lunedì 26 maggio 2008

Lungo il grande fiume - Parte quarta


Dopo molto tempo termina il racconto del viaggio lungo il Rodano di due anni fa. L'ultima parte riguarda i vini della parte sud della Cote du Rhone.

MARCEL RICHAUD – Cairanne.
Alcuni di noi conoscevano già questo vigneron, avendolo incontrato alla bella manifestazione di Fornovo Taro nel 2004. Oltre ad essere un ottimo produttore Marcel Richaud è anche animatore di una associazione molto interessante, Les Toqués des dentelles. Si tratta di un gruppo di vignerons del sud della Cote du Rhone, nelle sue diverse denominazioni, uniti da una comune etica da “contadini-viticoltori”. Orientata a fare una agricoltura sana e naturale, questa associazione è una delle tante espressioni di vitalità che il settore vitivinicolo francese dimostra di avere a livello di piccole aziende, vignaioli e contadini che tentano di reggere il monopolio dei grandi chateaux e negociants attraverso una offerta diversificata, di qualità spesso estrema e legata alla naturalità della coltivazione e della trasformazione.
In particolare i vini di Richaud ci hanno colpito per la loro essenza non omologata e singolare. La forzatura delle maturazioni porta a vini iper-concentrati che, certamente, non sono dalla beva facile, ma che esprimono molto bene le caratteristiche dei principali vitigni presenti nella zona: grenache, syrah, mourvedre e carignan. Il fatto che i vini più “facili” fossero esauriti ha, però, certamente rinforzato tale sensazione.

CAIRANNE ROUGE 2005.
E’ un assemblaggio di differenti vigneti con una età che va dai 40 ai 70 anni. La resa media è di 35 hl. a ettaro. L’elevazione avviene per il 20% in cemento e per l’80% in barriques e tonneaux mai nuovi. Il colore è un rosso denso, violaceo. Al naso emerge subito una vena alcolica possente che conduce sentori di inchiostro, grafite, pepe bianco, peperoncino. Prendendo aria si apre su toni di frutta rossa matura e cioccolato. In bocca è denso, grasso, molto caldo. I tannini sono larghi e impetuosi.

L’ESBRESCADE – CAIRANNE ROUGE 2004
Questo è il vino di punta di Richaud. Proviene esclusivamente da un vigneto singolo posto fra Cairanne e Rasteau con rese di 25 Hl. a ettaro. Il colore è un rosso scuro, quasi impenetrabile. L’olfatto è complesso, dominato anche qui dalla potenza dell’alcool (15,5%) e da sensazioni quasi liquorose di marmellata di amarena e cioccolato fondente cui seguono note spezie e affumicate tra le quali si fa strada il peperoncino verde, tipico di molte grenache che abbiamo assaggiato. In bocca è potente, largo, molto tannico ma i tannini sono precisi e maturi. La persistenza è lunghissima, così come imponente è il calore generato da ogni sorsata. Un vino da meditazione e da lungo invecchiamento dove la Mourvedre gioca un ruolo importante con la sua carica tannica.

CAVE DE CAIRANNE – Cairanne.
La visita a una cantina cooperativa è sempre importante per capire la qualità media di un territorio, la capacità di una denominazione di esprimere il suo potenziale e i vitigni che la caratterizzano. In questo senso la Cantina di Cairanne è un buon esempio di cooperativa in grado di svariare da prodotti di largo consumo e bassi prezzi a prodotti di qualità media fino a riserve dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Il “Percorso Sensoriale” offerto ai visitatori è un po’ troppo costruito per visitatori americani o giapponesi ma mostra come l’attenzione al turismo viticolo e alla clientela privata sia in Francia patrimonio anche delle realtà più commerciali.
Ci hanno colpito nella vasta panoramica di vini assaggiati l’estrema pulizia e precisione, specie olfattiva e una bevibilità mai banale ma espressiva dei caratteri varietali dei vitigni. In particolare il Cairanne blanc 2005, fresco e piuttosto fine nella sua nota dominante di mela verde, il Cairanne rouge 2004 La Réserve Camile Cayran con sentori nitidissimi di frutti di bosco, derivante per un 20% da macerazione carbonica, e dalla buona sapidità.

LES SALYENS - Cairanne 1999
Il colore è un rosso rubino con riflessi mattone. All’olfatto si presenta con sentori tipici di frutta rossa matura. Con l’aria vira verso sensazioni più acri, di erbe aromatiche. Poi di fiume e terra. In bocca è sapido, serrato, non lungo ma piacevole. La chiusura è quasi minerale, di pietra focaia che ritorna all’olfatto come cenere, sigaro e zolfo. Ma è anche la solforosa a essere forse un po’ troppo evidente. Un ottimo rapporto qualità/prezzo.

CHATEAU MONT REDON
Si tratta di un classico chateau francese, produttore di grande quantità ma di fama discreta. I vini bianchi ci hanno deluso notevolmente denotando solforose troppo evidenti, banalità espressiva, ed una scarsa finezza generale. I rosé sono risultati decisamente migliori, specialmente il Lirac 2005, ancora un po’ chiuso ma decisamente minerale. Sono i rossi a rimettere le cose a posto. A cominciare dal Cote du Rhone 2004 pulito, dai netti sentori di fragola, dalla sapidità piacevolissima. Per continuare con il Lirac 2004 dove sentori più animali di grasso e di prosciutto si fondono con la frutta rossa. Per arrivare agli Chateauneuf du Pape. Vini austeri, classici, affidabili. Quello che ci si aspetta dalla denominazione e dal marchio. D’altronde lo stesso Didier Fabbre afferma che “la filosofia dell’azienda è quella di cercare di fare vini sempre uguali a se stessi”. Non seguire l’annata, quindi, ma tentare di imporre sempre il proprio stile.
Se è vero che il rischio, evidente, è quello di produrre vini meno sorprendenti rispetto ad altri, certamente però non si può parlare di omologazione ma di una strada attraverso la quale Chateau Mont-Redon tenta di esprimere le caratteristiche salienti del territorio. E’ attraverso i tagli fra le differenti parcelle, i dosaggi dei differenti vitigni secondo uno stile bordolese e l’uso anche di legni nuovi che tale via si manifesta. Non vi è originalità ma il risultato sono vini che probabilmente non deludono mai e che in una cena cui si è invitati possono piacere certamente a molte persone.

CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
Un vino che all’inizio sembra essere già in fase discendente. Invece con l’aria si apre su sentori di visciola che si fanno via via più balsamici, quasi mentolati. In bocca è rotondo, armonico, molto pieno. I tannini smentiscono la sensazione iniziale e impongono la loro presenza in mezzo alla bocca. Il finale è lungo e riporta sensazioni di sottobosco, di cuoio, di foglie umide e ancora di amarena. Un vino davvero buono.

CHATEAUNEUF DU PAPE 1999
L’attacco è di ciliegia sotto spirito cui seguono sensazioni fluviali e terrose. Molto complesso e austero al naso, al palato risulta molto morbido e concentrato. Poi esce una vena minerale indefinibile, quasi di idrocarburo. I tannini sono maturi, perfetti. Con l’aria le sensazioni olfattive dominanti di amarena virano su note di tartufo e, ancora, di terra. Un altro classico. Un vino che è probabilmente al suo apice.

CLOS DU MONT OLIVET
Questa azienda di medie dimensioni fa in qualche modo da contraltare alla precedente. Si tratta di una famiglia di viticoltori da molte generazioni che tenta con ogni nuova generazione di rinnovarsi sebbene nel rispetto delle tradizioni. I vini sono quindi coraggiosi e moderni ma senza alcun cedimento al gusto internazionale. E’ soprattutto la grenache a brillare, con interpretazioni che ne esaltano le caratteristiche di vitigno del sud, caldo e potente ma che riesce ad esprimersi, soprattutto con l’evoluzione, attraverso una nitidezza olfattiva stupenda, anche per la totale assenza di sentori di legno tostato. E’ soprattutto con l’assenza di diraspatura in una certa percentuale del pigiato (ma si è arrivati anche al 100%) che si tenta al tempo stesso di lavorare sui tannini e di immettere una dose di complessità che risulta sempre più evidente con la terziarizzazione.
Il risultato finale sono vini “sudisti”, a volte duri, ma sempre intriganti e puliti, frutto di una “mano” enologica non invasiva ma che, specie all’olfatto, tende a orientare verso la finezza una materia sempre densa e concentrata. In questo senso anche vini più semplici emergono come esempi di una eleganza che riesce a dominare sostanze alcoliche e strutture tanniche a volte davvero imponenti. Lo Chateauneuf bianco 2005 si è presentato equilibrato, piuttosto fresco e dotato di una mineralità ancora solo accennata. La morbidezza si conferma nota dominante ma in modo meno banale che per altri bianchi del Rodano e con una pulizia olfattiva notevole. Stessa caratteristica riscontrata nel Cotes du Rhone 2004 da vecchie vigne con sentori di fragola e cannella nitidi ed eleganti; in questo caso la bocca viene chiusa da tannini molto buoni che lasciano indovinare una nota verde tutt’altro che fastidiosa o banale. Una caratteristica, che ritroveremo nei vini più importanti, della grenache noir di questa azienda e di questi luoghi.
Una valutazione complessiva non può non rimarcare come questa azienda aperta al mercato internazionale, specie americano, e con ottime valutazioni da parte del “guru” Robert Parker resti ben ancorata ad una visione tradizionale dei vitigni e del territorio. Una lezione che molti, in Italia e non solo, dovrebbero apprendere.

CHATEAUNEUF DU PAPE ROUGE 2004
L’attacco al naso è dominato all’inizio da note un po’ chiuse di fiume e terra umida. Vi è una nota verde molto elegante, una speziatura che tende verso il peperoncino. Appare ancora molto giovane. Anche al palato dove i tannini, sebbene non astringenti, sono davvero molto presenti. La chiusura è lunga e dritta. Prosciuga la bocca ma lasciando una sensazione di grande freschezza. E’ un vino ancora molto giovane che acquisterà valore dopo la degustazione delle annate successive.

CHATEAUNEUF DU PAPE 2003
Un vino con più frutto del precedente in cui le note di confettura sono bene integrate in una nota alcolica molto presente ma non fastidiosa. Ma sono poi note di resina, di chili, di peperoncino a dominare l’olfatto mostrando la grenache nella sua tipicità più piacevole. I tannini sono molto presenti insieme ad una concentrazione possente. Ma il vino non è mai stucchevole o eccessivamente morbido, anzi le note “verdi” si dimostrano quasi balsamiche (le ritroveremo nell’annata 1996 come splendide sensazioni di legno di ebano e di cedro).

CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
I colori nei vini di questa azienda sono dei rossi rubini accesi e integri ma non eccessivamente fitti, a dimostrare un certo predominio della grenache su sirah e mourvedre. Al naso il 2001 si offre subito con sentori di legno di cedro, di resina, di frutti rossi aspri come il ribes o l’uva spina. Nuovamente emergono elegantissimi sentori verdi di spezie, di rosmarino, ginepro e, più in generale, di quella garrigue (macchia mediterranea) che risulta la quintessenza della grenache dello Chateauneuf du pape. In bocca è molto concentrato, austero, mai morbido. I tannini sono maturi, sebbene nella chiusura conducano sempre verso sensazioni verdi, mai vegetali ma balsamiche e sapide. E’ un grande vino con più di dieci anni davanti.

lunedì 19 maggio 2008

Maledetta primavera

Una fioritura incredibile degli ulivi ed una notevole quantità di "uva" sulla vite caratterizzano questa primavera più fredda del solito.
Sto leggendo la biografia di Pancho Villa, scritta da Paco Ignacio Taibo II (libro lunghissimo ed un pò noioso); sto ascoltando Warpaint dei Black crowes (in CD perché alla fine il vinile non è arrivato); sono incazzatissimo per una serie di ragioni che prima o poi scriverò; sto lavorando troppo e male; lo scudetto è andato all'Inter.
Eppure l'altra sera mi sono ritrovato nel meraviglioso piccolo teatro di Osimo ad ascoltare Steve Earle in acustico. E quando mi ha sparato Goodbye, pezzo incredibile da Train a comin' del 1995, tutto quanto mi pareva pieno di senso e bellezza; tutti i casini, i problemi, le contraddizioni mi sono apparsi per ciò che sono: piccoli accidenti poco importanti di fronte alla poesia di una pancia che si muove, di una vita libera e autentica, di una musica che per 5 minuti di ti fa dimenticare la realtà e ti trascina nel mondo dei sogni e dei desideri.
But I recall all of them nights down in Mexico
One place I may never go in my life again
Was I just off somewhere just too high
But I can't remember if we said goodbye"

mercoledì 14 maggio 2008

Extraparlamentari

Sono serviti molti giorni per maturare le prime reazioni alla batosta elettorale della sinistra alle recenti elezioni. Nel frattempo si sono lette interpretazioni, pensieri e contributi di ogni tipo e provenienza.
Passata la bufera mi sento di poter dire che va bene così. Perlomeno "il popolo" ha fatto una scelta chiara. La cosa peggiore sarebbe stata l'ennesimo pareggione. E poi la sinistra extraparlamentare ha sempre avuto su di me un certo fascino.
Ciò con cui ci si deve confrontare è il fatto che la società italiana è sempre stata di centro-destra. Le poche esperienze di centrosinistra che questo paese ha avuto non hanno mai rappresentato il ventre molle della società (e per questo non incisero come avrebbero voluto). Nei governi di centrosinistra degli anni sessanta, infatti, il PSI di Nenni era comunque subalterno alla Democrazia Cristiana di Fanfani e Moro. Mentre nel 1996 Prodi vinse esclusivamente perché la Lega non si alleò con Berlusconi, altrimenti, nonostante la desistenza con Rifondazione, il centrosinistra sarebbe stato ancora all'opposizione.
Le elezioni del 2006 sono state un caso a parte. Il sostanziale pareggio fu il risultato di cinque anni di malgoverno del centrodestra e di una forte opposizione sociale a quanto stava succedendo in Italia e nel mondo, inclusa la guerra in Iraq. Ma quel sostanziale pareggio elettorale ottenuto con una alleanza che andava dai trozkisti a Dini non garantiva alcun possibile futuro politico al centrosinistra. Dico questo prescindendo da ogni ragionamento, ormai inutile e noioso, sulle colpe e gli errori di questa o quella componente del governo.
La realtà, quindi, è che la sinistra in questo paese, che sia radicale o che sia riformista, resta minoritaria. Quello su cui è necessario interrogarsi è quale lezione trarre da questo fatto. Ed è su questo che molto probabilmente la sinistra continuerà a dividersi. Eppure, a questo punto, dopo una sconfitta senza appello, serve davvero una profonda riflessione sul futuro. Rallegrarsi di una sinistra radicale ormai extraparlamentare non aiuta; così come non aiuta polemizzare sul mancato sfondamento al centro del PD.
Le recenti elezioni inglesi dimostrano che ormai in tutta Europa, Spagna esclusa, la destra attrae vaste fasce di popolazione. E' sulla risposta a questa onda che la sinistra europea deve interrogarsi. Poiché la crisi del labour, iniziata con il forzato abbandono di Tony Blair prima della fine del suo mandato, è la crisi di una certa idea di sinistra. Di una sinistra che pare non essere più in grado di avere una visione progressiva del mondo. Che si limita a gestire l'esistente con l'idea, legittima, ma di fatto in questo momento perdente, che basti apportare qualche modifica, le famose riforme, a un sistema giudicato nel suo complesso corretto e giusto. Ma il sistema economico e sociale attuale è giusto? Funziona correttamente? E' il migliore possibile?
In realtà il problema è tutto qui, e non è un problema da poco. Di fronte alla globalizzazione, a processi internazionali dirompenti, al pensiero unico, ai focolai di guerra che si accendono ovunque, la sinistra non ha più una risposta credibile. Anzi, si è diffusa l'idea che la globalizzazione sia in qualche modo un fatto voluto e guidato dal centro-sinistra. E non è un pensiero del tutto errato se pensiamo alla metà degli anni novanta ed alle politiche di Clinton, di Schroeder, di Prodi, di Jospin. Da questo punto di vista il programma del Partito Democratico alle ultime elezioni era inquietante, poiché di fronte all'idea tanto sbandierata di "innovazione" altro non si celava se non la riproposizione di modelli già sperimentati. Ora a quell'idea genericamente riformista di mondo la società volta le spalle, spaventata dalla messa in crisi dei livelli di benessere raggiunti grazie alla crescita economica della seconda metà del novecento. E' una sindrome tipica delle società ad alto livello di sviluppo che si chiudono a riccio contro gli "invasori": l'Islam, i cinesi, gli esclusi, i diversi in genere. I nuovi barbari che si avvicinano all'Impero.
La destra vince rispolverando i propri classici pezzi da novanta: il protezionismo, la sicurezza, un nazionalismo che si tenta di accoppiare ad un localismo identitario, l'uso della forza, la competizione, lo Stato etico e, dunque, basato sulle radici cristiane. Il classico canovaccio di una destra conservatrice e, al contrario di quanto si pensi, radicale, non certo moderata.
Quella che vince, infatti, non è una destra moderata. Vince una visione che vuole una politica forte e misure radicali. Si vuole una politica che attacchi le logiche della "società aperta". Se non si capisce questo non si capisce il collante che tiene insieme la nostra destra. Rutelli, l'ultra moderato, che perde con Alemanno, ex giovane fascista, è l'emblema di tutto questo. L'emblema di una sinistra che a forza di rincorrere il centro ha perso tutti suoi riferimenti.
A questo punto non ci resta granché. La sinistra radicale, incapace di cambiare linguaggio e prospettive, è di nuovo extra-parlamentare. E ritorna fuori dal parlamento proprio quando molte delle teorie che aveva elaborato negli anni settanta (la fine del fordismo e dell'operaio-massa, ad esempio) si sono verificate corrette. La sinistra riformista, invece, vede cadere la propria guida spirituale, quel new labour che era la sua stella cometa. E si accorge che la vocazione maggioritaria significa che due/terzi degli italiani non la votano. Nel frattempo i movimenti, il loro entusiasmo, la loro capacità di creare pensieri e pratiche alternative, sono stati spazzati via da un riflusso che appare inarrestabile. E così, in questo clima, mentre l'orrendo stupro nella capitale è un fatto di "sicurezza" che decide una campagna elettorale, il pestaggio a sangue di un giovane ragazzo da parte di giovani neo-nazi passa come un fatto di cronaca. In una città, e in una regione, dove questi fatti si ripetono da tempo. Dove il primo gesto del sindaco leghista è stato sgomberare un centro sociale, eseguendo quanto già programmato dal precedente sindaco ulivista. Secondo la logica consueta per cui la sicurezza implica necessariamente la limitazione di ogni dissenso. Con una coerenza disarmante.
Per ricostruire la sinistra ci vorrà tempo. Ci vorranno energie. Ci vorranno persone in grado di evitare personalismi e nuove ideologie. La cosa peggiore sarebbe quella di pensare di aver fatto tutto al meglio. Le prime mosse del PD, da questo punto di vista, fanno spaventare, così come la "costituente comunista" immaginata da qualcuno. Si dovrebbe incominciare, invece, a rimettersi in discussione. Magari osservando che a Roma si è perso ed a Vicenza, cuore del Veneto leghista, si è vinto. Magari ragionando su un passato che vedeva una sinistra parlamentare ed extra-parlamentare minoritarie nel paese ma capaci di vincere grandi battaglie sociali, di influenzare il dibattito politico, di essere egemoni nella cultura, sulla base di una critica feroce al potere ed al modello socio-economico dominante.

martedì 6 maggio 2008

Musica Distesa

Ci siamo. Il cast di Musica Distesa 2008 è ufficiale. Rispetto allo scorso anno proviamo ad aggiungere una serata. Musicalmente abbiamo preventivato più varietà, con contaminazioni afro, cantautorato raffinato, folk-rock sperimentale e jazz progressivo. Sempre all'insegna della "distensione". Buoni vini, buona birra, grigliate, massaggi e tuffi in piscina. Una figata simile merita una visita. Per partecipare al meglio alla rassegna è possibile acquistare il pacchetto completo MUSICA DISTESA a 130 euro a persona: include tre notti con prima colazione in una delle strutture ricettive locali e le cene del 13, 14 e 15 giugno. Per info scrivete a: distesa@libero.it. Visitate il sito http://www.cupramontana-accoglie.it/ per avere maggiori informazioni sulle strutture di accoglienza. A breve on-line anche il myspace della rassegna: www.myspace.com/musicadistesa
Ecco il programma completo:
Venerdì 13 giugno
Ore 17.00 Apertura stands eno-gastronomici.
Ore 18.00 Inaugurazione Rassegna
Ore 19.00 Degustazione guidata di Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Ore 20.00 Cena.
Ore 22.00 ANIMA EQUAL (Cingoli) in concerto.
Ore 23.30 DJ set

Sabato 14 giugno
Ore 14.00 Piscina, calcetto, relax
Ore 16.00 Seduta di massaggi.
Ore 17.00 Apertura stands eno-gastronomici.
Ore 18.00 Aperitivo
Ore 20.00 Cena.
Ore 21.00 ALESSANDRO GRAZIAN (Padova) in concerto.
Ore 22.30 GNUT (Napoli) in concerto.
Ore 24.00 DJ set.

Domenica 15 giugno
Ore 14.00 Piscina, calcetto, relax
Ore 14.30 Seduta di massaggi.
Ore 15.30 Apertura stands eno-gastronomici.
Ore 16.30 Tavola rotonda: Turismo in Vallesina.
Ore 18.00 Reading di poesia.
Ore 19.00 INSTABILE JAZZ QUARTET (Ascoli) in concerto.
Ore 20.00 Cena.
Ore 21.00 JAM SESSION DI CHIUSURA.