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lunedì 27 gennaio 2020

Cupramontana, di nuovo capitale

Uno dei regali più belli per il ventesimo anniversario de La Distesa è certamente quel che sta succedendo a Cupra.
Entrando in paese in automobile da sempre si viene accolti da un cartello che recita "Benvenuti a Cupramontana, capitale del Verdicchio". Il riferimento è a una dicitura "ufficiale" risalente al 1939 che - ben prima dell'avvento della DOC - formalizzava la centralità del Comune nel contesto della produzione vitivinicola marchigiana.
Qui d'altronde ebbe sede una delle cattedre ambulanti di enologia (fine ottocento), qui nacque la famosa Fazi-Battaglia, qui venne istituita una delle più storiche cooperative vinicole (la Colonnara).
Negli anni sessanta si contavano una trentina di imbottigliatori (le cantina Aurora di mio nonno era fra queste).
Poi cominciò la crisi. Complici la fine della mezzadria, e la conseguente emigrazione, e una qualità media dei vini decisamente in caduta libera.
Quando nel 2000 cominciammo a imbottigliare come La Distesa in paese erano rimasti solo la cantina sociale, l'azienda Bonci e un paio di piccole realtà principalmente legate al commercio di vino sfuso.
C'era un solo produttore bio, ovviamente bistrattato da tutti, che imbottigliava pochissime bottiglie.
Dopo venti anni il panorama è completamente cambiato. Tanto che la guida "L'Italia di vino in vino" edita da AltraEconomia a firma di Luca Martinelli, Sonia Ricci e Diletta Sereni (con la prefazione di Armando Castagno) dedica a Cupra un intero capitolo. È una scelta rilevante dato che gli altri capitoli sono dedicati a interi distretti vinicoli (le Langhe, il Collio, l'Etna, la Valpolicella, ecc.) e a realtà ben più conosciute ed estese (il Carso, il Chianti senese, ecc.)


Quello che è stato colto è probabilmente la vitalità di una scena che negli ultimi anni è letteralmente esplosa. "La piccola comunità di vignaioli artigiani-naturali" recita il sottotitolo. Ed è così. Capita spesso, quando giro per fiere o chiacchiero con colleghi, che mi venga chiesto: "ma cosa succede a Cupra?" con un misto di ammirazione e stupore, soprattutto considerando il resto dei Castelli di Jesi o Matelica.
Oggi le cantine che imbottigliano a Cupra hanno abbondantemente superato la decina ma, soprattutto, va notato come le nuove realtà operino quasi tutte in regime biologico e/o in naturale. 
A fianco a noi c'è l'oramai storica Marca di San Michele con i suoi vini sempre di altissimo profilo; sempre a San Michele da qualche anno si è affermata Ca'Liptra che arricchisce il catalogo supernatural di Les Caves de Pyrene; non lontano la brava Giulia Fiorentini, i cui vini sono da poco entrati nel catalogo di Velier/Triple A. Senza dimenticare che, nel comune di Staffolo ma sul lato che guarda Cupra, e in linea d'aria davvero vicinissimi, ci sono aziende di grande valore di ispirazione naturale come La Staffa di Riccardo Baldi o biologiche come Antonio Failoni.
Ma è tutto il territorio a muoversi in questa direzione se si considerano anche i conferitori di uve: realtà di altissimo spessore come Pievalta (che ha appena impiantato vigne a cupra, lato monte Follonica) o Andrea Felici acquistano uva bio in contrada San Michele; la stessa Colonnara ha molti soci in regime biologico e da poco una linea bio. 
Nuovissime realtà artigiane e bio con vigneti a Cupra hanno iniziato da pochissimo: Colle Jano, Oppeddentro, mentre a breve sarà possibile assaggiare la prima annata di una nuovissima azienda completamente naturale con vecchie vigne nella zona di Manciano.
Inutile dire che tutto ciò ci riempie di gioia e anche - un pochino - di orgoglio per un effetto "trascinamento" che certamente abbiamo contribuito a scatenare. Così come è molto probabile che il lavoro di zonazione delle vigne cuprensi assieme all'apertura del complesso dei Musei In Grotta e agli annuali laboratori de Il Grande Verdicchio siano state iniziative importanti per il rilancio di questo territorio.
Se a questo si aggiungono un attivissimo Gruppo di Acquisto Solidale ed il progetto della Fornace del Gusto, gli spazi comunali a disposizione degli agricoltori per la trasformazione e il confezionamento a norma di prodotti locali, si capisce quanto questo paese sia in realtà cambiato a dispetto delle apparenze.     
Insomma, Cupramontana è di nuovo Capitale. Se non del Verdicchio perlomeno di una bella e sostenibile economia locale.

giovedì 21 aprile 2016

Qualche passo indietro

Ciao a tutta la comunità Distesa.
Vi scriviamo per comunicare che quest’anno abbiamo deciso di non mandare campioni dei nostri vini a nessuna guida. 
Qualche anno fa già si era deciso di non inviare più i campioni a Bibenda e Gambero Rosso (lo avevamo motivato qui: http://ladistesa.blogspot.it/2013/11/bibenda-e-gambero-rosso.html), e da sempre non partecipiamo a concorsi e/o classifiche. Ci teniamo a dire che abbiamo avuto e continueremo ad avere grande rispetto per chi esprime giudizi critici sul vino e la nostra non vuole essere una scelta polemica. 
Ci sono diverse motivazioni dietro questa scelta, ma due sono quelle fondamentali.
Innanzitutto ci sembra che, se il movimento del vino naturale, qualunque cosa esso sia, ha davvero messo in discussione le basi su cui si era cristallizzato il "Gusto" del vino, promuovendo una nuova estetica, allora si debba provare un qualche tipo di coerenza: basta punteggi, basta degustazioni tecnicistiche, basta linguaggi da vecchia scuola. Se rivoluzione è stata, allora che lo sia fino in fondo.
La seconda ragione, più importante della prima, è che ci siamo resi conto come negli ultimi anni la visibilità della nostra azienda e dei nostri vini da parte dei media, cartacei e web, sia cresciuta a dismisura, diventando in qualche modo fuori controllo rispetto alla nostra dimensione umana e aziendale. 
Insomma, ci sembra giusto fare qualche passo indietro.
Ci troverete in vigna o in cantina, alle fiere che ci piacciono e dove riusciremo ad andare, in mezzo agli amici di TerroirMarche, o magari dove ci sarà un moto di piazza. 
Grazie a tutti and stay rock!

Valeria e Corrado

mercoledì 27 agosto 2014

Lieviti, lieviti e ancora lieviti

Ho seguito un po' l'ennesimo dibattito girato in rete sui lieviti selezionati, questa volta proveniente dal giro Slowine: qui l'articolo di Gariglio e qui l'articolo del bravo Fabio Pracchia.
Si tratta di un dibattito ormai stantio dove difficilmente si riuscirà a trovare una quadra fra sostenitori della moderna enologia più spinta ed esaltati provocatori del vino naturale. Sulla questione lieviti ho sempre avuto una visione laica che mi trova d'accordo con alcuni spunti sia di Gariglio che di Pracchia (per chi non avesse voglia di approfondire tutte le loro argomentazioni e i vari thread che si sono da lì dipanati valga questa sintesi brutale: molto peggio del lievito selezionato sono altre cose nell'omologare il vino).
Non riesco, però, a liberarmi dalla sensazione per cui, dato che lo scontro diretto e frontale con il "movimento del vino naturale" non ha pagato e anzi non ha fatto altro che sviluppare maggiormente l'interesse per il movimento stesso, allora si provano metodi più sottili di comunicazione. Diversivi, diciamo.

Nessun problema, se non fosse che poi escono un po' delle forzature.
Tipo che il 98% dei vini bianchi si fa coi lieviti selezionati. Sarebbe il caso di dire il 98% dei vini. Punto. Eppure in Borgogna la quasi totalità dei grandi bianchi è fatta con lieviti indigeni. Vogliamo dire anche questo?
Tipo che non esiste il concetto di lievito autoctono.
Tipo che i soli lieviti dell'uva sono pochi e non farebbero terminare una fermentazione o la farebbero andare in malora (che è una variante dell'ormai famigerato e falso "il vino in natura non esiste perché l'uva diventa naturalmente aceto).
Eccetera.

Ma è quando si scende nel tecnico che poi casca l'asino.
Nel pezzo di Maurizio Gily citato ad esempio (http://www.gily.it/articoli/Vino%20e%20lieviti.pdf) si fa una lunga e gustosa comparazione fra "protocolli" dicendo ciò che già si sa, cioé che non è tanto un problema di lievito selezionato ma piuttosto di "substrati" (es. condizioni di azoto - e dunque bisogna aggiungere composti azotati in fermentazione?) e di "enzimi" (e quindi bisogna aggiungere enzimi esogeni per far esprimere al lievito determinati aromi?) e di "condizioni" (es. le basse temperature di fermentazione oppure l'assenza totale di ossigeno lungo tutte le fasi della vinificazione?).
E allora - scusate! - ma è un po' un girare la frittata, dialetticamente parlando: si dice che non è colpa del lievito selezionato ma poi si scopre che è "tutto il pacchetto" (dell'enologo, si intende).

Quindi certo quel che senti quando senti la banana (o il passion fruit...), per riprendere Gariglio, non sarà forse IL lievito selezionato, ma IL lievito selezionato fatto lavorare in certe condizioni (con i giusti substrati, i giusti enzimi, le giuste temperature, dal giusto enologo).
Cosa cambia?
Di cosa stiamo a parlare?
La domanda provocatoria di Fabio Pracchia "Omologa di più il lievito selezionato o il consulente enologo?" è insomma domanda tautologica, sebbene molto puntuta e intelligente, perché il consulente enologo oltre a fare tutto ciò che Pracchia enumera in vigna e in cantina, generalmente usa anche sempre un certo lievito fatto lavorare dentro a a certi substrati all'interno di certi parametri. E questo non omologa né più né meno di una marca di barriques o di un sesto d'impianto: ne è semplicemente il completamento, la finale pietra di volta.

Sono d'accordo: la questione lieviti non è il solo problema ed è questione tutt'altro che semplice (dissento anche io dai banalizzatori di certo vin naturel) ma ciò non toglie che la questione della fermentazione spontanea (più o meno controllata) sia la fondamentale discriminante (per me!) fra artigianato e industria, fra terroir e varietà, tra vigna e cantina.
Serve coraggio, è vero. Come in tutte le scelte vere della vita.

sabato 16 novembre 2013

Bibenda e Gambero Rosso

Molti clienti/wine lovers hanno notato dopo molti anni l'assenza dei miei vini dalle pagine delle guide Duemilavini di Bibenda e Vini d'Italia di GamberoRosso. Bene, nessun mistero: quest'anno non ho fornito campioni a queste guide. La ragione è legata alla politica editoriale che mi è sembrata emergere negli ultimi tempi in queste due importanti testate. Riporto due link, in modo da essere il più chiari possibile:

http://www.intravino.com/grande-notizia/cercare-di-vivere-senza-leditoriale-di-eleonora-guerini-sul-gambero-rosso-e-riuscirci/

http://www.bibenda.it/bibenda7/singolo-articolo.php?id=1002&pagina=1&limite_inizio=10&vis_com=1

Ho sempre pensato fosse giusto sottoporre i propri prodotti ad un esame critico ed accettare ogni tipo di giudizio senza dare troppo peso ai risultati, sia buoni che cattivi, delle degustazioni. In fondo si tratta di un grande gioco - divertente per alcuni, un po' noioso ed autoreferenziale per altri - che ha avuto, negli anni passati, il solo grande torto di costruire un immaginario del vino di qualità e del gusto fortemente distorto. Ma era un immaginario dal fiato corto e lo si sta vedendo.
Quello che non sono accettabili sono la mancanza di rispetto e la disonestà intellettuale, entrambe ben presenti negli articoli di Bibenda e GamberoRosso. Molto spesso nlle polemiche che hanno invaso il web durante il 2013 le risposte, le pseudo-ritrattazioni, le rettifiche, le scuse non richieste sono state quasi peggiori delle iniziali proposizioni. A dimostrazione che in realtà si voleva lanciare un messaggio chiaro ed inequivocabile: attenzione, gli unici detentori del "vero gusto" siamo noi. Noi certifichiamo la "qualità". Noi e solo noi garantiamo il "buono". E magari anche il pulito ed il giusto. Purché non si disturbi il manovratore, però.
Ecco la grande mistificazione. Va bene il bio. Va bene la sostenibilità. Va bene anche il naturale. Ma deve essere come diciamo noi.
Che sarebbe come dire a Francis Bacon che la sua estetica produce quadri troppo angoscianti.

lunedì 15 luglio 2013

Trova l'intruso

Alcune recensioni del Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico DOCG Gli Eremi 2010.

"...è una delle migliori versioni: ampiezza fruttata e lievi note boisé e di anice lo rendono accattivante e profondo. In bocca è dinamico, succoso e teso; polposo e suadente al centro del palato, salino e lungo in chiusura".
Slowine - Slowfood 

"The savouriness and minerality of Verdicchio, but much more brooding and certainly not sweet. Fantastic tactile impact on the palate with acidity built like bricks. Very linear and direct and not polished at all. Very young".  17/20, Drink 2013-2018
Walter Speller

"Abbigliato di una veste oro lucente. In prima battuta sensazioni di kumquat, mango e ananas, seguite da profumi di camomilla e refoli di pietra focaia. In bocca ostenta corpo e notevole freschezza, sfumando sapido e decisamente minerale. Durevole persistenza..." Quattro grappoli
Duemilavini - Bibenda 

"...Discorso diverso per Gli Eremi '10 dove l'acescenza ne omologa il tratto confondendo il varietale andando oltre il confine che noi riteniamo difetto"
Gambero Rosso

"Olfatto di personalità e complessità fuori dal comune, i profumi di erbe disegnano un ventaglio aromatico di rara purezza; bocca sfumata e ricca di dettagli, la profonda energia sapida è dissimulata da una succosità aggraziata, dal finale lungo". 18/20
L'Espresso 


domenica 19 ottobre 2008

Giudizi positivi

Dalla guida I vini d'Italia de L'Espresso:
"...Si consolida la personalità di alcuni produttori che urge aggregare al vertice della denominazione: Natalino Crognaletti e la sua Fattoria San Lorenzo, strenuo difensore del Verdicchio "di vigna"; come anche Corrado Dottori de La Distesa, carismatico paladino delle ragioni del vino naturale..."
E ancora: "Singolare figura di "contadino critico", con alle spalle solidi studi (e pubblicazioni) socio-economici, Corrado Dottori è un giovane vignaiolo, ma ha la consapevolezza di un veterano. Da una piccola parcella di vecchie vigne in contrada San Michele, firma alcuni tra i Verdicchio d maggiore persnalità oggi in commercio, ricchi di vibrazioni sapide ma sempre molto attenti alla naturalezza e alla bevibilità".
Giuro, non ho fatto alcuna marchetta... Il Terre Silvate 2007 si becca 17,5/20 e sale sul podio insieme a Natalino e a Bucci, mentre Gli Eremi 2006 prende 16,5/20 ed entra nella top ten. Il Nur 2006 si ferma a 15/20 che comunque è un buon punteggio. Al di là dei punteggi (continuo a pensare che le guide non dovrebbero esprimere punti o classifiche), mi fa molto piacere che l'apprezzamento del mio lavoro vanga da una guida che considero oggigiorno quella più autorevole e coraggiosa.
Un'altra bella recensione per Gli Eremi 2006 viene dalla giornalista Laura Rangoni (qui): 
"...Che piacevole sorpresa! È un verdicchio in purezza, con uve surmature poi maturato in legno. Sarà per questo che mi piace così tanto? Il legno? Il mio amato legno? Al naso subito avvolge con una profusione di fiori ed erbe aromatiche, tra le quali sembrano prevalere la salvia, alcuni dicono la menta. Io ci sento la pesca, magari, azzardando, la mela gialla (la Golden , mi fa notare Daniele). Al palato è rotondo, evoluto, ben strutturato, con un retrogusto di mandorla e vaniglia che impreziosiscono un’imponente vena minerale e mitigano il gesso, rendendo questo vino un’avventura affascinante e raffinata, anche per la notevole persistenza".