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mercoledì 24 novembre 2021

Appunti sparsi. Noi. La vendemmia 2021. I prossimi tempi.

Mentre una fitta nebbia ci impedisce di continuare la raccolta delle olive - ce ne sono tante e belle - alcune riflessioni si rincorrono, sfuggenti, da qualche tempo.

I vini della vendemmia 2021 riposano nelle vasche e nelle botti. A parte qualche residuo zuccherino qua e là, sono buoni. Alcuni sono molto buoni. È stata una vendemmia piuttosto veloce nei tempi di raccolta e molto lenta nelle fermentazioni, come era prevedibile. Una vendemmia molto diversa dalla precedente che era stata disastrosa soprattutto per quanto riguardava il mio approccio. Se infatti ero uscito dalla 2020 con dubbi e insicurezze, con una sorta di incapacità di giudizio e di azione che mi pareva assurda dopo ventidue vendemmie, con questa vendemmia ho riscoperto il piacere della vinificazione. Intendiamoci: è sempre qualcosa di piuttosto masochista, con le notti insonni e tutto quanto... Ma in qualche modo mi pare di aver recuperato il senso più profondo del mio lavoro.

Il microscopio. 

In qualche modo il microscopio è stata la chiave. Non che il microscopio in sé possa risolvere i problemi. Però quel che è successo è che si sono come disciolte molte delle incrostazioni ideologiche sul "naturale" che in questi anni si erano progressivamente stratificate in me, in noi. Da un lato il microscopio mi ha letteralmente riportato proprio dentro alla Natura. Dall'altro mi ha sganciato finalmente dalla retorica del "Naturale". Sembra una contraddizione ma non lo è. Penso ad esempio al bellissimo libro di Christelle Pineau "Cornoletame e microscopio" in cui si fa una approfondita analisi antropologica del movimento del vino naturale.


Osservare l'estremamente piccolo, il microcosmo di lieviti e batteri, mi ha guidato verso riflessioni più macro, su questo nostro mondo incastrato nella pandemia, preda di rancori, paure, muri. È stato un viaggio in qualche modo catartico, e lo è ancora. 

Osservare la vita microscopica e le sue influenze sul nostro lavoro, sulle nostre vite; immaginare il virus come fosse un lievito. E poi pensare alle nostre società. Alle nostre aziende. Alle nostre istituzioni. Al nostro ambiente. Pensare a come tutto sia collegato e a come tutto sia estremamente fragile.

La realtà è che mi sto progressivamente allontanando dal "vino naturale". Da sempre ho criticato certi atteggiamenti e valutato i rischi di alcune operazioni. In tempi non sospetti: sia nei libri, che in vari contributi web (solo una selezione per chi fosse curioso: qui qui e qui). Nonostante questo ci ho creduto e continuo a pensare che quella rivoluzione sia stata foriera di un più ampio rinnovamento del mondo del vino tout court. 

Eppure oggi l'esplosione stile supernova del "naturale" e il suo enorme successo mi sembrano in gran parte una rappresentazione già vista, vecchia. Con tutte le sue narrazioni, i suoi selfie, le sue forzature, le sue bottiglie feticcio, i suoi influencer, il suo circo e i suoi circoli e le sue falsità belle e buone. Proprio nel momento in cui i nodi della catastrofe ecologica che ci circonda vengono definitivamente al pettine, proprio quel mondo, il nostro mondo, balbetta parole come "sostenibilità" e "biodinamica" ma in fondo in fondo è del tutto silente. E politicamente ininfluente.

Peggio. Una parte del movimento si dimostra, rispetto alla pandemia in atto, dubbiosa nei confronti della scienza quando non apertamente negazionista e cospirazionista. Il che fa il paio - devo dire in modo coerente (non me ne ero mai reso pienamente conto) - con una idea di agronomia e di enologia che si allontana sempre di più da una qualsivoglia ragionevole base scientifica. (Che poi il mondo scientifico sia pieno di problemi questo è un altro piano del discorso e qui nessuno si è mai tirato indietro rispetto ad una critica serrata alle sue distorsioni). 

Mi chiedo: cosa fare di fronte a tutto questo disagio? E la risposta è complicata, difficile.

Forse ritirarsi e decrescere. Ri-educarsi. Fare politica attiva. E piantare un sacco di alberi. 

Questo è ciò che abbiamo fatto ed è ciò che continueremo a fare. Che il vino, in fondo, è sempre stato solo una scusa. 

giovedì 10 ottobre 2019

Di catastrofi e civiltà decadute

Dall'introduzione di "Come vignaioli alla fine dell'estate" di Corrado Dottori
Ed. DeriveApprodi. Collana Habitus.

"...Siamo in mezzo alle rovine di Micene, in mezzo a grandi blocchi di pietra che testimoniano di una grande civiltà in frantumi. Ecco, proprio lì, in mezzo ad alcune pietre di una antica dimora devastata, cresce una vite. Una vite selvatica. Che prova a farsi strada e a sopravvivere là dove non c’è più nulla.
La vite. Pianta resiliente, testarda e ribelle. Unica forma di vita in mezzo al vuoto.
È un’immagine che mi fa riflettere sul movimento dei vignaioli naturali. Su quanto sia al centro del grande cortocircuito fra natura e cultura e su quanto poco stia facendo per prendere davvero posizione di fronte alla catastrofe ecologica.
La crisi ambientale che stiamo vivendo è in gran parte una crisi della Politica.
Nel 1975 Wallace Broecker pubblicava su «Science» un articolo dal titolo emblematico: Climatic Change: Are we on the Brink of a Pronounced Global Warming? L’insostenibilità del nostro modello di sviluppo è cioè cosa nota da sessant’anni almeno, eppure non è mai stata davvero al centro delle campagne elettorali o dei programmi politici di nessun grande partito politico di massa.
  Nella riedizione di Tempi storici Tempi biologici, nel 2005, Enzo Tiezzi affermava «con un misto di imbarazzo e di orgoglio che le previsioni di vent’anni fa si sono dimostrate fondate e scientificamente corrette». Nulla si crea e nulla si distrugge, la legge della termodinamica non fa sconti a nessuno: il ciclo del Carbonio sta alla base dell’aumento fuori controllo delle temperature del pianeta. I politici lo sanno da tempo. Ma nessuno ha mai davvero agito..."


In vendita nelle librerie, on-line e presso la casa editrice.

martedì 18 dicembre 2018

Il biologico è la strada migliore per tutelare la Terra

Il Consorzio TerroirMarche interviene sugli attacchi rivolti in questi giorni all’agricoltura biologica. “I benefici del bio sono dimostrati a livello scientifico in termini di biodiversità, difesa dei suoli e contrasto al riscaldamento globale”

Nelle ultime settimane sulla stampa e sui social media sono apparsi attacchi verso il mondo dell’agricoltura biologica tesi a metterne in dubbio i suoi numerosi benefici in termini di tutela ambientale rispetto all’agricoltura convenzionale. A controbattere a questi interventi sulla base della ricerca scientifica è il Consorzio TerroirMarche, che riunisce i vignaioli biologici delle Marche impegnati da anni a promuovere un approccio alla campagna rispettosa dell’ambiente.

“Non conosciamo le ragioni profonde di questa improvvisa levata di scudi” affermano i soci di TerroirMarche. “Forse a qualcuno dà fastidio il crescente successo dei prodotti agroalimentari bio (in Italia le vendite hanno segnato un +15% nel 2017e un +153% rispetto al 2008, mentre l’export del bio made in Italy vale quasi 2 miliardi grazie a un +408% rispetto al 2008 – Dati Nomisma). Possiamo anche ipotizzare una reazione del mondo del “biotech” alla bocciatura da parte della Corte di Giustizia Europea di tecniche come il genoma editing e la cisgenesi. Quel che è certo è che questi contributi sono pericolosi, a maggior ragione se provengono da personalità del mondo politico e accademico nei giorni della conferenza mondiale sul clima Cop24 in corso in Polonia, dove si discute di riscaldamento globale e futuro del pianeta”.

Già da diversi anni la ricerca scientifica, sottolinea il Consorzio TerroirMarche, ha identificato il metodo biologico come il più indicato ad affrontare i problemi del cambiamento climatico, del risparmio idrico, della fertilità del suolo. Già nel 2002 il paper della FAO “Organic agriculture, environment and food security” ha chiarito che: le emissioni di CO2 per ettaro nei sistemi di agricoltura biologica sono inferiori dal 48% al 66% rispetto ai sistemi convenzionali; l'agricoltura bio consente agli ecosistemi di adattarsi meglio agli effetti del cambiamento climatico e offre un notevole potenziale per ridurre le emissioni dei gas serra agricoli; i suoli a gestione biologica hanno un alto potenziale per contrastare il degrado del suolo poiché sono più resistenti sia allo stress idrico che alla perdita di nutrienti. A ciò va aggiunto che sono in costante crescita le ricerche che mostrano il maggiore valore nutritivo dei prodotti da agricoltura biologica e la maggiore conservazione di biodiversità.

Molti degli attacchi rivolti in questi giorni al mondo della viticoltura bio si concentrano sull’uso del rame. “A questo proposito – precisano gli agricoltori di TerroirMarche – è bene fare chiarezza su alcuni punti. Prima di tutto il rame è utilizzato anche in agricoltura convenzionale, ma è solo in agricoltura biologica che viene assoggettato a limiti stringenti. La recente normativa europea ha ulteriormente ridotto i limiti di utilizzo del rame fino a 4 kg per ettaro all’anno. I vignaioli biodinamici già oggi hanno un limite di 3 Kg ed è innegabile che è nel settore della viticoltura naturale che si è sviluppata negli anni la maggior sensibilità verso una progressiva riduzione del rame”.

Microbiologi di fama internazionale come Claude e Lydia Bourguignon hanno recentemente dichiarato che anche alle dosi precedenti l’uso del rame in viticoltura non ha effetti tossici riscontrabili. In terreni ricchi di humus, come generalmente quelli dove si coltiva in modo biologico o biodinamico, la dotazione di sostanza organica permette infatti di immobilizzare il rame riducendone la tossicità. Il rame è così assorbito dalla pianta solo in piccole dosi e quindi anche il contenuto nella pianta è basso. “Inoltre, come il ferro, anche il rame è un componente importante dei sistemi enzimatici del metabolismo respiratorio e della fotosintesi. Agisce sulla sintesi della lignina e sulla germinazione del polline, favorisce l’accrescimento apicale, aumenta la traspirazione ed è indispensabile nella formazione della clorofilla e dei complessi proteici che agiscono durante la fotosintesi. Eppure viene assimilato ai pesticidi di sintesi!”.

“Rigettiamo pertanto con forza il tentativo di equiparare convenzionale e biologico dal punto di vista dell’uso dei pesticidi – affermano con forza i soci del Consorzio Terroir Marche – e di ridurre il movimento biologico a nicchia di mercato che basa il suo successo solo su narrazioni rassicuranti o, peggio, a tendenza giovanilistica e radical chic. La viticoltura e l’agricoltura biologica sono un settore rilevante e trainante dell’agricoltura italiana e uno dei capisaldi della lotta al cambiamento climatico”.

Per ulteriori approfondimenti

Il Paper della FAO:
http://www.fao.org/docrep/005/y4137e/y4137e02b.htm

Sulla sostenibilità del bio: https://www.researchgate.net/publication/279868579_Eco_e_bio_agricoltura_sostenibile_o_insostenibile

Sul maggior valore nutritivo del cibo bio:
https://www.cambridge.org/core/journals/british-journal-of-nutrition/article/higher-antioxidant-and-lower-cadmium-concentrations-and-lower-incidence-of-pesticide-residues-in-organically-grown-crops-a-systematic-literature-review-and-metaanalyses/33F09637EAE6C4ED119E0C4BFFE2D5B1

Sulle alternative al rame:
http://www.agribionotizie.it/le-alternative-alluso-del-rame-in-agricoltura/


domenica 20 agosto 2017

Vendemmia 2017. Un'annata di svolta.

Ieri si è cominciato a raccogliere qualche grappolo. Inutile ricordare che il 19 agosto nei Castelli di Jesi fino a qualche anno fa era impensabile vendemmiare. Nemmeno si facevano le campionature, per la verità. Generalmente si cominciava con le basi spumanti nella prima quindicina di settembre.
La cosa incredibile è che questa annata non verrà ricordata solo per la canicola estiva. L'intera dinamica è stata "storta", con inverno e primavera caldi; con una incredibile gelata tardiva (-2 gradi il 22/23 di aprile); con 2 grandinate il 25 giugno ed il 14 luglio; con una siccità in giugno, luglio e agosto che davvero ha pochi precedenti.
Il singolo evento "sfortunato" in campagna è sempre capitato. Sono gli eventi estremi ciclici e ripetitivi, come quelli cui stiamo assistendo, che ci fanno toccare con mano ciò che le teorie - fisiche e biologiche - già ci avevano predetto: il cambio epocale dei nostri climi, delle nostre stagioni e, dunque, in definitiva, dei nostri terroirs. Non si tratta più di stagioni strane o particolari: si tratta della normalità con cui avremo a che fare nei prossimi anni. Inutile piangere, sbagliato farsi trovare impreparati.
Da questo punto di vista l'annata 2017, a differenza della 2003, della 2007 o della coppia 2011 e 2012, che in qualche modo le sono simili, è l'occasione da una parte per mettere alla prova ciò che abbiamo imparato; dall'altra costituirà una sorta di anno zero per il lavoro che ci aspetterà nel futuro.
Due sono le considerazioni che in questa estate mi sono venute in mente:

1) Il nostro lavoro di vignaioli, di fronte a quello che sta succedendo, sarà sempre più quello di tutori del suolo e custodi della sostanza organica. Più che produrre uva da vino, saremo baluardo contro la desertificazione. Tutto il resto - di fronte a ciò che sta succedendo - mi sembra irrilevante e riduttivo.

2) Mi colpisce sempre più la sostanziale incapacità della "scienza agronomica", quella delle Università, di aiutare i viticoltori di fronte ad eventi cui si era preparati da tempo. In questo senso - ma è solo un esempio - l'effetto nefasto delle selezioni clonali degli ultimi vent'anni mostrano il disastro intellettuale, prima che economico, cui si è andato incontro. Se a ciò si aggiunge la programmazione "politica" che ha portato ad espianti di gran parte del patrimonio di vigne vecchie - le uniche che stanno rispondendo in modo positivo alla siccità ed alla calura - viene da chiedersi cosa sarà di noi fra cinquant'anni...

3) Noi viticoltori "naturali", in virtù del lavoro sul suolo fatto, di una concezione non produttivistica della pianta-vite, di una visione olistica dell'ecosistema vigneto e della fisiologia della pianta, siamo pronti alla sfida. Non sarà annata del secolo e nemmeno del decennio. Sarà un'annata dalla quale imparare, ancora una volta, qualcosa del nostro stare in un terroir.

Portiamola a casa!


giovedì 5 gennaio 2017

Buon 2017 "Natural Wine"!


Siamo solo al 5 gennaio e già si è scatenata la prima polemicona sul "vino naturale". Primo perché fa bene alla salute (la polemicona, ovviamente), secondo perché si tratta di un tema acchiappaclick sul web come ben pochi altri.
Nell'augurare un buon 2017 a tutti voi, vi svelo allora il mio proposito per l'anno in corso: non parlare più di vino naturale. L'ho fatto fin troppo, ci ho pure scritto un libro, e dopo anni sono giunto alla conclusione che sia del tutto inutile insistere a voler partecipare a battibecchi sterili. 
Tutti hanno alcune ragioni ed alcuni torti nella vicenda. 
Lo "scandalo" sta nell'utilizzo di un aggettivo di uso comune su decine e decine di prodotti ma che - abbinato al vino - scatena l'ira funesta di tutti i conformisti del mondovino. L'aspetto a mio avviso più importante, quello del cambio radicale di prospettiva estetica seguito all'avvento dei moderni "vins nature" (si pensi al fondamentale libro di Nicola Perullo "Epistenologia"), viene spesso travisato o trascurato.
Puzza? Non Puzza? Questa la ridicola dicotomia, il recinto in cui si vuol chiudere il vino naturale.
Ma la cosa meravigliosa è che - proprio come un boomerang - questa strategia di attacco mediatico da tempo si ritorce contro i suoi ideatori/propugnatori, tanto che il boom dei vini puzzolenti (=naturali) sembra inarrestabile.
Non so se sia una buona notizia. Probabilmente no. Ma il fatto che fiere come RAW siano state sperimentate con successo in posti nuovi (e non certo secondari) e che ovunque nel mondo nascano nuovi produttori, nuovi distributori, nuove occasioni di confronto sui vini puzzolenti (=naturali) forse dimostra il fallimento dell'ortodossia ad ogni costo.
E allora a chi continua a far finta di niente, a qualche anno dalla schifosa lettera di inizio 2013, così come ai tanti "opinionisti star" che invadono il web, mi piacerebbe ricordare che quel giornalettino vinoso che si chiama Decanter sta contattando noi produttori di vini puzzolenti (=naturali) per una degustazione di Natural Wines (senza virgolette, questi spudorati!) in cui, non solo non si mette in discussione l'esistenza del vino naturale, ma lo si descrive anche: e guarda un po' (!!!), attraverso una "carta della qualità" che non fa altro che riprendere le molte autocertificazioni prodotte negli anni dalle associazioni di vino naturale francesi ed italiane. Sono proprio pazzi questi inglesi!
Ma allora il vino naturale esiste o no?
E Puzza?
Ma quanto puzza?
Buon 2017 a tutti

Natural Wine ‘Charter of Quality’

All wines must adhere to this charter if they wish to enter into the ‘Top 25 Natural Wines’ tasting:
Vineyards farmed organically or bio-dynamically (Certification strongly preferred, but will accept uncertified)
 HandHarvestedonly
 Fermentation with indigenous (wild) yeasts
 Noenzymes
 No additives added (e.g. acid, tannin, colouring) other
than SO2
 SO2 levels no higher than 70mg/L total
 Un-fined and no or light filtration
 No other heavy manipulation – e.g. spinning cone,
reverse osmosis, cryoextraction, rapid-finishing, Ultraviolet C irradiation

venerdì 27 maggio 2016

Biodinamica e scienza: parola a Giulio Masato

Avevo promesso di parlare della tesi di laurea sull'uso del preparato 501 a La Distesa e così ho pensato di chiederne una sintesi direttamente all'autore, Giulio Masato. Giulio dopo la laurea triennale in enologia ha pensato bene di proseguire gli studi con la magistrale in agraria e dunque oggi è un giovane tecnico dalla formazione completa  pronto per confrontarsi con il mondo della produzione (in questo momento sta lavorando nella zona di Bordeaux).

Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato. Ho concluso così la presentazione della mia tesi di laurea, perché questa frase, scritta da Einstein, mi riportava nella direzione di quello che sentivo come il vero significato di questo lavoro. Dall'inizio, e durante i mesi in cui ho lavorato alla mia tesi di laurea, mi sono chiesto spesso se fosse davvero importante dimostrare qualcosa con la mia tesi. Se lo scopo fosse veramente quello di provare scientificamente che la biodinamica funziona. Alla fine mi sono reso conto di essere lontano da tutto ciò, e che questa prova nasceva da una semplice curiosità. Dall'attrazione verso qualcosa, da un'intuizione, dall'osservazione di un fenomeno che non si è ancora in grado di spiegare, dal voler provare ad entrare un po' più nello specifico dei meccanismi che regola.

La tesi ha riguardato la valutazione degli effetti del preparato cornosilice in seguito alla sua applicazione in vigneto. Abbiamo deciso di effettuare quattro trattamenti nel corso della stagione vegetativa, a partire dalla prefioritura, fino a ridosso della maturazione. Le applicazioni sono state effettuate consultando il calendario lunare di Maria Thun, e seguendo parallelamente altre sperimentazioni portate avanti grazie ad una collaborazione tra il professor Mario Malagoli ed Adriano Zago, agronomo ed enologo consulente in ambito di agricoltura biodinamica.
Conoscendo Corrado ed il suo modo di lavorare, le sue vigne ci sembravano il luogo adatto in cui impostare lo studio. Innanzitutto per il suo interesse a portare avanti prove sperimentali all'interno de La Distesa, ma anche perché fino ad allora non aveva mai impiegato il 501. Ciò appariva interessante nell'ottica di valutare gli effetti del preparato in un ambiente già equilibrato, ma estraneo al suo utilizzo.

In relazione agli effetti imputati al cornosilice ed all'elemento Silicio, da Steiner, e partendo dalla consultazione di altri studi riguardanti il ruolo del Silicio stesso nella fisiologia vegetale, abbiamo dunque ipotizzato che l'applicazione del preparato cornosilice in vigneto potesse avere degli effetti a livello morfologico e fisiologico nella pianta. In particolare abbiamo considerato che durante la crescita vegetativa quest'ultimo potesse avere un effetto sull'accrescimento e sul "portamento" della vegetazione, e sulla capacità fotosintetizzante delle foglie. In fase di maturazione si è invece ipotizzato che il 501 potesse mostrare degli effetti su cinetica di maturazione e qualità del frutto, ed infine che potesse stimolare l'autoregolazione dei meccanismi di difesa della pianta stessa.
Lo schema sperimentale è stato impostato in due parcelle di Verdicchio adiacenti. Queste risultavano infatti confrontabili per quanto riguarda varietà, esposizione, condizioni pedoclimatiche e gestione colturale, invece si distinguevano per età dell'impianto, clone, portinnesto, densità e sesto d'impianto. All'interno di entrambe le parcelle sono state dunque assegnate, a coppie di filari, le tesi Trattato e Testimone in modo randomizzato, alternando ad esse dei filari tampone per cercare di escludere un possibile effetto di deriva del preparato nebulizzato.
Durante la fase di massima crescita vegetativa abbiamo quindi effettuato delle analisi morfometriche direttamente in vigneto, al fine di valutare un eventuale effetto del cornosilice sullo sviluppo e sul portamento della vegetazione stessa. In corrispondenza di queste misurazioni abbiamo inoltre raccolto campioni fogliari che abbiamo successivamente analizzato in laboratorio per valutarne la concentrazione di clorofille, di Carbonio, Azoto e Zolfo, oltre ad altri microelementi.
In seguito, dall'invaiatura alla raccolta, abbiamo raccolto campioni di acini, per sottoporre anch'essi ad analisi di laboratorio, e valutare eventuali effetti del preparato biodinamico sulla qualità dell'uva e sulla cinetica di maturazione. Nello specifico abbiamo valutato il peso degli acini ed il peso delle bucce, la concentrazione di solidi solubili, l'acidità totale, la concentrazione di polifenoli presenti nelle bucce ed è inoltre stata effettuata un'analisi all'HPLC per analizzare il contenuto in glucosio, fruttosio, acido tartarico ed acido malico.

I risultati ottenuti da questa tesi hanno evidenziato che l'applicazione del preparato biodinamico 501 in vigneto mostra degli effetti positivi sulla fisiologia della pianta in fase di accrescimento vegetativo e sulla maturazione del grappolo. A livello fogliare si è infatti osservato un aumento statisticamente significativo delle concentrazioni di pigmenti (clorofille e carotenoidi) e di azoto. Tali dati sembrerebbero avvalorare l'ipotesi di un effetto del preparato 501 sull'efficienza fotosintetica, e sullo stato nutrizionale della pianta. I due aspetti potrebbero inoltre risultare correlati considerando l'importanza dell'azoto nella composizione delle molecole di clorofilla.
A livello del grappolo invece è emersa un'influenza su alcuni aspetti collegati alla fase di maturazione. Tra questi si è riscontrato in modo più evidente un incremento nell'accumulo di zuccheri ed un ispessimento delle bucce. Tali effetti del 501 sono però risultati statisticamente significativi solo all'interno del vigneto più maturo in termini di età.
Per quanto riguarda gli zuccheri, se ne è osservata una concentrazione significativamente maggiore nel Trattato rispetto al Controllo in corrispondenza della prima data di campionamento degli acini. Nelle date successive invece, per quanto rimanesse questa differenza a favore delle piante Trattate, questa non risultava tale da essere statisticamente significativa. Sulla base di ciò abbiamo ipotizzato un possibile effetto del 501 nel far avanzare la maturazione del grappolo, in termini di accumulo di zuccheri.

In relazione invece alla differenza significativa di peso tra le bucce di piante Trattate e quelle di piante di Controllo, l'effetto osservato potrebbe avvalorare la tesi secondo la quale il preparato 501 è in grado di stimolare i meccanismi interni di difesa della pianta. Tra questi, la pianta sembra infatti mettere in atto un ispessimento delle bucce come primo meccanismo di autodifesa da patogeni esterni.

Questi sono solo piccoli dati raccolti, che se vogliamo hanno anche poco a che fare con la biodinamica in sé. Per alcuni aspetti ritengo siano molto interessanti, ma penso anche necessitino di essere estesi, verificati in altri ambienti e condizioni diverse, e quindi arricchiti da altre sperimentazioni.
Li ritengo però un contributo importante a chi cerca all'interno delle università di scollare dalla poltrona vecchi dogmi che abbiamo l'urgenza di superare. Per ritrovare dei concetti, come l'umiltà, la curiosità e l'etica, un po' persi nell'applicazione del modello scientifico. E forse, liberandosi da evidenti ipocrisie e quindi da interessi personali, si potrebbe iniziare proprio nelle università ad assumersi la responsabilità di ridiscutere con forza l'attuale modello agricolo, o meglio agroindustriale.
Quando cambiamo il modo di coltivare il nostro cibo, cambiamo il nostro cibo, cambiamo la società, cambiamo i nostri valori

Giulio Masato

martedì 1 marzo 2016

Call for action against Glyphosate

Il 31 dicembre è scaduta l'autorizzazione all'utilizzo del Glifosato in Europa. La Commissione Europea è chiamata - a breve - a rinnovare o meno l'autorizzazione per altri 15 anni. Una serie di articoli, inchieste e ricerche scientifiche negli ultimi tempi hanno aumentato la pressione dell'opinione pubblica su questa sostanza che è alla base di quasi tutti gli erbicidi in commercio.
Da qualche tempo circola in rete una petizione on-line che ovviamente invito a firmare in massa, innanzitutto in quanto cittadini prima che consumatori o produttori di derrate agricole: qui trovate il link.
Ma non era di questo che volevo parlare.
Credo infatti che firmare una petizione non basti più. Così come non bastano le tante "opinioni" espresse in questi giorni, a cominciare da quella di Carlo Petrini di Slowfood dalle pagine de La Repubblica.
Credo che questa battaglia sul Glifosato interroghi, infatti, il senso profondo del nostro lavoro di agricoltori e debba farci rispondere più approfonditamente ad una domanda divenuta cruciale: può andare avanti una agricoltura europea in mano a lobby e lobbisti, in cui le decisioni fondamentali su cosa e come coltiviamo vengono prese senza alcun processo veramente democratico?
Questa è la partita in gioco.
E in questa partita le tante associazioni del vino naturale europee, sempre così pronte a far nascere nuove fiere e nuovi spazi di mercato, non possono restare silenziose e non caricarsi di un ruolo importante.
Questa è l'occasione.
L'occasione per andare in massa a Bruxelles, ad esempio, a far sentire le ragioni di un intero movimento. Per una volta si prenderà un treno o un auto o un aereo non per andare all'ennesima degustazione ma per fare qualcosa di giusto per il pianeta e per i cittadini.
Proviamoci, almeno.
Proviamo a costruire velocemente una piattaforma sul tema della messa al bando del Glifosato in Europa, unendo tutti i vignaioli naturali e cercando di portare una massa critica là dove i burocrati europei sono chiamati a prendere una decisione.
Chi ci sta? Oggi stesso scriverò ad associazioni, vignaioli, attivisti e giornalisti per vedere se questa idea possa concretizzarsi in qualche modo.

domenica 17 gennaio 2016

Fermentazioni spontanee a La Distesa: una tesi di laurea

Durante la vendemmia 2014, grazie al lavoro dell'enologo Giovanni Loberto e in collaborazione con l'Università Politecnica di Ancona (Docente Prof. Maurizio Ciani e assistente Dott.ssa Laura Canonico), è stata condotta una ricerca destinata ad una tesi di laurea dal titolo "Valutazione di lieviti non-Saccharomyces in fermentazioni miste con S. cerevisiae in Verdicchio DOC".
All'interno di questa ricerca, effettuata in collaborazione con la società agricola Caliptra di Cupramontana, che mirava a comparare vinificazioni differenti in base ad inoculi di diversi lieviti, ha trovato spazio anche una sperimentazione condotta sulla fermentazione spontanea presso La Distesa, in particolare su una delle masse destinate a Gli Eremi 2014.
Riporto alcuni stralci da questa tesi (in corsivo) oltre ad alcuni dati e considerazioni mie che possono essere utili per una riflessione sul tema.
La vinificazione è avvenuta come facciamo solitamente ovvero con l'iniziale pigiadiraspatura di un 20% della massa complessiva da vinificare, cui sono stati aggiunti 8 gr./qle di metabisolfito di potassio e la seguente macerazione sulle bucce in modo da attendere l'avvio di una buona e vigorosa fermentazione spontanea. Dopo circa 5 giorni si è svinato e si è utilizzato il mosto in fermentazione come inoculo del resto dell'uva, lavorata in bianco in pressa e con mosto-fiore lasciato a decantare una notte. Il mosto-fiore è stato lavorato in ossidazione e solo al momento della decantazione si sono aggiunti 5/6 gr./hl. di metabisolfito di potassio. La fermentazione è avvenuta in barile di rovere da 750 lt.

Nella figura viene riportata l’evoluzione della popolazione microbica nel processo fermentativo spontaneo. L’inizio della fermentazione è dominata da lieviti apiculati e appartenenti al genere Candida, mentre dal 3°-4° giorno della fermentazione si ha la comparsa del ceppo S. cerevisiae, il quale ha mostrato un andamento sovrapponibile al lievito appartenente al genere Candida zemplinina (identificata mediante analisi molecolari).
Cinetica della fermentazione spontanea

Durante il monitoraggio della popolazione microbica della fermentazione spontanea, si è proceduto all’isolamento di varie specie di lievito prelevate dalle diverse fasi del processo fermentativo: inizio, metà e fine fermentazione. I 13 isolati così reperiti, sono stati sottoposti  all’osservazione macro- e micro-scopica, per poi eseguire una  identificazione a livello molecolare mediante PCR-ITS1 e ITS4 (Fig.7). Campioni 1-8: amplificati ottenuti da isolati provenienti da inizio fermentazione; campioni 9-13: amplificati ottenuti isolati provenienti da metà fermentazione campioni. 

Dallo studio è emerso che la fermentazione è stata sostenuta da lieviti apiculati come Hanseniaspora uvarum, rappresentato dagli isolati 1-4-6-7-8-9-10, e Candida zemplinina, rappresentata  dagli isolati 2-3-5-11 e dal lievito S. cerevisiae, isolati 12-13 . Il ceppo di S.cerevisiae compare a metà fermentazione per poi, a fine fermentazione, dominare sulle altre due specie non-Saccharomyces.

I dati sul vino a fine fermentazione parlano di un pH di 3,30, una acidità totale di 7,3 g/lt e una acidità volatile di 0,61 g/lt. L'alcool totale è di 13,5% con zuccheri riduttori di 11,7 g/lt  e solforosa totale di 35 mg/lt. Il vino è poi andato a secco, ma più lentamente del campione inoculato con un ceppo starter S. cerevisiae in coltura pura (10C dell’INSTITUTE OENOLOGIQUE DE CHAMPAGNE) presso la cantina di Caliptra.

Altre analisi sono state compiute sui prodotti secondari e i composti volatili ma un confronto puntuale e "scientifico" con le altre fermentazioni non è del tutto possibile a causa del fatto che i mosti campionati prevenissero da vigne differenti (sebbene molto vicine) e abbiano fermentato in luoghi diversi (le cantine di Caliptra e de La Distesa).
In generale si può dire che nel raffronto con le altre vinificazioni, la fermentazione spontanea ha mostrato:
- Prodotti secondari: un livello inferiore di acetaldeide e un livello superiore di etilacetato e isobutanolo.
- Composti volatili: livelli importanti di acetato di isoamile (che dà sentori di banana), acido butirrico (note burrose) e 2-feniletanolo (note di rosa) e livelli medi di  etilesanoato (note di mela) e di etilottanoato (note di fruttato/agrumato). Si riscontrano livelli superiori alle altre vinificazioni nei livelli dei terpeni linalolo e geraniolo anche se con livelli bassi.

Quali conclusioni trarre? Ovviamente nessuna, anche se troviamo confermate alcune tendenze che ci aspettavamo: alla fermentazione spontanea - pur con l'utilizzo di solforosa - hanno contribuito una pluralità di lieviti, ben 13 "individui" differenti e - cosa interessante - sebbene il S. cerevisiae abbia preso il sopravvento per terminare la fermentazione in realtà Candida zemplinina, lievito non-saccaromyces, ha contribuito fino in fondo. Difficile dire in quale modo. Ma le analisi sembrano suggerire la conferma di una maggiore "complessità" in termini di prodotti secondari (alcol superiori ed esteri) e composti volatili (ovviamente nel bene e nel male).

Trascorso un periodo di affinamento, i vini sono stati sottoposti ad analisi sensoriale. Per quanto riguarda la componente olfattiva, quale l’aromaticità (figura), si osserva che il vino prodotto da S. cerevisiae mostra differenze significative per quanto riguarda note di  frutta tropicale, miele e tostato dolce in quanto rispetto a tutte le altre fermentazioni tali caratteristiche sono esaltate. Per quanto riguarda le sensazione di agrumato ed erbe aromatiche, queste sono significativamente diverse per la spontanea rispetto le altre prove. 




Va notato come durante la degustazione finale, i degustatori (panel tecnico composto solo da enologi e produttori) abbiano in genere riconosciuto il campione proveniente dall'inoculo di S. Cerevisiae: fatto diverso da quanto successo nella degustazione di Ascoli per TerroirMarche. (Le ragioni sono molteplici, ma non voglio soffermarmici).


sabato 1 agosto 2015

Parola di Scienza

Da dove cominciare?
Forse da Milano. E da una domanda che faccio agli studenti di agraria presenti ad un incontro del 2014, poi finito nell'extra "Desistenza a Milano" del DVD di Resistenza Naturale di Nossiter.
Di fronte al continuo e re-iterato attacco alla biodinamica, al "naturale", al buonsenso agricolo da parte dei collaboratori di Attilio Scienza (Brancadoro e Failla) in nome della Scienza Agronomica, chiedo agli studenti presenti di sapere se abbiano frequentato o se sia previsto un esame di filosofia della scienza. 
Silenzio di tomba e nessun commento. 
Stessa cosa è successa recentemente alla facoltà di agraria di Ancona (sebbene l'incontro sia stato molto più stimolante e proficuo).
Ne ho dedotto ciò che in realtà è oramai evidente a tutti: la scienza non si discute. La scienza è la nuova Verità del mondo post-ideologico. La scienza - il suo metodo, i suoi risultati, le sue conseguenze, i suoi rappresentanti - devono essere al di fuori del giudizio, sia esso politico, etico o estetico. E tutto quello che si muove su un piano dialettico viene immediatamente bollato come esoterico, magico, religioso, metafisico e così via, poiché in questo modo si cancella la credibilità di qualsivoglia alternativa.

Sia ben chiaro: in giro è pieno di buffoni che nei campi più disparati, dalla medicina all'economia, dalle scienze naturali a quelle fisiche, si pongono saldamente al di fuori della scienza, chi davvero assecondando falsi miti, chi semplicemente cavalcando la moda del momento, chi per banali ragioni di tornaconto economico. 
Ovviamente non mi riferisco a costoro.
Mi riferisco, invece, a chi crede fermamente nella Scienza, nei suoi progressi, e nelle sue verità - con la "v" minuscola che contraddistingue le verità scientifiche, che sono appunto "relative".
Mi riferisco a chi reputa che il positivismo sia finito da un pezzo e che sia la scienza stessa ad aver sperimentato i suoi limiti. 
E mi riferisco, in particolare, al fatto che la filosofia della scienza, sebbene ignorata da chi fa ricerca (in ambito agrario in questo caso, ma temo che la situazione sia la medesima in altri ambiti scientifici), nel novecento ha chiaramente indicato alcune questioni ed alcune teorie che forse andrebbero più diffusamente conosciute, diffuse e dibattute, proprio per non cadere nel tranello del "Lo dice la Scienza" (che poi diventa più prosaicamente "sostiene Scienza, Attilio" - e tutti zitti).
Ecco, uno degli insegnamenti più chiari e netti ci racconta che la scienza - ed in particolare la tecno-scienza, cioè il dispositivo economico e sociale che ne applica i dettami, non è mai neutrale. Il novecento ce lo ha indicato perfettamente con la storia della ricerca sull'atomo, ma gli esempi sono infiniti.  
E allora bisogna dirlo chiaro e forte: quando Attilio Scienza afferma “Per i produttori di vino la produzione biologica e biodinamica è una via senza uscita” ponendo la questione, subito dopo, di vitigni resistenti ottenuti da modificazioni genomiche, sta parlando come scienziato-ricercatore ma non sta facendo un discorso "neutrale". Sta parlando come rappresentante di un ben evidente paradigma scientifico, quello dell'agricoltura produttivista, e dunque indirizza la ricerca, i suoi finanziamenti, e tutto il corollario che ruota intorno al mondo universitario ed accademico, verso una prospettiva che è quella "dominante", frutto cioé di relazioni economiche e di potere. Ma che di "oggettivamente scientifico" ha ben poco. 

Uso il termine paradigma nel senso descritto da Thomas Samuel Kuhn nel classico del 1962 "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", testo assolutamente emblematico di ciò che la scienza sia divenuta nell'epoca del Capitalismo Industriale (perché qui nessuno vuole ri-processare Galileo). Ma non piacesse l'approccio epistemologico di Kuhn, anche da un punto di vista popperiano, cioé del principio di falsificabilità, l'uscita di Scienza fa acqua da tutte le parti: se l'intenzione più pura e profonda della ricerca accademica fosse infatti davvero quella di ridurre i trattamenti chimici non è possibile - proprio a livello scientifico - trascurare l'importanza delle esperienze biologiche e biodinamiche laddove hanno dimostrato la possibilità, con questi vitigni e anche in condizioni di annate drammatiche come la 2014, di fare una agricoltura pulita.
Il bio-distretto di Panzano in Chianti nato con la consulenza di Ruggero Mazzilli è un esempio emblematico con il 90% del territorio gestito come minimo in regime biologico; così come le esperienze di ricerca accademica in biodinamica, come quelle di Adriano Zago o Fabio Primavera.
Si tratta di falsificazioni importanti della teoria per cui i nostri vitigni sarebbero arrivati al capolinea.

Peraltro se il problema sono i trattamenti vicino alle abitazioni - come ad un certo punto si paventa - si fanno 2 autogol: primo, perché gli scienziati hanno sempre sostenuto che i trattamenti "non fanno male alla salute umana" (e invece ad esempio nella zona del Prosecco si è notato un aumento dell'incidenza dei tumori); secondo, perché se c'è un vigneto già impiantato a ridosso delle abitazioni forse il compito della scienza dovrebbe essere quello di agire subito per salvaguardare la salute, convertendo al bio quel vigneto, anziché attendere anni di sperimentazioni per poi arrivare all'espianto ed al re-impianto con vitigni resistenti: nel frattempo quanto veleno hanno respirato i bambini di quelle abitazioni? Sarebbe interessante una risposta della scienza. O anche di Scienza. 

Che poi si possa andare oltre, magari tornando alla riproduzione da seme, e dunque alla creazione di nuove varietà e a una selezione di varietà più idonee, per esempio ai cambiamenti climatici, questo credo che nessuno lo voglia impedire. Anzi. Chi ha letto il classico "Fra cielo e terra" di Joly sa che verso la fine del libro proprio il viticoltore biodinamico per eccellenza prefigura "un ritorno al seme".
Ma con i tempi della natura (centinaia di anni), che non sono i tempi della scienza. O di Scienza, Attilio.  Anche perché, comunque la si pensi sugli OGM, la realtà più vera e profonda delle ricerche genetiche in agricoltura è solo una: brevettare nuove varietà consente di fare un sacco di soldi, e se davvero il Mercato vuole vini più puliti, allora le entrate che che mancheranno all'agrobusiness alla voce pesticidi, erbicidi, ecc. dovranno arrivare da qualche altra parte. No? 

Poi, se non siete ancora convinti, fate come me, fate una cosa che mai avreste pensato di fare: leggete l'ultima enciclica del Papa.

PS "Parola di scienza" è un libro edito da DeriveApprodi. L'autore è Antonello Ciccozzi, ovvero l'antropologo che scrisse la perizia sulla cui base vennero condannati in primo grado - ed assolti nel secondo - gli scienziati del Comitato Grandi Rischi rei di aver fornito false rassicurazioni agli abitanti de L'Aquila prima del fatale terremoto. Un bel libro. Che fa piazza pulita delle tante fesserie lette, all'epoca della condanna, sul "processo alla scienza". C'entra niente con Scienza, Attilio. Ma forse anche un po' sì.    
     

mercoledì 13 maggio 2015

TerroirMarche, fra sogno e realtà.


Il primo maggio 2015 il nostro Consorzio TerroirMarche ha compiuto 2 anni. 
Nato quasi per caso in un lungo viaggio comunitario a Montpellier, quello che sembrava un piccolo sogno è diventato una bella realtà: un luogo di aggregazione di vignaioli bio che condividono idee e pratiche per difendere e valorizzare il proprio "terroir". Banale a dirsi, impresa titanica a farsi - in una regione come la nostra dove fra campanili vecchi e nuovi, politica e politici vecchi e nuovi, consorterie e maneggi vecchi e nuovi, vere e proprie sperimentazioni "dal basso" è difficile farle crescere, specie nel mondo dell'agricoltura.
Per questo sarà importante esserci ad Ascoli i prossimi 16 e 17 maggio a Palazzo dei Capitani per quella che sarà la nostra Fiera - non fiera. 
Non sarà infatti la solita fiera del vino più o meno naturale.
Sarà una cosa nuova e diversa perché per la prima volta sono i vignaioli stessi, senza l'intermediazione di associazioni o proloco o amministrazioni o distributori o organizzatori di eventi, a rischiare del loro ed a impegnarsi in prima persona per questo evento.
Sarà una cosa nuova e diversa perché accanto ai classici banchi di assaggio ci saranno 5 importanti laboratori dove si proveranno a capire i perché e i percome dei nostri vini: troppo spesso nella comunicazione si danno per scontate questioni che in realtà non lo sono, come l'identità, l'autenticità, il reale peso specifico dei vini di un determinato territorio. 
E tutto finisce in un calderone indistinto.
Noi pensiamo che ci sia ancora molto da capire sui vini e sui terroirs marchigiani.
Infine sarà una cosa nuova e diversa perché si parlerà non solo di vino ma anche di tutela e difesa del paesaggio, di alimentazione bio, di una visione che non è solo quella di una generica "agricoltura di qualità" in stile Expo ma che riguarda più profondamente la discussione sul nostro modello di sviluppo, cioé sul nostro futuro.
#Siateci.

venerdì 28 marzo 2014

Di nuovo al Vinitaly

Fra poco prenderò la strada di Verona per partecipare al ViViT. Non lo faccio con grande piacere, certamente. Le alternative non mancavano. E dunque mi piace spendere qualche parole sulle ragioni di questa scelta.
Avevo partecipato alla grande kermesse veronese in uno stand della Regione Marche nel 2002, proprio all'inizio della mia esperienza di vignaiolo. Poi dal 2004 il luogo veronese per me è stato, per molti anni, il centro sociale La Chimica dentro quel laboratorio che fu Critical Wine. Il centro sociale è stato sgomberato dal Sindaco Sceriffo Tosi, così nel 2010 e 2011 ho esposto a Cerea in quel di ViniVeri. Posto splendido e compagnia davvero bella. Poi un anno sabbatico ed un anno lontano da Verona, l'anno scorso, a tentare di riflettere su cosa sia diventato questo nostro variegato movimento dei vignaioli naturali... 
Nel frattempo è nato terroirMarche e con i compagni del Consorzio, con i quali abbiamo partecipato a Millésime BIO a Montpellier e a Vignaioli Naturali a Roma, si è fatta strada l'idea di aderire come Consorzio marchigiano al salone ViViT. E' con loro che sono nate una serie di considerazioni sullo stato dell'arte. Da un lato c'era e c'è l'idea della grande potenzialità di Cerea come spazio per una grande fiera unitaria e alternativa di tutto il naturale. Dall'altro il dato di realtà è che quella potenzialità, a causa di divisioni, protagonismi, contraddizioni ma anche legittime scelte da parte di soggetti e associazioni, resta tuttora secondo noi in grande parte inespressa.

A questo si aggiunge un dato incontrovertibile, soprattutto dopo l'entrata di FederBio a gamba tesa con l'organizzazione del VinitalyBIO: oramai a Verona fra vini senza solfiti, proposte più o meno sostenibili e vini più o meno "liberi", comincia ad aver senso il fatto di presidiare una zona dove poter presentare certi percorsi davvero autentici. Perché alla fine a Villa Favorita ed a Cerea va veramente solo chi già conosce ed apprezza certi vini, mentre a Vinitaly volenti o nolenti vanno proprio tutti.

Ecco quindi che oggigiorno, con la comunicazione distorta che sta passando sul "vino naturale", l'impressione è che - senza ViViT - un generico operatore del mondovino camminando dentro Vinitaly possa pensare che Cotarella, Farinetti o l'azienda che resta nei soli limiti del disciplinare Bio presente negli spazi FederBIO facciano "vini naturali".
Insomma, ci stanno fregando.
E non a caso la mia contrarietà al ViViT non era mai stata nei confronti dell'operazione in sé ma verso i modi con i quali si era concretizzata: cioé senza nessuno percorso "politico". Quanto fosse necessario lo misuriamo oggi, quando non passa giorno senza che avvengano ipocrite sussunzioni del "vero", del "naturale", del "buono, pulito e giusto".

Dunque quest'anno va così. Poi vedremo. Il ritorno di Renaissance a Cerea dimostra che la coerenza non è di questo mondo. E forse per chi è "movimento" è anche giusto sia così.

lunedì 27 maggio 2013

terroirMarche


Comunicato Stampa

È nato il primo Maggio tra colline pettinate dalle vigne in fiore, si chiama terroirMarche e ha le idee molto chiare su cosa farà da grande. È un Consorzio, costituito da vignaioli marchigiani, che si propone di valorizzare e promuovere la viticoltura biologica delle Marche, la difesa del territorio e dei beni comuni, la diffusione di culture e pratiche per un’economia sostenibile e solidale.
Hanno dato vita a terroirMarche le aziende: Aurora di Offida, Fiorano di Cossignano, La Distesa e La Marca di San Michele di Cupramontana, Pievalta di Maiolati Spontini. Un gruppo di vignaioli che unisce simbolicamente le vigne del Piceno e quelle di Jesi, impegnati da anni nella produzione di vini che abbiano un legame assoluto con il proprio territorio di origine.
Ma prima di tutto il Consorzio terroirMarche è un gruppo di uomini e donne che, oltre alla pratica rigorosa di una viticoltura biologica, hanno in comune un approccio etico all’attività agricola, che pone al centro l’uomo e la natura, elementi sostanziali del concetto di terroir.
Condividono l’idea che la costruzione di un mondo migliore passa necessariamente per un’agricoltura migliore, fondata sulla conservazione dell’integrità del suolo nella convinzione che sia un dovere restituire ai figli una terra in condizioni migliori di quelle in cui la si è trovata.
Al suo interno il rapporto fra i soci è regolato da uno spirito collaborativo e solidale, nella certezza che la ricchezza delle relazioni umane sia presupposto necessario per dare valore a un territorio. Allo stesso modo il rapporto con i consumatori sarà basato su una comunicazione trasparente delle pratiche agricole adottate.
La scelta di festeggiare il primo Maggio con la costituzione di terroirMarche non è casuale, è anzi un richiamo all’importanza del lavoro della terra, per anni considerato un lavoro umiliante.
Il contadino è il primo responsabile della nostra alimentazione e un pilastro della salvaguardia del paesaggio ambientale, vero patrimonio negletto dell’Italia.
Il Consorzio è totalmente autofinanziato. Il presidente eletto nella prima assemblea che si è tenuta tra le colline di Offida è Federico Pignati. La famiglia di terroirMarche è aperta a ogni vignaiolo marchigiano che produca vino in regime di agricoltura biologica e che si riconosca con i principi etici che ispirano il lavoro dei soci fondatori.


Per contatti e informazioni:
info@terroirmarche.com

lunedì 14 gennaio 2013

In risposta a Michel Bettane

Grande clamore ha suscitato l'attacco ai vini naturali da parte del Gambero Rosso la scorsa settimana. Molto di quanto scritto in quelle pagine è già stato dal sottoscritto ampiamente trattato in "Non è il vino dell'enologo - Lessico di un vignaiolo che dissente". Mi piace però allegare qui la risposta del vignaiolo francese Denny Baldin, un misto di ironia, buonsenso ed intelligenza che mi rendono fiero del nostro movimento e dei miei colleghi vignaioli. Che la vigna sia con voi...


sabato 20 ottobre 2012

Vespe, calabroni e lieviti indigeni

E' stata pubblicata una importante ricerca scientifica che fa ulteriore chiarezza sul ciclo ecologico dei lieviti responsabili della fermentazione del vino. Qui di seguito potete trovare informazioni sulla ricerca: http://www.infowine.com/default.asp?scheda=11433.
Secondo questa ricerca i "lieviti “trascorrono” un periodo del loro ciclo vitale all’interno dell’intestino di vespe sociali e calabroni, al di fuori dell’ambiente di fermentazione... quando i frutti maturano, questi insetti sono attratti dal loro odore, li rompono grazie ai loro potenti apparati mandibolari e inoculano questi micro-organismi al loro interno. Questa indagine si lega ad una ricerca iniziata nel 1998 e chiude, di fatto, il ciclo ecologico dei lieviti che era ancora avvolto dal mistero. Per arrivare a questo risultato è stato anche sequenziato il genoma di questi lieviti trasportati dai calabroni ed è stato possibile individuare i ceppi dei lieviti in periodi dell’anno in cui non erano mai stati isolati ovvero da dicembre a febbraio".
L'importanza della ricerca si lega al fatto che finalmente si apre una prospettiva definitiva per la dimostrazione dell'esistenza di lieviti "autoctoni" o "indigeni", lieviti cioé legati in modo indissolubile al territorio o, perlomeno, ad una ben definita area di produzione. 
Per chi fosse interessato alla materia lo stesso importante concetto di "lievito indigeno" viene indigato in una tesi di dottorato sulle fermentazioni spontanee che è possibile leggere qui: http://www.fedoa.unina.it/1664/1/Di_Maro_Scienze_Tecnologie.pdf
Sono ricerche che dimostrano quanta confusione ancora si faccia rispetto alla questione lieviti selezionati/lieviti indigeni e quanto sia fallace l'idea che i sostenitori delle fermentazioni spontanee - o naturali - siano degli alieni dalle assurde credenze mistiche.
"E’ emerso, dunque, che questi insetti – calabroni e vespe sociali – sono protagonisti della tipicità dei prodotti. Il calabrone infatti porta con sé le caratteristiche di un certo areale rispetto ad un altro e questo garantisce il mantenimento di una ricchezza indispensabile, ovvero la biodiversità dei micro-organisimi che sono fondamentali per la tipicità dei prodotti delle fermentazioni quali il vino e la birra. “Questa scoperta – conclude Roberto Viola, direttore del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele - apre la strada ad altre ricerche che intendano capire come questo microcosmo di micro-organismi possa essere associato alla tipicità dei prodotti, e di come sia importante conoscerlo, per proteggerlo, conservarlo e renderlo disponibile alle attività umane”.

giovedì 16 agosto 2012

Garanzia partecipata

Secondo l’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements)
“I sistemi di garanzia partecipata sono sistemi di assicurazione della qualità che agiscono su base locale; la verifica dei produttori prevede la partecipazione attiva delle parti interessate ed è costruita basandosi sulla fiducia, le reti sociali e lo scambio di conoscenze”.

Negli ultimi anni il dibattito sull’agricoltura biologica ha portato ad una critica sempre più serrata della certificazione classica, di parte terza. Troppo onerosa per i piccoli produttori, spesso incentrata più sugli aspetti burocratici che produttivi, legata a disciplinari europei che spesso risultano essere ben poco “biologici” nello spirito e nei contenuti, il classico “bollino” del biologico è oramai un marchio distintivo degli “industriali” del bio e poco si adatta alle vere produzioni artigianali delle piccole aziende agricole europee.
Per questi motivi si è spesso parlato dell’autocertificazione come strumento di comunicazione ai consumatori delle pratiche agricole e di trasformazione effettuate dagli agricoltori. Soprattutto nel mondo del “vino naturale”, che spesso rifiuta in toto la disciplina del biologico, la pratica dell’autocertificazione, lanciata nell’ambito del progetto Critical Wine, è stata recepita come soluzione libertaria e trasparente al problema.

Oramai da qualche anno, però, insieme ed accanto ai Gruppi di Acquisto Solidali, sono nate e si sono sviluppate alcune esperienze che, partendo proprio dal concetto di autocertificazione, hanno portato una profonda innovazione all’idea stessa di “certificazione”: nei Sistemi di Garanzia Partecipata (PGS) la partecipazione diretta dei produttori, consumatori ed altri parti interessate nei processi di verifica non solo è incoraggiata ma viene richiesta. Questo coinvolgimento è realistico e praticabile dato che i PGS sono verosimilmente adatti a piccoli produttori e a mercati locali o vendita diretta. I costi della partecipazione sono bassi e principalmente prendono la forma di impegno volontario di tempo piuttosto che di spesa economica. Inoltre la documentazione cartacea è ridotta al minimo, rendendo il sistema più accessibile ai piccoli operatori.

Gli elementi chiave della garanzia partecipata sono:
Partecipazione. La credibilità del sistema è una conseguenza della partecipazione attiva di tutti gli attori.
Progetto condiviso. Cioè produttori e consumatori devono condividere consapevolmente i principi ispiratori del PGS.
Trasparenza. Tutti gli attori coinvolti devono avere un buon livello di consapevolezza delle modalità di funzionamento dl sistema.
Fiducia. Il sistema si basa sulla convinzione, diffusa tra tutti gli attori, che i produttori agiscono in buona fede e che la “garanzia resa” sia espressione di tale affidamento.
Apprendimento. La “garanzia” deve tradursi in un processo di apprendimento collettivo permanente, che irrobustisce tutta la rete coinvolta.
Orizzontalità. Tutti gli attori coinvolti nel PGS devono condividere il medesimi livello di responsabilità e competenza nel processo.

Esperienze attive sono ad esempio quelle di ASCI Toscana o di Campi Aperti. In questi casi consumatori e produttori visitano le aziende agricole, approfondiscono la conoscenza dei prodotti e dei metodi agricoli, controllano che tutto sia corrispondente a quanto dichiarato dall’agricoltore in modo da creare una sorta di “credibilità sociale” che vale molto di più rispetto al bollino dell’ente certificatore basato essenzialmente su controlli cartacei.

La domanda è: possono i PGS essere applicati al movimento del vino naturale? In che modo? Con quali finalità? 

sabato 16 giugno 2012

L'ortica, l'equiseto, e la riduzione del rame

Da quest'anno abbiamo cominciato a lavorare anche con le tisane. Abbiamo iniziato con il macerato di ortica, che cresce in dosi massicce intorno all'agriturismo. L'abbiamo raccolta, l'abbiamo messa in acqua (10 lt. di acqua non clorata per 1 kg. di ortica fresca) e l'abbiamo lasciata macerare. Poi abbiamo bloccato la fermentazione con dell'aceto. Infine abbiamo filtrato la massa.


Il preparato è stato poi spruzzato un paio di volte. L'ortica dovrebbe avere un effetto sia come anti parassitario sia come stimolatore e regolatore della crescita. Poi abbiamo anche usato l'equiseto, finora nella sua preparazione "commerciale" della Cerrus (c.f.r. Fondazione Le Madri). A breve, però, proviamo a prepararci in casa anche il macerato di equiseto, visto che ne ho riscontrato la presenza notevole lungo alcuni fossi qui vicino.
Il tutto è finalizzato a ridurre ulteriormente le dosi di rame e zolfo utilizzate. Quest'anno, complice una stagione finora piuttosto asciutta, dovremmo riuscire a non superare i 2 kg. di rame metallo ad ettaro senza mettere a rischio la sanità delle uve. Un risultato che ci riempie di orgoglio.

giovedì 24 maggio 2012

C'era una volta "Terra e Libertà" - Seconda parte

Terra Libertà/Critical Wine aveva posto tre grandi problemi: l’autocertficazione, il prezzo sorgente, le Denominazioni Comunali. Erano tre giganteschi spunti di riflessione su cui costruire una agenda politica per i prossimi decenni nel mondo del vino italiano: la scomparsa di Gino e l’agonia dei movimenti hanno certamente pesato sulla chiusura del dibattito.
Le divisioni fra produttori e la deriva “commerciale” hanno fatto il resto. Col risultato che le commissioni assaggio DOC bocciano i nostri vini e la nostra reazione “tipo” è: chissenefrega declasso tutto, tanto il vino lo vendo lo stesso. Regalando le denominazioni, che sono beni comuni, agli industriali.

Nel frattempo nelle associazioni “naturali” è all’ordine del giorno il tema delle espulsioni e delle analisi per controllare chi fa il furbo… Tutto bene. Tutto comprensibile.
Però mi chiedo: non eravamo libertari? Non ne avevamo piene le scatole dei controllori e burocrazia? Non c’è il rischio di gossip e delazioni, soprattutto considerando che si tratta di associazioni private e non di enti terzi “super partes”? E’ questo che vogliamo? Una polizia Contadina? 
Non volevamo invece costruire co-produttori, consumatori in grado di discernere l’autentico? E cosa pensiamo di chi magari ha zero residui in un vino ma sfrutta manodopera in nero? E’ naturale? E di chi ha zero residui in un vino prodotto ma spiana una collina per piantarci un vigneto? E’ naturale? E’ controllabile dalla polizia contadina?

Tutto ciò suona folle. Come suona folle la volontà di una ricerca scientifica “privata”. Sono i miliardari, generalmente, a finanziare privatamente la ricerca. E non lo fanno mai a scopo di beneficenza. La ricerca e la scienza devono essere pubbliche e pubblicamente confutabili. Sinceramente apprezzo maggiormente chi fa riferimento ai saperi tradizionali o chi se ne frega della scienza ufficiale e crede nelle forze dello spirito, di chi crede che si possa scoprire chissà quale Santo Graal della fermentazione spontanea.
L’autocertificazione ha fatto una brutta fine ma il prezzo sorgente è finito peggio. E’ talmente sparito il problema dei prezzi dal dibattito che oggi è quasi impossibile trovare vini naturali a prezzi umani. E spesso si trovano più cari nei mercati che sul Mercato. Certo, l’idea così come era nata non era forse granché… Ma da qui a far sparire il problema, ce ne corre.

Le Denominazioni Comunali, in compenso, sono state depotenziate e regalate a un paio di siti e a qualche Comune che ne fa “Testimonianza”. L’idea di Gino era quella di rivoluzionare il sistema delle denominaizioni di origine (sic): non poca la distanza fra la teoria e la prassi, a testimoniare il Vuoto che si apre innanzi a noi proprio nel momento del massimo successo dei vini naturali.

C’è voglia di ricominciare una riflessione su tutto ciò? L’alternativa è semplice: abbiamo dei prodotti richiesti, degli ottimi vini naturali apprezzati da un mercato in crescita. Possiamo fermarci a questo, che è già tanto, tantissimo, in un momento di crisi. Nessuno lo nega.
Ma ci basta? E, soprattutto, basta in prospettiva? Oppure è solo come rinviare una guerra (e intanto l’avversario affina le armi)?

In questo quadro penso che ritrovare una qualche unità sia impresa ardua se non impossibile. L’unica strada, a mio avviso, sarebbe quella di separare definitivamente l’aspetto commerciale (fiere e mercati) dall’aspetto più strettamente politico-culturale. 

Io credo che la tanto vituperata “nicchia” costituisca un ottimo punto di partenza se osservata dal punto di vista di una comunità che si è incontrata sulla strada in questi anni.
Ecco, allora, una prima idea che mi viene per uscire dall’impasse: gli “Stati generali” del vino critico. Un grande momento di aggregazione e socializzazione di esperienze, vissuti, discussioni, ricerche dove mettere assieme tutti i soggetti che a diverso titolo si sono occupati di vino naturale o agricoltura contadina in questo decennio. Non una fiera, ma un grande happening aperto, un momento di riflessione “politica” sul tema. Un grande Critical Wine Forum Europeo, un festival del vino "alternativo", con seminari, discussioni, concerti, assemblee, degustazioni, proiezioni, letture. Un appuntamento annuale in grado di produrre un linguaggio comune, una cultura condivisa, una trasmissione di saperi. Con la prospettiva di aprire una rete nazionale che sia in grado poi di strutturarsi nelle singole regioni attraverso momenti locali di aggregazione.

Il vino non più come “fine” ma come “mezzo”: strumento potente di convivialità ed approfondimento culturale Per parlare di agricoltura e modelli di sviluppo.

Su questa strada – io credo - potremo incontrare soggetti che il vino, per ora, lo hanno solo sfiorato (reti di economia solidale, gruppi di acquisto, circoli culturali, associazioni agricole indipendenti) e pratiche ancora poco usate nel vino come la “garanzia partecipata”, unica risposta davvero alternativa alle certificazioni di qualità.

Rimettersi in discussione, quindi. Ripartire da zero, in un certo senso.

Superare l’idea commerciale di “fiera”, lasciando il commercio alle singole scelte aziendali e muovendosi, invece, a livello aggregato verso una riflessione culturale, filosofica, politica.
In una parola: superare il marketing del “naturale”.
Andare oltre il “vino naturale”.

martedì 22 maggio 2012

C’era una volta “Terra e Libertà” - Parte Prima


Ho passato l’ultimo anno senza partecipare a fiere e mercati con l’intenzione di riflettere un pò sulla questione “vini naturali” o “viticoltura artigiana” o “agricoltura critica”, chiamatela come vi pare. Ovviamente ho le idee più confuse di prima.
Nel frattempo Porthos ha chiuso i battenti, i biodinamici sono tornati al Vinitaly, si moltiplicano le fiere che fanno riferimento all’idea di “naturale o “biologico” o “biodinamico”. Spesso celando interessi o personaggi ben poco chiari.
Da tempo avevo l’impressione che quella grande rivoluzione che all’inizio dello scorso decennio ha innovato fortemente il mondo del vino stesse un pò franando sotto i colpi della reazione industriale. E’ tipico del capitalismo divorare ogni sussulto “alternativo” creando immediatamente gli anticorpi: ci abbiamo fatto l’abitudine. Ciò che stupisce, in qualche modo, è la velocità della reazione. Alcune aziende che solo nel 2002 erano uscite da Vinitaly tentando una qualche forma di alternativa solo dieci anni dopo vi rientrano, e con tutti gli onori della cronaca.
Sia ben chiaro: non ho nulla contro la partecipazione al Vinitaly di una azienda commerciale. L’ho fatto anche io e magari lo farò ancora.
Quello che stupisce sono le modalità: il grande ritorno non avviene singolarmente ma in gruppo, attraverso l’immagine di un movimento, o perlomeno di una sua parte. Questo è avvenuto senza alcun tipo di dibattito, di elaborazione, di partecipazione.
Sono il primo a congratularmi del successo commerciale di ViViT. Ma certo d’ora innanzi, a mio avviso, niente sarà più come prima. I due grandi filoni del nostro movimento, infatti, Vini Veri e Critical Wine condividevano almeno una cosa: che Vinitaly non era il luogo adatto per parlare di agricoltura contadina. Poi vennero Vinnatur, la TriplaA e compagnia bella. Ma l’intuizione iniziale restava piuttosto chiara: la rivoluzione del vino passava attraverso una critica culturale all’egemonia dei grandi gruppi industriali. Quelli che fanno le leggi, quelli che fanno i disciplinari, quelli che indirizzano il mercato.
In questo decennio le contaminazioni da noi portate, attraverso le fiere, i mercati, le assemblee ma anche attraverso i pezzi di movimento che ci sono stati a fianco, hanno seminato idee e pratiche nuove ma, ciò che è più importante, hanno educato un’intera fascia di cittadini co-produttori ad un nuovo modo di avvicinare il vino.
Senza tutto questo il famigerato claim “vino naturale” non avrebbe avuto il successo che giustamente ha. Di fatto abbiamo “creato” un mercato. Quello stesso “mercato” che ora distributori, agenti, rappresentanti, giornalisti, ecc. reclamano come fosse un proprio orticello: dieci anni fa era relegato ai margini. Ci sono voluti gli sforzi e le scelte spesso difficili di molti di noi, le intuizioni di un Gino Veronelli o di un Sandro Sangiorgi, l’impegno dei tanti che si sono sbattuti quando eravamo una minuscola nicchia di gente “strana”.
Ecco perché io credo che quando si fanno delle scelte che chiamano in causa un intero  movimento si debba pensare a questo “capitale sociale”, a questa credibilità collettiva, a questa “comunità” che si erano andati costruendo nel tempo.
Conosco perfettamente i ragionamenti fatti in questi mesi: l’uscire dalla nicchia, il parlare ad una platea più ampia, la voglia di crescere economicamente. Sono pure d’accordo, in linea di principio. Senza reddito l’agricoltura contadina è destinata a scomparire. Senza reddito, non ci può essere il ritorno alla terra che auspichiamo.
Il punto è: non eravamo già usciti dalla nicchia? Se vado in America, nelle liste di vino dei migliori ristoranti vedo un sacco di vini del “nostro giro”; in Giappone è boom di vini naturali; non c’è azienda che non abbia importatori in giro per il mondo; sui blog come sulle riviste mainstream non si parla d’altro che di biodinamica o di naturalità.
Non è che adesso vogliamo andare oltre? Che si vuole crescere e crescere e crescere e produrre di più e vendere di più, alla faccia di Latouche e della artigianalità?
Se, infatti, penso oggi ai “vini naturali” penso innanzitutto ad una grandissima operazione di marketing che ha creato un potentissimo strumento di attrazione commerciale. Un claim che mette assieme modernità e tradizione ma il cui potenziale è divenuto solo ed esclusivamente commerciale.
Il vino si deve anche vendere, si dice. La mia impressione è che ormai siamo arrivati (o tornati) al punto in cui “il vino si deve solo vendere”.
E allora qual è la differenza fra noi e gli altri? Non può essere semplicemente la sostenibilità o l’attenzione alla salute dei consumatori. Qui, nel giro di vent’anni, arriveranno tutti, volenti o nolenti. Il punto, semmai, è “come”.
La nuova legge sul biologico ci racconta il “come” ci si arriverà.
Aver abbassato la guardia sui contenuti culturali e politici ci rende vulnerabili e incapaci di trovare risposte. A breve saremo invasi da vini biologici con 150 mg/lt. di solforosa, enzimi e tannini enologici. E però… Tutti contenti al Vinitaly a spiegare che noi siamo diversi

A breve la seconda parte del ragionamento.

sabato 5 maggio 2012

Primavera a Cupramontana

Passeggiando nel vigneto di San Michele in una spettacolare giornata di primavera.

lunedì 4 aprile 2011

Vino Vino Vino 2011




Vi aspetto a Cerea per l'annuale manifestazione dedicata ai vini naturali. L'appuntamento con il Consorzio Viniveri e La Renaissance des Appellations si rinnova all'AreaExp La Fabbrica di Cerea, vicino Verona, per i giorni 7, 8, 9 aprile 2011.
VinoVinoVino 2011 e' un'occasione per conoscere ed assaggiare la produzione di oltre 130 cantine provenienti da tutta Italia ma anche Francia, Slovenia, Austria ed altri. Ma non solo. Durante la manifestazione infatti e' possibile toccare con mano le espressioni di territori diversi tra di loro ed avvicinarsi ad un approccio al vino fatto di persone, di culture, di tradizioni.

Per info su orari e trasferimenti: www.viniveri.net