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giovedì 1 aprile 2021

Contorsioni e rivalse


Ho sempre provato un fascino incredibile per le vecchie piante di vite.
È una delle ragioni per cui in questi anni ho piantato relativamente poche nuove parcelle e invece affittato o acquistato vigne di una certa età.
Mi affascinano le contorsioni delle vecchie viti. Il loro continuo, ostinato, resistere. La loro natura più intima le spinge verso l'alto. La vite è una liana, cerca il cielo, la verticalità. Ma viene costretta dall'uomo, o dagli elementi, a restare vicino a terra. Fronteggia un destino che è in qualche modo contro-natura. E nel far questo si arrovella, si curva, si attorciglia, si contorce. Affronta tagli, richiude ferite, sfugge al vento magari strisciando, vede crescere in sé buchi neri e fratture. Vere e proprie incisioni nell'anima che la linfa è costretta ad aggirare, ogni volta cercando una nuova strada. 
Una vecchia vite è - banalmente - molto simile a una vita. Umana. 
Ti ritrovi a quasi cinquant'anni a cercare il cielo. È nella tua natura. Ma non puoi più andare dove vorresti, liberamente e senza pensieri. C'è già un tronco più o meno possente, ci sono branche ramificate, ci sono i tagli più o meno netti che il mondo ti ha inflitto. Qualche buco nero. I segni delle vittorie e quelli delle sconfitte. Ci sono la meraviglia e lo stupore sempre nuovi di una storia, individuale e collettiva. E ci sono intorno anche delle fallanze, perché non tutti i tuoi compagni ce l'hanno fatta. 
C'è, nelle vecchie vigne, e nelle nostre vite, questo alternarsi di pieni e di vuoti. 
Ma soprattutto, e lo vedi chiaramente, senza dubbi o incertezze, in primavera, c'è una inarrestabile spinta vitale, che se ne frega di tutto, e che in modo ancestrale, primitivo, ribelle, aggira ogni ostacolo ed ogni avversità. Una specie di temeraria rivalsa.   

mercoledì 20 febbraio 2019

Natura ibrida e vino meticcio

Il Meticcio è il nostro rosato.
Si tratta di un vino particolare, nato principalmente da una suggestione di Valeria: era l’estate del 2015 con l’emergenza degli sbarchi, con l’impennata dei richiedenti asilo, con la gigantesca fuga dalla guerra in Siria. Guardavamo al dibattito in corso, che anticipava quello diventato egemone attualmente, con un misto di paura e rassegnazione. E venne spontanea l’idea di lavorare sul concetto di meticciato, di mescolenza.
Il vino rosato non è assolutamente tradizionale nella regione Marche. Quella abitudine al rosa diffusa nelle Puglie e negli Abruzzi si ferma sul Tronto per qualche misteriosa ragione.
Se Valeria pensava al lato politico e antropologico di questo vino, io ne indagavo la possibilità di farne un paradigma della mia battaglia contro il feticcio-vitigno. Contro la tendenza imperante a ragionare sulla purezza della varietà e a basare su tale purezza un’identità enologica regionale: il Verdicchio, il Montepulciano, il Pecorino.
Meticciato contro identità. Confusione contro purezza. Ci interessava stressare questi concetti, provocare, arrivare all’estremo del lavoro iniziato con la mescolanza dei vitigni bianchi: vitigni bianchi e rossi pigiati assieme, pelli che si uniscono e macerano assieme.
Il terroir sparisce o al contrario si esalta?
L’incontro con Marcel Deiss in Alsazia, anni fa, era stato illuminante: raggiungere la purezza del terroir e dell’annata mescolando i vitigni anziché vinificarli singolarmente. Utilizzare i vitigni come mezzi, come pezzi di un puzzle, come differenti colori.
La storia del vino è la storia dei viaggi, degli spostamenti, delle transumanze. Si pensi alle colonie greche o agli approdi dei fenici. È una storia dapprima mediterranea e poi, sulla scia dell’espansione dei commerci mondiali, una storia capitalista. La selezione dei vitigni, la loro diffusione, la loro propagazione, il loro allevamento, le forme della vinificazione: la viticoltura è solo un altro esempio di organizzazione della natura sotto il segno dell’economia. Ecco che nella mia regione - che fino alla metà del novecento conosceva una grande variabilità di vitigni - l’avvento di una agricoltura industriale, delle denominazione di origine e infine della globalizzazione dei mercati ha portato al sostanziale trionfo del mono-vitigno. Ma è un esigenza commerciale, un costrutto economico: non ha nulla né di storico né di “ecologico”. Il Verdicchio arriva nel quindicesimo secolo insieme a migranti lombardo-veneti, e non è altro che Trebbiano di Soave. A fine settecento i francesi molto probabilmente portano il Pinot nero nel nord e la Grenache nel sud della regione: quest’ultimo viene oggi chiamato Bordò e  inizia a godere di un certo successo. Ma l’intera regione è meticcia, ne sono testimoni i cento dialetti e le molte cesure linguistiche: non potevano che risentirne i vigneti che erano totalmente promiscui e i vini che in larghissima parte venivano da uvaggi e blends...
Uva della Madonna, Empibotte, Greco, Pampanone, Dolcino, Moscatello, Balsamina, Passerina, Albanella, Vernaccia Cerretana, Prungentile, Bottirone, Chiapparone, Uva dei cani…
Solo nel 1871 iniziano a studiarsi i vitigni presenti nelle Marche grazie al lavoro della neonata commissione ampeleografica , ma sarà solo con la fine della mezzadria, quasi un secolo dopo, che la viticoltura marchigiana inizierà a specializzarsi, buttando via il bambino con l’acqua sporca: alla giusta attenzione per la selezione delle varietà e dei cloni migliori non è corrisposta una riflessione sull’importanza della biodiversità e sul legame dei vitigni con clima e suoli.
Oggi, nel pieno del cambiamento climatico, abbiamo bisogno come non mai di ampliare la ricchezza di vitigni a disposizione. Allo stesso tempo vini meticci, cioè radicati in un luogo eppure completamente privi di una singola identità, trovo che possano rappresentare davvero una innovazione estetica ed ecologica, una moderna visione del terroir: meno tradizionalista ma più calata nella contemporaneità di una natura sempre più ibrida.

lunedì 24 aprile 2017

Di Verdicchio e altre storie

In molti continuate a chiedermi perché non c'è scritto "Verdicchio" sulle mie bottiglie di vino bianco. Me lo continuo a chiedere anche io, da tempo. Ma mentre agli inizi della nostra uscita dalla Denominazione la domanda nascondeva - sotto sotto - una specie di risentimento, ora sono pacificato e felice della cosa. Perché in realtà La Distesa non produce più, e forse non ha mai prodotto davvero, "Verdicchio". Per questa ragione non mando più i miei vini alle commissioni assaggio per la DOC, e per questa ragione declasso le uve già prima della vinificazione.

Ci sono arrivato piano piano a capire questa cosa. Che la dittatura del vitigno, cioè, fosse nelle Marche così pervasiva e diffusa (si pensi al successo del "Pecorino" ad esempio) da coprire qualsiasi altra valutazione, e che dunque i nostri vini venissero percepiti "diversi".
In realtà - proprio ora che il "Verdicchio" vive un nuovo successo commerciale - sono giunto alla conclusione che se i miei vini sapessero di "Verdicchio" mi girerebbero i coglioni. A me piace che sappiano di Marche, di Cupramontana, di San Michele. Che abbiano in sé il dolore della Terra e la luce del Cielo. Che vuol dire tutto o niente, sia chiaro. Ma il vitigno no. Quello è arrivato nel 1400 grazie a una migrazione umana e veniva vinificato molto spesso insieme ad altri, molti altri vitigni. Ed è cambiato, e cambierà ancora (gli espianti di vecchi vigneti e la selezione clonale hanno fatto danni inenarrabili in questa zona, purtroppo). Cambierà come cambierà la viticoltura, come cambieranno i terroirs a causa del clima, come cambia l'uomo con i suoi gusti e le sue certezze e le sue ambizioni.
Quello che oggi viene identificato da tecnici, giornalisti, operatori come "il" Verdicchio è solo un vino feticcio, adatto al momento di mercato, esattamente come vent'anni fa lo era sotto altre vesti. Qual è il senso reale delle denominazioni di origine oggi? Se non una gigantesca operazione di branding, di marketing territoriale ad uso export, di costruzione di immagine, di privatizzazione di beni collettivi?

Che poi, in definitiva, mi rendo conto che questa cosa dello "star fuori", che è sì un po' morettiana ma - sia chiaro - senza volerlo, deriva dal fatto che La Distesa non è mai stata davvero "parte" di questo territorio - in generale: non solo per quanto attiene ai vini.
C'entra una idea della politica, indubbiamente, in luoghi che sono ancora fino al midollo stato-pontificio. Ma c'entra soprattutto una visione della vita per cui non si chiedono favori, non si inciucia, non si crede al compromesso ad ogni costo, non si tace per non disturbare.
Il che genera fastidio.
Non c'è nulla di male nelle separazioni, evidentemente noi e il Verdicchio-dei-Castelli-di-Jesi non eravamo destinati a stare insieme.
E quindi, ecco, volevamo dirvelo: non chiedeteci più il Verdicchio. Chiedeteci il vino di Valeria e Corrado. Proprietari in San Michele, Cupramontana dal 1935.

sabato 1 agosto 2015

Parola di Scienza

Da dove cominciare?
Forse da Milano. E da una domanda che faccio agli studenti di agraria presenti ad un incontro del 2014, poi finito nell'extra "Desistenza a Milano" del DVD di Resistenza Naturale di Nossiter.
Di fronte al continuo e re-iterato attacco alla biodinamica, al "naturale", al buonsenso agricolo da parte dei collaboratori di Attilio Scienza (Brancadoro e Failla) in nome della Scienza Agronomica, chiedo agli studenti presenti di sapere se abbiano frequentato o se sia previsto un esame di filosofia della scienza. 
Silenzio di tomba e nessun commento. 
Stessa cosa è successa recentemente alla facoltà di agraria di Ancona (sebbene l'incontro sia stato molto più stimolante e proficuo).
Ne ho dedotto ciò che in realtà è oramai evidente a tutti: la scienza non si discute. La scienza è la nuova Verità del mondo post-ideologico. La scienza - il suo metodo, i suoi risultati, le sue conseguenze, i suoi rappresentanti - devono essere al di fuori del giudizio, sia esso politico, etico o estetico. E tutto quello che si muove su un piano dialettico viene immediatamente bollato come esoterico, magico, religioso, metafisico e così via, poiché in questo modo si cancella la credibilità di qualsivoglia alternativa.

Sia ben chiaro: in giro è pieno di buffoni che nei campi più disparati, dalla medicina all'economia, dalle scienze naturali a quelle fisiche, si pongono saldamente al di fuori della scienza, chi davvero assecondando falsi miti, chi semplicemente cavalcando la moda del momento, chi per banali ragioni di tornaconto economico. 
Ovviamente non mi riferisco a costoro.
Mi riferisco, invece, a chi crede fermamente nella Scienza, nei suoi progressi, e nelle sue verità - con la "v" minuscola che contraddistingue le verità scientifiche, che sono appunto "relative".
Mi riferisco a chi reputa che il positivismo sia finito da un pezzo e che sia la scienza stessa ad aver sperimentato i suoi limiti. 
E mi riferisco, in particolare, al fatto che la filosofia della scienza, sebbene ignorata da chi fa ricerca (in ambito agrario in questo caso, ma temo che la situazione sia la medesima in altri ambiti scientifici), nel novecento ha chiaramente indicato alcune questioni ed alcune teorie che forse andrebbero più diffusamente conosciute, diffuse e dibattute, proprio per non cadere nel tranello del "Lo dice la Scienza" (che poi diventa più prosaicamente "sostiene Scienza, Attilio" - e tutti zitti).
Ecco, uno degli insegnamenti più chiari e netti ci racconta che la scienza - ed in particolare la tecno-scienza, cioè il dispositivo economico e sociale che ne applica i dettami, non è mai neutrale. Il novecento ce lo ha indicato perfettamente con la storia della ricerca sull'atomo, ma gli esempi sono infiniti.  
E allora bisogna dirlo chiaro e forte: quando Attilio Scienza afferma “Per i produttori di vino la produzione biologica e biodinamica è una via senza uscita” ponendo la questione, subito dopo, di vitigni resistenti ottenuti da modificazioni genomiche, sta parlando come scienziato-ricercatore ma non sta facendo un discorso "neutrale". Sta parlando come rappresentante di un ben evidente paradigma scientifico, quello dell'agricoltura produttivista, e dunque indirizza la ricerca, i suoi finanziamenti, e tutto il corollario che ruota intorno al mondo universitario ed accademico, verso una prospettiva che è quella "dominante", frutto cioé di relazioni economiche e di potere. Ma che di "oggettivamente scientifico" ha ben poco. 

Uso il termine paradigma nel senso descritto da Thomas Samuel Kuhn nel classico del 1962 "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", testo assolutamente emblematico di ciò che la scienza sia divenuta nell'epoca del Capitalismo Industriale (perché qui nessuno vuole ri-processare Galileo). Ma non piacesse l'approccio epistemologico di Kuhn, anche da un punto di vista popperiano, cioé del principio di falsificabilità, l'uscita di Scienza fa acqua da tutte le parti: se l'intenzione più pura e profonda della ricerca accademica fosse infatti davvero quella di ridurre i trattamenti chimici non è possibile - proprio a livello scientifico - trascurare l'importanza delle esperienze biologiche e biodinamiche laddove hanno dimostrato la possibilità, con questi vitigni e anche in condizioni di annate drammatiche come la 2014, di fare una agricoltura pulita.
Il bio-distretto di Panzano in Chianti nato con la consulenza di Ruggero Mazzilli è un esempio emblematico con il 90% del territorio gestito come minimo in regime biologico; così come le esperienze di ricerca accademica in biodinamica, come quelle di Adriano Zago o Fabio Primavera.
Si tratta di falsificazioni importanti della teoria per cui i nostri vitigni sarebbero arrivati al capolinea.

Peraltro se il problema sono i trattamenti vicino alle abitazioni - come ad un certo punto si paventa - si fanno 2 autogol: primo, perché gli scienziati hanno sempre sostenuto che i trattamenti "non fanno male alla salute umana" (e invece ad esempio nella zona del Prosecco si è notato un aumento dell'incidenza dei tumori); secondo, perché se c'è un vigneto già impiantato a ridosso delle abitazioni forse il compito della scienza dovrebbe essere quello di agire subito per salvaguardare la salute, convertendo al bio quel vigneto, anziché attendere anni di sperimentazioni per poi arrivare all'espianto ed al re-impianto con vitigni resistenti: nel frattempo quanto veleno hanno respirato i bambini di quelle abitazioni? Sarebbe interessante una risposta della scienza. O anche di Scienza. 

Che poi si possa andare oltre, magari tornando alla riproduzione da seme, e dunque alla creazione di nuove varietà e a una selezione di varietà più idonee, per esempio ai cambiamenti climatici, questo credo che nessuno lo voglia impedire. Anzi. Chi ha letto il classico "Fra cielo e terra" di Joly sa che verso la fine del libro proprio il viticoltore biodinamico per eccellenza prefigura "un ritorno al seme".
Ma con i tempi della natura (centinaia di anni), che non sono i tempi della scienza. O di Scienza, Attilio.  Anche perché, comunque la si pensi sugli OGM, la realtà più vera e profonda delle ricerche genetiche in agricoltura è solo una: brevettare nuove varietà consente di fare un sacco di soldi, e se davvero il Mercato vuole vini più puliti, allora le entrate che che mancheranno all'agrobusiness alla voce pesticidi, erbicidi, ecc. dovranno arrivare da qualche altra parte. No? 

Poi, se non siete ancora convinti, fate come me, fate una cosa che mai avreste pensato di fare: leggete l'ultima enciclica del Papa.

PS "Parola di scienza" è un libro edito da DeriveApprodi. L'autore è Antonello Ciccozzi, ovvero l'antropologo che scrisse la perizia sulla cui base vennero condannati in primo grado - ed assolti nel secondo - gli scienziati del Comitato Grandi Rischi rei di aver fornito false rassicurazioni agli abitanti de L'Aquila prima del fatale terremoto. Un bel libro. Che fa piazza pulita delle tante fesserie lette, all'epoca della condanna, sul "processo alla scienza". C'entra niente con Scienza, Attilio. Ma forse anche un po' sì.    
     

domenica 6 gennaio 2013

T come Terroir



Il mio terroir è una piccola striscia di terra rivolta a mezzogiono.
Là dove milioni di anni fa c’era il mare, oggi c’è una distesa di colline che si inseguono sinuose. Alle spalle c’è Cupramontana, di fronte Staffolo, in lontananza Cingoli, mentre netta si staglia la figura del monte San Vicino a segnalare la vicinanza degli Appennini.
La terra è un’argilla multiforme: zone di vera e propria creta bianca, dove domina il calcare, si alternano a lingue di arenaria giallastra e di marne azzurre, specie più in profondità. Su questo suolo, compatto e povero di sostanza organica, nascono vini potenti, strutturati e salati.  
Qui si è sempre fatto vino. La storia della viticoltura potrebbe essere una narrazione affascinante e parallela alla storia ufficiale del nostro paese. Dai romani al medioevo, passando attraverso la storia del monachesimo e dell’agricoltura di sussistenza, fino alla rivoluzione industriale ed al nostro tempo contemporaneo, ogni stagione ha avuto il suo vino, la sua organizzazione aziendale, i suoi metodi.
Il terroir non è un ideale ma un dato storico mutevole. E’ suolo e microclima; è vitigno e tecnica colturale; è fatto economico e culturale che segna l’identità locale in modo profondo. Il rischio è che diventi localismo becero e chiuso, quando la sua potenza sta invece nella ricchezza delle diversità, sorta di straordinario meticciato culturale.
Non ho mai capito perché in primavera solo in questa striscia di terra, che appartiene alla mia famiglia da circa ottanta anni, fiorisca un prato di tulipani rossi selvatici. Nelle vigne vicine no. A sinistra qualche fiore bianco, in mezzo alla terra lavorata in modo convenzionale. A destra principalmente fiori gialli, su un terreno a conduzione biologica come il mio. Non so se è da considerarsi fenomeno del terroir. Forse sì.
Certamente da sempre questo è stato considerato a Cupramontana un cru naturale. Si ritrova nei documenti storici e nelle narrazioni orali. Zona “da sole”, priva di ristagni di umidità. Con un’ottima ventilazione ed una buona altezza sul livello del mare a garantire escursioni notevoli fra il giorno e la notte.
Si vendemmia prima che altrove, in contrada San Michele. Ed i vini sanno di erbe aromatiche e scorze d’arancio.

Non è il vino dell'enologo - Lessico di un vignaiolo che dissente, Ed. DeriveApprodi    



martedì 19 aprile 2011

Glyphosate, che passione

A chi parla di "moda dei vini naturali" e di marketing del Bio, farei fare un giro in questi giorni per le nostre colline. Intere colline arancioni, vigneti a perdita d'occhio trattati col diserbante.
Non era così fino a qualche anno fa. L'impressione netta è che per contenere i costi oggigiorno tutti gli agricoltori convenzionali, anche coloro che erano più attenti a certe pratiche, stiano usando il glyphosate. Forse anche perché il brevetto è scaduto nel 2001 e magari sono scesi costi. O magari c'è un bravo agente in zona.

venerdì 1 aprile 2011

Delitti contro l'umanità

Si è cominciato con i piani di "Ristrutturazione vigneti". Si è passati per l'istituzione dei "diritti di impianto" e della gestione del relativo mercato. Poi, con la nuova OCM vino, si è arrivati ai "Contributi all'espianto".
In Italia il risultato finale di questa raffinata strategia europea tesa a limitare la produzione vinicola sono veri e propri delitti contro l'umanità: espianto di vigneti vecchi, nuovi impianti in zone poco vocate, abbandono della viticoltura nelle zone più difficili. Girovagando per le campagne marchigiane in questi ultimi mesi stupisce soprattutto l'espianto, causa contributo cash, di vecchi vigneti: vigne spesso collocate in veri e propri "premier cru", vigne spesso ancora ben gestite, vigne dotate di variabilità clonali interessanti. Si tratta quasi sempre di vigneti in grado di produrre vini molto più territoriali rispetto agli impianti giovani.
E' solo un altro tassello dell'omologazione. Grazie di cuore.

mercoledì 23 marzo 2011

Sentirsi primaverili

Stiamo finendo di potare e legare in Contrada Spescia; negli ultimi giorni abbiamo sostituito pali di testata e tirato fili a San Michele, dato il cornoletame nel nuovo vigneto Manciano, sostituito barbatelle mancanti un pò in giro, respirato a pieni polmoni la prima aria primaverile. E' pure arrivato Pietre colorate, elegante e profondo come sempre.
E' il momento in cui non se ne può veramente più di freddo, umidità, nebbie, brine e piogge.
Il Rosso di Montalcino 2008 Pian dell'Orino è fantastico, croccante, succoso e netto. Il Sassella Riserva 2004 di Ar.Pe.Pe. è altrettanto buono sebbene diversissimo: petroso, quasi algido, ma stupendamente cristallino.
Grande discussione con gli amici di Pievalta sugli Champagne André Beaufort. Dolce o non dolce, fatto sta che la boccia di Polisy 2006 aperta per festeggiare l'amico Bianco è stata seccata nel giro di pochi minuti.

venerdì 25 febbraio 2011

Credo in un solo dio...

Se esiste un dio della potatura il suo nome è Marco Simonit. Se vogliamo spiegare ai giovani quanto è figo stare in campagna e quanto è bello essere vignaioli questo è lo spot definitivo:


Tutti i video on-line della scuola di potatura della vite sono fatti molto bene e possono aiutare a capire molte questioni legate alla viticoltura. Questo sul cordone speronato a Montalcino è fantastico:

giovedì 2 settembre 2010

Aspettando la vendemmia 2010

Qualche millimetro di pioggia lo scorso fine settimana. Poi crollo delle temperature: ora di notte fa molto fresco (intorno ai 12 gradi) con escursioni giorno/notte molto interessanti per il profilo aromatico dei vini. Si sta delineando, insomma, il profilo di una bella annata.
In questo video è possibile avere un'idea dei vigneti in questo preciso momento:


sabato 6 febbraio 2010

Lavori ed invecchiamenti

Duro lavoro negli ultimi giorni. Fra scavare buche per rimpiazzare viti nelle vigne vecchie, squadrare per bene, manco fossimo geometri esperti, mezzo ettaro di vigna nuova e piantare pali da mattina a sera, Giovanni ed io abbiamo riempito le prime giornate davvero belle ed asciutte dall'inizio dell'anno. Sono i giorni in cui lavorare in campagna è una vera soddisfazione e non si finirebbe mai di camminare i vigneti.
Martedì 9 febbraio, invece, sarò ancora in giro. Si torna al Ristorante La Tana degli orsi di Pratovecchio (AR) dei bravi Caterina e Simone, in pieno casentino, per una mangiata/degustazione tutta dedicata ai vini La Distesa. Si comincerà col Terre Silvate 2008 per poi fare un salto all'indietro nel tempo. Sarò anch'io curioso di vedere come saranno invecchiati, se meglio o peggio del sottoscritto, Gli Eremi 2002, Gli Eremi 2000 e uno dei primi Verdicchio targati La Distesa, ovvero il San Michele 1998. La serata è solo su prenotazione, questi i riferimenti:  
Ristorante Cantineria “La Tana degli Orsi”
Via Roma 1, Pratovecchio AR.
Tel. e Fax 0575 583377
Cell. 329.8981473 - 329.5829483
E.mail tana.orsi@aruba.it

sabato 15 agosto 2009

Il Mediterraneo com'era una volta

Da qualche anno è lo slogan scelto dalla Croazia per il proprio marketing turistico. Bello, non c'è che dire. Vero? Forse non in pieno agosto quando masse di turisti ormai da tutta Europa hanno come meta le coste e le isole croate. Eppure un fondo di verità c'è. Il mare croato, quell'Adriatico che sul nostro lato marchigiano è tutt'altra cosa, è veramente in Dalmazia ancora un ambiente selvaggio e da scoprire, paradiso per velisti e appassionati di barche ma anche per famiglie e vacanzieri di ogni sorta. Poche grandi strutture alberghiere o villaggi e, invece, migliaia di appartamenti privati, piccole pensioni e bed&breakfast famigliari. Una offerta che non manca di nulla ma resta ad un livello sopportabile a chi non ama le grandi masse. Una natura ancora quasi incontaminata. Una varietà di paesaggi e un susseguirsi di cale, spiagge, isole, isolette, rocce e strapiombi da far innamorare chiunque. Una enogastronomia molto interessante. Una generale sensazione di tranquillità e rilassatezza, tipicamente mediterranee. Tutto questo rende la Dalmazia, e le coste croate più in generale, davvero una meta sempre più conosciuta ed apprezzata. 
Dopo Dugi Otok, Isola Lunga, che ci aveva molto affascinato tre anni fa, stavolta siamo stati a Korčula - Curzola una settimana, giusto il tempo di rifiatare e farsi qualche bella nuotata. Più turistica eppure davvero bella anch'essa, col suo mare ed  suoi vigneti. Nella penisola di Pelješac - Sabbioncello e a Korcula, poi, ho visto il futuro della enologia europea. Vigneti abbarbicati su montagne bianche di calcare assolato, ancestrali, con fittezze altissime e condotte ad alberello o, come in Grecia, striscianti sulla pietra, vitigni autoctoni che si specchiano nel mare, profumi e sapori salmastri, minerali, sassosi. Il Posip, il Grk, il Rukatac a Korcula sono vitigni bianchi di assoluto valore,e,  così come il rinomato vitigno rosso Plavac Mali a Peljiesac (da alcuni geneticamente simile allo Zinfandel californiano e, dunque, al Primitivo pugliese), sono un patrimonio su cui lavorare e da cui partire per fare vini affascinanti, diversi, non omologati. Come quella Malvasia Istriana che, qualche centinaio di chilometri più a nord, oramai è in grado di dare vini bianchi fra i migliori d'Europa. Speriamo che qualche enologo-stregone dalle nostre cantine non arrivi a rovinare tutto quanto.
Intanto oggi è il 40° anniversario di Woodstock. Non dico nulla, se non di acquistare il DVD da poco uscito con lo storico documentario nella versione "director's cut". Imperdibile per gli amanti della musica rock.

venerdì 17 luglio 2009

Odio l'oidio

Annata difficile per i trattamenti anticrittogramici. Pareva un anno da peronospera ed invece siamo impestati di oidio, sebbene solo sulle varietà rosse. Non l'ho mai capito, l'oidio. Arriva quando vuole, produce danni pesanti sui grappoli e soprattutto sopravvive all'inverno e, dunque, si diffonde anno dopo anno divenendo cronico. Brutta storia. Ci saranno da fare delle selezioni atroci. 
Proverò in post-vendemmia un "antagonista" biologico, l'ampelomyces quisqualis, che è a sua volta un fungo in grado, però, di contrastare le spore dell'oidio.
Per il resto il vigneto è bello, con una parete fogliare che non si vedeva da tempo, frutto della stagione umida. Il carico di uva è equilibrato, che per me significa poca uva ma ben distribuita. Il nuovo vigneto, quello del koiné, è spettacolare ed ha già cacciato moltissimo: ci abbiamo dedicato tempo e fatica, specie Giovanni, come si deve alle giovani creature.
Oidio bastardo permettendo ci sono tutte le premesse per una buona annata.  

mercoledì 18 marzo 2009

Progetto κοινη: un nuovo vigneto, un nuovo aiutante

Ieri abbiamo finito di impiantare un vigneto nuovo. Con questo impianto parte ufficialmente il progetto κοινη, dal greco "comune". Di cosa si tratta? Si tratta del nuovo percorso, appunto comune, di un gruppo di amici con una lunga storia alle spalle. Si tratta della messa in comune di risorse, passioni, energie per arrivare alla produzione di un grande vino rosso, sotto la guida ed il marchio La Distesa. Si tratta per il sottoscritto di una nuova sfida agronomica ed enologica, anche per la tipologia di impianto, da condividere con gli amici di sempre.  
Ho pensato a un impianto con fittezze molto elevate (circa 6500 piante ad ettaro) e ad una conduzione ad alberello. Due novità assolute per il territorio di Cupramontana. I vitigni prescelti sono il Sangiovese, il Montepulciano e la Vernaccia nera. Sono stati scelti molti cloni differenti per ogni vitigno così come differenti portainnesto, in modo da creare la massima bio-diversità. 
L'emozione è grande. Da una parte c'è la gioia di condividere questa avventura con persone che vedo sempre meno ma che hanno segnato una parte importante della mia vita e con cui vi sono ancora sintonie e concordanze. Dall'altra c'è la sensazione tutta particolare che ci accompagna quando si fa qualcosa destinato a durare nel tempo: tutto ha un peso specifico differente perché c'è la consapevolezza di iniziare un percorso che non ha una data di scadenza. Ci sono vigneti con 50 o 60 anni di età, e ciò significa che molto probabilmente le barbatelle piantate in questi giorni ci sopravviveranno.
Infine mi fa piacere condividere questa situazione con Giovanni Loberto, giovane enologo milanese appena diplomatosi. Da gennaio lavora in azienda, affiancandomi in tutte le attività principali, dalla campagna alla cantina. In una fase di crisi come quella attuale in cui tutti sembrano ridimensionare la forza lavoro, la collaborazione di Giovanni è un investimento che ho pensato di compiere per far crescere ancora l'azienda dal punto di vista della qualità. Molti sono i progetti in cantiere, oltre a questo nuovo vigneto. C'è tanto da fare: per migliorare sempre, per inseguire ancora nuove sfide, per realizzare almeno qualcuno dei sogni che ci riempiono la testa.