Lunedì scorso mi son fatto lo sbattone per andare a Roma, nello splendido Auditorium Parco della Musica, per ascoltarli. Un concerto davvero strano, contraddittorio. Eppure bisognava esserci. Assolutamente.
Perché strano? Perché non siamo più abituati ad un certo modo di suonare e di porsi sul palcoscenico. Ho avuto davvero in certi momenti la sensazione netta, davvero paradossale per chi ha sentito dal vivo quasi tutti i mostri sacri del rock, di essere catapultato in un'altra epoca. Mi spiego: non è che Dylan o Springsteen o i Rolling Stones suonino così "moderni". Ma certamente il loro sound, il loro modo di stare sul palco, il timing di certi pezzi, il repertorio, l'immagine complessiva che viene dal palco, hanno avuto un'evoluzione nel tempo. Nel concerto dell'altra sera, invece, è stato come se ci avessero fatto viaggiare con la macchina del tempo per arrivare lì, negli anni sessanta. Con l'unica differenza di uno Stills in pessime condizioni fisiche e di un Crosby totalmente immobile, pareva davvero d'essere nella west coast in quegli anni, nel bene e nel male.
Un batterista che suona costantemente dopo il beat (a differenza di oggi dove suonano tutti ben prima); suoni analogici bellissimi e nitidi ma un un modo di suonare tremendamente sporco; una sezione ritmica appena presente e sempre in appoggio; armonie vocali davvero extra-terrestri e psichedeliche; un approccio sul palco easy e lontanissimo da ogni divismo del rock anni '70 e '80 o dalle pose di qualunque ragazzetto indie di oggi; un volume della chitarra solista davvero spaventoso.
Tutto quanto lontano anni luce da un live odierno.
Bene. Il fatto è che dopo essersi abituati, e dopo qualche minuto di riscaldamento, ma l'età è quella che è, è arrivata anche la magia. Gemme come Long time gone, Marrakesh Express, Long may you run, Deja vù. E poi, soprattutto, il set acustico con le rivisitazioni di Norwegian Wood (Beatles), Girl from the North country (Dylan) e Ruby Tuesday (Stones in versione da brividi). Giusto, così, a ribadire il tono della serata.
Stills fa davvero fatica e qua e là piazza qualche sbavatura, però il suono delle sue chitarre è magnifico ed è il vero collante del gruppo. Nash è in forma smagliante, a piedi nudi su tappeti freak, è l'unico a parlare ed a muoversi sul palco. Crosby è sostanzialmente immobile, in postura da grande saggio, ma ha una voce pazzesca che il tempo non ha né scalfito né indebolito.Così quando arrivano Behind blue eyes (Who) e Almost cut my hair (capolavoro totale di Deja vù) capisco definitivamente cosa cazzo sono stati quegli anni per la cultura pop.
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