Alla faccia delle polemiche, dei blog furbetti, dei commenti isterici e di quelli in mala fede, io mi sono stappato un Chiroumbles 2010 di Karim Vionnet (vin de Kav, appunto), uno dei discepoli di Chauvet, Lapierre e Thevenet in quel di Morgon, Beaujoulais. Etichetta stile pop art, no solforosa, solo uve gamay e niente altro per un vino che, come recita l'etichetta, è meglio conservare a temperatura inferiore ai 14° (Danny Baldin ringrazia).
Che dire? Che è esattamente come doveva essere. Come Joe Strummer che canta I fought the law insieme ai Clash, come James Dean che guida all'impazzata nella notte, come il maggio francese, come il Grande Lebowsky e il suo spino nella vasca da bagno. Un pugno in faccia all'immutabile perbenismo piccoloborghese.
Bellissimo, anzi buonissimo. E sì, sa anche un pò di buccia di salame...
Vino e territorio. Musica e cultura. Pensieri, sogni e visioni di un Homo Sapiens di campagna
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mercoledì 16 gennaio 2013
lunedì 4 gennaio 2010
Sancerre e Pouilly Fumé - Parte terza
Eravamo rimasti al Silex di Dagueneau. Si riparte girovagando per vigneti. Il colpo d'occhio è molto bello, specie coi colori d'autunno. Anche qui, come in gran parte della Francia, le zone vinicole con denominazioni importanti sono sfruttate in modo intensivo e totalizzante. E' certamente questo il limite principale del modello viticolo francese.
Modello intensivo fatto anche di chimica invasiva e vigneti meccanizzati. Sarà per questo che proprio in Francia il movimento "naturale", per antitesi, per ribellione, è più avanti che altrove?
Eccoci dunque visitare una azienda biodinamica di Sancerre, Domaine Vacheron. Il Sancerre 2008 è pulitissimo, netto. Ha un'impostazione che rende questo Sauvignon più vicino all'idea che abbiamo in Italia: molta aromaticità, con agrumi, asparago, anice al naso, ed una acidità sempre tagliente ma decisamente di più facile approccio. Molto piacevole. Diverso il Sancerre Les Romains 2007 dove ritroviamo l'impostazione più classica della denominazione con tanta mineralità, salinità diffusa, sentori di buccia di mela. Chiude, però, irrisolto con un finale di pesca sciroppata. Convincenti i rossi di questa azienda: il Sancerre rouge 2007 si presenta subito molto più interessante degli altri Pinot nero assaggiati in zona, con sentori nitidi di noce moscata, crostata di ciliegie, tabacco da pipa, frutti rossi, pepe; all'assaggio è verticale, nervoso, giovanile. Il fratello maggiore, Sancerre rouge Belle dame 2006, un vino più borgognone, fatte tutte le distinzioni del caso. Prugna, marmellata di amarena, noce moscata, frutti rossi, tracce di evoluzione ed un tannino più levigato ne segnano la beva. Un'azienda che, impressione mia del tutto intuitiva, pare a metà del guado fra la scelta biodinamica in vigna e vinificazioni molto "tecniche" in cantina.
Altra azienda gestita secondo criteri biodinamici è La Moussiere di Alphonse Mellot, altro "colosso" della vitivinicultura locale. Chiusa la cantina, ci accontentiamo di una colossale degustazione mattutina nel vicino negozio. Il Sancerre 2008 è un pò bananoso. Esile, molto dritto. Il Sancerre Les Romains 2007 esplode al naso con sentori finissimi di pera e lampi lievemente sciroppati, è elegantissimo, asciutto, salmastro con una chiusura marina ed un malico che fa salivare e "sanguinare". Il 2008 è un bimbo, verdastro al naso con sentori di crauti, sedano e, ancora!, pesca sciroppata; sale, sale, sale in bocca e chiusura tostata. I vini di questa azienda ci lasciano stupefatti, i profumi sono nitidi, scintillanti, stranissimi, al palato sono vibranti, di una freschezza surgiva, estrema, petrosa. La demoiselle 2008 sa di lavanda, di sapone, di fiori essiccati; è molto giovane, acidissimo, scarno. Generation 2008, che già conoscevo, è molto complesso, sa di erbe medicinali, di cavolo, di mare (acciuga, salamoia), mentre in bocca ha una acidità mostruosa, urticante, ma esce lunghissimo con un finale tostato elegantissimo. Sono vini paradigma di questa zona, all'ennesima potenza, in qualche modo estremi ed estremisti, anche nelle tecniche di cantina, immagino. Il manico si sente. Nel Satellite 2008 torna la pera, accanto alla lavanda, a fiori quasi balsamici, alla viola, a petali di rosa: finissimo, elegante, una gran dama da sera. Ci guardiamo e non crediamo ai nostri nasi, forse ci siamo drogati. Edmond 2007 è mielato, più evoluto, tostato. Molto complesso, andrebbe lasciato respirare nel bicchiere ma già siamo al Pouilly Fumé 2008 che si presenta con sentori di lampone (lampone!) o fragolina di bosco, poi affumicato, classico, petroso, verticalissimo in bocca che pare una falesia di calcare. Necessitiamo di un dentista per le nostre gengive ed i nostri denti... Ed ancora non è finita.
martedì 8 dicembre 2009
Sancerre e Pouilly Fumé - Parte seconda
La variabilità dei vini di Sancerre e Pouilly, poiché il Sauvignon è l'unico vitigno utilizzato, deriva in gran parte dal terroir. E' quello che succede anche a Chablis con lo Chardonnay. A differenza che a Chablis, però, dove si ha la netta preponderanza di suoli argillo-calcarei soprannominati "kimmeridge", che si alternano ad argille più sciolte, in questa parte della Loira la grossa differenza fra i vigneti viene dalla presenza o meno del suolo chiamato "Silex", traducibile in italiano col termine "selce" ovvero roccia sedimentaria composta principalmente da silice.
suoli "silex" separatamente. E' da queste vigne in particolare che si estraggono i sentori più classici del Pouilly Fumé: la selce, infatti, è proprio la pietra focaia, utilizzata sin dalla preistoria per accendere fuochi. Anche a Sancerre è presente tale suolo, ma in percentuale molto minore: di qui la prima grande differenza fra queste due aree davvero vicine. A Sancere prevalgono vini più fruttati ed "immediati", mentre a Pouilly prevalgono mineralità e salinità, con vini che si aprono maggiormente negli anni.
Oramai quasi tutti i migliori produttori tendono a vinificare le uve di vigneti piantati su

Rivoluzionario e guru indiscusso di questa zona è stato Didier Dagueneau, morto lo scorso anno in un incidente aereo. La "vulgata" è che Dagueneau sia stato il primo a vinificare separatamente i diversi suoli, fra cui le uve da vigneti silex (da cui la famosa etichetta ed il famoso vino), tanto è vero che sulle sue bottiglie il vitigno Sauvignon viene nominato come "Blanc fumé de Pouilly".
La figlia di Didier Dagueneau ci accoglie in una cantina che è molto semplicemente la più pulita ed ordinata che abbiamo mai visto. E ne abbiamo viste. Assaggiamo i vini direttamente dalle vasche di acciaio, dove vengono assemblate prima dell'imbottigliamento le diverse botti di legno, piccole e medie, dove tutti i vini dell'azienda compiono fermentazione ed affinamento.
I vini sono di una cristallina e sfolgorante freschezza. Si inizia da un "generico" Fumé de Pouilly 2008 che si distingue per un acidità malica incredibile e per impressionanti e nitide note di pera e di albicocca. Si prosegue con la cuvée Pur sang 2008: scintillante per mineralità, presenta finissimi accenni di salvia ed anice al naso ed una bocca salmastra, drittissima ed esplosiva di lime. Poi è la volta della cuvée Buisson Renard 2008 che deriva da suoli più argillosi e meno silicei. Il vino è più fruttato, largo e morbido, sebbene secondo i canoni locali, fragrante. Sono tutti vini che dimostrano per intero la loro estrema gioventù ma fanno intuire complessità e straordinario potenziale evolutivo.
Il Sancerre Mont damné 2008 è fine, a suo modo morbido, con note di fieno ed asparago, con un finale lungo e succoso. Un vino decisamente affascinante per la capacità di abbinare grande acidità ed intensa pienezza. L'ultimo vino che ci viene proposto è una delle pietre angolari del vino bianco in terra di Francia: la cuvée Silex 2008. Il vino presenta elegantissime note affumicate, di idrocarburo, agrumi, chili, pepe bianco. E' giovane, irruente, pare acqua sorgiva per quanto è straordinariamente fresco e bevibile. A centro bocca mostra sostanza e chiude in grande allungo con accenni vegetali e sapidi straordinariamente piacevoli. Si tratta di un vino dal futuro lunghissimo che ci mostra solo una parte della sua vitalità. Ma, in attesa di stappare il 2007 che porto via a 56 Euro, tanto basta.
martedì 1 dicembre 2009
Sancerre e Pouilly Fumé - Parte prima

La risposta è che riordinare le idee dopo una degustazione (nonché i disordinati appunti che mi ritrovo in mano) è qualcosa che mi aiuta molto nel mio lavoro quotidiano. Credo che in viticoltura ed enologia, nel senso umanistico che do ad entrambi i termini, siano fondamentali il continuo confronto con teorie e prassi differenti e la reiterata messa in discussione di ciò che si conosce o che si presume di conoscere. Non solo. Fare vino, e farlo al meglio, porta con sé quasi naturalmente la necessità di ricerca empirica davvero imponente. Questo perché le teorie, che sono necessariamente costruzioni astratte, hanno senso fino ad un certo punto una volta calate in una realtà fatta di migliaia di componenti chimici, diversità ambientali, geologiche, climatiche, socio-culturali. Insomma, per quel che ne posso capire, il vino è il regno della complessità e pertanto rifugge le soluzioni semplici e gli approcci facili.
Con questa logica, da bianchista tuttora insoddisfatto, è sempre una sfida ai limiti del possibile il confronto con in vini bianchi dei maestri francesi. E per questo motivo dopo Champagne, Alsazia e Borgogna ci restava da esplorare ancora una grande zona di bianchi: la Loira, specie là dove regna il Sauvignon Blanc.
Dopo il consueto e interminabile viaggio notturno ci ritroviamo, così, a sgranocchiare Croissant caldi sulla piazza di Pouilly-sur-Loire, appena prima di prendere possesso delle nostre accoglienti stanze nello gite di turno.
Perché ci facciamo del male nell'aprire le danze, come tradizione, con una cooperativa è presto detto: in tutto il mondo è in questi luoghi che ci si avvicina, nel bene e nel male, alla comprensione di una zona vinicola. Cave de Pouilly, dunque. Il Pouilly-sur-loire 2006 non è niente più che fresco e lievitoso, ma il Poully Fumé 2007 già si presenta più complesso, con note agrumate, lievemente affumicate, e poi di asparago e di sottaceto. Il Pouilly Fumé vecchie vigne 2007 è più varietale, verde, contraddistinto da note di foglia di pomodoro al naso; molto verticale in bocca, segnata dal malico, ma chiusura piacevole, salina, iodata, dura, con un richiamo al cetriolo agro.
Io odio il Sauvignon, mi ripeto come un mantra fin dall'inizio, e fin dall'inizio sono costretto a notare come non sia così infastidito dai tratti che più caratterizzano questo vitigno. Il Tonelum Pouilly Fumé 2007 da terroir Silex affinato in barrique conferma la sensazione: naso estremamente pulito, segnato da una nota fumé che ben si integra col legno, lungo, elegante, salatissimo in chiusura di bocca. Il resto della gamma si mantiene su discreti livelli e con prezzi più che abbordabili.
Dopo un breve giro per vigneti ci appare alla vista lo Chateau La Ladoucette. In questa "maison" si comincia a fare sul serio e ci rendiamo presto conto che, anche più che a Chablis, l'acidità è qualcosa con cui dovremo convivere. Il Pouilly Fumé 2007 La Ladoucette è finissimo, elegante, dalla spiccata nota minerale; note di asparago selvatico si intuiscono su uno sfondo dominato dalla pietra focaia mentre in bocca emerge un affascinante carattere salmastro, iodato ed algido, dritto, senza alcun cedimento alla morbidezza. Il Sancerre 2007 La Ladoucette è da subito più immediato: emergono sentori di muschio, lavanda, miele d'agrumi, frutto della passione, pomodoro verde. L'aromaticità è espressione di un vino ancora incredibilmente salino ed acido, dove la salivazione si fa inarrestabile dopo la prima sorsata, dove il malico conquista la bocca in modo progressivo ma non fastidioso. E' poi la volta del Sancerre 2007 La Poussie, Sauvignon più classico, caratterizzato da profumi molto netti di mango, agrumi, frutto della passione, pepe bianco e da una bocca più pronta ed immediata, ma non banale, dove solo in chiusura si avverte una lieve nota vegetale (peperone). E' poi la volta del vino rosso, un Sancerre 2006 Comte Lafond Gran cuvèe. L'appellation prevede l'utilizzo al 100% del Pinot Nero ma siamo piuttosto lontani dalla Borgogna. Ad un naso nettissimo di ciliegia e piccoli frutti rossi, fragrante ed elegante, fa da contraltare una bocca dove prevalgono note vegetali, una magrezza eccessiva ed un finale troppo amaro ed astringente.
Torniamo in paese e, appena prima di pranzo, ci accoglie la piccola sala degustazione di Masson-Blondelet. Qui la viticoltura avviene senza l'utilizzo di diserbanti e pesticidi ma l'azienda non è a conduzione completamente bio: ci viene ricordata l'estrema piovosità della zona e la difficoltà nella gestione dei trattamenti anticrittogramici. Il Pouilly Fumé Les Pierre de Pierre 2007, su suolo silex, è subito un pò chiuso, poi presenta note minerali, di limone, su un sostrato classico "fumé". In bocca è molto molto acido, freschissimo ma davvero duro. Il Pouilly Fumé Villa Paulus 2007, su suolo Kimmeridge, è immediato, dominato da un fruttato a base di pesca bianca e da sensazioni marine in bocca che non stancano mai. Lo stesso vino nella versione 2008 è più lievitoso, molto pulito, floreale, con note molto curiose di alghe e frutti di mare. Chiusura fruttata molto diritta. Il Pouilly Fumé Tradition Cullus 2005 presenta note di pera e frutti esotici, ha un finale lunghissimo ed elegante ma risulta un pò magro a centro bocca. In generale tutti i vini, vinificati in acciaio, risultano molto piacevoli e ben fatti, forse appena un pò facili, ma espressivi certamente della denominazione. Siamo in ogni caso stupefatti dai livelli di acidità riscontrati in tutti i vini. Una acidità viva, nervosa, per lo più appagante. Ma il meglio dovrà ancora venire.
lunedì 26 maggio 2008
Lungo il grande fiume - Parte quarta

Dopo molto tempo termina il racconto del viaggio lungo il Rodano di due anni fa. L'ultima parte riguarda i vini della parte sud della Cote du Rhone.
MARCEL RICHAUD – Cairanne.
Alcuni di noi conoscevano già questo vigneron, avendolo incontrato alla bella manifestazione di Fornovo Taro nel 2004. Oltre ad essere un ottimo produttore Marcel Richaud è anche animatore di una associazione molto interessante, Les Toqués des dentelles. Si tratta di un gruppo di vignerons del sud della Cote du Rhone, nelle sue diverse denominazioni, uniti da una comune etica da “contadini-viticoltori”. Orientata a fare una agricoltura sana e naturale, questa associazione è una delle tante espressioni di vitalità che il settore vitivinicolo francese dimostra di avere a livello di piccole aziende, vignaioli e contadini che tentano di reggere il monopolio dei grandi chateaux e negociants attraverso una offerta diversificata, di qualità spesso estrema e legata alla naturalità della coltivazione e della trasformazione.
In particolare i vini di Richaud ci hanno colpito per la loro essenza non omologata e singolare. La forzatura delle maturazioni porta a vini iper-concentrati che, certamente, non sono dalla beva facile, ma che esprimono molto bene le caratteristiche dei principali vitigni presenti nella zona: grenache, syrah, mourvedre e carignan. Il fatto che i vini più “facili” fossero esauriti ha, però, certamente rinforzato tale sensazione.
CAIRANNE ROUGE 2005.
E’ un assemblaggio di differenti vigneti con una età che va dai 40 ai 70 anni. La resa media è di 35 hl. a ettaro. L’elevazione avviene per il 20% in cemento e per l’80% in barriques e tonneaux mai nuovi. Il colore è un rosso denso, violaceo. Al naso emerge subito una vena alcolica possente che conduce sentori di inchiostro, grafite, pepe bianco, peperoncino. Prendendo aria si apre su toni di frutta rossa matura e cioccolato. In bocca è denso, grasso, molto caldo. I tannini sono larghi e impetuosi.
L’ESBRESCADE – CAIRANNE ROUGE 2004
Questo è il vino di punta di Richaud. Proviene esclusivamente da un vigneto singolo posto fra Cairanne e Rasteau con rese di 25 Hl. a ettaro. Il colore è un rosso scuro, quasi impenetrabile. L’olfatto è complesso, dominato anche qui dalla potenza dell’alcool (15,5%) e da sensazioni quasi liquorose di marmellata di amarena e cioccolato fondente cui seguono note spezie e affumicate tra le quali si fa strada il peperoncino verde, tipico di molte grenache che abbiamo assaggiato. In bocca è potente, largo, molto tannico ma i tannini sono precisi e maturi. La persistenza è lunghissima, così come imponente è il calore generato da ogni sorsata. Un vino da meditazione e da lungo invecchiamento dove la Mourvedre gioca un ruolo importante con la sua carica tannica.
CAVE DE CAIRANNE – Cairanne.
La visita a una cantina cooperativa è sempre importante per capire la qualità media di un territorio, la capacità di una denominazione di esprimere il suo potenziale e i vitigni che la caratterizzano. In questo senso la Cantina di Cairanne è un buon esempio di cooperativa in grado di svariare da prodotti di largo consumo e bassi prezzi a prodotti di qualità media fino a riserve dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Il “Percorso Sensoriale” offerto ai visitatori è un po’ troppo costruito per visitatori americani o giapponesi ma mostra come l’attenzione al turismo viticolo e alla clientela privata sia in Francia patrimonio anche delle realtà più commerciali.
Ci hanno colpito nella vasta panoramica di vini assaggiati l’estrema pulizia e precisione, specie olfattiva e una bevibilità mai banale ma espressiva dei caratteri varietali dei vitigni. In particolare il Cairanne blanc 2005, fresco e piuttosto fine nella sua nota dominante di mela verde, il Cairanne rouge 2004 La Réserve Camile Cayran con sentori nitidissimi di frutti di bosco, derivante per un 20% da macerazione carbonica, e dalla buona sapidità.
LES SALYENS - Cairanne 1999
Il colore è un rosso rubino con riflessi mattone. All’olfatto si presenta con sentori tipici di frutta rossa matura. Con l’aria vira verso sensazioni più acri, di erbe aromatiche. Poi di fiume e terra. In bocca è sapido, serrato, non lungo ma piacevole. La chiusura è quasi minerale, di pietra focaia che ritorna all’olfatto come cenere, sigaro e zolfo. Ma è anche la solforosa a essere forse un po’ troppo evidente. Un ottimo rapporto qualità/prezzo.
CHATEAU MONT REDON
Si tratta di un classico chateau francese, produttore di grande quantità ma di fama discreta. I vini bianchi ci hanno deluso notevolmente denotando solforose troppo evidenti, banalità espressiva, ed una scarsa finezza generale. I rosé sono risultati decisamente migliori, specialmente il Lirac 2005, ancora un po’ chiuso ma decisamente minerale. Sono i rossi a rimettere le cose a posto. A cominciare dal Cote du Rhone 2004 pulito, dai netti sentori di fragola, dalla sapidità piacevolissima. Per continuare con il Lirac 2004 dove sentori più animali di grasso e di prosciutto si fondono con la frutta rossa. Per arrivare agli Chateauneuf du Pape. Vini austeri, classici, affidabili. Quello che ci si aspetta dalla denominazione e dal marchio. D’altronde lo stesso Didier Fabbre afferma che “la filosofia dell’azienda è quella di cercare di fare vini sempre uguali a se stessi”. Non seguire l’annata, quindi, ma tentare di imporre sempre il proprio stile.
Se è vero che il rischio, evidente, è quello di produrre vini meno sorprendenti rispetto ad altri, certamente però non si può parlare di omologazione ma di una strada attraverso la quale Chateau Mont-Redon tenta di esprimere le caratteristiche salienti del territorio. E’ attraverso i tagli fra le differenti parcelle, i dosaggi dei differenti vitigni secondo uno stile bordolese e l’uso anche di legni nuovi che tale via si manifesta. Non vi è originalità ma il risultato sono vini che probabilmente non deludono mai e che in una cena cui si è invitati possono piacere certamente a molte persone.
CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
Un vino che all’inizio sembra essere già in fase discendente. Invece con l’aria si apre su sentori di visciola che si fanno via via più balsamici, quasi mentolati. In bocca è rotondo, armonico, molto pieno. I tannini smentiscono la sensazione iniziale e impongono la loro presenza in mezzo alla bocca. Il finale è lungo e riporta sensazioni di sottobosco, di cuoio, di foglie umide e ancora di amarena. Un vino davvero buono.
CHATEAUNEUF DU PAPE 1999
L’attacco è di ciliegia sotto spirito cui seguono sensazioni fluviali e terrose. Molto complesso e austero al naso, al palato risulta molto morbido e concentrato. Poi esce una vena minerale indefinibile, quasi di idrocarburo. I tannini sono maturi, perfetti. Con l’aria le sensazioni olfattive dominanti di amarena virano su note di tartufo e, ancora, di terra. Un altro classico. Un vino che è probabilmente al suo apice.
CLOS DU MONT OLIVET
Questa azienda di medie dimensioni fa in qualche modo da contraltare alla precedente. Si tratta di una famiglia di viticoltori da molte generazioni che tenta con ogni nuova generazione di rinnovarsi sebbene nel rispetto delle tradizioni. I vini sono quindi coraggiosi e moderni ma senza alcun cedimento al gusto internazionale. E’ soprattutto la grenache a brillare, con interpretazioni che ne esaltano le caratteristiche di vitigno del sud, caldo e potente ma che riesce ad esprimersi, soprattutto con l’evoluzione, attraverso una nitidezza olfattiva stupenda, anche per la totale assenza di sentori di legno tostato. E’ soprattutto con l’assenza di diraspatura in una certa percentuale del pigiato (ma si è arrivati anche al 100%) che si tenta al tempo stesso di lavorare sui tannini e di immettere una dose di complessità che risulta sempre più evidente con la terziarizzazione.
Il risultato finale sono vini “sudisti”, a volte duri, ma sempre intriganti e puliti, frutto di una “mano” enologica non invasiva ma che, specie all’olfatto, tende a orientare verso la finezza una materia sempre densa e concentrata. In questo senso anche vini più semplici emergono come esempi di una eleganza che riesce a dominare sostanze alcoliche e strutture tanniche a volte davvero imponenti. Lo Chateauneuf bianco 2005 si è presentato equilibrato, piuttosto fresco e dotato di una mineralità ancora solo accennata. La morbidezza si conferma nota dominante ma in modo meno banale che per altri bianchi del Rodano e con una pulizia olfattiva notevole. Stessa caratteristica riscontrata nel Cotes du Rhone 2004 da vecchie vigne con sentori di fragola e cannella nitidi ed eleganti; in questo caso la bocca viene chiusa da tannini molto buoni che lasciano indovinare una nota verde tutt’altro che fastidiosa o banale. Una caratteristica, che ritroveremo nei vini più importanti, della grenache noir di questa azienda e di questi luoghi.
Una valutazione complessiva non può non rimarcare come questa azienda aperta al mercato internazionale, specie americano, e con ottime valutazioni da parte del “guru” Robert Parker resti ben ancorata ad una visione tradizionale dei vitigni e del territorio. Una lezione che molti, in Italia e non solo, dovrebbero apprendere.
CHATEAUNEUF DU PAPE ROUGE 2004
L’attacco al naso è dominato all’inizio da note un po’ chiuse di fiume e terra umida. Vi è una nota verde molto elegante, una speziatura che tende verso il peperoncino. Appare ancora molto giovane. Anche al palato dove i tannini, sebbene non astringenti, sono davvero molto presenti. La chiusura è lunga e dritta. Prosciuga la bocca ma lasciando una sensazione di grande freschezza. E’ un vino ancora molto giovane che acquisterà valore dopo la degustazione delle annate successive.
CHATEAUNEUF DU PAPE 2003
Un vino con più frutto del precedente in cui le note di confettura sono bene integrate in una nota alcolica molto presente ma non fastidiosa. Ma sono poi note di resina, di chili, di peperoncino a dominare l’olfatto mostrando la grenache nella sua tipicità più piacevole. I tannini sono molto presenti insieme ad una concentrazione possente. Ma il vino non è mai stucchevole o eccessivamente morbido, anzi le note “verdi” si dimostrano quasi balsamiche (le ritroveremo nell’annata 1996 come splendide sensazioni di legno di ebano e di cedro).
CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
I colori nei vini di questa azienda sono dei rossi rubini accesi e integri ma non eccessivamente fitti, a dimostrare un certo predominio della grenache su sirah e mourvedre. Al naso il 2001 si offre subito con sentori di legno di cedro, di resina, di frutti rossi aspri come il ribes o l’uva spina. Nuovamente emergono elegantissimi sentori verdi di spezie, di rosmarino, ginepro e, più in generale, di quella garrigue (macchia mediterranea) che risulta la quintessenza della grenache dello Chateauneuf du pape. In bocca è molto concentrato, austero, mai morbido. I tannini sono maturi, sebbene nella chiusura conducano sempre verso sensazioni verdi, mai vegetali ma balsamiche e sapide. E’ un grande vino con più di dieci anni davanti.
MARCEL RICHAUD – Cairanne.
Alcuni di noi conoscevano già questo vigneron, avendolo incontrato alla bella manifestazione di Fornovo Taro nel 2004. Oltre ad essere un ottimo produttore Marcel Richaud è anche animatore di una associazione molto interessante, Les Toqués des dentelles. Si tratta di un gruppo di vignerons del sud della Cote du Rhone, nelle sue diverse denominazioni, uniti da una comune etica da “contadini-viticoltori”. Orientata a fare una agricoltura sana e naturale, questa associazione è una delle tante espressioni di vitalità che il settore vitivinicolo francese dimostra di avere a livello di piccole aziende, vignaioli e contadini che tentano di reggere il monopolio dei grandi chateaux e negociants attraverso una offerta diversificata, di qualità spesso estrema e legata alla naturalità della coltivazione e della trasformazione.
In particolare i vini di Richaud ci hanno colpito per la loro essenza non omologata e singolare. La forzatura delle maturazioni porta a vini iper-concentrati che, certamente, non sono dalla beva facile, ma che esprimono molto bene le caratteristiche dei principali vitigni presenti nella zona: grenache, syrah, mourvedre e carignan. Il fatto che i vini più “facili” fossero esauriti ha, però, certamente rinforzato tale sensazione.
CAIRANNE ROUGE 2005.
E’ un assemblaggio di differenti vigneti con una età che va dai 40 ai 70 anni. La resa media è di 35 hl. a ettaro. L’elevazione avviene per il 20% in cemento e per l’80% in barriques e tonneaux mai nuovi. Il colore è un rosso denso, violaceo. Al naso emerge subito una vena alcolica possente che conduce sentori di inchiostro, grafite, pepe bianco, peperoncino. Prendendo aria si apre su toni di frutta rossa matura e cioccolato. In bocca è denso, grasso, molto caldo. I tannini sono larghi e impetuosi.
L’ESBRESCADE – CAIRANNE ROUGE 2004
Questo è il vino di punta di Richaud. Proviene esclusivamente da un vigneto singolo posto fra Cairanne e Rasteau con rese di 25 Hl. a ettaro. Il colore è un rosso scuro, quasi impenetrabile. L’olfatto è complesso, dominato anche qui dalla potenza dell’alcool (15,5%) e da sensazioni quasi liquorose di marmellata di amarena e cioccolato fondente cui seguono note spezie e affumicate tra le quali si fa strada il peperoncino verde, tipico di molte grenache che abbiamo assaggiato. In bocca è potente, largo, molto tannico ma i tannini sono precisi e maturi. La persistenza è lunghissima, così come imponente è il calore generato da ogni sorsata. Un vino da meditazione e da lungo invecchiamento dove la Mourvedre gioca un ruolo importante con la sua carica tannica.
CAVE DE CAIRANNE – Cairanne.
La visita a una cantina cooperativa è sempre importante per capire la qualità media di un territorio, la capacità di una denominazione di esprimere il suo potenziale e i vitigni che la caratterizzano. In questo senso la Cantina di Cairanne è un buon esempio di cooperativa in grado di svariare da prodotti di largo consumo e bassi prezzi a prodotti di qualità media fino a riserve dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Il “Percorso Sensoriale” offerto ai visitatori è un po’ troppo costruito per visitatori americani o giapponesi ma mostra come l’attenzione al turismo viticolo e alla clientela privata sia in Francia patrimonio anche delle realtà più commerciali.
Ci hanno colpito nella vasta panoramica di vini assaggiati l’estrema pulizia e precisione, specie olfattiva e una bevibilità mai banale ma espressiva dei caratteri varietali dei vitigni. In particolare il Cairanne blanc 2005, fresco e piuttosto fine nella sua nota dominante di mela verde, il Cairanne rouge 2004 La Réserve Camile Cayran con sentori nitidissimi di frutti di bosco, derivante per un 20% da macerazione carbonica, e dalla buona sapidità.
LES SALYENS - Cairanne 1999
Il colore è un rosso rubino con riflessi mattone. All’olfatto si presenta con sentori tipici di frutta rossa matura. Con l’aria vira verso sensazioni più acri, di erbe aromatiche. Poi di fiume e terra. In bocca è sapido, serrato, non lungo ma piacevole. La chiusura è quasi minerale, di pietra focaia che ritorna all’olfatto come cenere, sigaro e zolfo. Ma è anche la solforosa a essere forse un po’ troppo evidente. Un ottimo rapporto qualità/prezzo.
CHATEAU MONT REDON
Si tratta di un classico chateau francese, produttore di grande quantità ma di fama discreta. I vini bianchi ci hanno deluso notevolmente denotando solforose troppo evidenti, banalità espressiva, ed una scarsa finezza generale. I rosé sono risultati decisamente migliori, specialmente il Lirac 2005, ancora un po’ chiuso ma decisamente minerale. Sono i rossi a rimettere le cose a posto. A cominciare dal Cote du Rhone 2004 pulito, dai netti sentori di fragola, dalla sapidità piacevolissima. Per continuare con il Lirac 2004 dove sentori più animali di grasso e di prosciutto si fondono con la frutta rossa. Per arrivare agli Chateauneuf du Pape. Vini austeri, classici, affidabili. Quello che ci si aspetta dalla denominazione e dal marchio. D’altronde lo stesso Didier Fabbre afferma che “la filosofia dell’azienda è quella di cercare di fare vini sempre uguali a se stessi”. Non seguire l’annata, quindi, ma tentare di imporre sempre il proprio stile.
Se è vero che il rischio, evidente, è quello di produrre vini meno sorprendenti rispetto ad altri, certamente però non si può parlare di omologazione ma di una strada attraverso la quale Chateau Mont-Redon tenta di esprimere le caratteristiche salienti del territorio. E’ attraverso i tagli fra le differenti parcelle, i dosaggi dei differenti vitigni secondo uno stile bordolese e l’uso anche di legni nuovi che tale via si manifesta. Non vi è originalità ma il risultato sono vini che probabilmente non deludono mai e che in una cena cui si è invitati possono piacere certamente a molte persone.
CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
Un vino che all’inizio sembra essere già in fase discendente. Invece con l’aria si apre su sentori di visciola che si fanno via via più balsamici, quasi mentolati. In bocca è rotondo, armonico, molto pieno. I tannini smentiscono la sensazione iniziale e impongono la loro presenza in mezzo alla bocca. Il finale è lungo e riporta sensazioni di sottobosco, di cuoio, di foglie umide e ancora di amarena. Un vino davvero buono.
CHATEAUNEUF DU PAPE 1999
L’attacco è di ciliegia sotto spirito cui seguono sensazioni fluviali e terrose. Molto complesso e austero al naso, al palato risulta molto morbido e concentrato. Poi esce una vena minerale indefinibile, quasi di idrocarburo. I tannini sono maturi, perfetti. Con l’aria le sensazioni olfattive dominanti di amarena virano su note di tartufo e, ancora, di terra. Un altro classico. Un vino che è probabilmente al suo apice.
CLOS DU MONT OLIVET
Questa azienda di medie dimensioni fa in qualche modo da contraltare alla precedente. Si tratta di una famiglia di viticoltori da molte generazioni che tenta con ogni nuova generazione di rinnovarsi sebbene nel rispetto delle tradizioni. I vini sono quindi coraggiosi e moderni ma senza alcun cedimento al gusto internazionale. E’ soprattutto la grenache a brillare, con interpretazioni che ne esaltano le caratteristiche di vitigno del sud, caldo e potente ma che riesce ad esprimersi, soprattutto con l’evoluzione, attraverso una nitidezza olfattiva stupenda, anche per la totale assenza di sentori di legno tostato. E’ soprattutto con l’assenza di diraspatura in una certa percentuale del pigiato (ma si è arrivati anche al 100%) che si tenta al tempo stesso di lavorare sui tannini e di immettere una dose di complessità che risulta sempre più evidente con la terziarizzazione.
Il risultato finale sono vini “sudisti”, a volte duri, ma sempre intriganti e puliti, frutto di una “mano” enologica non invasiva ma che, specie all’olfatto, tende a orientare verso la finezza una materia sempre densa e concentrata. In questo senso anche vini più semplici emergono come esempi di una eleganza che riesce a dominare sostanze alcoliche e strutture tanniche a volte davvero imponenti. Lo Chateauneuf bianco 2005 si è presentato equilibrato, piuttosto fresco e dotato di una mineralità ancora solo accennata. La morbidezza si conferma nota dominante ma in modo meno banale che per altri bianchi del Rodano e con una pulizia olfattiva notevole. Stessa caratteristica riscontrata nel Cotes du Rhone 2004 da vecchie vigne con sentori di fragola e cannella nitidi ed eleganti; in questo caso la bocca viene chiusa da tannini molto buoni che lasciano indovinare una nota verde tutt’altro che fastidiosa o banale. Una caratteristica, che ritroveremo nei vini più importanti, della grenache noir di questa azienda e di questi luoghi.
Una valutazione complessiva non può non rimarcare come questa azienda aperta al mercato internazionale, specie americano, e con ottime valutazioni da parte del “guru” Robert Parker resti ben ancorata ad una visione tradizionale dei vitigni e del territorio. Una lezione che molti, in Italia e non solo, dovrebbero apprendere.
CHATEAUNEUF DU PAPE ROUGE 2004
L’attacco al naso è dominato all’inizio da note un po’ chiuse di fiume e terra umida. Vi è una nota verde molto elegante, una speziatura che tende verso il peperoncino. Appare ancora molto giovane. Anche al palato dove i tannini, sebbene non astringenti, sono davvero molto presenti. La chiusura è lunga e dritta. Prosciuga la bocca ma lasciando una sensazione di grande freschezza. E’ un vino ancora molto giovane che acquisterà valore dopo la degustazione delle annate successive.
CHATEAUNEUF DU PAPE 2003
Un vino con più frutto del precedente in cui le note di confettura sono bene integrate in una nota alcolica molto presente ma non fastidiosa. Ma sono poi note di resina, di chili, di peperoncino a dominare l’olfatto mostrando la grenache nella sua tipicità più piacevole. I tannini sono molto presenti insieme ad una concentrazione possente. Ma il vino non è mai stucchevole o eccessivamente morbido, anzi le note “verdi” si dimostrano quasi balsamiche (le ritroveremo nell’annata 1996 come splendide sensazioni di legno di ebano e di cedro).
CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
I colori nei vini di questa azienda sono dei rossi rubini accesi e integri ma non eccessivamente fitti, a dimostrare un certo predominio della grenache su sirah e mourvedre. Al naso il 2001 si offre subito con sentori di legno di cedro, di resina, di frutti rossi aspri come il ribes o l’uva spina. Nuovamente emergono elegantissimi sentori verdi di spezie, di rosmarino, ginepro e, più in generale, di quella garrigue (macchia mediterranea) che risulta la quintessenza della grenache dello Chateauneuf du pape. In bocca è molto concentrato, austero, mai morbido. I tannini sono maturi, sebbene nella chiusura conducano sempre verso sensazioni verdi, mai vegetali ma balsamiche e sapide. E’ un grande vino con più di dieci anni davanti.
lunedì 14 gennaio 2008
Chablis, mon amour...
Si parte con una cantina sociale che sarebbe un sogno dalle nostre parti, La chablisienne. Con vini puliti, dritti, fini, segnati da una tostatura che non è mai legno ma lievito, crosta di pane, mandorla e nocciola. Come il Prelude 2002 o La Sereine 2005. E poi il buonissimo Vielles Vignes 2002, finissimo, balsamico, quasi mentolato, dove la tostatura ha le note della nocciola (100% acciaio) e l'acidità conduce la bocca verso lidi di freschezza nordica. E ancora il premier cru Beauroy 2005, dove prevale la noce, dove la finezza prende le forme del fieno, e in bocca si allarga una cremosità non stancante. Poi, a salire, il premier cru L'homme mort 2005, decisamente una grande annata, da botte grande, fine, minerale, con accenni di agrume, nuovamente eleganti note balsamiche, sentori di mela cotogna. Etereo in bocca, leggero, equilibrato nella sua verticalità. Buonissimo. Note più dolenti per quanto concerne i vini più importanti, forse semplicemente ancora chiusi, scontrosi, adolescenti. Non ci è piaciuto il Grand crus Blanchot 2004 e nemmeno ci ha entusiasmato il Grand crus Grenouilles 2005, mentre il Grand crus Preuses 2001 si è aperto per noi su note di miele, mandorla, cedro, con una notevole tostatura, stavolta di legno, ma mai banale, e una acidità corrosiva e viva.
Assaggiamo e più assaggiamo più rafforziamo la nostra idea che Chablis sia un luogo dove lo Chardonnay è solo uno strumento al servizio del terroir, perché quasi mai sentiamo banane o ananassi o cocchi o vaniglie. Pochissimo si usa la barrique, a differenza della Cote d'or. Persino in aziende dall'impostazione "internazionale" come Albert Bichot, maison di media grandezza, con diverse cantine a coprire più denominazioni. Qui i vini base hanno un buonissimo rapporto qualità prezzo e una pulizia di esecuzione splendida e finissimi sentori floreali, di frutta fresca, di pera (il Petit chablis). Poi si fa sul serio, anche in fatto di prezzi. Col premier cru Vaucopin 2005 (10% di legno) ricco di sensazioni di erbe, fiori bianchi e pietra, con un ingresso in bocca morbido che si distende su una ottima e malica acidità per chiudersi su note di mandorla. Di nuovo lo spettro del Verdicchio. E si continua col Grand cru Le clos 2002: finezza allo stato liquido, fatta di cedro, fiori bianchi, pietra focaia. Gelsomino. Finissimo al naso, secco, asciutto, in bocca col classico finale tostato e una generale sensazione di ricchezza e cremosità e morbidezza dopo la deglutizione. Un grande. Infine il Grand cru Preuses 2002, dove predominano sentori più terziari, una evoluzione stupenda di terra umida, champignon, zolfo, muschio e cespugli aromatici. In bocca equilibratissimo, lungo, interminabile, con una tostatura da pane abbrustolito a prevalere sulla freschezza. Poco dopo ci attende il Domaine Oudin, vera sorpresa delle nostre degustazioni. Vignaiolo di razza, Oudin ha una cantina piccola ma pulitissima e che non manca di nulla. Vinifica solo in acciaio e ha i tratti del terroirista. Il suo Chablis 2006 sorprende immediatamente per note di idrocarburo, pesca bianca, mela acerba. Una acidità portentosa è bilanciata da una cremosità mirabile che ne fanno un esempio di stile e finezza. Al prezzo di 8 euro. Lo Chablis Le serres 2005, che è una cuveé rimasta sui lieviti un anno in più, appare all'inizio ridotto ma si apre immediatamente su note eleganti di cedro, limone, mela cotogna. E' minerale, lascia una bocca pulitissima. E' fragrante, lunghissimo nella ormai consueta chiusura tostata di mandorla e noce. Un bianco semplicemente superbo. Infine il premier cru Vaugirot 2004: un vino difficile, davvero chiuso, complesso. Sapidissimo, dritto, senza cedimenti morbidi, presenta note di funghi, tartufo, formaggio salato. Poi l'agrume, ma più scorze che frutto, e soprattutto limone.
Ed alla fine, che dire? Poche pippe, qui non si macera, non si copre di legni, non si fanno tagli strani. E ce ne andiamo di sera, in mezzo a un tramonto freddissimo, con la netta sensazione che Chablis sia davvero una delle Università del vino bianco.
Ed alla fine, che dire? Poche pippe, qui non si macera, non si copre di legni, non si fanno tagli strani. E ce ne andiamo di sera, in mezzo a un tramonto freddissimo, con la netta sensazione che Chablis sia davvero una delle Università del vino bianco.
giovedì 6 dicembre 2007
Francia
Mancano ancora più di sei mesi agli Europei di calcio quando ci troveremo ancora di fronte i cugini francesi. Fino ad allora è possibile gridare "Vive la France!" bevendo i loro vini stupendi. D'altronde che siamo campioni del mondo non si discute. A pallone. Ma per quanto concerne i vini continuo a pensare che abbiamo ancora un pò di strada da fare, noi vignaioli italiani. Questione di terre ma anche di teste. Perché sui vitigni, non c'è storia; anche lì siamo campioni del mondo.
Sono tornato ancora una volta in quel di Beaune e Mersault, insieme alla solita compagnia di amici, ma orfani di Izio, sempre magico vice-segretario (in pochi sappiamo il significato recondito di questa carica onoraria).
In realtà stavolta la Cote d'or è stata solo un buon trampolino per conoscere realtà come lo Jura e Chablis, trovandosi più o meno a metà strada fra queste due regioni. Rimando ai prossimi giorni i commenti più precisi a vini e produttori. Oggi mi interessa soprattutto sottolineare come abbiamo assaggiato, con pochissime eccezioni, vini davvero superbi, anche in relazione al prezzo (certo scordiamoci i vini da 3 euro!). Vini con una identità spiccata e un eccezionale rapporto col territorio, sia che si fosse nella grande "tasting room" di una azienda da milioni di bottiglie, sia nello Chateau fico da centinaia di migliaia di bottiglie, sia nella grotta piena di muffe e ragnatele del piccolo vigneron. La sensazione, cioé, è che indipendentemente dalle dimensioni aziendali, queste regioni stiano resistendo in modo vigoroso e tangibile alla standardizzazione del gusto imposta negli ultimi anni, proseguendo sulla strada della tradizione.
In particolare Chablis, di cui conoscevo i vini ma non il territorio, è stata una rivelazione. Un luogo magico cui tornare in futuro. Un terroir fondamentale soprattutto per chi non si rassegna al dominio del "vino rosso" nell'immaginario collettivo. Abbiamo assaggiato vini davvero stupendi, dalla freschezza incredibile, dalla mineralità decisa, dalla vita lunghissima. Una qualità media impressionante, a fronte di prezzi molto elevati sui grand crus, ma decisamente alla portata per le denominazioni inferiori, specie nel confronto con certi bianchi di grido italiani.
lunedì 19 novembre 2007
Lungo il Grande Fiume - Parte terza
Dopo la Maison Chapoutier restiamo nella parte Nord della Valle del Rodano per incontrare una serie di produttori più piccoli ma egualmente molto interessanti.
GEORGE VERNAY – Condrieu.
GEORGE VERNAY – Condrieu.
Forse perché arrivati in ritardo all’appuntamento, ma qui l’accoglienza è decisamente più fredda. L’azienda Vernay, diretta da Paul Amsellem, è nota per i suoi Condrieu. Purtroppo i vini più interessanti sono esauriti, dunque la panoramica non può considerarsi esaustiva. In generale, però, si può affermare che lo stile aziendale è certamente orientato verso una impostazione internazionale, specialmente per quanto concerne la Sirah.LES TERRASSES DE L’EMPIRE – CONDRIEU 2005
Un classico giallo paglierino introduce a sentori di banana un po’ banali. Al naso è comunque molto pulito e fine. In bocca è morbido, corretto, senza una grande persistenza. Il viogner si offre qui nella sua mielata rotondità un po’ noiosa.
LES CHALEES DE L’ENFER – CONDRIEU 2005
Si presenta in un giallo paglierino carico. L’olfatto è subito elegantissimo e fine con una pulitissima nota di pera, di buccia di arancia caramellata, di marmellata di agrumi. In bocca ha un ottimo equilibrio fra morbidezza e acidità. La chiusura è lunga e minerale, e lascia presagire un grande futuro. Davvero un grande bianco.
LES DAMES BRUNES – SAINT JOSEPH 2004.
Un vino internazionale, una sirah che potrebbe essere australiana, sebbene a sua difesa vale la considerazione di un imbottigliamento ancora troppo ravvicinato. La tostatura del rovere è in grande evidenza. Comunque molto pulito al naso e di buona concentrazione.
MAISON ROUGE – COTE ROTIE 2004.
Un colore rosso cupo dai riflessi violacei introduce un naso pulito dove spiccano le note di spezie dolci, di pepe nero, di piccoli frutti rossi. Emerge più la sirah che la Cote Rotie, ma forse è anche la gioventù. I tannini sono comunque finissimi e precisi. Presente ancora la nota vanigliata sebbene più integrata nel frutto rispetto al vino precedente. Un esercizio di stile che risulta in fondo un po’ fine a se stesso.
VINCENT GASSE – Ampuis.
Vincent Gasse è un vignaiolo come tanti ce ne sono in Francia e in Italia. Ex insegnante in un Istituto per periti agrari, si è dato alla viticoltura biologica perché ha conosciuto e insegnato direttamente l’agricoltura chimica della “rivoluzione verde”. Un modello che considera ormai superato e dannoso. A parlarci, non sembra un integralista. Non lavora in biodinamica perché “si fa troppa fatica”, e in cantina è naturale solo perché così ha sempre fatto ed il vino che ne risulta lo soddisfa. Poi, però, ci porta nelle sue vigne, che sono piccolissime parcelle di diversi vigneti, e d’improvviso si illumina e veniamo travolti dalla sua passione per la terra.
Le parcelle, specie le prime due che ci mostra, sono proprio sopra al paese di Ampuis. Hanno pendenze incredibili. Il Rodano, enorme e fascinoso, compie una curva in modo tale che la costa vignata sia rivolta a sud, protetta dai venti più freddi (Mistral). Sembra di essere sulla Mosella più ancora che in Valtellina, con salti nel vuoto davvero affascinanti. La vendemmia qui è arte alpinistica ed i trattamenti principali vengono fatti, collettivamente e con prodotti biologici su tutte le parcelle, in elicottero. Poi, chi fa agricoltura convenzionale, se lo vuole, tratta ulteriormente le proprie vigne. Quando ha iniziato, Gasse era il primo a fare agricoltura biologica ad Ampuis e, ancora oggi, è fra i pochissimi. I suoi vini sono vini veri ma anche vini tecnicamente ineccepibili.
In cantina, un classica cantina da vigneron francese, dapprima ci fa assaggiare alcune prove di botte che subito si distinguono per autenticità e dirittura. Poi ci apre alcune delle poche bottiglie rimaste di annate precedenti.
COTE ROTIE 2001
Il colore è un rosso rubino classico. L’olfatto è invaso da note di pepe verde, rosmarino affumicato e di polvere di cacao. Poi sotto alla speziatura sembra emergere una interessante vena minerale, di grafite e asfalto. In bocca è stupendo per la freschezza quasi balsamica che lascia in bocca, risultante di tannini forse ancora un pò spigolosi e di una acidità ben presente e sapida. Un vino che può davvero invecchiare a lungo.
CONDRIEU 2003
E’ un viogner classico dal naso esplosivo di miele di acacia, confettura di pesca ed albicocca che in bocca delude per l’eccessiva morbidezza. Il vino, sebbene secco, risulta quasi dolce, stanco, senza alcuna presenza di sali minerali. Qui forse c’è di mezzo anche l’annata.
DOMAINE LIONNET – Cornas.
Lionnet è un altro vigneron classico, proveniente da una famiglia di viticoltori a Cornas dal 1575. La sua azienda produce un unico vino in 10.000 esemplari all’anno, circa. Siamo di fronte a quella realtà contadina francese viva, pulsante, fiera della propria storia. Una storia mai rinnegata per un salto verso l’industria o il mito cittadino. Sono le migliaia di piccole aziende come questa a costituire l’ossatura di un sistema-vino che, al contrario del modello degli chateaux bordolesi, regge la competizione globale attraverso una qualità distintiva, la fede nel terroir e la capacità di rivolgersi ad una clientela privata che raramente li tradisce, anche nelle annate meno fortunate.
Gli assaggi da barrique del Cornas 2005 ci fanno scoprire l’essenza del crus di Cornas, il vino più “sudista” del nord del Rodano. E’ un rosso cupo, concentrato, con spiccate doti di invecchiamento (anche 20 anni) in cui la sirah emerge come vitigno in perfetto equilibrio tra finezza e potenza, meno minerale che in Cote Rotie, bensì più grasso e morbido.
CORNAS 2004
Un vino che appare un po’ chiuso. Ci spiega Lionnet che i Cornas vanno bevuti molto giovani oppure almeno dopo 5 anni, poiché attraversano una fase “intimista” nel passaggio fra il fruttato giovanile e i sentori terziari della evoluzione. Si apre comunque su fini note di pepe nero, curry dolce, resina. Poi, delicatamente, si fanno strada frutti di bosco appena accennati. In bocca è molto buono, già in equilibrio perfetto fra alcool, tannini e acidità. Comunque la chiusura è verticale ed elegante. E’ il vino di un vignaiolo di razza.
Un classico giallo paglierino introduce a sentori di banana un po’ banali. Al naso è comunque molto pulito e fine. In bocca è morbido, corretto, senza una grande persistenza. Il viogner si offre qui nella sua mielata rotondità un po’ noiosa.
LES CHALEES DE L’ENFER – CONDRIEU 2005
Si presenta in un giallo paglierino carico. L’olfatto è subito elegantissimo e fine con una pulitissima nota di pera, di buccia di arancia caramellata, di marmellata di agrumi. In bocca ha un ottimo equilibrio fra morbidezza e acidità. La chiusura è lunga e minerale, e lascia presagire un grande futuro. Davvero un grande bianco.
LES DAMES BRUNES – SAINT JOSEPH 2004.
Un vino internazionale, una sirah che potrebbe essere australiana, sebbene a sua difesa vale la considerazione di un imbottigliamento ancora troppo ravvicinato. La tostatura del rovere è in grande evidenza. Comunque molto pulito al naso e di buona concentrazione.
MAISON ROUGE – COTE ROTIE 2004.
Un colore rosso cupo dai riflessi violacei introduce un naso pulito dove spiccano le note di spezie dolci, di pepe nero, di piccoli frutti rossi. Emerge più la sirah che la Cote Rotie, ma forse è anche la gioventù. I tannini sono comunque finissimi e precisi. Presente ancora la nota vanigliata sebbene più integrata nel frutto rispetto al vino precedente. Un esercizio di stile che risulta in fondo un po’ fine a se stesso.
VINCENT GASSE – Ampuis.
Vincent Gasse è un vignaiolo come tanti ce ne sono in Francia e in Italia. Ex insegnante in un Istituto per periti agrari, si è dato alla viticoltura biologica perché ha conosciuto e insegnato direttamente l’agricoltura chimica della “rivoluzione verde”. Un modello che considera ormai superato e dannoso. A parlarci, non sembra un integralista. Non lavora in biodinamica perché “si fa troppa fatica”, e in cantina è naturale solo perché così ha sempre fatto ed il vino che ne risulta lo soddisfa. Poi, però, ci porta nelle sue vigne, che sono piccolissime parcelle di diversi vigneti, e d’improvviso si illumina e veniamo travolti dalla sua passione per la terra.
Le parcelle, specie le prime due che ci mostra, sono proprio sopra al paese di Ampuis. Hanno pendenze incredibili. Il Rodano, enorme e fascinoso, compie una curva in modo tale che la costa vignata sia rivolta a sud, protetta dai venti più freddi (Mistral). Sembra di essere sulla Mosella più ancora che in Valtellina, con salti nel vuoto davvero affascinanti. La vendemmia qui è arte alpinistica ed i trattamenti principali vengono fatti, collettivamente e con prodotti biologici su tutte le parcelle, in elicottero. Poi, chi fa agricoltura convenzionale, se lo vuole, tratta ulteriormente le proprie vigne. Quando ha iniziato, Gasse era il primo a fare agricoltura biologica ad Ampuis e, ancora oggi, è fra i pochissimi. I suoi vini sono vini veri ma anche vini tecnicamente ineccepibili.
In cantina, un classica cantina da vigneron francese, dapprima ci fa assaggiare alcune prove di botte che subito si distinguono per autenticità e dirittura. Poi ci apre alcune delle poche bottiglie rimaste di annate precedenti.
COTE ROTIE 2001
Il colore è un rosso rubino classico. L’olfatto è invaso da note di pepe verde, rosmarino affumicato e di polvere di cacao. Poi sotto alla speziatura sembra emergere una interessante vena minerale, di grafite e asfalto. In bocca è stupendo per la freschezza quasi balsamica che lascia in bocca, risultante di tannini forse ancora un pò spigolosi e di una acidità ben presente e sapida. Un vino che può davvero invecchiare a lungo.
CONDRIEU 2003
E’ un viogner classico dal naso esplosivo di miele di acacia, confettura di pesca ed albicocca che in bocca delude per l’eccessiva morbidezza. Il vino, sebbene secco, risulta quasi dolce, stanco, senza alcuna presenza di sali minerali. Qui forse c’è di mezzo anche l’annata.
DOMAINE LIONNET – Cornas.
Lionnet è un altro vigneron classico, proveniente da una famiglia di viticoltori a Cornas dal 1575. La sua azienda produce un unico vino in 10.000 esemplari all’anno, circa. Siamo di fronte a quella realtà contadina francese viva, pulsante, fiera della propria storia. Una storia mai rinnegata per un salto verso l’industria o il mito cittadino. Sono le migliaia di piccole aziende come questa a costituire l’ossatura di un sistema-vino che, al contrario del modello degli chateaux bordolesi, regge la competizione globale attraverso una qualità distintiva, la fede nel terroir e la capacità di rivolgersi ad una clientela privata che raramente li tradisce, anche nelle annate meno fortunate.
Gli assaggi da barrique del Cornas 2005 ci fanno scoprire l’essenza del crus di Cornas, il vino più “sudista” del nord del Rodano. E’ un rosso cupo, concentrato, con spiccate doti di invecchiamento (anche 20 anni) in cui la sirah emerge come vitigno in perfetto equilibrio tra finezza e potenza, meno minerale che in Cote Rotie, bensì più grasso e morbido.
CORNAS 2004
Un vino che appare un po’ chiuso. Ci spiega Lionnet che i Cornas vanno bevuti molto giovani oppure almeno dopo 5 anni, poiché attraversano una fase “intimista” nel passaggio fra il fruttato giovanile e i sentori terziari della evoluzione. Si apre comunque su fini note di pepe nero, curry dolce, resina. Poi, delicatamente, si fanno strada frutti di bosco appena accennati. In bocca è molto buono, già in equilibrio perfetto fra alcool, tannini e acidità. Comunque la chiusura è verticale ed elegante. E’ il vino di un vignaiolo di razza.
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venerdì 5 ottobre 2007
Lungo il Grande Fiume - Parte prima
Raggiungiamo il gite rural da noi prenotato che sono le tre e mezzo di notte. L’aria è calda, considerando che siamo prossimi all’inverno. Svegliamo la proprietaria, che ci mostra le stanze e ci ricorda l’ora della colazione. E’ gentilissima, nonostante il nostro imperdonabile ritardo. L’accoglienza gentile e professionale di tutti gli operatori, nelle chambres d’hotes come nelle cantine e nei ristoranti, sarà una caratteristica piacevole e apprezzata durante tutto il nostro soggiorno.
Il Rodano ci accoglie con il suo immenso alveo, solcato da raffiche di vento che ne increspano la corrente rendendolo ancora più impressionante. La collina dell’Hermitage vista dal ponte che collega Tournon a Tain è uno spettacolo imperdibile anche per chi non è un appassionato di vino. Gli enormi cartelloni “pubblicitari” delle cantine poste sui crus aziendali, più che infastidire lo sguardo, paiono quasi far parte del paesaggio con la loro veste vecchia e decadente.
La denominazione madre, AOC Cotes du Rhone, si estende su una zona molto ampia dal sud di Lione fino ad Avignone. Si tratta di una geografia molto complessa dal punto di vista geologico, climatico, agronomico, enologico. Tanto che i vini che ne risultano sono spesso completamente differenti. La qualità media di questa denominazione appare molto buona e i prezzi sono corretti, per non dire accessibili. Non si può dire che sia una AOC di “ricaduta”; semplicemente vengono orientati a questa denominazione i vini provenienti dai territori più fertili, meno complessi, e con rese un po’ più alte.
La Cote du Rhone settentrionale coi suoi famosi Crus è la patria della sirah. Un vitigno che proprio a questi luoghi deve la sua fama mondiale. Qui la vite, importata dai romani dopo la sottomissione delle fiere tribù galliche, ha trovato un habitat fantastico, dove il duro lavoro dei vignaioli per la coltivazione su pendenze spesso durissime e su suoli aridi, per il mantenimento dei terrazzamenti, per la costruzione e manutenzione dei muretti a secco, è stato ripagato dal raggiungimento di una combinazione fra vitigno, suolo e tradizione riscontrabile davvero in poche altre realtà viticole.
Da subito assaggiamo vini magnifici dove, in generale, risulta preponderante la ricerca della finezza sulla concentrazione. In cui, spesso, il terroir vince sul vitigno, regalando sempre eleganze, armonie e complessità.
Il poco tempo a disposizione ci fa compiere scelte spesso difficili nella selezione dei produttori; altre volte, come nella caso della rinomata Maison Guigal non ci è possibile essere accolti. Ma il quadro risulta comunque chiaro. Ed è il quadro raffigurante una situazione produttiva e commerciale per nulla in crisi, dove le scelte compiute da viticoltori e grandi maison è quella di produrre vini senza grandi compromessi con il mercato e con una fortissima identità. Quando accade che si voglia strizzare l’occhio ad un consumatore globale in cerca di vini “più facili”, ciò avviene su fasce di prezzo elevate, ma per vini in cui la sostanza è sempre davvero importante.
Ciò che ci colpisce subito, in particolare, sono la semplicità delle vinificazioni e la non eccessiva tecnologia presente nelle cantine. Qui appare davvero evidente come buoni contadini con grandi terroirs possano produrre vini importanti senza una chimica invadente o una tecnologia soffocante.
I rossi sono giocati tutti sulla finezza di una sirah che non risulta mai banale, grezza o stancante. La mineralità dei Cote Rotie si alterna al caldo frutto degli Hermitage, la grazia dei Saint Joseph alla potenza delicata dei Cornas. Sono i bianchi a fare più fatica. L’incredibile pulizia olfattiva lascia spesso il posto ad una generale mancanza di acidità che impedisce al palato di uscire rinfrescato. Sono bianchi caldi, morbidi, dominati da toni mielati. Diventano intriganti con l’evoluzione ma sempre senza entusiasmi clamorosi.
Fra la parte settentrionale e quella meridionale della Cotes du Rhone ci sono più di cento chilometri. In mezzo non vi è viticoltura. Questa cesura geografica si rivela tale anche per quanto concerne la tipologia di vino prodotta, e non poteva essere diversamente.
La Cotes du Rhone meridionale è dominata dalla Grenache, sebbene quasi mai usata in purezza. Dominano vini concentrati, potenti, dalla trama tannica fittissima. E’ una zona più eterogenea, fondamentalmente perché la valle del Rodano è in questa parte larga, si apre su una pianura che arriverà in breve fino al mare. Siamo sostanzialmente in Provenza, dunque anche le temperature si fanno molto più elevate.
Scegliamo di iniziare i nostri assaggi dalla zona dei Cotes du Rhone Villages, una zona in grande crescita e con notevoli potenzialità. In particolare i Cairanne e i Rasteau destano in noi un certo interesse, accanto ai più blasonati Gigondas e Vaqueyras.
Sono vini moderni, con concentrazioni importanti, a partire dal colore, frutto di vitigni come la mourvedre, dalla grande potenza tannica, e di una sirah più mascolina che al nord. I suoli vedono argille, sabbie e limo fondersi con residui alluvionali ricchi di pietre e scheletro di roccia madre, principalmente il calcare dominante tutta la Provenza.
Viaggiando sulla strada del vino ci accorgiamo che il territorio è stupendo, con colpi d’occhio maestosi su vigneti, ulivi e cipressi che arriva sino alla piana del Rodano da una parte e fino alle pendici del Mont Ventoux dall’altra. E’ una terra dove la calura estiva è davvero incredibile e costantemente battuta da venti importanti. Proprio il vento e una certa elettricità dell’aria sembrano confermare la tesi di un magnetismo strano proveniente dal Mont Ventoux, il Monte calvo, famoso per alcune mitiche tappe del Tour de France.
Lasciateci alle spalle le falde del Mont Ventoux arriviamo a Chateauneuf du pape. La più famosa delle denominazioni del sud ci accoglie con vigneti che paiono cave per la quantità di sassi e ciotoli presenti. Spesso non esiste proprio terra, se non negli strati inferiori. E allora più che di terra bisogna parlare di strati limosi completamente sciolti. Le basse colline altro non sono, infatti, se non i depositi alluvionali del Rodano che qui inizia la sua ultima corsa cominciando ad allargarsi in quel delta che pochi chilometri più a sud diventerà la Camargue. E’ una viticoltura che deve combattere contro il grande caldo della pianura provenzale circostante e che la pietra non fa altro che rimbalzare sulle viti. Unico aiuto è il Mistral, vento da nord secco e fresco, che asciuga l’umidità del grande fiume e tende a mitigare la canicola estiva. Il mix di queste condizioni regala vini sempre molto potenti ma che non mancano di una certa finezza.
La grande concentrazione tannica dei vitigni del sud viene affrontata cercando di vendemmiare seguendo la maturità fenolica, il che produce inevitabilmente gradazioni alcoliche impetuose. L’arte del taglio si eleva quindi a vera dominate enologica dovendo i produttori confrontarsi con 13 vitigni differenti ammessi, fra bianco e rosso, e differenti scelte vendemmiali.
Prima di un’ottima cena visitiamo le rovine della antica residenza papale, battute da un instancabile vento. Proprio alla presenza della corte papale deve la fama il vino di questi luoghi. E’ l’ennesimo esempio di come la grande Storia umana si svolga nel tempo seguendo strade affascinanti.
Quando ripartiamo per l’Italia c’è ancora lo strano caldo che ci ha accompagnato per tutta la nostra permanenza. Ci segue fino al tunnel del Frejus, insieme al magnetismo del Mont Ventoux e al ricordo della vista sul Rodano dalla cappella dell’Hermitage. Dopo, è tutta un’altra storia.
Per dormire:
CHANOS CURSON
Gite de France: LA FARELLA.
Les Champs Ratiers
Tel. +33 (0)4 75073544
http://www.lafarella.com/
COURTHEZON
Maison d’hotes ANNONCIADE
M.me PASSCHIER
1185 chemin St Dominique
Tel. +33 (0)4 90708722
http://annonciade.chez.tiscali.fr
Per mangiare:
TOURNON SUR RHONE
Restaurant et Hotel LA CHAUMIERE
Quai Farconnet
CHATEAUNEUF DU PAPE
Restaurant et Hotel LA MERE GERMAINE
3 Rue du cdt Lemaitre
Il Rodano ci accoglie con il suo immenso alveo, solcato da raffiche di vento che ne increspano la corrente rendendolo ancora più impressionante. La collina dell’Hermitage vista dal ponte che collega Tournon a Tain è uno spettacolo imperdibile anche per chi non è un appassionato di vino. Gli enormi cartelloni “pubblicitari” delle cantine poste sui crus aziendali, più che infastidire lo sguardo, paiono quasi far parte del paesaggio con la loro veste vecchia e decadente.
La denominazione madre, AOC Cotes du Rhone, si estende su una zona molto ampia dal sud di Lione fino ad Avignone. Si tratta di una geografia molto complessa dal punto di vista geologico, climatico, agronomico, enologico. Tanto che i vini che ne risultano sono spesso completamente differenti. La qualità media di questa denominazione appare molto buona e i prezzi sono corretti, per non dire accessibili. Non si può dire che sia una AOC di “ricaduta”; semplicemente vengono orientati a questa denominazione i vini provenienti dai territori più fertili, meno complessi, e con rese un po’ più alte.
La Cote du Rhone settentrionale coi suoi famosi Crus è la patria della sirah. Un vitigno che proprio a questi luoghi deve la sua fama mondiale. Qui la vite, importata dai romani dopo la sottomissione delle fiere tribù galliche, ha trovato un habitat fantastico, dove il duro lavoro dei vignaioli per la coltivazione su pendenze spesso durissime e su suoli aridi, per il mantenimento dei terrazzamenti, per la costruzione e manutenzione dei muretti a secco, è stato ripagato dal raggiungimento di una combinazione fra vitigno, suolo e tradizione riscontrabile davvero in poche altre realtà viticole.
Da subito assaggiamo vini magnifici dove, in generale, risulta preponderante la ricerca della finezza sulla concentrazione. In cui, spesso, il terroir vince sul vitigno, regalando sempre eleganze, armonie e complessità.
Il poco tempo a disposizione ci fa compiere scelte spesso difficili nella selezione dei produttori; altre volte, come nella caso della rinomata Maison Guigal non ci è possibile essere accolti. Ma il quadro risulta comunque chiaro. Ed è il quadro raffigurante una situazione produttiva e commerciale per nulla in crisi, dove le scelte compiute da viticoltori e grandi maison è quella di produrre vini senza grandi compromessi con il mercato e con una fortissima identità. Quando accade che si voglia strizzare l’occhio ad un consumatore globale in cerca di vini “più facili”, ciò avviene su fasce di prezzo elevate, ma per vini in cui la sostanza è sempre davvero importante.
I rossi sono giocati tutti sulla finezza di una sirah che non risulta mai banale, grezza o stancante. La mineralità dei Cote Rotie si alterna al caldo frutto degli Hermitage, la grazia dei Saint Joseph alla potenza delicata dei Cornas. Sono i bianchi a fare più fatica. L’incredibile pulizia olfattiva lascia spesso il posto ad una generale mancanza di acidità che impedisce al palato di uscire rinfrescato. Sono bianchi caldi, morbidi, dominati da toni mielati. Diventano intriganti con l’evoluzione ma sempre senza entusiasmi clamorosi.
Fra la parte settentrionale e quella meridionale della Cotes du Rhone ci sono più di cento chilometri. In mezzo non vi è viticoltura. Questa cesura geografica si rivela tale anche per quanto concerne la tipologia di vino prodotta, e non poteva essere diversamente.
La Cotes du Rhone meridionale è dominata dalla Grenache, sebbene quasi mai usata in purezza. Dominano vini concentrati, potenti, dalla trama tannica fittissima. E’ una zona più eterogenea, fondamentalmente perché la valle del Rodano è in questa parte larga, si apre su una pianura che arriverà in breve fino al mare. Siamo sostanzialmente in Provenza, dunque anche le temperature si fanno molto più elevate.
Scegliamo di iniziare i nostri assaggi dalla zona dei Cotes du Rhone Villages, una zona in grande crescita e con notevoli potenzialità. In particolare i Cairanne e i Rasteau destano in noi un certo interesse, accanto ai più blasonati Gigondas e Vaqueyras.
Sono vini moderni, con concentrazioni importanti, a partire dal colore, frutto di vitigni come la mourvedre, dalla grande potenza tannica, e di una sirah più mascolina che al nord. I suoli vedono argille, sabbie e limo fondersi con residui alluvionali ricchi di pietre e scheletro di roccia madre, principalmente il calcare dominante tutta la Provenza.
Viaggiando sulla strada del vino ci accorgiamo che il territorio è stupendo, con colpi d’occhio maestosi su vigneti, ulivi e cipressi che arriva sino alla piana del Rodano da una parte e fino alle pendici del Mont Ventoux dall’altra. E’ una terra dove la calura estiva è davvero incredibile e costantemente battuta da venti importanti. Proprio il vento e una certa elettricità dell’aria sembrano confermare la tesi di un magnetismo strano proveniente dal Mont Ventoux, il Monte calvo, famoso per alcune mitiche tappe del Tour de France.
Lasciateci alle spalle le falde del Mont Ventoux arriviamo a Chateauneuf du pape. La più famosa delle denominazioni del sud ci accoglie con vigneti che paiono cave per la quantità di sassi e ciotoli presenti. Spesso non esiste proprio terra, se non negli strati inferiori. E allora più che di terra bisogna parlare di strati limosi completamente sciolti. Le basse colline altro non sono, infatti, se non i depositi alluvionali del Rodano che qui inizia la sua ultima corsa cominciando ad allargarsi in quel delta che pochi chilometri più a sud diventerà la Camargue. E’ una viticoltura che deve combattere contro il grande caldo della pianura provenzale circostante e che la pietra non fa altro che rimbalzare sulle viti. Unico aiuto è il Mistral, vento da nord secco e fresco, che asciuga l’umidità del grande fiume e tende a mitigare la canicola estiva. Il mix di queste condizioni regala vini sempre molto potenti ma che non mancano di una certa finezza.
La grande concentrazione tannica dei vitigni del sud viene affrontata cercando di vendemmiare seguendo la maturità fenolica, il che produce inevitabilmente gradazioni alcoliche impetuose. L’arte del taglio si eleva quindi a vera dominate enologica dovendo i produttori confrontarsi con 13 vitigni differenti ammessi, fra bianco e rosso, e differenti scelte vendemmiali.

Prima di un’ottima cena visitiamo le rovine della antica residenza papale, battute da un instancabile vento. Proprio alla presenza della corte papale deve la fama il vino di questi luoghi. E’ l’ennesimo esempio di come la grande Storia umana si svolga nel tempo seguendo strade affascinanti.
Quando ripartiamo per l’Italia c’è ancora lo strano caldo che ci ha accompagnato per tutta la nostra permanenza. Ci segue fino al tunnel del Frejus, insieme al magnetismo del Mont Ventoux e al ricordo della vista sul Rodano dalla cappella dell’Hermitage. Dopo, è tutta un’altra storia.
Per dormire:
CHANOS CURSON
Gite de France: LA FARELLA.
Les Champs Ratiers
Tel. +33 (0)4 75073544
http://www.lafarella.com/
COURTHEZON
Maison d’hotes ANNONCIADE
M.me PASSCHIER
1185 chemin St Dominique
Tel. +33 (0)4 90708722
http://annonciade.chez.tiscali.fr
Per mangiare:
TOURNON SUR RHONE
Restaurant et Hotel LA CHAUMIERE
Quai Farconnet
CHATEAUNEUF DU PAPE
Restaurant et Hotel LA MERE GERMAINE
3 Rue du cdt Lemaitre
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