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mercoledì 24 novembre 2021

Appunti sparsi. Noi. La vendemmia 2021. I prossimi tempi.

Mentre una fitta nebbia ci impedisce di continuare la raccolta delle olive - ce ne sono tante e belle - alcune riflessioni si rincorrono, sfuggenti, da qualche tempo.

I vini della vendemmia 2021 riposano nelle vasche e nelle botti. A parte qualche residuo zuccherino qua e là, sono buoni. Alcuni sono molto buoni. È stata una vendemmia piuttosto veloce nei tempi di raccolta e molto lenta nelle fermentazioni, come era prevedibile. Una vendemmia molto diversa dalla precedente che era stata disastrosa soprattutto per quanto riguardava il mio approccio. Se infatti ero uscito dalla 2020 con dubbi e insicurezze, con una sorta di incapacità di giudizio e di azione che mi pareva assurda dopo ventidue vendemmie, con questa vendemmia ho riscoperto il piacere della vinificazione. Intendiamoci: è sempre qualcosa di piuttosto masochista, con le notti insonni e tutto quanto... Ma in qualche modo mi pare di aver recuperato il senso più profondo del mio lavoro.

Il microscopio. 

In qualche modo il microscopio è stata la chiave. Non che il microscopio in sé possa risolvere i problemi. Però quel che è successo è che si sono come disciolte molte delle incrostazioni ideologiche sul "naturale" che in questi anni si erano progressivamente stratificate in me, in noi. Da un lato il microscopio mi ha letteralmente riportato proprio dentro alla Natura. Dall'altro mi ha sganciato finalmente dalla retorica del "Naturale". Sembra una contraddizione ma non lo è. Penso ad esempio al bellissimo libro di Christelle Pineau "Cornoletame e microscopio" in cui si fa una approfondita analisi antropologica del movimento del vino naturale.


Osservare l'estremamente piccolo, il microcosmo di lieviti e batteri, mi ha guidato verso riflessioni più macro, su questo nostro mondo incastrato nella pandemia, preda di rancori, paure, muri. È stato un viaggio in qualche modo catartico, e lo è ancora. 

Osservare la vita microscopica e le sue influenze sul nostro lavoro, sulle nostre vite; immaginare il virus come fosse un lievito. E poi pensare alle nostre società. Alle nostre aziende. Alle nostre istituzioni. Al nostro ambiente. Pensare a come tutto sia collegato e a come tutto sia estremamente fragile.

La realtà è che mi sto progressivamente allontanando dal "vino naturale". Da sempre ho criticato certi atteggiamenti e valutato i rischi di alcune operazioni. In tempi non sospetti: sia nei libri, che in vari contributi web (solo una selezione per chi fosse curioso: qui qui e qui). Nonostante questo ci ho creduto e continuo a pensare che quella rivoluzione sia stata foriera di un più ampio rinnovamento del mondo del vino tout court. 

Eppure oggi l'esplosione stile supernova del "naturale" e il suo enorme successo mi sembrano in gran parte una rappresentazione già vista, vecchia. Con tutte le sue narrazioni, i suoi selfie, le sue forzature, le sue bottiglie feticcio, i suoi influencer, il suo circo e i suoi circoli e le sue falsità belle e buone. Proprio nel momento in cui i nodi della catastrofe ecologica che ci circonda vengono definitivamente al pettine, proprio quel mondo, il nostro mondo, balbetta parole come "sostenibilità" e "biodinamica" ma in fondo in fondo è del tutto silente. E politicamente ininfluente.

Peggio. Una parte del movimento si dimostra, rispetto alla pandemia in atto, dubbiosa nei confronti della scienza quando non apertamente negazionista e cospirazionista. Il che fa il paio - devo dire in modo coerente (non me ne ero mai reso pienamente conto) - con una idea di agronomia e di enologia che si allontana sempre di più da una qualsivoglia ragionevole base scientifica. (Che poi il mondo scientifico sia pieno di problemi questo è un altro piano del discorso e qui nessuno si è mai tirato indietro rispetto ad una critica serrata alle sue distorsioni). 

Mi chiedo: cosa fare di fronte a tutto questo disagio? E la risposta è complicata, difficile.

Forse ritirarsi e decrescere. Ri-educarsi. Fare politica attiva. E piantare un sacco di alberi. 

Questo è ciò che abbiamo fatto ed è ciò che continueremo a fare. Che il vino, in fondo, è sempre stato solo una scusa. 

venerdì 5 febbraio 2021

L'annata 2020 e alcuni dubbi radicali

Si dice sempre che ogni vendemmia è una storia a sé. Ed è vero. 

Ma poi ci sono annate che sono davvero dei punti di svolta, di non ritorno. Nel mio caso penso alla 2004: la prima annata in cui iniziai a sperimentare le fermentazioni spontanee. Oppure alla 2013, forse la migliore annata degli anni 2000 qui a Cupramontana: una vendemmia irripetibile che ci ha consegnato il senso del nostro limite qualitativo.

La vendemmia 2020 è stata per me una vendemmia durissima. I vini in vasca stanno mettendo a dura prova ogni mia convinzione, anche quella di continuare questo lavoro. Mi trovo nella condizione di non capire più le cose che sto facendo, la direzione verso cui stiamo andando. Tutta la bellezza del lavoro in campagna, la complessità dell'ecosistema che stiamo costruendo, e che mai come quest'anno pareva meravigliosa, non riesco a ritrovarla per nulla nei vini. O forse c'è, ma a me non piace più.

I miei vini sono sempre stati oggetto di dibattito. A molti non sono mai piaciuti ma non è stato mai un problema. Abbiamo smesso di mandarli alle commissioni assaggio. Abbiamo smesso di mandarli alle guide. Piacevano a noi. E piacevano ai nostri clienti. Tanto bastava.

Gennaio e Febbraio sono due mesi brutti per assaggiare i vini nuovi, specialmente i vini a base Verdicchio. Può essere che fra qualche mese questi brutti anatroccoli rifioriscano. Ma il punto non è questo, non è solo estetico. Fare vino naturale, perlomeno come siamo arrivati a farlo noi, implica l'assunzione di grandi rischi: di fatto tutta l'enologia moderna, quella che si basa sull'utilizzo di coadiuvanti e additivi più che sulla conoscenza dei processi, è basata sul concetto di riduzione del rischio. Ecco, la sensazione è che in questa fase io sia andato davvero troppo oltre, che il sottile confine tra un rischio calcolato e un salto nel vuoto sia stato oltrepassato.



Ancora oggi, dopo più di vent'anni di vinificazioni, mi trovo a non comprendere fino in fondo certe dinamiche. Oppure a comprenderle ma a non riuscire ad affrontarle nel modo in cui vorrei. Il clima non ci aiuta, ma non ci aiuta nemmeno la ricerca scientifica. E nemmeno - spiace dirlo - il nostro "movimento" così compatto quando si tratta di andare a una fiera e così poco interessato a costruire una "educazione alternativa". Così mi ritrovo solo ad assaggiare il frutto di un lavoro duro, approfondito, minuzioso, costoso sia in termini di energie che economie, e a doverlo rifiutare, a sentirlo come distante, come il frutto del lavoro di un neofita, di un principiante alle prime armi.

Forse è anche il momento che stiamo vivendo, forse i micro organismi responsabili delle fermentazioni hanno colto il fraintendimento, la paura (Giovanna, lo so che lo pensi!) e magari ri-assaggiare la 2020 tra dieci o quindici anni ci farà ricordare la pandemia, il lockdown, l'incertezza di questi tempi folli.

Oppure è solo arrivato il momento di lasciar perdere. Lasciare tutto in mano a un bravo enologo e andarmene in giro a fare bird-watching. Minchia, pensate il fallimento.      

martedì 7 agosto 2018

Garage and natural

Prendi dell'uva bianca e raccoglila prematura così da avere un pH basso (così puoi anche non aggiungere solforosa).
Prendi dell'uva rossa e raccoglila presto, poco importa la maturazione del vinacciolo, tanto farai una macerazione carbonica con il grappolo intero, con poca estrazione di tannino.
E poi prendi del mosto in fermentazione e imbottiglialo con ancora qualche grammo di zucchero da svolgere, in modo da fare un bel frizzantino.
Ah, e acquista un'anfora in cocciopesto per farci una bella macerazione lunga di qualche uva bianca, importante sia molto autoctona, molto italiana.
Ecco, ora hai la gamma completa. Vini glou glou, vini "da beva compulsiva", vini da sete, vini che bevi a secchiate, maceratoni da competizione.
Disimpegno e leggerezza!
Di uva ne trovi parecchia in giro, non c'è bisogno che la coltivi. Che impari a potare una vigna. Scegli un qualche anziano che conferisce alla cantina sociale e gli compri al doppio del prezzo di mercato qualche quintale d'uva. In alternativa, se proprio vuoi fare degli investimenti, allora trova un paio di consulenti in biodinamica, ce n'è parecchi oramai in circolazione. In attesa della cantina puoi vinificare in conto terzi da qualcuno bravo, te lo trovo io. L'importante è che fai i vini come voglio io. Il tuo distributore.

Eccolo il vino del distributore. Il "vino da catalogo". Eh sì.
Lo "stile naturale".
Il "gusto naturale".
Ci siamo arrivati alla fine. Quella roba lì, ci siamo capiti. Bianchi iper-acidi, rossi super floreali e leggeri, pet-nat a garganella ed una generale sensazione di omologazione culturale prima ancora che gustativa. Vini che si vendano bene nei posti fighi, dentro a metropoli gentrificate dove tutto ciò che suona "naturale" sembra cosa buona, pulita e giusta.
Ci siamo di nuovo, verrebbe da dire. Come la barrique degli anni novanta, come i surmaturi degli anni duemila.
Vorrei che fosse chiaro che noi con questa deriva non ci vogliamo c'entrare nulla.

martedì 26 gennaio 2016

Ancora sui lieviti!

Nel 2012 riportai questa notizia sullo "svernamento" dei lieviti grazie a vespe e calabroni. Fatto molto importante ai fini della definizione di una idea di lievito "autoctono", "indigeno", "locale", chiamiamolo come ci pare.
Lo scorso anno ulteriori ricerche hanno confermato questa dinamica, aggiungendovi il fatto che l'intestino delle vespe sarebbe la perfetta alcova in cui i lieviti non solo sopravvivono ma si riproducono anche, garantendo il continuo mutamento, meticciamento si potrebbe dire, dei ceppi di saccaromyces. Qui trovate il paper in lingua inglese: 


Inutile dire che questo fatto, unito a tutto ciò che succede negli ambienti di cantina - specie nelle cantine storiche - è in grado di influire su quella grandiosa attività microbiologica chiamata fermentazione. Quando ho cominciato a fare vino si era giunti al limite estremo dell'enologia-tecnica per cui anche il solo pensare a una fermentazione spontanea risultava segno di arretratezza e anti-scientismo. Oggi, dopo più di un quindicennio, piano piano ma inesorabilmente, l'interesse sulla varietà del mondo microbiologico di un ecosistema vigna e di un ecosistema cantina stanno dimostrando che la "complessità" del gusto non è un totem adorato da quattro mistici del vino ma una realtà strettamente correlata a variabili "naturali".
L'idea stessa che possa esistere una "neutralità" dei lieviti viene affossata poiché risulta chiarissimo a questo punto ciò che già si sapeva: cioè che qualunque lievito selezionato - anche se "aromaticamente" neutro - è in realtà prelevato, selezionato appunto, da un preciso areale per le sue precise caratteristiche tecnico-industriali. L'utilizzo continuativo di un lievito esogeno è dunque una scelta destinata alla "sicurezza" ed alla perfetta "replicabilità" delle fermentazioni, una scelta che interrompe il dialogo fra microbiologia della terra e microbiologia del vino. Una scelta che, come paventano anche le analisi sulla fermentazioni spontanea a La Distesa, non può avere un impatto "neutro" sul gusto (oltre che sulla biodiversità della flora di cantina).

"Finally, the direct link between social insects and the yeast species biodiversity is relevant to human industry, as the genetic diversity generated in the wasp’s gut could favor adaptation to the ever-changing fermentative environment, as demonstrated by the evidence that several of the most successful industrial strains are interspecific hybrids (30). Thus, preserving the treasure potentially hidden in the gut of vineyard wasps could be relevant from both the ecological and biotechnological standpoints". 

domenica 17 gennaio 2016

Fermentazioni spontanee a La Distesa: una tesi di laurea

Durante la vendemmia 2014, grazie al lavoro dell'enologo Giovanni Loberto e in collaborazione con l'Università Politecnica di Ancona (Docente Prof. Maurizio Ciani e assistente Dott.ssa Laura Canonico), è stata condotta una ricerca destinata ad una tesi di laurea dal titolo "Valutazione di lieviti non-Saccharomyces in fermentazioni miste con S. cerevisiae in Verdicchio DOC".
All'interno di questa ricerca, effettuata in collaborazione con la società agricola Caliptra di Cupramontana, che mirava a comparare vinificazioni differenti in base ad inoculi di diversi lieviti, ha trovato spazio anche una sperimentazione condotta sulla fermentazione spontanea presso La Distesa, in particolare su una delle masse destinate a Gli Eremi 2014.
Riporto alcuni stralci da questa tesi (in corsivo) oltre ad alcuni dati e considerazioni mie che possono essere utili per una riflessione sul tema.
La vinificazione è avvenuta come facciamo solitamente ovvero con l'iniziale pigiadiraspatura di un 20% della massa complessiva da vinificare, cui sono stati aggiunti 8 gr./qle di metabisolfito di potassio e la seguente macerazione sulle bucce in modo da attendere l'avvio di una buona e vigorosa fermentazione spontanea. Dopo circa 5 giorni si è svinato e si è utilizzato il mosto in fermentazione come inoculo del resto dell'uva, lavorata in bianco in pressa e con mosto-fiore lasciato a decantare una notte. Il mosto-fiore è stato lavorato in ossidazione e solo al momento della decantazione si sono aggiunti 5/6 gr./hl. di metabisolfito di potassio. La fermentazione è avvenuta in barile di rovere da 750 lt.

Nella figura viene riportata l’evoluzione della popolazione microbica nel processo fermentativo spontaneo. L’inizio della fermentazione è dominata da lieviti apiculati e appartenenti al genere Candida, mentre dal 3°-4° giorno della fermentazione si ha la comparsa del ceppo S. cerevisiae, il quale ha mostrato un andamento sovrapponibile al lievito appartenente al genere Candida zemplinina (identificata mediante analisi molecolari).
Cinetica della fermentazione spontanea

Durante il monitoraggio della popolazione microbica della fermentazione spontanea, si è proceduto all’isolamento di varie specie di lievito prelevate dalle diverse fasi del processo fermentativo: inizio, metà e fine fermentazione. I 13 isolati così reperiti, sono stati sottoposti  all’osservazione macro- e micro-scopica, per poi eseguire una  identificazione a livello molecolare mediante PCR-ITS1 e ITS4 (Fig.7). Campioni 1-8: amplificati ottenuti da isolati provenienti da inizio fermentazione; campioni 9-13: amplificati ottenuti isolati provenienti da metà fermentazione campioni. 

Dallo studio è emerso che la fermentazione è stata sostenuta da lieviti apiculati come Hanseniaspora uvarum, rappresentato dagli isolati 1-4-6-7-8-9-10, e Candida zemplinina, rappresentata  dagli isolati 2-3-5-11 e dal lievito S. cerevisiae, isolati 12-13 . Il ceppo di S.cerevisiae compare a metà fermentazione per poi, a fine fermentazione, dominare sulle altre due specie non-Saccharomyces.

I dati sul vino a fine fermentazione parlano di un pH di 3,30, una acidità totale di 7,3 g/lt e una acidità volatile di 0,61 g/lt. L'alcool totale è di 13,5% con zuccheri riduttori di 11,7 g/lt  e solforosa totale di 35 mg/lt. Il vino è poi andato a secco, ma più lentamente del campione inoculato con un ceppo starter S. cerevisiae in coltura pura (10C dell’INSTITUTE OENOLOGIQUE DE CHAMPAGNE) presso la cantina di Caliptra.

Altre analisi sono state compiute sui prodotti secondari e i composti volatili ma un confronto puntuale e "scientifico" con le altre fermentazioni non è del tutto possibile a causa del fatto che i mosti campionati prevenissero da vigne differenti (sebbene molto vicine) e abbiano fermentato in luoghi diversi (le cantine di Caliptra e de La Distesa).
In generale si può dire che nel raffronto con le altre vinificazioni, la fermentazione spontanea ha mostrato:
- Prodotti secondari: un livello inferiore di acetaldeide e un livello superiore di etilacetato e isobutanolo.
- Composti volatili: livelli importanti di acetato di isoamile (che dà sentori di banana), acido butirrico (note burrose) e 2-feniletanolo (note di rosa) e livelli medi di  etilesanoato (note di mela) e di etilottanoato (note di fruttato/agrumato). Si riscontrano livelli superiori alle altre vinificazioni nei livelli dei terpeni linalolo e geraniolo anche se con livelli bassi.

Quali conclusioni trarre? Ovviamente nessuna, anche se troviamo confermate alcune tendenze che ci aspettavamo: alla fermentazione spontanea - pur con l'utilizzo di solforosa - hanno contribuito una pluralità di lieviti, ben 13 "individui" differenti e - cosa interessante - sebbene il S. cerevisiae abbia preso il sopravvento per terminare la fermentazione in realtà Candida zemplinina, lievito non-saccaromyces, ha contribuito fino in fondo. Difficile dire in quale modo. Ma le analisi sembrano suggerire la conferma di una maggiore "complessità" in termini di prodotti secondari (alcol superiori ed esteri) e composti volatili (ovviamente nel bene e nel male).

Trascorso un periodo di affinamento, i vini sono stati sottoposti ad analisi sensoriale. Per quanto riguarda la componente olfattiva, quale l’aromaticità (figura), si osserva che il vino prodotto da S. cerevisiae mostra differenze significative per quanto riguarda note di  frutta tropicale, miele e tostato dolce in quanto rispetto a tutte le altre fermentazioni tali caratteristiche sono esaltate. Per quanto riguarda le sensazione di agrumato ed erbe aromatiche, queste sono significativamente diverse per la spontanea rispetto le altre prove. 




Va notato come durante la degustazione finale, i degustatori (panel tecnico composto solo da enologi e produttori) abbiano in genere riconosciuto il campione proveniente dall'inoculo di S. Cerevisiae: fatto diverso da quanto successo nella degustazione di Ascoli per TerroirMarche. (Le ragioni sono molteplici, ma non voglio soffermarmici).


mercoledì 27 agosto 2014

Lieviti, lieviti e ancora lieviti

Ho seguito un po' l'ennesimo dibattito girato in rete sui lieviti selezionati, questa volta proveniente dal giro Slowine: qui l'articolo di Gariglio e qui l'articolo del bravo Fabio Pracchia.
Si tratta di un dibattito ormai stantio dove difficilmente si riuscirà a trovare una quadra fra sostenitori della moderna enologia più spinta ed esaltati provocatori del vino naturale. Sulla questione lieviti ho sempre avuto una visione laica che mi trova d'accordo con alcuni spunti sia di Gariglio che di Pracchia (per chi non avesse voglia di approfondire tutte le loro argomentazioni e i vari thread che si sono da lì dipanati valga questa sintesi brutale: molto peggio del lievito selezionato sono altre cose nell'omologare il vino).
Non riesco, però, a liberarmi dalla sensazione per cui, dato che lo scontro diretto e frontale con il "movimento del vino naturale" non ha pagato e anzi non ha fatto altro che sviluppare maggiormente l'interesse per il movimento stesso, allora si provano metodi più sottili di comunicazione. Diversivi, diciamo.

Nessun problema, se non fosse che poi escono un po' delle forzature.
Tipo che il 98% dei vini bianchi si fa coi lieviti selezionati. Sarebbe il caso di dire il 98% dei vini. Punto. Eppure in Borgogna la quasi totalità dei grandi bianchi è fatta con lieviti indigeni. Vogliamo dire anche questo?
Tipo che non esiste il concetto di lievito autoctono.
Tipo che i soli lieviti dell'uva sono pochi e non farebbero terminare una fermentazione o la farebbero andare in malora (che è una variante dell'ormai famigerato e falso "il vino in natura non esiste perché l'uva diventa naturalmente aceto).
Eccetera.

Ma è quando si scende nel tecnico che poi casca l'asino.
Nel pezzo di Maurizio Gily citato ad esempio (http://www.gily.it/articoli/Vino%20e%20lieviti.pdf) si fa una lunga e gustosa comparazione fra "protocolli" dicendo ciò che già si sa, cioé che non è tanto un problema di lievito selezionato ma piuttosto di "substrati" (es. condizioni di azoto - e dunque bisogna aggiungere composti azotati in fermentazione?) e di "enzimi" (e quindi bisogna aggiungere enzimi esogeni per far esprimere al lievito determinati aromi?) e di "condizioni" (es. le basse temperature di fermentazione oppure l'assenza totale di ossigeno lungo tutte le fasi della vinificazione?).
E allora - scusate! - ma è un po' un girare la frittata, dialetticamente parlando: si dice che non è colpa del lievito selezionato ma poi si scopre che è "tutto il pacchetto" (dell'enologo, si intende).

Quindi certo quel che senti quando senti la banana (o il passion fruit...), per riprendere Gariglio, non sarà forse IL lievito selezionato, ma IL lievito selezionato fatto lavorare in certe condizioni (con i giusti substrati, i giusti enzimi, le giuste temperature, dal giusto enologo).
Cosa cambia?
Di cosa stiamo a parlare?
La domanda provocatoria di Fabio Pracchia "Omologa di più il lievito selezionato o il consulente enologo?" è insomma domanda tautologica, sebbene molto puntuta e intelligente, perché il consulente enologo oltre a fare tutto ciò che Pracchia enumera in vigna e in cantina, generalmente usa anche sempre un certo lievito fatto lavorare dentro a a certi substrati all'interno di certi parametri. E questo non omologa né più né meno di una marca di barriques o di un sesto d'impianto: ne è semplicemente il completamento, la finale pietra di volta.

Sono d'accordo: la questione lieviti non è il solo problema ed è questione tutt'altro che semplice (dissento anche io dai banalizzatori di certo vin naturel) ma ciò non toglie che la questione della fermentazione spontanea (più o meno controllata) sia la fondamentale discriminante (per me!) fra artigianato e industria, fra terroir e varietà, tra vigna e cantina.
Serve coraggio, è vero. Come in tutte le scelte vere della vita.

sabato 11 dicembre 2010

Già, le Marche e il problema alcool

Grande dibattito sui blog questa settimana: Oscar Farinetti ha lanciato la nuova bomba. Già 2010: Langhe Rosso che esce a due mesi dalla vendemmia senza essere un novello. Solo undici gradi alcolici grazie ad una operazione di dealcolizzazione fisica con filtri molecolari.
Si è detto e scritto di tutto sull'operazione, non aggiungo nulla.
Se non che ho scoperto che nella mia regione, le Marche, si è da poco svolto su iniziativa - guarda un pò - dell'Istituto Marchigiano di Tutela proprio un convegno sul tema della riduzione dell'alcool.
Perle di saggezza da evidenziare rispetto a quanto emerso nel convegno:
...Gli illustri relatori hanno unanimemente sottolineato che, aldilà di valutazioni preconcette, la riduzione del grado alcolico è una realtà prevista dalla normativa vigente e, pertanto, è indispensabile approfondirne la ricerca, in quanto a livello internazionale si stanno sviluppando queste nuove tecniche che già registrano significativi riscontri sui mercati...
...In Australia, nel ventennio tra il 1984 ed il 2004 si è assistito ad un aumento di circa due gradi alcolici e, di conseguenza, la riduzione dell’alcool è una realtà che va presa in seria considerazione, in quanto è orientata ad esaudire la richiesta dei mercati nazionali ed esteri, soprattutto alla luce delle risultanze di questo workshop che conferma la sicurezza del procedimento, paragonabile ad un semplice filtraggio, peraltro già previsto dalle leggi vigenti, e senza implicazioni di carattere salutistico o sanitario!
...Siamo veramente orgogliosi - ha dichiarato Mazzoni (direttore di IMT) concludendo i lavori - di essere i primi in Italia ad affrontare ed approfondire una tematica che può sicuramente rappresentare un’ulteriore opportunità, offerta ai produttori, per ottenere positivi riscontri sui mercati della domanda ed una giusta remunerazione per il loro lavoro!
Parola più ripetuta: Mercati. Domandina ingenua: che siano quegli stessi "mercati" che, solo dieci anni fa, richiedevano vini più concentrati, strutturati ed alcolici?
Boh, io non so se il vino dealcolizzato avrà un futuro roseo, se è buono come dicono, se berremo tutti vini a 11 gradi e potremo bere un ricco mezzo bicchiere in più senza aver paura del palloncino.
So ciò che diceva Mario Soldati in Vino al vino: "Il Verdicchio, specialmente se buono e vero, assume naturalmente una gradazione alcoolica piuttosto vibrata: 13, anche 14, e qualche volta verso i 15, mai sotto i 12"
So che il vino è un equilibrio. Se togli qualcosa perdi qualcosa. Oppure aggiungi qualcos'altro.
So che nelle Marche si organizzano convegni. E nel frattempo Oscar Farinetti è Già sui cosiddetti mercati.

mercoledì 21 ottobre 2009

La vendemmia 2009

Un'altra vendemmia delicata, dopo la 2007 e la 2008, difficili, sebben per ragioni molto diverse.
Questo è quanto scrive il servizio metereologico della Regione Marche: "Con una temperatura media di 23,1°C, la stagione estiva appena trascorsa è stata più calda rispetto alla norma con un incremento di circa +1,5°C rispetto al periodo di riferimento 1961-2000, risultando così essere la quinta estate più calda dal 1961. Nella stessa classifica (estati più calde dal 1961 ad oggi), il primo posto è occupato dal 2003 (25,5°C di media!), il secondo dal 2007 (23,5°C), il quarto dal 2008 (23,1°C), a conferma di un preoccupante aumento della temperatura media estiva negli anni duemila. Il maggior contributo è stato dato dal bimestre luglio-agosto con una temperatura media di 24,2°C con il notevole incremento di +1,9°C rispetto al 1961-2000".
Il risultato, specie nei vigneti esposti a sud (San Michele) o con altitudini modeste (San Paolo), è stato un generalizzato calo delle acidità fisse. E' un grosso problema per chi fa vinificazioni naturali: in primo luogo perché questo fatto influisce sui pH dei mosti che è sempre un parametro fondamentale ma lo è ancor di più quando non si usano lieviti selezionati; in secondo luogo perché non correggendo i mosti con tartarico bisogna anticipare molto la vendemmia per poter incamerare un pò di acidità. Va inoltre ricordato che, oltre alle temperature medie, si sono riscontrate temperature massime molto elevate (41,3° a Jesi il 23 luglio, 41° il 2 agosto a Corinaldo) che incidono pesantemente sulla evoluzioni in particolare dei vitigni a bacca bianca. Ne ho già scritto e non voglio ripetermi.
Per ciò che concerne la piovosità, questo è il resoconto del servizio meteo: "Come non accadeva dal 2006, la stagione estiva è stata complessivamente più piovosa rispetto alla norma 1961-2000, con un totale di 207mm corrispondente ad un +14% rispetto ai 181mm del quarantennio. Tuttavia la distribuzione mensile fa emergere un quadro contrastante con il mese di giugno decisamente più piovoso, addirittura +86% (sempre rispetto al 1961-2000), più arido il bimestre successivo con deficit mensili di -19% (luglio) e -34% (agosto)". 
Da un lato, quindi, non c'è stato un grosso stress idrico per le viti grazie alle abbondanti piogge invernali, primaverili e di giugno; d'altro canto l'estrema siccità che ha investito la regione in luglio, agosto (e settembre) ha rafforzato gli effetti di stress sui grappoli e influito pesantemente sul crollo delle acidità e sugli andamenti delle maturazioni.
Annata tosta da interpretare, quindi. Con rese in calo per tutti. Certamente buona per i "convenzionali" e gli "interventisti": chi ha forzato le maturazioni sfruttando il caldo estivo che è durato fino al 15 ottobre avrà fatto pesante uso di acido tartarico ma si troverà vini potenti ed equilibrati (sebbene andrebbe aperto un dibattito sulle acidificazioni e sui loro effetti...). Per il Montepulciano vale un discorso a parte: chi ha ancora uva in pianta si è preso in pieno un calo termico forse eccessivo e molte piogge (ed altre sono in arrivo): problemi di muffe non dovrebbero essercene, fenomeni di appassimento forse sì perché le viti si sono completamente fermate.
Venendo a La Distesa: ancora le fermentazioni non sono del tutto esaurite, ma il Terre Silvate appare per ora un pò sottile e magro ma con profumi molto freschi e netti. Gli Eremi promette molto bene, specialmente la botte con la vendemmia più anticipata. Essendo una annata calda vedo bene il Nocenzio, specie sul lato Sangiovese, davvero complesso già ora. Non so se produrrò il Nur. C'è una parte di Trebbiano che abbiamo macerato ma aspetto di vedere l'effetto che fa.
Allo stadio attuale non credo si possa dire di più.

mercoledì 26 agosto 2009

Il caldo e l'impossibilità di fare grandi vini bianchi.

Dai primi di luglio ad oggi, cioè per circa 50 giorni consecutivi, abbiamo avuto una sola pioggia, un temporale estivo che ha scaricato qualche millimetro d'acqua. Per il resto solo giornate di sole, calde, caldissime, con temperature medie diurne stabilmente sopra i 30° e spesso sopra i 35°, con punte assolute fra i 38 ed i 40°. 
La siccità non è un problema, nel senso che abbiamo avuto un inverno ed una primavera molto piovosi: le riserve, in profondità, ci sono. I vigneti stanno rispondendo bene dal punto di vista agronomico. Ci sono ingiallimenti e, dove c'è più creta, qualche sofferenza, ma nulla di paragonabile al 2003 o al 2007. Il problema è che con temperature così elevate per molti giorni consecutivi, con una così prolungata esposizione dei grappoli al sole ed al caldo, con l'esposizione a sud dei miei vigneti, queste stagioni rendono pressoché impossibile produrre dei grandi vini bianchi, così come li intendo io: acidi, verticali, dal profilo aromatico nitido e fresco, con una bella dose di acido malico residuo.
E' un problema che ho già trattato (per esempio in questo post qui) e che mi sta molto a cuore poiché mette in discussione l'intero paradigma agronomico che si è cristallizzato in questi anni nell'area dei Castelli di Jesi: esposizione ed altitudine dei vigneti, densità di impianto, tipo di conduzione, rese per ettaro, stili di vinificazione. L'idea stessa, cioé, del tipo di vino che si vuole andare a produrre. Basti pensare che negli anni '50 e '60 la zona produceva grosse quantità di spumanti e le migliori basi-spumante venivano anche esportate fuori zona; oppure che, secondo i dati dell'Università di Ancona presentati al Convegno per il 40° anniversario della DOC, in quarant'anni si è passati da acidità totali medie sul Verdicchio superiori al 7% a valori medi sotto al 6%.
Questa noiosa introduzione per dire che i primi campionamenti sul Verdicchio nel vigneto San Michele danno valori di pH e acidità davvero inquietanti per fine agosto, più consoni ad un periodo come fine settembre. A questo bisogna aggiungere uno squilibrato rapporto fra polpa e buccia/vinaccioli ed una maturazione zuccherina che dipende più da processi di appassimento che da un reale lavoro della pianta. Tutto ciò rende molto complicate le scelte vendemmiali, soprattutto per quei produttori, come il sottoscritto, che per scelta non ricorrono a correzioni dei mosti. 
Una bella pioggia non guasterebbe, anche se la sensazione è che il danno, ormai, sia fatto. Ciò non significa che non si potranno avere vini dal grande carattere ma semplicemente che si dovrà lavorare, come nel 2007 e, in parte, nel 2008, per puntare su un profilo più evolutivo/ossidativo dei vini, su struttura e morbidezza, sul bilanciamento fra sapidità ed alcool. Con buona pace di chi ama i Riesling renani.   

sabato 13 settembre 2008

Fermentazioni, rifermentazioni e levate notturne.

Il Nocenzio 2008, per quanto riguarda Sangiovese e Cabernet Sauvignon, è in cantina e sta già vigorosamente fermentando. L'estrazione del colore appare ottima e gli aromi interessanti, frutto delle nottate fresche di luglio e agosto. Il caldo umido che ha segnato questo inizio settembre ci ha lasciato solo oggi causando un generale abbassamento delle acidità che, però, restano molto buone. Ho anche compiuto una prima raccolta di uve Verdicchio che mi serve per praparare il pied de cuvée coi lieviti indigeni.
Nel frattempo alcuni clienti mi hanno fatto notare che alcune bottiglie di Terre Silvate 2007 mostrano chiare bollicine, segno di rifermentazione. Ho controllato. E in effetti qualcosa deve essere andato storto in fase di filtrazione su un lotto. La cosa buffa è che il 2007 mi ha fatto disperare proprio per problemi di fermentazione. La dura realtà è che con basse solforose e residui zuccherini o si filtra sterile o almeno si dovrebbe aspettare a imbottigliare dopo l'estate. E' l'abc della tecnica enologica. Ho voluto sfidarla e diciamo che ho avuto la dimostrazione della naturalità dei miei vini... Sono un pirla. Meno male che la gran parte del vino è a posto.
Si dorme pochino. Giulia è un angelo, ma come tutti i neonati ha i suoi ritmi inesorabili. La combinazione neonato+vendemmia+grosse spedizioni in partenza ha annullato totalmente ogni possibilità di lettura, riflessione, ascolto o divertimento. Vorrei scrivere di Obama, di una nuova vigna, del libro di Ingrao che ho finito, del disco dei Coldplay, di qualche bottiglia di vino. Invece ho solo voglia di appoggiare la testa sul cuscino e provare a dormire per qualche ora.