Premesso che a me, innanzitutto, interessa fare vini buoni, però da tempo frequento il "giro" dei produttori naturali e ad essi vengo spesso, e per certi versi a ragione, accomunato. L'avvertimento, dunque, dovrebbe interessare anche il sottoscritto.
In realtà credo che Ziliani stavolta sbagli. Non so quale sia la sua fonte ma mi pare molto difficile che manifestazioni come Vino, Vino, Vino o VinNatur possano trasferirsi dentro a Vinitaly. Conosco chi le organizza e mi stupirei parecchio. Ma anche se dovesse succedere, non penso che alcuna commistione fra grande industria enologica e artigianato di vigna sia dietro l'angolo.
Sono troppo ottimista? Può essere. Eppure, se è molto facile per una piccola azienda fare vini seriali, costruiti, tecnicamente perfetti (è ciò che è successo in questi ultimi anni), trovo che sia pressoché impossibile per un colosso enologico fare vini con una identità univoca, casuali, imperfetti in modo geniale, come quelli di molti dei miei colleghi "naturali". Troppe sono le variabili in gioco, non sto ad elencarle, ma una in particolare fa la differenza: il carattere, lo stile, l'approccio, unico ed irripetibile del vignaiolo.
Di furbetti già pullulano le fiere alternative. Il problema non è questo. Già il fatto che la cosa sia risaputa dimostra che il palato non mente e qualcuno se ne è accorto. Ed è del tutto ovvio che se un settore tira esso diventi appetibile per chi fa business. Mi stupirei del contrario. Il problema, semmai, potrebbe essere quello di una confusione nell'immagine, nella comunicazione, nel marketing. Se non fosse che l'immagine dei vini veri o naturali non è assolutamente univoca né facilmente identificabile. Troppo diversi gli approcci, le filosofie, le culture dei protagonisti: si pensi, solo per fare un esempio, alla differenza fra un bianco macerato di Radikon ed un Trebbiano di Emidio Pepe. Non credo che stare dentro a Vinitaly cambierebbe granché la questione.
Il punto qual è, allora? Io credo che, alla fine, si torni sempre al buon vecchio Critical Wine di veronelliana memoria. Un produttore che autocertifica il proprio lavoro, un consumatore critico visto come co-produttore, una filiera il più possibile accorciata. A questo punto che si stia in un centro sociale o dentro Vinitaly poco cambia, se non la piacevolezza e l'utilità o meno del luogo. Ma quel che conta davvero sta dentro al bicchiere ed è un mix irripetibile di terroir, naturalezza e passione del vignaiolo. Che intriga non in quanto espressione di una moda o di un gusto, ovviamente passeggeri e sensibili al contesto, ma in quanto espressione di rapporti sociali, culturali, storici. E per questo "veri".
7 commenti:
Pare che l'unico produttore sinora intervenuto pubblicamente sulla questione posta da Franco Ziliani sia Lei. Conosco i suoi vini e la prima volta che mi è capitato di assaggiarli, mi pare tre o quattro anni fa a Fornovo, mi erano molto piaciuti per la loro purezza e la loro mineralità.
Da semplice appassionato, che da tanti anni segue le vicende dei vini natural-bio-dinamici ma soprattutto li beve, mi auguro, se vuole egoisticamente, che certe fiere (oltre a quella della già citata Fornovo, penso a Vinissage di Asti, a quella, nuovissima, di Agazzano) dove l'appassionato oltre a parlare piacevolmente con i produttori, può anche acquistare, a prezzi di cantina, qualche bottiglia dei vini che più gli sono piaciuti e "conoscerli" meglio a casa propria.
Già a Villa Boschi, sotto questo aspetto, mancava qualcosa. Era stata creata una piccola enoteca, ma i prezzi erano ben superiori a quelli praticati in azienda. Capisco le esigenze commerciali, quelle del distributore etc.. Insomma sarà perchè sono ancora legato a questa idea del rapporto diretto tra produttore e consumatore che queste belle manifestazioni mi hanno fatto apprezzare ma già la rassegna di Villa Boschi mi stava un poco larga, troppa gente, qualche produttore un poco distratto già il venerdì.......
Ecco perchè l'appello di Ziliani mi ha trovato assolutamente d'accordo. Chi è fuori da qualsiasi interesse se non quello di bere bene e sano, ha paura che gli portino via il giocattolo: si incomincia con il vietare ai produttori di vendere direttamente i propri vini, si inglobano le manifestazioni nel Vinitaly o magari si uniscono Wine Festival di Merano e Bio&Dinamica sotto le volte del Kursaal e, inevitabilmente, chi andrà a Verona o a Merano non andrà più solamente per riassaggiare i bei bianchi della Distesa e degli altri piccoli produttori che fanno vini un poco o tanto diversi.
Ed il gioco sarà fatto.
Rileggendo il mio precedente commento mi accorgo di aver scritto senza verbo la seconda frase.
Rimedio: "mi auguro che certe fiere" NON SCOMPAIANO.
Il senso era comunque evidente.
Luciano mi ricordo bene che ci siamo incontrati diverse volte a Fornovo... Io in questi anni non ho mai partecipato alle manifestazioni veronesi, che non mi hanno mai convinto del tutto, non so bene perché. Sono d'accordo sul fatto che la vendita diretta a prezzi di cantina (prezzo sorgente) dovrebbe essere la norma nelle manifestazioni "alternative". Su questo punto concordo pienamente. Sul fatto che una entrata in Vinitaly rovinerebbe il giocattolo, invece, andrei più cauto. Credo che davvero oramai la gran parte del movimento dei vini naturali abbia acquisito una consapevolezza ed una qualità che difficilmente possano essere modificate dalle mode o dai furbi di turno. Oltretutto io credo fermamente che se molti produttori si "convertissero" al bio in modo serio anziché difendere la nicchia e l'orticello dovremmo tutti essere contenti: chi ci guadagna sono il pianeta e la salute dei consumatori.
Gentilissimo, è chiaro che il mio punto di vista è, come dire, troppo romantico. Mi rendo conto che il "movimento dei vini naturali" (definizione che non mi entusiasma ma che ho visto molte volte adoperata) deve farsi conoscere, confrontarsi. Forse i tempi sono maturi per il gran salto e noi consumatori-appassionati dobbiamo farcene una ragione. Il silenzio su questo argomento di tanti produttori, e questa ipotesi non mi pare sia stata presa in considerazione da Franco Ziliani, può essere determinato proprio da questa titubanza. Una specie di vorrei e non vorrei, come nel caso, mi passi il confronto, della ragazza di diciassette anni che gradirebbe uscire con il bel compagno di classe, ma, sapendo che può essere pericoloso per la sua verginità, non riesce a decidersi.
Allora è giusto non dare risposte, prendersi del tempo per riflettere, per sentire come la pensa l'amico vignaiolo e magari vedere cosa succede negli altri paesi. A questo riguardo ho l'impressione, ma posso sbagliarmi, che l'approccio ai vini bio (naturali) da parte della stampa specializzata francese sia più maturo e convinto. A questo proposito le segnalo, ma probabilmente l'avrà già letto, l'ottimo aricolo di A. Gerbelle e D. Saverot apparso sulla Revue du Vin de France del febbraio di quest'anno dal titolo, che mi piace molto: "Initiation douce à la saveur des vins bio". Articolo che trovo giusto nei toni e che da spazio anche a dubbi e perplessità.
Si ha l'impressione che il vino bio non venga più considerato come qualcosa di diverso ma come una evoluzione inevitabile del "fare" vino. Ed è bella ed augurabile la conclusione:"tra trenta o quarant'anni non si parlerà più di bio. Sarà un termine desueto. Il ritorno al lavoro equilibrato del terreno sarà ineluttabile per i grandi vini. Le nuove generazioni diplomate alle scuole di vinicoltura, d'agronomia e d'enologia ne saranno impregnate......Un domani i grandi terroir saranno quelli che esprimeranno pienamente la loro personalità e la cultura biologica contribuirà a questo".
quello che stavo cercando, grazie
leggere l'intero blog, pretty good
La ringrazio per Blog intiresny
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