lunedì 19 aprile 2010

Il vino naturale ed il dominio della tecno-scienza.




Pare che d'improvviso tutti si siano accorti dei Vini naturali. Tutti a scrivere di filosofia "vinoverista", di biodinamica, di marketing del bio, di vininaturali dentro Vinitaly, fuori, a metà strada.
Assisto con interesse e preoccupazione al dibattito. Noto, soprattutto, gli attacchi, i distinguo, le critiche, le insinuazioni.
Una larga parte di produttori “convenzionali”, di commentatori vari, di giornalisti, di bloggers, sostiene che l’aggettivo “naturale” sia fuorviante, sbagliato, eccessivo.
La critica più forte è fondata su tre questioni interconnesse:
1) Il vino "naturale" non esiste, perché l'uva naturalmente o marcisce o diventa aceto.
2) L'atto agricolo stesso è "innaturale", poiché atto umano.
3) In ogni caso il riferimento a processi che limitano l’utilizzo della chimica deve restare nell’ambito di ciò che è normato dallo Stato (disciplinari del biologico).
Mentre i produttori "naturali" faticano a trovare un terreno comune di discussione, i loro "avversari" già sono in grado di affermare che il vino naturale è una falsificazione.
Trovo questa impostazione del problema facile e poco interessante. Nega, infatti, all’origine l’esistenza stessa del concetto di vino naturale. In questo modo si è risolto il problema, no?
E' esattamente l'approccio occidentale nel momento del trionfo della tecno-scienza, per dirla con Heidegger. L'uomo sta su un piedistallo, nuovo dio, e la natura è fuori da sé. Perfettamente conoscibile, modellizzabile, manipolabile.

Ma è proprio così? O questa è proprio la deriva da evitare, proprio la strada verso l'abisso?
Qui non c'entra nulla l'ecologismo radicale. E', invece, una questione ontologica. E' una questione esistenziale. Se cioé l'uomo stia “nella” natura e non “contro” o “sopra” la natura. Se debba abitare il mondo o se, invece, lo debba piegare alle prorie necessità.
Quando nasce il movimento per l’agricoltura biologica la prima rottura, immediatamente, è sulla visione del mondo, sulla filosofia della scienza, su un nuovo umanesimo. Non certo su quali e quanti prodotti si possano o non si possano utilizzare.
L’uomo è - esiste - in quanto agisce "nella" natura, in quanto parte dell'essere tutto. In questo senso non è affatto un caso che la biodinamica sia filosoficamente fondata (per quanto poi si possa avere una opinione critica sulla filosofia steineriana).
E’ partendo da qui, dunque, che si può e si deve rispondere in modo critico e dialettico alle tre questioni sopra esposte.

Veniamo alla prima. Innanzitutto è falso che, pressata l'uva, il mosto diventi naturalmente aceto.
L'acetobacter necessita di etanaolo, cioé di alcool. Dunque ogni acetificazione segue sempre una fermentazione alcolica. La quale avviene per una dinamica microbiologica naturale, per l'appunto. A me, cioé, pare vero, esattamente l’opposto di quanto si sostiene: nella fermentazione alcolica spontanea è la natura, è l’energia, è la vita. Dove interviene l'uomo? Nella decisione iniziale di pressare l'uva per farne vino, certo. L’uva non si pressa “da sola”. E poi nella corretta gestione del liquido, finita la fermentazione alcolica. Esaurita la carbonica, l’ossigeno inizia la sua azione destabilizzante, e l’uomo ha sperimentato nel tempo una serie di tecniche per frenarne l’azione.
Torniamo, allora, al punto filosofico. La contrapposizione fra tecnica e natura era presente già nei greci. Ma solo con l’uomo moderno diviene netta, come frutto di una visione schematica e tecno-scientifica dell'uomo.
Perché l'uomo decide di pressare l'uva e vinificarne il succo? Perché parte del proprio tempo, parte della propria esistenza, sono per l’uomo legate al piacere. Le bevande fermentate entrano nella storia come aspetto dionisiaco che costituisce, fonda l'uomo. Lo definisce, lo caratterizza ontologicamente. Si potrebbe dire che per sua natura l'uomo, perlomeno dagli egizi in avanti, trae giovamento, godimento materiale e spirituale, dal vino. Per-sua-natura. Cioé come fatto naturale, legato alla propria specie.
Se, dunque, esiste la possibilità di produrre naturalmente vino, senza alcuna aggiunta (ed è possibile, è sempre accaduto e sempre accadrà, si pensi ai famosissimi vini di Lesbo o Chios nell'antichità), per trarne quel godimento che è naturale-per-la-specie, ciò che resta aperto è il secondo problema, quello dell'”atto umano", cioé della tecnica. Agricola, in primo luogo. E di conservazione del liquido, in secondo luogo.

Ora, in natura anche i castori adottano una tecnica per costruire le proprie dighe. Anche i leoni adottano una tecnica di caccia. Anche i formicai sono costruiti secondo una certa tecnica. Eppure a nessuno verrebbe da dire che sono "innaturali". Anche l'ostetricia, oramai, è fatta di tecniche e procedure. Eppure usiamo ancora correntemente il termine "parto naturale", per distinguerlo dal parto cesareo, frutto di una chirurgia molto più invasiva.
Dire che l'agricoltura è innaturale, poiché frutto di scelte umane, è un colossale fraintendimento. E' un fraintendimento che nasce proprio dal fatto di immaginare l'uomo separato dalla natura. Dal fatto che ci pare più importante la storia recentissima rispetto all'intero della storia evolutiva umana.
L'agricoltura è parte integrante dell'evoluzione dell'uomo ed, anzi, fatto costitutivo dell'ultimo anello evoluzionistico. Non siamo più cacciatori-raccoglitori ma diveniamo agricoltori. E nei secoli sviluppiamo tecniche agricole. Certamente tali tecniche prevedono l'atto, l’intervento, umano. Ma perché considerarlo innaturale? Perché considerare innaturale seminare, addomesticare varietà, bonificare i terreni? Esattamente come l'orso aspetta i salmoni sul bordo del fiume e, con una certa tecnica affinata in milioni di anni, pesca, così l'homo erectus a un dato punto della sua storia evolutiva coltiva i campi per nutrirsi.

E dunque? E dunque la rottura sta quando l'uomo si distacca dalla natura in seguito al progresso scientifico, al capitalismo, allo sviluppo, all'industria. Quando cioé tecnica e natura smettono di dialogare, di relazionarsi. Quando la Tecnica, dopo la grande rivoluzione scientifica, si pone in posizione dominante. Quando si rompe, cioé, l'equilibrio naturale attraverso la forzatura industriale (I rifiuti, ad esempio, nascono con l’industria: in natura non esistono rifiuti). Parliamo degli ultimi 300 anni di storia umana, a stare larghi.
Qui iniziano i problemi. Qui si perde a strada. Qui si dividono i sentieri. Questa non è assolutamente una posizione luddista o anti-progressista. E’ solo una breve ricostruzione per ricordare che la fondazione del “biologico” avviene come reazione alla rottura del rapporto fra uomo e natura. Per sottolineare che ciò che è innaturale non è l'agricoltura, ma l'agro-industria. Ciò che è innaturale non è il vino, ma il vino costruito in laboratorio. Se non eliminiamo questa linea di demarcazione netta, come troppi tendono a fare, allora tutto diventa possibile.

Si viene, così, all’ultima questione. Perché, cioé, non è più possibile riferirsi al solo termine biologico e perché si sta diffondendo il termine "naturale". Non è furbizia. E' che con l'avvento dei disciplinari e della certificazione, di fatto, sono venuti meno i fondamenti stessi sui quali era poggiato il movimento bio. L’industria ci ha defraudato del termine. I disciplinati biologici e, in parte, biodinamici, poggiano oggi sulla stessa mentalità industrialista per cui ciò che conta sono le molecole, le quantità, i prodotti. E non il rapporto uomo-natura. Basta leggere il prossimo disciplinare dei "vini biologici" per capirlo.
"Naturale" è termine ambiguo, sono il primo ad ammetterlo. Eppure con le conoscenze attuali e nelle annate giuste si può fare vino senza null'altro che non sia uva. Così come in campagna si può fare una viticoltura sana e produttiva col solo moderato uso di zolfo e rame. Per quanto riguarda il rame molti vignaioli riescono a rimanere sotto i 3 kg. di rame metallo all’ettaro all'anno (0,3 grammi al meto quadro). Quantità che non lascia residui nel terreno.

Trovo, quindi, che non sia l'uso di una tecnica umana a negare la naturalità, bensì l’innaturale dispiegarsi della Tecnica rispetto ad un mondo della natura in cui l’uomo da semplice attore diviene dapprima protagonista, poi regista, infine produttore. Da questo punto di vista il dominio della tecno-scienza altro non è se non l'altra faccia della medaglia di ciò che Nietszche aveva chiamato "Volontà di potenza". Il novecento, con la sua follia atomica e superomista, non ci ha insegnato nulla. Ed in questo senso, io credo, va collocato il problema degli OGM, delle clonazioni animali, ecc.
Da questa prospettiva mi pare che si possa e si debba parlare tranquillamente di "vino naturale" e, semmai, dividersi e discutere sulla qualità di quel vino. Buono o cattivo. Ossidato, ridotto, pulito, espressivo, complesso, acetico e chi più ne ha più ne metta.
In conclusione credo che, in realtà, la moda di cui tanto si parla consista più nell'attaccare il vino naturale che nel vino naturale stesso.
Quando passeggio per le nostre campagne in aprile e maggio tutta questa moda naturale non la vedo: vedo soprattutto grandi macchie arancione-Round-Up.
Chissà a chi dà tanto fastidio il fatto che il vino naturale possa esistere?

lunedì 12 aprile 2010

Futuro imperfetto

Vini Naturali d'Italia - Manuale del bere sanoDi ritorno da Cerea. Varie domande in testa. Sul vino, sull'agricoltura, sul giornalismo. Sulla maratona. Sul futuro. Innanzitutto: dove va il movimento dei vini naturali (veri, bio, ecc.)?
C'è chi parla di implosione , dopo averne stimolato ed illuminato il percorso. E chi ci si butta a capofitto , dopo averne snobbato molti protagonisti.
E c'è chi, invece, con molta buona volontà ed ottimi risultati cerca di tracciarne un profilo. E' il caso di Giovanni Bietti che ha presentato, proprio a Cerea, il suo manuale. Non una guida ma una "cassetta degli attrezzi" ad uso di consumatori ed appassionati, per fare un pò di chiarezza sulla spinosa questione.
L'importanza del volume è innanzitutto teorica. Il fatto che ora esista un manuale sui vini naturali (qualche volume in francese già c'era, per la verità) sgombera il campo dal primo grande equivoco, quello cavalcato da chi sostiene che "i vini naturali non esistono" (esisterebbe solo l'aceto). No, il vino naturale esiste. Ed è definito secondo alcuni criteri molto bene esposti.
In secondo luogo questo primo volume, dedicato al centro Italia, oltre a presentare alcuni dei protagonisti di questo mondo, è importante perché affronta di petto alcune questioni essenziali: gli additivi enologici, la questione della solforosa, l'aspetto centrale della digeribilità e bevibilità dei vini naturali.
Ma allora dove va il movimento dei vini naturali? C'è chi dice dentro a Vinitaly. Non so. La voce girava già lo scorso anno. Ne avevo anche scritto. Non sarei contrario a priori, a patto di riuscire prima a trovare un terreno comune, una identità condivisa, un percorso unitario (pur con tutte le legittime diversità di vedute).
A parte le divisioni in gruppi ed associazioni, si assiste ad una fastidiosa reclusione autoreferenziale dentro un recinto. C'è indubbiamente la corsa ad auto-proclamarsi "quelli bravi". C'è anche sicuramente qualche spinta un pò fighetta verso una dorata, e pericolosa, torre d'avorio. Non credo, però, che partecipare a Vinitaly sia "La" soluzione. Anzi. La sistemazione di quest'anno mi è parsa molto bella, funzionale, attraente. Ed anche con notevoli potenzialità di espansione, se questa fosse la volontà.
Quello che so è che i vini presenti a queste fiere sono sempre più buoni. Di VinoVinoVino2010 faccio solo alcuni nomi: il veracissimo Chianti Le trame 2007 di Giovanna Morganti; i vini finissimi di Cascina delle Rose, in particolare mi ha colpito il Barbaresco Tre Stelle 2007; lo stupendo Le vieux clos 2006 di Nicolas Joly, salino, dominato da sentori elegantissimi di frutti di mare; il bevibilissimo Morgon 2007 di Foillard; tutti i borgogna bianchi di Pierre Morey; tutti i vini di Beppe Rinaldi.
Il futuro non si sa. Non so se correrò un'altra maratona, ad esempio. Bene a Milano, tutto sommato. Considerando l'allenamento risicato, i tre giorni di fiera, il freddo al via ed il vento contrario per buona parte della gara. Ho chiuso in 3h54m51s cioé un minuto sotto il mio personale. La sensazione era, ed è, che avrei potuto fare decisamente meglio se non mi fosse venuto un dolore al ginocchio sinistro già intorno al 13 km. Ho cercato di gestire al meglio la corsa e il dolore. Ovviamente, però, l'azione e la postura ne hanno risentito. Poi, al 39°, si è spenta la luce ed arrivare è stato veramente molto difficile.
Lasciar perdere sapendo di potersi migliorare ancora è dura. Ma l'impegno di una corsa del genere è davvero davvero molto grande.

mercoledì 7 aprile 2010

Vini Veri

Ci vediamo da domani a sabato a Cerea (Verona) per la fiera Vini Veri. Per info: www.viniveri.net

venerdì 2 aprile 2010

Agriturismo nelle Marche? Sì grazie...

Se state progettando un week-end fuori porta o una vacanza estiva in una regione ancora poco conosciuta, ed ai margini del gran turismo di massa, la Regione Marche è ciò che far per voi. E se venite nelle Marche mi pare una scelta obbligata soggiornare a La Distesa.
Siamo infatti nel cuore delle Marche, a un'ora e mezzo d'auto sia da Urbino che da Ascoli, i due gioielli urbanistici della regione; a dieci minuti dalle Grotte di Frasassi, le più belle d'Italia e dal Parco della Gola della Rossa dove è possibile passeggiare ed arrampicare; e poi Gubbio e Assisi, le spiagge di Senigallia e Portonovo, le rocche ed i Castelli di Jesi, gli eremi e le abbazie sparse nel territorio; per non parlare del Verdicchio e dell'ottima offerta eno-gastronomica.


La struttura offre diverse soluzioni per il soggiorno: gli appartamenti Sant'Urbano, Sant'Elena e La Romita, ampi e confortevoli, completi di bagno e cucina ed in grado di accogliere 3/4 persone ciascuno; l'appartamento Esinante, dalla caratteristica architettura rurale marchigiana, in grado di ospitare 4/5 persone, suddiviso in due camere da letto, bagno, cucina e soggiorno con grande camino colonico.
Le strutture de La Distesa comprendono una sala comune per letture e svago completa di TV satellitare, una sala degustazioni dove consumare le colazioni e, nei fine settimana, merende, aperitivi o cene a base di prodotti del territorio. Una piscina privata, ad uso esclusivo dei clienti, completa l'ospitalità agrituristica de La Distesa.
Su richiesta organizziamo tour enologici e corsi sul Verdicchio e sul vino in generale. Che volete di più?
Sul sito www.ladistesa.it trovate prezzi ed altre informazioni.