto contento di avere iniziato anche una sperimentazione con la semina di erba medica, oltre che di favino, tra le fila.
Detto questo, non posso non dedicare qualche nota all'Heineken jammin festival cui ho assistito nella serata conclusiva. La location, il Parco San Giuliano di Mestre, è davvero molto bella. I concerti sono stati, Baustelle a parte, stupendi, a cominciare dai sempre grandi Countin' Crows, con un Adam Duritz in stato di grazia, ai convincentissimi Stereophonics, alla bravissima Alanis Morisette, accompagnata da una band mostruosa. Poi, dopo la partita di un'Italia evanescente e molle, il feroce arpeggio di Message in a bottle ha introdotto The Police. Non starò a descrivere questo magnifico concerto. Dico solo questo: l'emozione di sentire canzoni memorabili live, canzoni con cui sono cresciuto e che mai avrei pensato di poter sentire dal vivo, ha certamente superato mille volte tutti i dubbi rispetto ad una reunion che giustamente è stata definita "commerciale". Certo, Sting e Summers non si guardano in faccia, la scaletta va via su binari predefiniti e non c'è un grande calore sul palco. Ma io non avevo mai sentito un trio con questa potenza e perfezione stilistica, con una ritmica così stupefacente, con un suono così classico e moderno al tempo stesso. Con la capacità di far rivivere dei classici che hanno segnato un'epoca e che si pongono ancora come modelli di stile in grado di coniugare punk, reggae e melodia pop. Sting, che da solo non mi ha mai entusiasmato, è vocalmente in una forma strepitosa e suona il basso da dio. E Stewart Copeland è uno dei più grandi che abbia mai sentito.
Salterò il concerto di Bruce a San Siro e quello di Neil Young all'Arena di Verona. Ma dopo un festival simile posso anche accontentarmi. Specie dopo un ritorno notturno con dormita in sacco a pelo alla stazione di Mestre e sbattimenti via treno per essere al lavoro lunedì il prima possibile.
Infine, cambio di giudizio sul libro su Pancho Villa di cui avevo già parlato: in effetti è lungo e pesante ma racconta in modo dettagliatissimo le difficoltà di una Rivoluzione, al di là dei luoghi comuni, delle leggende, delle agiografie e dell'ideologia. Consigliato agli amanti del genere.

lunedì 25 febbraio 2008

Global warming e Verdicchio

Lo scorso anno ci fu un pò di polemica fra il sottoscritto e alcuni bloggers enoici, primo fra tutti Franco Ziliani di Vinoalvino. La materia del contendere era l'eccessiva gradazione alcolica dei vini, da imputare - secondo alcuni - alla ricerca di concentrazione da parte dei viticoltori, dalla volontà, cioé, di seguire una certa moda impostasi negli anni passati. Io cercai di argomentare che vi è anche questo aspetto da tenere presente ma che ben più rilevante è, a mio avviso, il vero e proprio susseguirsi di annate sempre più anormali dal punto di vista metereologico. Ovviamente mi diedero del "catastrofista" e dell'ingenuo perché, si sa, per controllare le gradazioni alcoliche basta vendemmiare in anticipo... E chissenefrega dei tannini verdi, degli squilibri nelle acidità, della mancanza di armonia. Insomma se Gli Eremi riporta sempre 14° in etichetta, anche in annate fresche come il 2002 e il 2004, sarebbe perché voglio avere un vino alla moda, concentrato e marmellatoso...
Ho fatto questa introduzione perché vorrei condividere con voi i dati, scientifici in questo caso, del Centro Operativo di Agrometereologia della Regione Marche. Questi dati dicono chiaramente che, perlomeno nelle Marche, vi è stato nell'ultimo mezzo secolo un impressionante cambio di clima. Con temperature medie estive nettamente crescenti lungo tutto il periodo 1961-2007. Non solo. Se l'ultima estate può essere considerata come la terza più calda della storia, dopo l'inarrivabile 2003 e il 1994, nelle dieci più calde ci sono 1998, 2000, 2001, 2003 e 2007. Inoltre le dieci più calde vengono tutte dopo il 1985 e le annate 2002, 2004 e 2005 considerate "fresche" risultano comunque più calde della media del periodo 1961-2007. A questo va aggiunto il quasi costante deficit idrico, per cui ad esempio nella scorsa estate, a fronte di una media storica di 60,4 mm di pioggia nei mesi di giugno, luglio e agosto, sono caduti nella nostra regione 32,2 mm cioé quasi la metà. Così si spiega anche il forte calo delle rese. Perlomeno per i viticoltori onesti. Poiché a guardare le dichiarazioni di produzione si scopre che alcuni produttori hanno prodotto la stessa quantità di uva e sempre vicino ai massimi del disciplinare. Il che può avere solo due spiegazioni: o di solito queste aziende producono molto più del disciplinare (ovviamente senza dichiararlo) oppure esistono fenomeni microclimatici tipo vigna di Fantozzi che si sposta solo su certi produttori fortunati...
Inutile dire che questi dati confermano i trends presentati da Al Gore nel suo film documentario Una scomoda verità. Un film che, pur con alcuni limiti, denuncia una situazione-limite verso la quale si sta facendo ancora troppo poco, sia da parte del mondo politico, sia da parte dei normali cittadini.
Quanto alla gradazione alcolica dei vini, è evidente che con questi dati se si vogliono produrre vini equilibrati e strutturati da uve giunte a maturazione armonica, lo scotto da pagare sarà sempre una gradazione alcolica medio-alta. Con buona pace delle mode e degli stili aziendali.

domenica 9 settembre 2007

Vendemmia 2007 - Parte seconda

Mettetevi nei panni di vigneti che non hanno avuto acqua per tutto l'inverno e la primavera. Che hanno avuto temperature con punte di 42° gradi nel mese di Luglio e 38° a fine agosto. Con shock termici per cui la prima settimana di settembre si sono toccati i 10°. Sareste un pò incazzati? Io sì. Infatti non me la prendo per questa vendemmia strana. Difficile. Squilibrata. L'uva è sanissima, ovviamente, guardando a muffe e marciumi. Questo, generalmente è uno dei problemi del Verdicchio. Ma all'interno dello stesso vigneto la variabilità nella qualità dei grappoli è altissima, perché in alcuni punti l'uva è scottata e quasi appassita, in altri punti la buccia è spessa e il vinaciolo enorme e ancora verdastro, in altri punti è strepitosa. Questo costringe a fare selezioni ancora più estreme del solito, ma anche a dover riprogrammare continuamente la raccolta. Si pensi che fra un vigneto con esposizione sud e terreno molto duro e calcareo ed un vigneto con esposizione est e terreno più sciolto ci passano almeno 3° babo di differenza. In generale il colore dei mosti è molto scuro e ciò sarà un problema per chi vinifica in modo naturale, ne risulteranno forzatamente vini molto dorati. Per ora le analisi sulla prima parte di uva destinata a Gli Eremi recitano 20,25° gradi babo e 7,50 di acidità totale. Non è male. Incrociamo le dita. Si prosegue a oltranza.

giovedì 9 agosto 2007

Ci siamo quasi.

Sono reduce da un lungo giro per vigneti. Ho fatto una campionatura alla mia maniera, cioé senza alcuna misurazione. Assaggiando gli acini qua e là. L'impressione è che anche qui nei Castelli di Jesi la vendemmia si inizierà a breve. Soprattutto le varietà rosse sono a un livello di maturazione avanzatissimo. Eppure non mi sembra una stagione paragonabile al 2003. Gli acini paiono avere ancora un ottima aromaticità, una buona fragranza, una giusta turgidità. Tutte qualità che nel 2003 si potevano solo sognare. Allora il problema fu quello della incredibile lunghezza del periodo di "caldo africano" (da maggio a settembre senza soluzione di continuità) con una costanza mai vista delle temperature fra il giorno e la notte. Quest'anno, a parte la terza settimana di luglio dove si sono raggiunti i 42 gradi a Matelica e i 40 a Jesi, il caldo è stato più sopportabile e le notti sono state piuttosto fresche.
Come mai, dunque, una vendemmia così anticipata? Credo che la causa sia stata il caldo davvero anomalo del periodo fra gennaio e maggio, con il conseguente anticipo vegetativo che l'ondata di caldo di luglio ha semplicemente rafforzato. Vedremo le prossime due settimane cosa ci riserveranno. Il problema, ora, è la completa sfasatura fra la maturità "tecnica" (zuccheri/acidità) e la maturità dei tannini, che sono tuttora verdissimi.
Nel frattempo si cominciano a preparare le vasche e la cantina.