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martedì 24 dicembre 2024

La fine del 2024

 Tutta la comunità distesa augura ad amic*, client* e compagn* un sereno Natale e un 2025 pieno di energia e soddisfazioni. Veniamo da un anno per noi molto faticoso, sulla scia di un 2023 difficilissimo. Abbiamo seguito i vigneti come non mai, con attenzione e ansia. Tutta la squadra si è impegnata al 200% in una stagione complessa e una vendemmia lunghissima. 

L'inverno è stato caldo e secco e ha causato germogliamento e fioritura anticipati. La primavera è stata regolare con la giusta quantità di pioggia segnata da un lavoro enorme di potatura verde. Le viti erano bellissime con una grande spinta e piene di uva. Forse il fatto che l'anno scorso le piante non avessero praticamente prodotto ha fatto sì che accumulassero più riserve per quest'anno. Fino a giugno abbiamo lasciato crescere vigoroso il sovescio: favino, senape, orzo e veccia hanno accompagnato la spinta vegetativa delle viti. Luglio e agosto sono stati estremamente caldi e completamente senza pioggia. Alcune zone dei vigneti hanno sofferto e abbiamo dovuto raccogliere alcune uve molto presto perché scottate. Lo stress idrico ha bloccato la maturazione delle uve: un anno che sembrava molto precoce alla fine è stato uno dei più lenti degli ultimi anni. Poi, con l'inizio di settembre, sono arrivate delle piogge molto belle che hanno gonfiato l'uva.

È stata una vendemmia gioiosa. Abbiamo raccolto molta uva, molto sana e con un'ottima acidità. L'alcol quest'anno è molto più basso del solito. Avremo vini leggeri e freschi, molto facili da bere ma i Cru saranno anche vini complessi grazie alla bella acidità che garantirà un'ottima evoluzione nel tempo. Ora aspettiamo i processi di ossidoriduzione legati alle fecce fini per arricchire i vini durante l'inverno.

Torneremo a imbottigliare tutte le nostre etichette e molto probabilmente usciremo con un paio di nuovi vini: progetti che avevamo in mente da molto tempo e che finalmente vedranno la luce. 

Intorno a noi vediamo un mondo senza pace, lacerato, inquieto e inquietante. Nuvole scure sembrano addensarsi nel mondo del vino, tra crisi generale del settore, evidente reflusso anti-naturale e grande disorientamento degli appassionati.

Il nostro augurio è quello di fare comunità, inseguire una qualche forma di serenità e continuare a stappare qualche buona bottiglia in compagnia, sognando una t/Terra sana ed accogliente.

Corrado e Valeria    

The entire La Distesa community wishes to friends, clients and companions a peaceful Christmas and a 2025 full of energy and achievements. We come from a very challenging year, in the wake of a very difficult 2023. 

We worked on the vineyards like never before, with attention and anxiety. The entire Distesa team committed 200% in a complex season and a very long harvest. 

The winter was hot and dry and caused early budding and flowering. Spring was regular with the right amount of rain and was marked by a huge amount of green pruning work. 

The vines were beautiful with a great push and full of grapes. Perhaps the fact that last year the plants had practically no production caused a storage of reserve for this year. 

Until June we let the green manure grow vigorously: broad beans, mustard, barley and vetch accompanied the vegetative push of the vines. July and August were extremely hot and completely without rain. Some areas of the vineyards suffered and we had to harvest some grapes very early because they were sunburned. 

Water stress blocked the ripening of the grapes: a year that seemed very early, in the end was one of the slowest and longest in recent years. Then, with the beginning of September, some very nice rains arrived that swelled the grapes.

It was a joyful harvest. We harvested a lot of grapes, very healthy and with excellent acidity. The alcohol this year is much lower than usual. We will have light and fresh wines, very easy to drink but the Crus will also be complex wines thanks to the good acidity that will guarantee an excellent evolution over time. Now we await the oxidation-reduction processes linked to the fine lees to enrich the wines during the winter.

We will return to bottle all our labels and we will probably release a couple of new wines: projects that we have had in mind for a long time and that will finally see the light.

Around us we see a world without peace, torn, restless and disturbing. Dark clouds seem to be gathering in the world of wine, between the general crisis of the sector, evident anti-natural reflux and great disorientation of enthusiasts.

Our wish is to create a community, pursue some form of serenity and continue to uncork some good bottles in good company, dreaming of a healthy and welcoming Earth.

Corrado and Valeria

venerdì 8 gennaio 2021

Sulla moda degli Orange Wines

Ho iniziato a sperimentare le macerazioni di uve bianche nel 2003/2004. Ero ovviamente esaltato dai primi assaggi di vini che mi apparivano rivoluzionari. Gravner, Radikon, Damijan, Zidarich. E poi La Stoppa e Maule. Comprai anche un'anfora e insieme ad Alessandro Fenino (Pievalta) facemmo un esperimento di macerazione di tre mesi di uve Verdicchio di una vigna che seguivamo nei fine settimana. A ripensarci oggi mi viene da sorridere. Il vino alla fine non ci piacque granché.

Andai avanti con gli esperimenti fino alla nascita del Nur. Quando nacque, nel 2006, qui in zona la tipologia era una novità assoluta. Ma, si sa, io ero quello strano. Quando nel 2010 la guida de L'Espresso lo premiò con l'eccellenza fu una cosa piuttosto straordinaria perché fino ad allora qui venivano considerati solo i Verdicchio classici, quelli moderni, color paglierino chiarissimo e verdolino. Figuriamoci un vino a maggioranza Trebbiano che si presentava color ambra! 

Oggi gli Orange Wines sono esplosi come moda planetaria. Se ne fanno in tutto il mondo e con tutti i vitigni. Il bel libro di Simon Woolf "Amber revolution" ha contribuito a far uscire dalla "nicchia" una tipologia che partendo dalla sua patria di elezione, la Georgia, aveva stimolato un ritorno alle origini in luoghi come il Carso e il Collio sloveno e italiano dove macerare a lungo le uve bianche sulle bucce era stata una tradizione consolidata.


Oggi, esattamente come all'epoca della barrique o dei vini rossi super concentrati degli anni novanta, gli Orange Wines sono diventati "the next big thing", tanto che oramai anche grandi aziende cominciano ad ampliare la gamma inserendo vini banchi macerati. Molto spesso ciò accade prescindendo dalla qualità intrinseca (esattamente com'era successo per certe spremute di legno di un tempo non lontano): prevale cioè il segno, il significante, l'immaginario. Sono i nostri tempi. In cui quasi mai il "valore" corrisponde al reale bisogno, al prezzo o alla qualità. Lo spiega molto bene questa lucida analisi sul concetto di valore dal sottotitolo "Forme dell'attuale da Marx ad Appadurai": "L’iperrealismo, o l’ipercapitalismo, non rappresentano altro in Baudrillard che il momento del superamento dell’analisi marxiana del capitalismo storico, nella misura in cui – nell’ultimo ordine di simulacro – ciò di cui ne va è dell’aggancio a ogni valore referenziale: sia esso il bisogno naturale, il bene o il valore d’uso... Ed è qui che la moda, compimento dell’economia politica, rivela l’ultimo stadio di evoluzione della merce, nella sua passione suicidaria per un passato sempre da resuscitare. La moda: l’assenza del bisogno naturale e la pura seduzione della combinatoria dei segni linguistici e monetari."

L'esplosione della moda degli Orange è l'ennesima dimostrazione di questa dinamica: puntare sullo stile produttivo e sull'immaginario, più che sul territorio. Ciò che conta diventa solo il colore! L'arancio, l'ambra. (Il segno). Perché in effetti, a parte quello, nel calderone dei macerati bianchi oggi c'è la qualunque. E a pensarci bene non potrebbe essere diversamente: chiedere un Orange, come sempre più sento fare, è esattamente come chiedere "dammi un rosso" oppure "dammi un rosato". 

E quindi di colpo nei Castelli di Jesi ci sono un sacco di macerati di uve Verdicchio. Naturali e soprattutto non. E va bene così, se non fosse che la sensazione netta sia quella, come sempre, che in questa regione si insegua sempre il mercato, si arrivi sempre "dopo" e in modo distorto. Finendo semplicemente col fare dei vini di cui non si sentiva la mancanza.

Di fronte a tutto questo si potrà pensare: qual è il problema? In teoria nessuno. E infatti anche 'sticazzi! se avessimo una critica e un mercato capaci di districarsi tra l'apparenza e la realtà, tra la verità e la finzione... Ma così non è. E dunque quando si parla di vini "Orange" si fa strada una gran confusione.

Innanzitutto - siccome i primi bianchi macerati erano dei vini naturali - oggi chi ordina un orange lo fa immaginando per forza di cose che stia ordinando un vino naturale. Ma la moda ha portato aziende che naturali non sono a produrre dei bianchi macerati lavorati da vigne convenzionali e con vinificazioni convenzionali. E poi, mentre nella prima fase era piuttosto chiaro cosa aspettarsi da un "arancione", oggi anche a livello gustativo le cose si sono mischiate parecchio: i tecnici che prima rifiutavano l'idea stessa di una macerazione in bianco ora hanno iniziato a "gestirla", riportando nei canoni un'idea produttiva che era nata come libera e selvaggia.

La speranza è che lentamente torni un po' di chiarezza e che, una volta passata la moda, ci restino vini piacevoli da bere e coerenti col proprio territorio: vini accomunati solo dal colore ma che siano in grado di esprimere la complessità dei suoli, dei climi, dei vitigni, delle fermentazioni spontanee, delle vinificazioni naturali. Insomma: dei grandi vini.

mercoledì 20 febbraio 2019

Natura ibrida e vino meticcio

Il Meticcio è il nostro rosato.
Si tratta di un vino particolare, nato principalmente da una suggestione di Valeria: era l’estate del 2015 con l’emergenza degli sbarchi, con l’impennata dei richiedenti asilo, con la gigantesca fuga dalla guerra in Siria. Guardavamo al dibattito in corso, che anticipava quello diventato egemone attualmente, con un misto di paura e rassegnazione. E venne spontanea l’idea di lavorare sul concetto di meticciato, di mescolenza.
Il vino rosato non è assolutamente tradizionale nella regione Marche. Quella abitudine al rosa diffusa nelle Puglie e negli Abruzzi si ferma sul Tronto per qualche misteriosa ragione.
Se Valeria pensava al lato politico e antropologico di questo vino, io ne indagavo la possibilità di farne un paradigma della mia battaglia contro il feticcio-vitigno. Contro la tendenza imperante a ragionare sulla purezza della varietà e a basare su tale purezza un’identità enologica regionale: il Verdicchio, il Montepulciano, il Pecorino.
Meticciato contro identità. Confusione contro purezza. Ci interessava stressare questi concetti, provocare, arrivare all’estremo del lavoro iniziato con la mescolanza dei vitigni bianchi: vitigni bianchi e rossi pigiati assieme, pelli che si uniscono e macerano assieme.
Il terroir sparisce o al contrario si esalta?
L’incontro con Marcel Deiss in Alsazia, anni fa, era stato illuminante: raggiungere la purezza del terroir e dell’annata mescolando i vitigni anziché vinificarli singolarmente. Utilizzare i vitigni come mezzi, come pezzi di un puzzle, come differenti colori.
La storia del vino è la storia dei viaggi, degli spostamenti, delle transumanze. Si pensi alle colonie greche o agli approdi dei fenici. È una storia dapprima mediterranea e poi, sulla scia dell’espansione dei commerci mondiali, una storia capitalista. La selezione dei vitigni, la loro diffusione, la loro propagazione, il loro allevamento, le forme della vinificazione: la viticoltura è solo un altro esempio di organizzazione della natura sotto il segno dell’economia. Ecco che nella mia regione - che fino alla metà del novecento conosceva una grande variabilità di vitigni - l’avvento di una agricoltura industriale, delle denominazione di origine e infine della globalizzazione dei mercati ha portato al sostanziale trionfo del mono-vitigno. Ma è un esigenza commerciale, un costrutto economico: non ha nulla né di storico né di “ecologico”. Il Verdicchio arriva nel quindicesimo secolo insieme a migranti lombardo-veneti, e non è altro che Trebbiano di Soave. A fine settecento i francesi molto probabilmente portano il Pinot nero nel nord e la Grenache nel sud della regione: quest’ultimo viene oggi chiamato Bordò e  inizia a godere di un certo successo. Ma l’intera regione è meticcia, ne sono testimoni i cento dialetti e le molte cesure linguistiche: non potevano che risentirne i vigneti che erano totalmente promiscui e i vini che in larghissima parte venivano da uvaggi e blends...
Uva della Madonna, Empibotte, Greco, Pampanone, Dolcino, Moscatello, Balsamina, Passerina, Albanella, Vernaccia Cerretana, Prungentile, Bottirone, Chiapparone, Uva dei cani…
Solo nel 1871 iniziano a studiarsi i vitigni presenti nelle Marche grazie al lavoro della neonata commissione ampeleografica , ma sarà solo con la fine della mezzadria, quasi un secolo dopo, che la viticoltura marchigiana inizierà a specializzarsi, buttando via il bambino con l’acqua sporca: alla giusta attenzione per la selezione delle varietà e dei cloni migliori non è corrisposta una riflessione sull’importanza della biodiversità e sul legame dei vitigni con clima e suoli.
Oggi, nel pieno del cambiamento climatico, abbiamo bisogno come non mai di ampliare la ricchezza di vitigni a disposizione. Allo stesso tempo vini meticci, cioè radicati in un luogo eppure completamente privi di una singola identità, trovo che possano rappresentare davvero una innovazione estetica ed ecologica, una moderna visione del terroir: meno tradizionalista ma più calata nella contemporaneità di una natura sempre più ibrida.

sabato 4 maggio 2013

Proviamoci!



Cari amici
dopo due anni di pausa abbiamo deciso di far ripartire il festival Musica Distesa. Il 28,29,30 giugno ci ritroveremo per ascoltare buona musica, bere del buon vino e provare a rinnovare gesti culturali indipendenti. Per fare questo abbiamo bisogno anche del vostro aiuto: abbiamo deciso di non ricorrere a sponsorizzazioni o contributi pubblici ma per far vivere il festival abbiamo iniziato una campagna di auto-finanziamento qui:https://www.musicraiser.com/projects/962-festival-musica-distesa-2013 Basta un login e una carta di credito e potrete scegliere fra molte diverse ricompense (libri, CD, magliette, ecc.)
Abbiamo un mese di tempo per raccogliere i fondi necessari al cachet degli artisti e alle spese di organizzazione (service audio, Siae, ecc.).
Grazie!

Dear friends
after a two year break we decided to restart the festival Musica Distesa. The 28,29,30 June, we will get to listen to good music, drink good wine and try to renew independent cultural ideas. To do this we need your help: we decided not to use any sponsorship or grants but to make the festival we began a campaign of crowfunding here: https://www.musicraiser.com/projects/962-festival-musica-distesa-2013  You login and with a credit card you can choose between many different rewards (books, CDs, T-shirts, etc.).
We have a month to raise the necessary funds for the cachet of the artists and the costs of organization (audio service, SIAE, etc..).
Thank you!

https://www.facebook.com/MusicaDistesa

venerdì 20 gennaio 2012

Della classicità

Settimana importante. Giornate di potature intense, spesso sotto un sole invernale quasi accecante.
E alcuni vini che mi fanno riflettere. In compagnia di due grandi del terroir jesino, Natalino Crognaletti ed Alessandro Fenino, uno straordinario Verdicchio Castelli di Jesi Villa Bucci 1992, quasi una pietra filosofale del nostro vitigno bandiera. Poi il grandissimo Mersault JM Roulot 2009, cristallino e puro, durante la bella serata alla cineteca di Bologna, inaugurazione della bella rassegna di Jonathan Nossiter. E infine, alla memoria, un commovente Amarone della Valpolicella Quintarelli 1993, in quel bellissimo winebar che è il twinside.
Così, discutendone avidamente anche con Jonathan e con Fabio Giavedoni, quello che è emerso da questo percorso casualissimo attraverso la storia di questi vini è una idea piuttosto condivisa di "classicità". Vini dove a farla da padrone è la tradizione, la fedeltà ad un canone, la riconducibilità ad un paradigma. E ciò che stupisce è l'assoluta mancanza di noia innanzi a tutto ciò. La meraviglia, anzi, di fronte a ciò che sembra assomigliare ad un ideale platonico. Che è poi tutto il contrario della sperimentazione, degli estremismi, della ricerca di effetti speciali di cui soffrono sia i più feroci difensori della Tecnica, sia i più accaniti rappresentanti della Nouvelle Vague naturalista.
E la riflessione che si può essere grandi classici senza essere per forza mainstream e conformisti e che la tradizione, quando è magica, può essere più rivoluzionaria di un progresso privo di senso.


venerdì 25 novembre 2011

Un pò di storia

Volevo assaggiare un grande vino californiano e sono stato accontentato. Chateau Montelena Cabernet Sauvignon 1986 è un vino che si stenta a considerare americano. Nessun sentore di quercia, nessuna sovra estrazione, nessuna invadenza alcolica. Un carattere decisamente bordolese, in senso classico: acidità presente e viva, un tannino non addomesticato ma rinfrescante, un naso giocato sulla finezza, con note di erbe aromatiche, cuoio, cacao, marasca. Giusto per intendersi: l'azienda è quella del famoso "Paris Tasting" nel 1976 quando il suo Chardonnay 1973 mise in riga alla cieca i più famosi Borgogna. Fatto storico che viene considerato in USA come l'atto fondativo della grandezza del vino californiano.
Poi mi sono ritrovato a bere un pò di storia del vino italiano. In quel di Glendale, sobborgo di Los Angeles: a dimostrazione di quanto assurdo e complesso sia il mondo del vino.


Undici gradi alcolici, botte grande numerata, acidità tagliente, vitigni alloctoni, naso irrequieto eppure affascinante. Il Vino da tavola Fiorano 1988 è la fotografia del vino italiano prima delle guide, prima del boom, prima del vino frutto, prima della tecnologia. Una storia bella e triste. Che potete leggere in questo bellissimo pezzo di Eric Asimov, dove si ricordano, fra l'altro, le lodi che Veronelli tesseva nei confronti dei vini di Alberico Boncompagni Ludovisi principe di Venosa.
Un vino davvero emozionante.

venerdì 11 novembre 2011

California Repubblic

Tutto inizia con una bottiglia di Barolo Conterno Cascina Francia 2005. Forse perché Flori e Jim che mi ospitano sono dei pasdaran del nebbiolo?
E poi scoprire che la religione più diffusa in California è il Surf. Anche se poi la super sfida dell'anno, tipo finale di Champions League, la vince un ragazzino brasiliano. Che è come dire che gli USA vincono la Coppa del Mondo di calcio... Girare per enoteche, wine bar e ristoranti e trovare ovunque musica jazz ed il vino di Arianna Occhipinti. Scoprire che si elegge il Sindaco di San Francisco e ci sono seggi elettorali nei garage di private abitazioni. Mangiare la pizza più buona del mondo nella pizzeria di un tipo che pare una rock star.


Demolire i vini di Mondavi in una degustazione comparata. Imparare che la City Lights non è una libreria ma una comunità, e quanto cazzo è bello ascoltare Jimi Hendrix nella Monterey Bay sull'Oceano Pacifico. E le tende di Occupy Santa Cruz, un sacco di gente che adora il Verdicchio, il Golden Gate Bridge senza i mostri né gli alieni.
Scoprire che la bandiera della California celebra una repubblica nata da una rivoluzione del 1846 e che vi sono disegnati una stella rossa ed un orso grizzly.

martedì 1 novembre 2011

Il Grande Verdicchio - Parte Seconda

I grandi "vecchi" del Verdicchio alla Sagra dell'Uva di Cupramontana. (Video di Mauro Fermariello)


Umani Ronchi: Vecchie Vigne 2009 - Canestrari: Coroncino 2000 - Brunori: Le Gemme 1995 - Bonci: San Michele 1994 - Garofoli: Serra Fiorese 1994 - Fazi Battaglia: San Sisto 1993 - Colonnara: Cuprese 1991 - Crognaletti: San Lorenzo 1991 - Bucci: Villa Bucci 1988.

domenica 11 settembre 2011

Offida Pecorino: lo stato dell'arte.

La scorsa settimana sono stato invitato dalla Vinea, nell'ambito della rassegna Divino in vino, nella bellissima Offida. Al sabato convegno interessante - moderato da Alessandro Morichetti - "Comunicare il vino al tempo di internet e delle marchette" insieme a Mauro Erro, Jacopo Cossater, Fiorenzo Sartore e Giovanni Arcari. Bella discussione, pubblico caldo, in tutti i sensi, e conclusioni vaghe, come sempre nei convegni.
Alla domenica mattina gran degustazione cieca di 25 Offida Pecorino annata 2010.
Premesso che mi ritrovo al 100% nel bel post di Mauro, provo a dire la mia su quanto assaggiato.
Affrontando un unico vitigno proveniente da un piccolo territorio in una annata singola mi aspettavo come prima cosa di avere la chiara nettezza di una matrice territoriale. Illuso. Cinque batterie da cinque vini ci hanno comunicato cose molto diverse e, spesso, contrastanti.
Essendo in Centro Italia, mi aspettavo di ottenere sensazioni olfattive da bianco, non dico marchigiano, ma almeno del Centro Italia. In ben pochi casi è emerso questo.
Sapendo il Pecorino vitigno acido e austero, questo mi sarei aspettato. E invece ho ritrovato nella larga parte dei campioni vini morbidosi, al limite della dolcezza, spesso molto aromatici e accattivanti.
Prima considerazione: nel Pecorino offidano la mano enologica è invasiva e si sente tanto.

Siccome uno degli appunti che è stato mosso ai blogger nel convegno del sabato è che (sic): "L'80% dei post e dei commenti è critico e negativo". Non posso allora eludere le cose positive che sono emerse dalla degustazione (che tra l'altro a me è piaciuta molto per via dei "compagni di merende": il livello dei degustatori è risultato molto alto).
E dunque una materia prima che, nella grandissima parte dei campioni, è risultata valida: struttura, acidità, alcool, potenziale evolutivo. Che il Pecorino sia un vitigno sul quale puntare non ci sono dubbi. Il dubbio, semmai, è su quale identità dargli, ammesso che abbia senso dargliene una.
Seconda considerazione: l'uva c'é e la zona è zona vocata. Non avrebbe allora senso seguire la tradizione di un Pecorino in uvaggio con trebbiano e passerina, magari provando vinificazioni meno estreme e più "naturali"? Così, per capire bene il terroir, innanzitutto... Io son convinto che per un vitigno simile sia più vicino il modello "Trebbiano d'Abruzzo" che il modello "Sauvignon blanc" altoatesino. Ma forse mi sbaglio.

Infine i vini che mi sono piaciuti.
Alla cieca è un casino. Perché poi succede che noi difensori dei vignaioli artigiani ci ritroviamo a scoprire di aver gradito i vini delle cooperative sociali da milioni di bottiglie. Ma tant'è. Questo è il gioco. E allora giochiamo.
And the winner is: Offida Pecorino Rugaro 2010, Cantina dei colli ripani. Bel vino, naso fine, floreale, dalle note ammandorlate. Elegante. Molto buono in bocca, bellissima acidità dritta e pulita, decisamente rinfrescante nonostante una vena di dolcezza.
Poi mi sono piaciuti: LiCoste 2010, Domodimonti, dal naso piuttosto neutro di erbe officinali e mandorla, elegante, e dalla bocca spessa, voluminosa con una acidità ben integrata ed una chiusura asciutta e pulita; Villa Piatti 2010, Collevite, di stile ossidativo, presenta sentori di frutta secca, di mallo di noce. E' austero e territoriale. Peccato la nota dolciastra di chiusura; Altissimo 2010, San Francesco, naso un pò compresso si apre su sensazioni decisamente agrumate, floreali (ginestra, acacia) ed in bocca è ricco, grosso, sebbene con un pò troppo residuo zuccherino; niente male infine i Pecorino di Valle del Sole, San Filippo, Tenuta Cocci Grifoni. 
Purtroppo erano assenti dalla batteria i vini di Aurora, Fiorano e Poderi San Lazzaro, cioé alcuni fra i vini più interessanti del comprensorio offidano. In ogni caso complimenti alla Vinea per l'ottima organizzazione e speriamo che Mister Pecorino sia in grado di sfruttare al meglio l'occasione della prossima DOCG. Auguri.

sabato 20 agosto 2011

Bon Iver ed altre cose

Si fa un gran parlare di questo ragazzo barbuto. Ha appena pubblicato il secondo disco, dopo che il suo primo era stato il classico "caso editoriale". Non riesco a capire se mi piace o no.


C'è chi dice sia un genio, chi dice sia fra le migliori robe degli ultimi anni. Non so. Sarà la voce, che è sì straordinaria ma non proprio nelle mie corde. Boh. Aspettiamo. Come una boccia di vino che si apre oggi e non dice un gran che, ma poi lasciata lì qualche giorno all'aria poi ci rimetti il naso e comincia a parlare.
A proposito. Ho le prime bottiglie di Metodo Classico La Distesa. Sboccatura fatta da quindici giorni. Annata 2004, circa sette anni sui lieviti, cento per cento Verdicchio. A parte una bolla spessa che se la vede un produttore di Champagne ride per un mese di seguito, son contento. Ancora non ci sono nome ed etichetta, ma il tutto verrà definito a breve. Il fatto è che non facendo più fiere a chi lo faccio assaggiare?

lunedì 4 luglio 2011

Metti una sera a cena

In un ristorante con uno chef sulla bocca di tutti. Con una ristorazione di alto livello. In compagnia di una prestigiosa firma del panorama enogastronomico.
Adocchiamo la lista vini e cosa ordiniamo? Lo sfuso della casa. Ecco la rivoluzione prossima ventura, per me. Convincere i consumatori, privati o ristoranti che siano, che c'è ancora la possibilità di fare vini buoni a prezzi accessibilissimi per un consumo quotidiano. Avete presente frizzantini in fusto, tavernelli e bottiglioni da poco? Ecco, per forza, poi, cala il consumo del vino in Italia...
Il vino in questione, tra l'altro, era straordinario: il Trebbiano d'Abruzzo di Valentini 2009, imbottigliato dal ristoratore medesimo. Croccante, gustoso, rinfrescante. (Per quanto anche il cerasuolo...)

mercoledì 1 giugno 2011

Fuffa VS Sostanza, questo è il problema

La realtà è che sono irrimediabilmente attratto dall’autenticità. E’ strano per chi, negli anni del liceo e per molto tempo successivamente, adorava l’estetica di certo decadentismo. L’arte per l’arte e balle varie.
E’ che alla fine impari che ci deve essere una qualche verità, una autenticità che è l’unico senso compiuto di questa nostra esistenza umana.
E serve un minimo di maturità per distinguere la fuffa dalla sostanza. Per cogliere ciò che è davvero importante sotto le più diverse etichette. Perché l’uomo inventa etichette di continuo, questo è il fatto. Neoclassicismo, romanticismo, verismo, decadentismo, dadaismo. Musica indipendente, alternativa, classica, leggera, metallara. Vini territoriali, biodinamici, veri, naturali, artigianali. E così via. All’infinito. Ma la verità, la scintilla, la poesia, si nascondono al di sotto di quelle etichette.
Ci arrivi, a scoprire l’autentico, con la sola arma della sensibilità. Non con la critica razionale. No. Ci arrivi con l’assoluta libertà di giudizio. Con una dialettica delle emozioni che ti rende particolarmente suscettibile alla bellezza della verità.
Ecco, per tornare alla Guerra del gusto di cui si accenna in Mondovino, quando metto il naso nel Volnay premier cru Taillepieds 1998 del Domaine De Montille subito trovo un vino scontroso, duro, aspro. Lentissimo ad esprimersi. E però c’è dentro il vino una tensione gustativa, una linea minerale, una materialità pulsante che esprimono la verità pura e semplice della terra. L’autenticità irrevocabile della natura.

mercoledì 23 marzo 2011

Sentirsi primaverili

Stiamo finendo di potare e legare in Contrada Spescia; negli ultimi giorni abbiamo sostituito pali di testata e tirato fili a San Michele, dato il cornoletame nel nuovo vigneto Manciano, sostituito barbatelle mancanti un pò in giro, respirato a pieni polmoni la prima aria primaverile. E' pure arrivato Pietre colorate, elegante e profondo come sempre.
E' il momento in cui non se ne può veramente più di freddo, umidità, nebbie, brine e piogge.
Il Rosso di Montalcino 2008 Pian dell'Orino è fantastico, croccante, succoso e netto. Il Sassella Riserva 2004 di Ar.Pe.Pe. è altrettanto buono sebbene diversissimo: petroso, quasi algido, ma stupendamente cristallino.
Grande discussione con gli amici di Pievalta sugli Champagne André Beaufort. Dolce o non dolce, fatto sta che la boccia di Polisy 2006 aperta per festeggiare l'amico Bianco è stata seccata nel giro di pochi minuti.

mercoledì 9 marzo 2011

Un vino, un libro, un disco

A smentire che in fatto di vino si debba ragionare secondo categorie preconcette l'assaggio di qualche giorno fa: The hess collection Napa Valley Cabernet Sauvignon 1997. Sì, avete capito bene, un gran vino della California. Bene: nessuna nota di legno, alcool limitato a 13 gradi alcolici, nessun sentore di sovramaturazione, nessun tannino sovra-estratto. Invece un naso rappresentativo del vitigno, con note speziate evidenti, solo leggermente virate verso le pirazine, delicato, fine, dove una nota balsamica intrigante fa da contrappunto ai frutti rossi, ciliegia matura sopra tutti. Ed è in bocca a sorprendere. Tannini setosi, facilità di beva, grande freschezza, il tutto a sostegno di un frutto scorrevole e pieno. Grande boccia, affascinante, e un grazie a Luciano che me l'ha regalata.
Ho letto, e consiglio vivamente, Stati Uniti d'Italia, antologia di scritti di Carlo Cattaneo a cura di Norberto Bobbio. Libro pensato nel 1946 per un'Italia appena uscita dalla guerra e che ripensava se stessa. Scritti sul federalismo democratico per capire cosa davvero si debba intendere per federalismo, al di là degli slogan facili e delle convenienze politiche.
Non riesco a togliere dal lettore Cd Sigh no more dei Mumford&Sons: folk rock esaltante, canzoni magnifiche, ritornelli portentosi, ritmi da ballare. Suonato e cantato benissimo, è un discone veramente straordinario di una band che mi piacerebbe proprio vedere dal vivo.    

venerdì 14 gennaio 2011

Inizio d'anno



Giornate di sole passate a potare. La mano destra che si abitua di nuovo alle forbici. La pelle che tira, lì dove si formerà la vescichetta. Poi nebbie improvvise, che salgono dalla piana e lentamente ti circondano. E gelo nei piedi, mentre ti scalda l'idea di ciò che saranno le viti fra qualche mese.
Ricordi. Una incredibile magnum di Colonnara Cuprese 1992, Verdicchio maestoso ed elegante, stappata a Capodanno. Un Barolo Runcot Elio Grasso 1998, sospeso tra fiori appassiti e note amaricanti, chinate. Un anno che si è appena chiuso.
Il mio disco del 2010 è The Suburbs degli Arcade Fire, superbo concept sulla tristezza di non luoghi sospesi fra città e campagna. Moderni. Anonimi. Impersonali. Sospesi sul vuoto.
Un anno pieno di cose. Il Nur 2008 vino dell'Eccellenza per L'Espresso ed in finale dei trebicchieri, così come Terre Silvate 2009. Un nuovo vigneto piantato. Nuove frontiere acquisite, Canada e Australia. E poi persone, facce, teste e nasi che mi hanno seguito in fiere o degustazioni. O che sono venuti a trovarmi in cantina. Relazioni. Scambi. Parole. Bene così.


lunedì 3 gennaio 2011

Razzismi enologici

I vini sono come le persone. Ci sono quelli puntuali e quelli perennemente in ritardo. Ci sono quelli timidi e introversi e quelli solari e simpaticoni. Vini permalosi, orgogliosi, superbi, modesti, eleganti, raffinati, ieratici, spirituali.
Vini tragici e vini comici.
E poi, sì, ci sono vini che han fatto il lifting e vini che sono come mamma li ha fatti. Difetti inclusi.
Io ho sempre pensato che sono i difetti che ci fanno innamorare delle persone. Le piccole imperfezioni di un viso o di un corpo. Un tic. Una camminata strana. Una voce particolare. Un carattere tagliato con l’accetta. Quel qualcosa, qualunque essa sia, che spezza un equilibrio. Che lascia la questione prennemente in sospeso.
Certo, è un’estetica pericolosa, ne sono conscio. E’ l’estetica della devianza più che della norma. Del dionisiaco più che dell’apollineo. Ma è così anche per i vini. Per quelli indimenticabili, intendo.
A me in un vino affascinano l’irrequietezza, la tensione, la complessità. Intendiamoci: quando parlo di difetti non intendo ciò che intendono comunemente i sommeliers professionisti: un sentore di tappo, uno spunto acetico importante, una riduzione senza speranza, fanno parte di esperienze negative a prescindere. Io mi riferisco, invece, ad un più generale e teorico concetto di “deviazione” dal paradigma, dalla corrente principale. Il jazz per la musica classica. Il punk per il rock classico. Il cubismo per l’arte figurativa. Sono esempi di tecniche che spostano l’attenzione. Che irritano. Che innovano. Note “sbagliate” o tratti di pennello incomprensibili da cui emanano, però, emozioni ancestrali e sublimi. Ecco: io amo i vini che mi colpiscono per questo andare controcorrente, per essere irriducibili ad una norma, per rappresentare quell’Unico assolutamente irripetibile che è la combinazione Terra-Vite-Annata-Vignaiolo. Ciò non significa che mi piacciano solo vini estremi, al contrario, apprezzo anche vini “paradigmatici”, vini classici, esattamente come adoro certo mainstream musicale o l’arte figurativa più tradizionale. Ciò che contesto, però, è quella forma di razzismo enologico che si è affermato negli ultimi vent’anni, per cui il vino deve (e non può) essere pulito, stabile, morbido. In una parola: bello, di una bellezza classica, oggettiva, equilibrata.

mercoledì 8 settembre 2010

L'importanza di chiamarsi Barolo

Grande degustazione a La Distesa domenica scorsa. Protagonisti grandi vini, ma soprattutto grandi persone. Un pranzo allegro e spensierato a base di prosciutto nostrano e carni alla griglia. Un sole già autunnale ed una brezza piacevole. Ingredienti perfetti per un bel pomeriggio pre-vendemmia.
Cito solo le bottiglie migliori, fra le tante stappate: Champagne Blanc de Blanc Brut Nature Laherte Frère, nervoso, scattante e salato come il mare. Sancerre Alphonse Mellot La Moussiere 1995, fantastico nei toni evoluti di idrocarburo e miele, accompagnati da una bocca dinamica e dal finale eterno. Riesling Mosella Schieferterrassen Heymann-Lorvenstein 1999, con una dolcezza non banale ed un naso esplosivo di frutta esotica, agrumi, pietra. Barolo Domenico Clerico 1985, che dire? ci siamo commossi, soprattutto per la trama dei tannini. Marsala Vecchio Samperi Ventennale De Bartoli, intrigante ed affascinante viaggio tra profumi cui siamo sempre meno abituati.
Considerando che la sera prima l'amico Riccardo Vendrame mi ha fatto il gran regalo di stappare un Rinaldi Barolo Brunate 1989, direi che il week end si è contraddistinto soprattutto per un ritorno al Nebbiolo più importante. Impossibile non notare la classe superiore delle due bocce di Langa. Più elegante il Clerico, più ruvido e scalpitante il Rinaldi, ma entrambi incredibilmente austeri, equilibrati, autunnali, nei loro rimandi boschivi e terrosi. Confrontarsi con vini di questo livello fa capire perché, all'estero, chi capisce di vino identifica l'Italia soprattutto col Barolo.

mercoledì 7 luglio 2010

Voglia di vini beverini e rock'n'roll

Finalmente l'estate. Ci voleva proprio. Lino sulla pelle e vini freschi nei bicchieri. Gli ultimi: André Vatan Sancerre Rosé 2008, Domaine Labet Jura Savagnin 2002, Ettore Sammarco Ravello costa d'Amalfi rosso 2004, Jean Foillard Morgon Cote du Py 2007. Ovviamente uso i termini "beverino" e "fresco" in senso molto allargato e positivo: si tratta infatti di vini eccellenti, accomunati da una impressionante facilità di beva e di abbinamento.
Estate: sete di vini freschi, magari di qualche buona birra. E rock'n'roll. Nel senso più antico del termine: festival, sudori mischiati, caldo, batterie feroci, danze e salti. Come ieri sera a Mestre al Parco San Giuliano per l'ultima sera dell'Heineken Jammin' Festival: Gomez, Gossip, Skunk Anansie, Ben Harper e Pearl Jam il menù della serata, assieme a sole feroce ed una spruzzata di pioggia per non farsi mancare nulla. Sui Pearl Jam non dico altro se non quello che sostengo oramai da molti anni: sono il Live Act Rock migliore in circolazione in questo momento. Fantastici anche ieri sera con un set veramente duro e compattissimo. Mi ha però veramente impressionato il concerto di Ben Harper con la nuova band. Meraviglioso. Con Heartbreaker di ledzeppelinana memoria e Red House ad omaggiare Hendrix. Minchia, ci voleva!
E poi...

mercoledì 16 giugno 2010

Partenza col botto

Musica Distesa 2010 è partita da Ancona sabato scorso. Partenza col botto, con un grandissimo concerto di Daniele Tenca e Band. Factory da pelle d'oca. Suoni splendidi. Blues e rock sudati, il cortile della Mole Vanvitelliana a far da cornice alle storie di Blues for the working class.
Lunedì abbiamo inaugurato la mostra fotografica di Francesco Orini a Jesi.
Si prosegue venerdì, per tutto il week-end, a La Distesa, con l'oramai solito meteo problematico. Ma sarà una festa comunque. Info: http://musicadistesa.weebly.com

mercoledì 2 giugno 2010

La stagione dei bianchi

Col primo caldo ho inaugurato la stagione dei bianchi con un ottimo Chardonnay. Sebbene sia più conosciuta per i Pinot, bianchi e neri, la cantina altoatesina Stroblhof produce anche un buon Chardonnay. L'annata 2007 è degna di nota per l'assoluto equilibrio, l'eleganza, la bevibilità. Un bel bianco senza grilli per la testa: calcareo, definito, dissetante. Mi ha ricordato certi Borgogna base (specie nel Maconnais) che si bevono a garganella. Un altoatesino che non concede nulla all'aromaticità ed al facile frutto e gioca tutto, invece, sulla finezza.