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venerdì 5 febbraio 2021

L'annata 2020 e alcuni dubbi radicali

Si dice sempre che ogni vendemmia è una storia a sé. Ed è vero. 

Ma poi ci sono annate che sono davvero dei punti di svolta, di non ritorno. Nel mio caso penso alla 2004: la prima annata in cui iniziai a sperimentare le fermentazioni spontanee. Oppure alla 2013, forse la migliore annata degli anni 2000 qui a Cupramontana: una vendemmia irripetibile che ci ha consegnato il senso del nostro limite qualitativo.

La vendemmia 2020 è stata per me una vendemmia durissima. I vini in vasca stanno mettendo a dura prova ogni mia convinzione, anche quella di continuare questo lavoro. Mi trovo nella condizione di non capire più le cose che sto facendo, la direzione verso cui stiamo andando. Tutta la bellezza del lavoro in campagna, la complessità dell'ecosistema che stiamo costruendo, e che mai come quest'anno pareva meravigliosa, non riesco a ritrovarla per nulla nei vini. O forse c'è, ma a me non piace più.

I miei vini sono sempre stati oggetto di dibattito. A molti non sono mai piaciuti ma non è stato mai un problema. Abbiamo smesso di mandarli alle commissioni assaggio. Abbiamo smesso di mandarli alle guide. Piacevano a noi. E piacevano ai nostri clienti. Tanto bastava.

Gennaio e Febbraio sono due mesi brutti per assaggiare i vini nuovi, specialmente i vini a base Verdicchio. Può essere che fra qualche mese questi brutti anatroccoli rifioriscano. Ma il punto non è questo, non è solo estetico. Fare vino naturale, perlomeno come siamo arrivati a farlo noi, implica l'assunzione di grandi rischi: di fatto tutta l'enologia moderna, quella che si basa sull'utilizzo di coadiuvanti e additivi più che sulla conoscenza dei processi, è basata sul concetto di riduzione del rischio. Ecco, la sensazione è che in questa fase io sia andato davvero troppo oltre, che il sottile confine tra un rischio calcolato e un salto nel vuoto sia stato oltrepassato.



Ancora oggi, dopo più di vent'anni di vinificazioni, mi trovo a non comprendere fino in fondo certe dinamiche. Oppure a comprenderle ma a non riuscire ad affrontarle nel modo in cui vorrei. Il clima non ci aiuta, ma non ci aiuta nemmeno la ricerca scientifica. E nemmeno - spiace dirlo - il nostro "movimento" così compatto quando si tratta di andare a una fiera e così poco interessato a costruire una "educazione alternativa". Così mi ritrovo solo ad assaggiare il frutto di un lavoro duro, approfondito, minuzioso, costoso sia in termini di energie che economie, e a doverlo rifiutare, a sentirlo come distante, come il frutto del lavoro di un neofita, di un principiante alle prime armi.

Forse è anche il momento che stiamo vivendo, forse i micro organismi responsabili delle fermentazioni hanno colto il fraintendimento, la paura (Giovanna, lo so che lo pensi!) e magari ri-assaggiare la 2020 tra dieci o quindici anni ci farà ricordare la pandemia, il lockdown, l'incertezza di questi tempi folli.

Oppure è solo arrivato il momento di lasciar perdere. Lasciare tutto in mano a un bravo enologo e andarmene in giro a fare bird-watching. Minchia, pensate il fallimento.      

venerdì 8 gennaio 2021

Sulla moda degli Orange Wines

Ho iniziato a sperimentare le macerazioni di uve bianche nel 2003/2004. Ero ovviamente esaltato dai primi assaggi di vini che mi apparivano rivoluzionari. Gravner, Radikon, Damijan, Zidarich. E poi La Stoppa e Maule. Comprai anche un'anfora e insieme ad Alessandro Fenino (Pievalta) facemmo un esperimento di macerazione di tre mesi di uve Verdicchio di una vigna che seguivamo nei fine settimana. A ripensarci oggi mi viene da sorridere. Il vino alla fine non ci piacque granché.

Andai avanti con gli esperimenti fino alla nascita del Nur. Quando nacque, nel 2006, qui in zona la tipologia era una novità assoluta. Ma, si sa, io ero quello strano. Quando nel 2010 la guida de L'Espresso lo premiò con l'eccellenza fu una cosa piuttosto straordinaria perché fino ad allora qui venivano considerati solo i Verdicchio classici, quelli moderni, color paglierino chiarissimo e verdolino. Figuriamoci un vino a maggioranza Trebbiano che si presentava color ambra! 

Oggi gli Orange Wines sono esplosi come moda planetaria. Se ne fanno in tutto il mondo e con tutti i vitigni. Il bel libro di Simon Woolf "Amber revolution" ha contribuito a far uscire dalla "nicchia" una tipologia che partendo dalla sua patria di elezione, la Georgia, aveva stimolato un ritorno alle origini in luoghi come il Carso e il Collio sloveno e italiano dove macerare a lungo le uve bianche sulle bucce era stata una tradizione consolidata.


Oggi, esattamente come all'epoca della barrique o dei vini rossi super concentrati degli anni novanta, gli Orange Wines sono diventati "the next big thing", tanto che oramai anche grandi aziende cominciano ad ampliare la gamma inserendo vini banchi macerati. Molto spesso ciò accade prescindendo dalla qualità intrinseca (esattamente com'era successo per certe spremute di legno di un tempo non lontano): prevale cioè il segno, il significante, l'immaginario. Sono i nostri tempi. In cui quasi mai il "valore" corrisponde al reale bisogno, al prezzo o alla qualità. Lo spiega molto bene questa lucida analisi sul concetto di valore dal sottotitolo "Forme dell'attuale da Marx ad Appadurai": "L’iperrealismo, o l’ipercapitalismo, non rappresentano altro in Baudrillard che il momento del superamento dell’analisi marxiana del capitalismo storico, nella misura in cui – nell’ultimo ordine di simulacro – ciò di cui ne va è dell’aggancio a ogni valore referenziale: sia esso il bisogno naturale, il bene o il valore d’uso... Ed è qui che la moda, compimento dell’economia politica, rivela l’ultimo stadio di evoluzione della merce, nella sua passione suicidaria per un passato sempre da resuscitare. La moda: l’assenza del bisogno naturale e la pura seduzione della combinatoria dei segni linguistici e monetari."

L'esplosione della moda degli Orange è l'ennesima dimostrazione di questa dinamica: puntare sullo stile produttivo e sull'immaginario, più che sul territorio. Ciò che conta diventa solo il colore! L'arancio, l'ambra. (Il segno). Perché in effetti, a parte quello, nel calderone dei macerati bianchi oggi c'è la qualunque. E a pensarci bene non potrebbe essere diversamente: chiedere un Orange, come sempre più sento fare, è esattamente come chiedere "dammi un rosso" oppure "dammi un rosato". 

E quindi di colpo nei Castelli di Jesi ci sono un sacco di macerati di uve Verdicchio. Naturali e soprattutto non. E va bene così, se non fosse che la sensazione netta sia quella, come sempre, che in questa regione si insegua sempre il mercato, si arrivi sempre "dopo" e in modo distorto. Finendo semplicemente col fare dei vini di cui non si sentiva la mancanza.

Di fronte a tutto questo si potrà pensare: qual è il problema? In teoria nessuno. E infatti anche 'sticazzi! se avessimo una critica e un mercato capaci di districarsi tra l'apparenza e la realtà, tra la verità e la finzione... Ma così non è. E dunque quando si parla di vini "Orange" si fa strada una gran confusione.

Innanzitutto - siccome i primi bianchi macerati erano dei vini naturali - oggi chi ordina un orange lo fa immaginando per forza di cose che stia ordinando un vino naturale. Ma la moda ha portato aziende che naturali non sono a produrre dei bianchi macerati lavorati da vigne convenzionali e con vinificazioni convenzionali. E poi, mentre nella prima fase era piuttosto chiaro cosa aspettarsi da un "arancione", oggi anche a livello gustativo le cose si sono mischiate parecchio: i tecnici che prima rifiutavano l'idea stessa di una macerazione in bianco ora hanno iniziato a "gestirla", riportando nei canoni un'idea produttiva che era nata come libera e selvaggia.

La speranza è che lentamente torni un po' di chiarezza e che, una volta passata la moda, ci restino vini piacevoli da bere e coerenti col proprio territorio: vini accomunati solo dal colore ma che siano in grado di esprimere la complessità dei suoli, dei climi, dei vitigni, delle fermentazioni spontanee, delle vinificazioni naturali. Insomma: dei grandi vini.

lunedì 24 aprile 2017

Di Verdicchio e altre storie

In molti continuate a chiedermi perché non c'è scritto "Verdicchio" sulle mie bottiglie di vino bianco. Me lo continuo a chiedere anche io, da tempo. Ma mentre agli inizi della nostra uscita dalla Denominazione la domanda nascondeva - sotto sotto - una specie di risentimento, ora sono pacificato e felice della cosa. Perché in realtà La Distesa non produce più, e forse non ha mai prodotto davvero, "Verdicchio". Per questa ragione non mando più i miei vini alle commissioni assaggio per la DOC, e per questa ragione declasso le uve già prima della vinificazione.

Ci sono arrivato piano piano a capire questa cosa. Che la dittatura del vitigno, cioè, fosse nelle Marche così pervasiva e diffusa (si pensi al successo del "Pecorino" ad esempio) da coprire qualsiasi altra valutazione, e che dunque i nostri vini venissero percepiti "diversi".
In realtà - proprio ora che il "Verdicchio" vive un nuovo successo commerciale - sono giunto alla conclusione che se i miei vini sapessero di "Verdicchio" mi girerebbero i coglioni. A me piace che sappiano di Marche, di Cupramontana, di San Michele. Che abbiano in sé il dolore della Terra e la luce del Cielo. Che vuol dire tutto o niente, sia chiaro. Ma il vitigno no. Quello è arrivato nel 1400 grazie a una migrazione umana e veniva vinificato molto spesso insieme ad altri, molti altri vitigni. Ed è cambiato, e cambierà ancora (gli espianti di vecchi vigneti e la selezione clonale hanno fatto danni inenarrabili in questa zona, purtroppo). Cambierà come cambierà la viticoltura, come cambieranno i terroirs a causa del clima, come cambia l'uomo con i suoi gusti e le sue certezze e le sue ambizioni.
Quello che oggi viene identificato da tecnici, giornalisti, operatori come "il" Verdicchio è solo un vino feticcio, adatto al momento di mercato, esattamente come vent'anni fa lo era sotto altre vesti. Qual è il senso reale delle denominazioni di origine oggi? Se non una gigantesca operazione di branding, di marketing territoriale ad uso export, di costruzione di immagine, di privatizzazione di beni collettivi?

Che poi, in definitiva, mi rendo conto che questa cosa dello "star fuori", che è sì un po' morettiana ma - sia chiaro - senza volerlo, deriva dal fatto che La Distesa non è mai stata davvero "parte" di questo territorio - in generale: non solo per quanto attiene ai vini.
C'entra una idea della politica, indubbiamente, in luoghi che sono ancora fino al midollo stato-pontificio. Ma c'entra soprattutto una visione della vita per cui non si chiedono favori, non si inciucia, non si crede al compromesso ad ogni costo, non si tace per non disturbare.
Il che genera fastidio.
Non c'è nulla di male nelle separazioni, evidentemente noi e il Verdicchio-dei-Castelli-di-Jesi non eravamo destinati a stare insieme.
E quindi, ecco, volevamo dirvelo: non chiedeteci più il Verdicchio. Chiedeteci il vino di Valeria e Corrado. Proprietari in San Michele, Cupramontana dal 1935.

venerdì 27 maggio 2016

Biodinamica e scienza: parola a Giulio Masato

Avevo promesso di parlare della tesi di laurea sull'uso del preparato 501 a La Distesa e così ho pensato di chiederne una sintesi direttamente all'autore, Giulio Masato. Giulio dopo la laurea triennale in enologia ha pensato bene di proseguire gli studi con la magistrale in agraria e dunque oggi è un giovane tecnico dalla formazione completa  pronto per confrontarsi con il mondo della produzione (in questo momento sta lavorando nella zona di Bordeaux).

Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato. Ho concluso così la presentazione della mia tesi di laurea, perché questa frase, scritta da Einstein, mi riportava nella direzione di quello che sentivo come il vero significato di questo lavoro. Dall'inizio, e durante i mesi in cui ho lavorato alla mia tesi di laurea, mi sono chiesto spesso se fosse davvero importante dimostrare qualcosa con la mia tesi. Se lo scopo fosse veramente quello di provare scientificamente che la biodinamica funziona. Alla fine mi sono reso conto di essere lontano da tutto ciò, e che questa prova nasceva da una semplice curiosità. Dall'attrazione verso qualcosa, da un'intuizione, dall'osservazione di un fenomeno che non si è ancora in grado di spiegare, dal voler provare ad entrare un po' più nello specifico dei meccanismi che regola.

La tesi ha riguardato la valutazione degli effetti del preparato cornosilice in seguito alla sua applicazione in vigneto. Abbiamo deciso di effettuare quattro trattamenti nel corso della stagione vegetativa, a partire dalla prefioritura, fino a ridosso della maturazione. Le applicazioni sono state effettuate consultando il calendario lunare di Maria Thun, e seguendo parallelamente altre sperimentazioni portate avanti grazie ad una collaborazione tra il professor Mario Malagoli ed Adriano Zago, agronomo ed enologo consulente in ambito di agricoltura biodinamica.
Conoscendo Corrado ed il suo modo di lavorare, le sue vigne ci sembravano il luogo adatto in cui impostare lo studio. Innanzitutto per il suo interesse a portare avanti prove sperimentali all'interno de La Distesa, ma anche perché fino ad allora non aveva mai impiegato il 501. Ciò appariva interessante nell'ottica di valutare gli effetti del preparato in un ambiente già equilibrato, ma estraneo al suo utilizzo.

In relazione agli effetti imputati al cornosilice ed all'elemento Silicio, da Steiner, e partendo dalla consultazione di altri studi riguardanti il ruolo del Silicio stesso nella fisiologia vegetale, abbiamo dunque ipotizzato che l'applicazione del preparato cornosilice in vigneto potesse avere degli effetti a livello morfologico e fisiologico nella pianta. In particolare abbiamo considerato che durante la crescita vegetativa quest'ultimo potesse avere un effetto sull'accrescimento e sul "portamento" della vegetazione, e sulla capacità fotosintetizzante delle foglie. In fase di maturazione si è invece ipotizzato che il 501 potesse mostrare degli effetti su cinetica di maturazione e qualità del frutto, ed infine che potesse stimolare l'autoregolazione dei meccanismi di difesa della pianta stessa.
Lo schema sperimentale è stato impostato in due parcelle di Verdicchio adiacenti. Queste risultavano infatti confrontabili per quanto riguarda varietà, esposizione, condizioni pedoclimatiche e gestione colturale, invece si distinguevano per età dell'impianto, clone, portinnesto, densità e sesto d'impianto. All'interno di entrambe le parcelle sono state dunque assegnate, a coppie di filari, le tesi Trattato e Testimone in modo randomizzato, alternando ad esse dei filari tampone per cercare di escludere un possibile effetto di deriva del preparato nebulizzato.
Durante la fase di massima crescita vegetativa abbiamo quindi effettuato delle analisi morfometriche direttamente in vigneto, al fine di valutare un eventuale effetto del cornosilice sullo sviluppo e sul portamento della vegetazione stessa. In corrispondenza di queste misurazioni abbiamo inoltre raccolto campioni fogliari che abbiamo successivamente analizzato in laboratorio per valutarne la concentrazione di clorofille, di Carbonio, Azoto e Zolfo, oltre ad altri microelementi.
In seguito, dall'invaiatura alla raccolta, abbiamo raccolto campioni di acini, per sottoporre anch'essi ad analisi di laboratorio, e valutare eventuali effetti del preparato biodinamico sulla qualità dell'uva e sulla cinetica di maturazione. Nello specifico abbiamo valutato il peso degli acini ed il peso delle bucce, la concentrazione di solidi solubili, l'acidità totale, la concentrazione di polifenoli presenti nelle bucce ed è inoltre stata effettuata un'analisi all'HPLC per analizzare il contenuto in glucosio, fruttosio, acido tartarico ed acido malico.

I risultati ottenuti da questa tesi hanno evidenziato che l'applicazione del preparato biodinamico 501 in vigneto mostra degli effetti positivi sulla fisiologia della pianta in fase di accrescimento vegetativo e sulla maturazione del grappolo. A livello fogliare si è infatti osservato un aumento statisticamente significativo delle concentrazioni di pigmenti (clorofille e carotenoidi) e di azoto. Tali dati sembrerebbero avvalorare l'ipotesi di un effetto del preparato 501 sull'efficienza fotosintetica, e sullo stato nutrizionale della pianta. I due aspetti potrebbero inoltre risultare correlati considerando l'importanza dell'azoto nella composizione delle molecole di clorofilla.
A livello del grappolo invece è emersa un'influenza su alcuni aspetti collegati alla fase di maturazione. Tra questi si è riscontrato in modo più evidente un incremento nell'accumulo di zuccheri ed un ispessimento delle bucce. Tali effetti del 501 sono però risultati statisticamente significativi solo all'interno del vigneto più maturo in termini di età.
Per quanto riguarda gli zuccheri, se ne è osservata una concentrazione significativamente maggiore nel Trattato rispetto al Controllo in corrispondenza della prima data di campionamento degli acini. Nelle date successive invece, per quanto rimanesse questa differenza a favore delle piante Trattate, questa non risultava tale da essere statisticamente significativa. Sulla base di ciò abbiamo ipotizzato un possibile effetto del 501 nel far avanzare la maturazione del grappolo, in termini di accumulo di zuccheri.

In relazione invece alla differenza significativa di peso tra le bucce di piante Trattate e quelle di piante di Controllo, l'effetto osservato potrebbe avvalorare la tesi secondo la quale il preparato 501 è in grado di stimolare i meccanismi interni di difesa della pianta. Tra questi, la pianta sembra infatti mettere in atto un ispessimento delle bucce come primo meccanismo di autodifesa da patogeni esterni.

Questi sono solo piccoli dati raccolti, che se vogliamo hanno anche poco a che fare con la biodinamica in sé. Per alcuni aspetti ritengo siano molto interessanti, ma penso anche necessitino di essere estesi, verificati in altri ambienti e condizioni diverse, e quindi arricchiti da altre sperimentazioni.
Li ritengo però un contributo importante a chi cerca all'interno delle università di scollare dalla poltrona vecchi dogmi che abbiamo l'urgenza di superare. Per ritrovare dei concetti, come l'umiltà, la curiosità e l'etica, un po' persi nell'applicazione del modello scientifico. E forse, liberandosi da evidenti ipocrisie e quindi da interessi personali, si potrebbe iniziare proprio nelle università ad assumersi la responsabilità di ridiscutere con forza l'attuale modello agricolo, o meglio agroindustriale.
Quando cambiamo il modo di coltivare il nostro cibo, cambiamo il nostro cibo, cambiamo la società, cambiamo i nostri valori

Giulio Masato

domenica 17 gennaio 2016

Fermentazioni spontanee a La Distesa: una tesi di laurea

Durante la vendemmia 2014, grazie al lavoro dell'enologo Giovanni Loberto e in collaborazione con l'Università Politecnica di Ancona (Docente Prof. Maurizio Ciani e assistente Dott.ssa Laura Canonico), è stata condotta una ricerca destinata ad una tesi di laurea dal titolo "Valutazione di lieviti non-Saccharomyces in fermentazioni miste con S. cerevisiae in Verdicchio DOC".
All'interno di questa ricerca, effettuata in collaborazione con la società agricola Caliptra di Cupramontana, che mirava a comparare vinificazioni differenti in base ad inoculi di diversi lieviti, ha trovato spazio anche una sperimentazione condotta sulla fermentazione spontanea presso La Distesa, in particolare su una delle masse destinate a Gli Eremi 2014.
Riporto alcuni stralci da questa tesi (in corsivo) oltre ad alcuni dati e considerazioni mie che possono essere utili per una riflessione sul tema.
La vinificazione è avvenuta come facciamo solitamente ovvero con l'iniziale pigiadiraspatura di un 20% della massa complessiva da vinificare, cui sono stati aggiunti 8 gr./qle di metabisolfito di potassio e la seguente macerazione sulle bucce in modo da attendere l'avvio di una buona e vigorosa fermentazione spontanea. Dopo circa 5 giorni si è svinato e si è utilizzato il mosto in fermentazione come inoculo del resto dell'uva, lavorata in bianco in pressa e con mosto-fiore lasciato a decantare una notte. Il mosto-fiore è stato lavorato in ossidazione e solo al momento della decantazione si sono aggiunti 5/6 gr./hl. di metabisolfito di potassio. La fermentazione è avvenuta in barile di rovere da 750 lt.

Nella figura viene riportata l’evoluzione della popolazione microbica nel processo fermentativo spontaneo. L’inizio della fermentazione è dominata da lieviti apiculati e appartenenti al genere Candida, mentre dal 3°-4° giorno della fermentazione si ha la comparsa del ceppo S. cerevisiae, il quale ha mostrato un andamento sovrapponibile al lievito appartenente al genere Candida zemplinina (identificata mediante analisi molecolari).
Cinetica della fermentazione spontanea

Durante il monitoraggio della popolazione microbica della fermentazione spontanea, si è proceduto all’isolamento di varie specie di lievito prelevate dalle diverse fasi del processo fermentativo: inizio, metà e fine fermentazione. I 13 isolati così reperiti, sono stati sottoposti  all’osservazione macro- e micro-scopica, per poi eseguire una  identificazione a livello molecolare mediante PCR-ITS1 e ITS4 (Fig.7). Campioni 1-8: amplificati ottenuti da isolati provenienti da inizio fermentazione; campioni 9-13: amplificati ottenuti isolati provenienti da metà fermentazione campioni. 

Dallo studio è emerso che la fermentazione è stata sostenuta da lieviti apiculati come Hanseniaspora uvarum, rappresentato dagli isolati 1-4-6-7-8-9-10, e Candida zemplinina, rappresentata  dagli isolati 2-3-5-11 e dal lievito S. cerevisiae, isolati 12-13 . Il ceppo di S.cerevisiae compare a metà fermentazione per poi, a fine fermentazione, dominare sulle altre due specie non-Saccharomyces.

I dati sul vino a fine fermentazione parlano di un pH di 3,30, una acidità totale di 7,3 g/lt e una acidità volatile di 0,61 g/lt. L'alcool totale è di 13,5% con zuccheri riduttori di 11,7 g/lt  e solforosa totale di 35 mg/lt. Il vino è poi andato a secco, ma più lentamente del campione inoculato con un ceppo starter S. cerevisiae in coltura pura (10C dell’INSTITUTE OENOLOGIQUE DE CHAMPAGNE) presso la cantina di Caliptra.

Altre analisi sono state compiute sui prodotti secondari e i composti volatili ma un confronto puntuale e "scientifico" con le altre fermentazioni non è del tutto possibile a causa del fatto che i mosti campionati prevenissero da vigne differenti (sebbene molto vicine) e abbiano fermentato in luoghi diversi (le cantine di Caliptra e de La Distesa).
In generale si può dire che nel raffronto con le altre vinificazioni, la fermentazione spontanea ha mostrato:
- Prodotti secondari: un livello inferiore di acetaldeide e un livello superiore di etilacetato e isobutanolo.
- Composti volatili: livelli importanti di acetato di isoamile (che dà sentori di banana), acido butirrico (note burrose) e 2-feniletanolo (note di rosa) e livelli medi di  etilesanoato (note di mela) e di etilottanoato (note di fruttato/agrumato). Si riscontrano livelli superiori alle altre vinificazioni nei livelli dei terpeni linalolo e geraniolo anche se con livelli bassi.

Quali conclusioni trarre? Ovviamente nessuna, anche se troviamo confermate alcune tendenze che ci aspettavamo: alla fermentazione spontanea - pur con l'utilizzo di solforosa - hanno contribuito una pluralità di lieviti, ben 13 "individui" differenti e - cosa interessante - sebbene il S. cerevisiae abbia preso il sopravvento per terminare la fermentazione in realtà Candida zemplinina, lievito non-saccaromyces, ha contribuito fino in fondo. Difficile dire in quale modo. Ma le analisi sembrano suggerire la conferma di una maggiore "complessità" in termini di prodotti secondari (alcol superiori ed esteri) e composti volatili (ovviamente nel bene e nel male).

Trascorso un periodo di affinamento, i vini sono stati sottoposti ad analisi sensoriale. Per quanto riguarda la componente olfattiva, quale l’aromaticità (figura), si osserva che il vino prodotto da S. cerevisiae mostra differenze significative per quanto riguarda note di  frutta tropicale, miele e tostato dolce in quanto rispetto a tutte le altre fermentazioni tali caratteristiche sono esaltate. Per quanto riguarda le sensazione di agrumato ed erbe aromatiche, queste sono significativamente diverse per la spontanea rispetto le altre prove. 




Va notato come durante la degustazione finale, i degustatori (panel tecnico composto solo da enologi e produttori) abbiano in genere riconosciuto il campione proveniente dall'inoculo di S. Cerevisiae: fatto diverso da quanto successo nella degustazione di Ascoli per TerroirMarche. (Le ragioni sono molteplici, ma non voglio soffermarmici).


martedì 24 febbraio 2015

Un po' di geologia (parte seconda)

Una delle poche idee in fatto di zonazione dei Castelli di Jesi è quella venuta affermandosi negli ultimi anni di una differenza fra riva destra e riva sinistra del fiume Esino.
Accattivante dal punto di vista mediatico, con i suoi rimandi "bordolesi", in realtà questa suddivisione risulta piuttosto contraddittoria dal punto di vista del risultato nel bicchiere e sembra restare - in assenza di ulteriori ricerche e comparazioni - solamente una suggestione.
Da un punto di vista strettamente geologico la differenza maggiore appare invece quella fra nord-est e sud-ovest della denominazione lungo una ideale linea di demarcazione che corre parallela al mare passando dalle estremità più nord-orientali dei comuni di Staffolo e San Paolo di Jesi, passando per Pianello Vallesina e Moie, giunge ai settori più nord-orientali di Montecarotto e Serra dè Conti: a destra di tale linea immaginaria le colline sono mediamente più basse e risalgono al Pleistocene (quaternario) e al Pliocene superiore  con una maggiore omogeneità di terroir.
A sinistra di tale linea le pendenze si fanno decisamente più ripide, sia a destra che a sinistra dell'Esino, le colline sono di formazione più antica (Pliocene inferiore con affioramenti del Miocene) e la geologia si fa molto più complessa e variegata.
Tutto ciò potrebbe aprire le porte di uno studio approfondito e scientifico sulle correlazioni fra suoli e vini, sempre tenendo presente della rilevanza delle esposizioni e delle altitudini che nei Castelli di Jesi vedono una variabilità molto importante.

I processi di trasgressione e regressione marina, le dinamiche di sedimentazione, intorbidimento e deriva, i movimenti sismici e tettonici lungo milioni di anni hanno "modellato" le colline, un tempo fondali dell'adriatico, secondo complessi fenomeni che oggi possono essere riscontrati sia nella stratificazione verticale che nelle discontinuità orizzontali lette nelle mappe geologiche a disposizione.
Dal punto di vista di un vignaiolo, ignorante in materia di geologia, alcune generalità possono però essere riscontrate:

1) Le storiche "rivali" del Verdicchio Montecarotto e Cupramontana condividono in vaste porzioni del loro territorio la Litofacies arenitico-conglomeratica di Montecarotto (FAAb): essa è costituita da corpi conglomeratici passanti lateralmente a corpi arenitico-conglomeratici e sabbiosi, di forma lenticolare e giacitura concordante... I singoli corpi ciottolosi si presentano, il più delle volte, con una base erosiva e si sviluppano con spessori variabili da alcuni decimetri a qualche metro e con estensioni laterali assai variabili... Localmente sono presenti intercalazioni arenitico-sabbiose e pelitiche dello spessore di qualche decimetro. Il grado di organizzazione all'interno dei singoli corpi è piuttosto variabile, come risulta dall’analisi di strati successivi o di singoli intervalli.
Si tratta fondamentalmente di pietra arenaria che si può anche vedere spesso affiorare in grosse conformazion lungo le strade (es. contrada Romita verso il convento dei Frati Neri).  

2) Una grande parte del terroir di Cupramontana vede la presenza diffusa del Membro delle arenarie di Borello (FAA2), più antica rispetto alla precedente (pliocene inferiore) e caratterizzata da una alternanza di strati arenitici (arenaria) e pelitici (argille). Gli strati arenitici sono generalmente compatti, hanno uno spessore variabile da qualche decimetro ad alcuni metri, granulometria di norma medio-fine e colore grigio-giallastro; lo spessore degli intervalli pelitici è solitamente inferiore rispetto a quello degli strati arenitici, il loro colore è grigiastro e l'aspetto scagliettato.
Molto spesso questa formazione giallastra che si incide abbastanza facilmente viene in zona erroneamente chiamata "tufo": in realtà il tufo vero e proprio è di origine vulcanica e non c'entra nulla con le arenarie.

3) Già nella carta geologica 1 a 100.000 e poi ancora meglio nelle carte 1 a 50.000 e 1 a 10.000 è possibile vedere una evidente difformità nella zona fra Cupramontana-Staffolo dove a dominare sono invece sedimentazioni più antiche, in particolare lo Schlier (SCH) e la Formazione Gessoso-solfiera (GES) risalenti a periodi precedenti al Pliocene, ovvero all'epoca del Miocene e della crisi di salinità del Mediterraneo. Ma più in generale sia la parte che da Cupramontana va verso Apiro (Cerretine, Colognola, La Croce, Palombara e poi la parte media del torrente Esinante intorno alla Abbazia di S. urbano) che la Valle del torrente Cesola fra Cupramontana e Staffolo (contrade di Manciano, Carpaneto, Colonnara, San Michele, Spescia, Follonica, Salmagina, ecc.) risultano geologicamente molto più complesse.


File:Marl vs clay & lime.PNG

In particolare ciò che muta è la dose di CaCO3 presente nel suolo, cioé del carbonato di calcio: da questa dose dipende la classificazione in argille e/o marne e l'effetto sulla dinamica gustativa finale dei vini.
Che questo possa essere alla base di una qualche differenza nei vini di queste zone di Cupramontana, Staffolo e Apiro?   



   

domenica 25 gennaio 2015

Un po' di geologia (parte prima)

Della geologia dei Castelli di Jesi si sa tanto o poco, a seconda dei punti di vista.
Si sa tanto nel senso che abbiamo la fortuna di avere molte ricerche sia storiche che tecniche sull'argomento e di avere (fra le poche regioni in Italia) una mappatura vicina al 100% del territorio regionale non solo in scala 1 a 50.000 (carta geologica d'Italia) ma anche in scala 1 a 10.000, quindi con una eccezionale precisione.
Si sa poco nel senso che raramente si è colta l'occasione per applicare questa enorme ricchezza di informazioni al settore vitivinicolo. Si parla in generale di colline argillose, di sedimenti marini risalenti al Pliocene, di presenza calcarea legata alla dorsale appenninica.
Nel disciplinare del vino Verdicchio dei Castelli di Jesi grande attenzione è data al vitigno e alle sue note fruttate mentre il riferimento al suolo è semplicemente questo:
"Le aree collinari, ove si sviluppa la denominazione, confluenti nel bacino del fiume Esino 
presentano un alto contenuto in argille, alta percentuale di carbonato di calcio, scarsa permeabilità, 
erodibilità, diversa frazione pelitica e calcarenitica"
Un po' poco - credo - per un vino che vuole essere il più importante bianco italiano.
Di geologia io sono un totale ignorante ma negli ultimi tempi mi sono intrippato a tal punto da leggere un sacco di studi e provare a decodificare le carte geologiche soprattutto di Cupramontana.
Da ignorante ho scoperto un sacco di cose, prima fra tutte che è vero che l'area dei Castelli dei Jesi è piuttosto omogenea dal punto di vista geologico, nel senso che la formazione dei suoli risale evidentemente all'emersione rispetto al mare Adriatico, ma è anche vero che tale emersione non è stata "pacifica" ma piena di progressioni e regressioni, oltretutto in ambiente sismico. Tutto ciò ha fatto sì che le sedimentazioni siano più complesse di quel che comunemente noi ignoranti crediamo e che non sappiamo minimamente i possibili effetti di tale complessità su una viticoltura realmente di "terroir".
Il primo grande evento che può considerarsi rilevante ai fini di una geologia del terroir marchigiano è la cosiddetta "cridi di salinità" ed avviene nel Miocene superiore (Messiniano, circa sette milioni di anni da noi): la pressione della zolla africana contro quella eurasiatica conduce alla chiusura dello stretto di Gibilterra, il Mediterraneo resta isolato dall’Atlantico e ne consegue il disseccamento. La prova del prosciugamento e dei conseguenti fenomeni chimico-deposizionali del bacino del Mediterraneo è data dai forti spessori di gessi ed evaporiti riscontrabili in Appennino.
Nel Pliocene la reingressione delle acque dall’Atlantico è molto rapida a scala geologica, e riporta sedimenti abissali sul fondo dei bacini. In questo periodo, cioè fra 5 e 2,5 milioni di anni fa, l'Adriatico occupa interamente tutta la zona collinare dei Castelli di Jesi. 


Nel quaternario invece si ha la massima espansione dell'Adriatico con il Po e i suoi affluenti che arrivano sino ad Ancona. La causa sono le glaciazioni che videro un notevole ritiro di tutti i mari e un evidente allargamento delle terre emerse. 
Il passaggio fra il Pliocene e il Pleistocene (prima era del quaternario) risulta quella più rilevante per il terroir jesino: è a questa fase di ritiro definitivo dell'Adriatico che si deve la sedimentazione più importante, la Formazione delle Argille Azzurre (simbolo geologico FAA) che si ritrova su gran parte dell'Appennino dal Piemonte all'Emilia Romagna alla Toscana e che "domina" le zone più importanti e vocate a destra e a sinistra dell'Esino.
Ciò che è importante sottolineare è la complessità geologica di questa formazione: le Argille Azzurre compaiono in numerosi fogli della Carta Geologica d'Italia (a scala 1:50.000), e molti sono i membri e le litofacies (caratteristiche fisico-chimiche) in esse riconosciute. In passato, alcuni di questi membri e litofacies, corrispondenti a corpi più o meno sabbiosi o marnosi che si intercalano alle argille e che raggiungono talora spessori fino al centinaio di metri, sono stati elevati al rango formazionale.
A Cupramontana questa formazione è prevalente tanto che uno dei sinonimi riscontrati in letteratura è anche "formazione di Macerata-Cupramontana" e presenta differenze rispetto alla stesse sedimentazioni di altri Castelli di Jesi.
Nel prossimo post cercherò di scendere più nello specifico, provando a inserire in questa storia geologica qualche riferimento al vino. Per ora vanno tenute a mente i gessi, le argille e i corpi più o meno sabbiosi o marnosi.    

sabato 25 gennaio 2014

Winestories: La Distesa


Un grazie sincero a Mauro, novello Mario Soldati in giro per le vigne e i vignaioli d'Italia. 

lunedì 15 luglio 2013

Trova l'intruso

Alcune recensioni del Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico DOCG Gli Eremi 2010.

"...è una delle migliori versioni: ampiezza fruttata e lievi note boisé e di anice lo rendono accattivante e profondo. In bocca è dinamico, succoso e teso; polposo e suadente al centro del palato, salino e lungo in chiusura".
Slowine - Slowfood 

"The savouriness and minerality of Verdicchio, but much more brooding and certainly not sweet. Fantastic tactile impact on the palate with acidity built like bricks. Very linear and direct and not polished at all. Very young".  17/20, Drink 2013-2018
Walter Speller

"Abbigliato di una veste oro lucente. In prima battuta sensazioni di kumquat, mango e ananas, seguite da profumi di camomilla e refoli di pietra focaia. In bocca ostenta corpo e notevole freschezza, sfumando sapido e decisamente minerale. Durevole persistenza..." Quattro grappoli
Duemilavini - Bibenda 

"...Discorso diverso per Gli Eremi '10 dove l'acescenza ne omologa il tratto confondendo il varietale andando oltre il confine che noi riteniamo difetto"
Gambero Rosso

"Olfatto di personalità e complessità fuori dal comune, i profumi di erbe disegnano un ventaglio aromatico di rara purezza; bocca sfumata e ricca di dettagli, la profonda energia sapida è dissimulata da una succosità aggraziata, dal finale lungo". 18/20
L'Espresso 


mercoledì 8 maggio 2013

Undici annate de Gli Eremi



Dopo qualche mese di decantazione, eccomi a parlare di una bellissima giornata di ottobre, passata a degustare tutte le annate prodotte del mio vino simbolo: la riserva Gli Eremi. Erano presenti molti giornalisti e blogger del settore, da Vittorio Manganelli a Carlo Macchi, da Alessandro Morichetti a Francesca Ciancio, da Riccardo Vendrame a Maurizio Silvestri e Gianni Fabrizio.
Per me è stato molto emozionante ripercorrere le stagioni che hanno contraddistinto vendemmie differenti ed un lungo percorso evolutivo professionale. Ma la cosa migliore è ricordare la degustazione attraverso le parole di un ottimo giornalista straniero che di vino italiano è grande conoscitore: Walter Speller.

"Corrado Dottori is one of the main protagonists in the cru debate surrounding fine Verdicchio. He gave up a job in Milan to return to Cupramontana to take over the 3 ha of vines his grandfather left him, one, more than 30 years old, in San Michele and two in San Paolo. Not entirely a bianchista, Dottori also produces a red wine made from Montepulciano, Sangiovese and Cabernet Sauvignon. But it is clear that Verdicchio is his baby, and the one that gets the most attention is the Gli Eremi single-vineyard bottling. 

The Dottori famliy is very much part of the historic fabric of Cupramontana. Right in the middle of this hill town on the main street is the family's home, an impressive, charmingly chaotic patrician house which, from the outside, hides the fact that the wines were once made in cellars hewn out of the tufo rock underneath the house. Dottori is active in the local government of Cupramontana and as part of this role is one of the instigators of vineyard research, which focuses on soil, exposition and altitude, and which resulted in the first map of Cupramontana. It should eventually open the way to a vineyard classification. 

Dottori's own 'cru', the Gli Eremi, is made without any concession to commerce and divides opinions. Dottori tends his vineyards strictly organically while applying biodynamic elements, notably the famous cow-horn preparation. To Dottori, organic viticulture is just a tool which allows the vineyard to produce grapes without any distortion - to express itself as directly as possible. Dottori also wants the resulting wine to express the vintage without any fine-tuning. For the Gli Eremi, this means a brief maceration on the skins for about 10% of the grapes for four days, and fermentation triggered by indigenous yeast, which are given a head start by a pied de cuve he adds to the tanks. After fermentation, the wine stays for 6 months on the lees in oak, followed by 6 months in stainless steel for a natural stabilisation, and 6 months in bottle before release. The Gli Eremi is rock-solid Verdicchio, and a formidable cru, but with an embarrassingly modest price tag. 

La Distesa, Gli Eremi 2010 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 17 Drink 2013-2018 

The savouriness and minerality of Verdicchio, but much more brooding and certainly not sweet. Fantastic tactile impact on the palate with acidity built like bricks. Very linear and direct and not polished at all. Very young. (WS) 13.5%

La Distesa, Gli Eremi 2009 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2011-2016
More closed than 2010 and a touch sweeter. More generous and direct on the palate. Crisp acidity and great concentration of ripe fruit. Bitter almond finish. Great length and tension and quite straightforward. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2008 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 17.5 Drink 2012-2020
Hazelnut and real depth, and with the first signs of age. Savoury, the fruit is still hiding. Almost salty minerality. Bitter grapefruit. Lots of substance, and structure. well built and will last for quite a while. Very long. Begs for food. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2007 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 15.5 Drink 2009-2015 

Very hot and very difficult year and with little acidity. According to Dottori, the elevated levels of volatile acidity saved the wine, as it gives an impression of freshness. Quite sweet and honeyed. Baking spice, sweet brioche and fruit cake. Very round and sweet and extracted and with spiking acidity. A little uneven and hot on the finish. RS is 7 g/l. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2006 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2009-2017
A very cool year with plenty of rain, but an explosion of heat at the beginning of September, which led to a rash accumulation of sugars. Dottori had to break off his holiday to start harvesting in order to prevent overripe grapes. Very spicy, with brooding sweet fruit. Rich, sweet and ripe and a little rustic but with great grip. The alcohol seems a little biting. (WS) 14.5%

La Distesa, Gli Eremi 2005 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2008-2018
 
The vintage was a very cold one with lots of rain, which caused a little bit of botrytis on the ripest grapes. Complex and elegant, but with a peppery prickle. Quite understated on the nose. Fine, ripe mandarin impression on the palate followed by a bitter almond finish. Restrained generosity. (WS) 

La Distesa, Gli Eremi 2004 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 17.5 Drink 2008-2020
2004 is considered a classic year in the Marche. Harvest, in mid October, was quite late and the grapes showed high acidity. There was also the occurrence of a little botrytis, as a result of what Dottori calls a classic Cupramontana climate with rains and cool periods. 2004 is the first vintage he used indigenous yeast. Intense sunflower yellow, almost like a sweet wine. Dark, sweet nose with hazelnut and wax. An energetic charge of fierce acidity. Very lively and tactile. Hints of browning apple and waxy notes but it is a complex whole. Electrifying finish. Tongue-grabbing action. (WS)
14%

La Distesa, Gli Eremi 2003 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 15.5 Drink 2006-2015
 
The only wine Dottori acidified with tartaric acid due to the hot year. Compact and savoury nose not giving much away. Merest hint of camomile. Creamy notes and high acidity on the palate, which dies away quickly. Finish is a bit numb and much less complex than I have come to expect. But certainly not a run-of-the-mill Verdicchio. (WS) 14%

La Distesa, Gli Eremi 2002 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16 Drink 2004-2016
 
A vintage with lots of rain, botrytis and high acidity. The deep colour indicates the high level of botrytis, according to Dottori. Very deep yellow. Quite developed on the nose with hints of butterscotch ansd acacia honey, but not exuberant. Very honeyed on the palate and at the same time lots of austere acidity. A little phenolic too. Very long and with lots of freshness on the finish. (WS) 14%

La Distesa, Gli Eremi 2001 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 18 Drink 2006-2022
 
Considered a classic year characterised by heat spikes. The wine was fermented in stainless steel. Quite composed on the nose with a little camomile and orange peel. Squeezed sweet lemon and orange palate. Really vibrant and tactile. Impressive stuff. (WS) 14%

La Distesa, Gli Eremi 2000 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16 Drink 2004-2016
 
Dottori’s first vintage and a very hot year. Savoury and a little earthy with hints of sage and minerals. Crushed lemon and orange palate. Great acidic impact and tension. The fruit doesn't last that long, but the tactile, lemony sensation does. Almost no signs of decay. Ends a little alcoholic. (WS) 

La Distesa, Spumante Metodo Classico 2004 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 16.5 Drink 2012-2018
 
Never released onto the market. The base wine was aged for one year in barrique. Disgorged in 2011(!). Deep, straw yellow. Mandarin, hazelnut and a hint of mushroom and baking spice. Very full on palate with lots of substance and literally bags of lemon and mandarin fruit underlined with brioche notes. Pretty lively mousse. Impressive for a first effort. (WS)" 



mercoledì 5 settembre 2012

Sette su dieci

Sette su dieci fra le estati più calde dal 1961 a oggi nelle Marche sono negli anni 2000. La 2012 è la seconda più calda di sempre dopo la 2003 ma in termini di precipitazioni è andata anche peggio.
Così l'ASSAM:

"La prolungata permanenza sul bacino del Mediterraneo del promontorio anticiclonico nord-africano e, in seno ad esso, dell'aria calda sahariana che troppo spesso ha interessato anche il territorio regionale marchigiano, ha reso l'estate 2012 molto calda, paragonabile a quella, terribile, del 2003. Numerose sono state le ondate di calore, la più intensa e duratura può essere individuata nel periodo che dal 16 giugno si è protratta fino al 15 luglio. 
La temperatura media stagionale è stata di 24,9°C, con un incremento di 3,2°C rispetto al quarantennio di riferimento 1961-2000. Più calda fu l'estate del 2003, in cui la temperatura media regionale raggiunse i 25,4°C (+3,7 rispetto al 1961-2000). Quelle del 2003 e del 2012 sono risultate essere rispettivamente, la prima e la seconda stagione estiva più calde per le Marche dal 1961. Preoccupante osservare che, sempre dal 1961, tra le prime dieci estati più calde, ben 7 sono a partire dall'anno 2000. 
Elevate, naturalmente, anche le temperature medie mensili, ben al di sopra ai valori di norma. Se 
confrontate con il 2003, si scopre che mentre giugno e agosto 2012 sono stati più "freschi", il mese di luglio è stato addirittura più caldo (record mensile per luglio dal 1961)
Fra tutte le stazione della rete regionale di rilevamento dell'ASSAM, il valore massimo è stato di 43,1°C in località di Corinaldo il giorno 20 luglio; seguono i 41,7°C rilevati a Barbara il giorno 2 luglio quindi, il 28 luglio, i 41,6°C di Treia. La soglia dei 40°C è stata comunque superata in parecchie località. 
Pessime le notizie anche sul fronte delle precipitazioni, decisamente più scarse rispetto a quelle del 2003. Con un totale medio regionale di 74mm ed una riduzione del -59% rispetto al 1961-2000, quella del 2012 è stata la terza estate più arida dal 1961. Nell'ambito mensile, da segnalare il record negativo delle piogge di giugno, con una pioggia media caduta di circa 16mm. Dunque, mettendo insieme temperature e precipitazioni, tramite l'indice di aridità calcolato come il rapporto fra le precipitazioni e l'evapotraspirazione potenziale, si arriva alla conclusione che le sofferenze agronomiche, colturali dell'estate 2012 sono state maggiori rispetto a quelle dell'estate 2003 con un valore dell'indice pari a 0,15 (classe di aridità) contro i 0,21 del 2003 (classe di semi-aridità). 
Disastroso infine l'andamento dell'indice SPI a 12 mesi, sceso nel bimestre luglio-agosto nella classe di estrema siccità, a segnalare un'allarmante siccità idrologica, a causa anche delle poche precipitazioni dal mese di agosto dello scorso anno. Meglio, ma non troppo, l'indice stagionale SPI-3, anch'esso comunque sceso nella classe di siccità (severa)."

L'articolo completo qui: http://meteo.regione.marche.it/news/estate2012vs2003.pdf 
Il risultato di questa dinamica è che abbiamo cominciato la vendemmia del Verdicchio il 24 agosto (e non si tratta di basi spumanti). Mai successo.



martedì 1 novembre 2011

Il Grande Verdicchio - Parte Seconda

I grandi "vecchi" del Verdicchio alla Sagra dell'Uva di Cupramontana. (Video di Mauro Fermariello)


Umani Ronchi: Vecchie Vigne 2009 - Canestrari: Coroncino 2000 - Brunori: Le Gemme 1995 - Bonci: San Michele 1994 - Garofoli: Serra Fiorese 1994 - Fazi Battaglia: San Sisto 1993 - Colonnara: Cuprese 1991 - Crognaletti: San Lorenzo 1991 - Bucci: Villa Bucci 1988.

mercoledì 8 giugno 2011

Milano e dintorni

Breve giro nel milanese. Il 9 giugno degustazione organizzata dall'AIS di Milano presso l'hotel Westin Palace su due grandi autoctoni delle Marche: Verdicchio e Pecorino. Info sul sito dell'AIS.
L'11 giugno invece parteciperò alla presentazione dell'ultimo libro edito da Derive e Approdi sul tema vino: Dionisio Crocefisso di Michel Le Gris. Info sul sito del Centro Sociale Folletto di Abbiategrasso dove si svolgerà l'evento.

sabato 11 dicembre 2010

Già, le Marche e il problema alcool

Grande dibattito sui blog questa settimana: Oscar Farinetti ha lanciato la nuova bomba. Già 2010: Langhe Rosso che esce a due mesi dalla vendemmia senza essere un novello. Solo undici gradi alcolici grazie ad una operazione di dealcolizzazione fisica con filtri molecolari.
Si è detto e scritto di tutto sull'operazione, non aggiungo nulla.
Se non che ho scoperto che nella mia regione, le Marche, si è da poco svolto su iniziativa - guarda un pò - dell'Istituto Marchigiano di Tutela proprio un convegno sul tema della riduzione dell'alcool.
Perle di saggezza da evidenziare rispetto a quanto emerso nel convegno:
...Gli illustri relatori hanno unanimemente sottolineato che, aldilà di valutazioni preconcette, la riduzione del grado alcolico è una realtà prevista dalla normativa vigente e, pertanto, è indispensabile approfondirne la ricerca, in quanto a livello internazionale si stanno sviluppando queste nuove tecniche che già registrano significativi riscontri sui mercati...
...In Australia, nel ventennio tra il 1984 ed il 2004 si è assistito ad un aumento di circa due gradi alcolici e, di conseguenza, la riduzione dell’alcool è una realtà che va presa in seria considerazione, in quanto è orientata ad esaudire la richiesta dei mercati nazionali ed esteri, soprattutto alla luce delle risultanze di questo workshop che conferma la sicurezza del procedimento, paragonabile ad un semplice filtraggio, peraltro già previsto dalle leggi vigenti, e senza implicazioni di carattere salutistico o sanitario!
...Siamo veramente orgogliosi - ha dichiarato Mazzoni (direttore di IMT) concludendo i lavori - di essere i primi in Italia ad affrontare ed approfondire una tematica che può sicuramente rappresentare un’ulteriore opportunità, offerta ai produttori, per ottenere positivi riscontri sui mercati della domanda ed una giusta remunerazione per il loro lavoro!
Parola più ripetuta: Mercati. Domandina ingenua: che siano quegli stessi "mercati" che, solo dieci anni fa, richiedevano vini più concentrati, strutturati ed alcolici?
Boh, io non so se il vino dealcolizzato avrà un futuro roseo, se è buono come dicono, se berremo tutti vini a 11 gradi e potremo bere un ricco mezzo bicchiere in più senza aver paura del palloncino.
So ciò che diceva Mario Soldati in Vino al vino: "Il Verdicchio, specialmente se buono e vero, assume naturalmente una gradazione alcoolica piuttosto vibrata: 13, anche 14, e qualche volta verso i 15, mai sotto i 12"
So che il vino è un equilibrio. Se togli qualcosa perdi qualcosa. Oppure aggiungi qualcos'altro.
So che nelle Marche si organizzano convegni. E nel frattempo Oscar Farinetti è Già sui cosiddetti mercati.

venerdì 17 settembre 2010

2010

Qualcosa si è già cominciato a raccogliere. Siamo indietro, come previsto. Acidità alte, zuccheri ancora bassini, sul Verdicchio la media è intorno ai 17,5° babo. Una annata più stile 2005 che 2004. Per ora. Ma c'è ancora tempo. Ondate di sole e pioggia previste da qui fino ai primi di ottobre. Sono le annate che mi piacciono di più, basta non innervosirsi e fare le scelte giuste.
La settimana prossima via col Sangiovese. E poi si vedrà.

giovedì 2 settembre 2010

Aspettando la vendemmia 2010

Qualche millimetro di pioggia lo scorso fine settimana. Poi crollo delle temperature: ora di notte fa molto fresco (intorno ai 12 gradi) con escursioni giorno/notte molto interessanti per il profilo aromatico dei vini. Si sta delineando, insomma, il profilo di una bella annata.
In questo video è possibile avere un'idea dei vigneti in questo preciso momento:


domenica 15 agosto 2010

Coincidenze

Adoro le coincidenze. Strani percorsi destinali che si intrecciano senza alcuna logica apparente.
Ieri è arrivata in agriturismo una famiglia di Milano per una settimana di ferie a La Distesa. Si parla per un pò. Scoprono che uno dei miei cani si chiama Bruce. "Come il cantante preferito del papà!" dice la mamma ai due piccoli più o meno dell'età di Giacomo e Giulia.
Si finisce a parlare col padre, allora. Classe 1972, come me. Primo Concerto: Torino, Stadio Comunale 11 giugno 1988, Bruce Springsteen&ESB. Come me. Ovviamente eravamo assieme, senza saperlo, ad una caterva di concerti di Bruce (fra cui un Nizza 1997). Ma anche al Palalido, 1994, per i Black Crowes. O al Castello di Villafranca, 1997, per un indimenticabile Bob Dylan.
Alla fine dopo tutte queste compresenze ci siamo incontrati davvero, dopo più di vent'anni, a parlare di Steve Earle. Davanti a una bottiglia di vino.
Il vino in questione era lo Stragaio 2006, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva di Fattoria Coroncino. Un vino davvero Stra. Stramaturo, Stralegnoso, Stramorbido, Straalcolico. Un Verdicchione possente alla Lucio Canestrari. Da una grande annata. Forse non è più il mio stile, davvero buono però... E la bottiglia è rimasta vuota.
Per la cronaca: appena tornati dalla Tunisia per una breve - troppo - vacanza abbiamo trovato pioggia e 18 gradi. Bene così.

mercoledì 4 agosto 2010

Tu vò fà l'americano... mericano...

Un paio di mesi fa il mio importatore americano mi ha segnalato che si parlava de Gli Eremi 2006 sul Wall Street Journal. Vengo così a sapere che in un ottimo ristorante di New York City (marea), di fronte a Central Park in pieno centro Manhattan, a uno dei redattori della celebre rivista economica americana è stata servita la mia riserva di verdicchio.
Queste le sue note: "The wine was the 2006 Gli Eremi Verdicchio di Jesi Classico Riserva from La Distesa. “I’ve never heard of it before,” I said to Richard. “No one has,” he replied, adding that it was a tiny-production Verdicchio from a small but highly-regarded estate. It’s rich but possessed of a firm minerally note, said Richard, like a Cru Chablis. I was happy to follow his lead.
The Gli Eremi was as Richard had described it: unctuously rich yet tempered by a bright and penetrating minerality that was, indeed, an echo of a Grand Cru Chablis. And most importantly, it complemented our food — even the intensely-flavored fusilli with grilled octopus in a red wine sauce that my friend ordered. I want to go back to Marea right away — to drink another bottle and to eat more of chef Michael White’s fabulous pastas. But time is tight; according to Francesco, the six cases they ordered is just one..."
Che dire? Il Wall Street Journal non è propriamente uno dei miei riferimenti ideologici, però il paragone con un Grand Crus di Chablis per un bianchista non può che far piacere, no?