venerdì 5 agosto 2016

La garanzia partecipata

Questo un mio testo che venne pubblicato qualche anno fa nel volume Servabo - Il Vino Naturale. Così. Visto che ho letto un sacco di esegesi strampalate su quello che ho scritto.

Secondo l’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements)
“I sistemi di garanzia partecipata sono sistemi di assicurazione della qualità che agiscono su base locale; la verifica dei produttori prevede la partecipazione attiva delle parti interessate ed è costruita basandosi sulla fiducia, le reti sociali e lo scambio di conoscenze”.
Negli ultimi anni il dibattito sull’agricoltura biologica ha portato ad una critica sempre più serrata della certificazione classica, di parte terza. Troppo onerosa per i piccoli produttori, spesso incentrata più sugli aspetti burocratici che produttivi, legata a disciplinari europei che spesso risultano essere ben poco “biologici” nello spirito e nei contenuti, il classico “bollino” del biologico è oramai un marchio distintivo degli “industriali” del bio e poco si adatta alle vere produzioni artigianali delle piccole aziende agricole europee.
Per questi motivi si è spesso parlato dell’autocertificazione come strumento di comunicazione ai consumatori delle pratiche agricole e di trasformazione effettuate dagli agricoltori. Soprattutto nel mondo del “vino naturale”, che spesso rifiuta in toto la disciplina del biologico, la pratica dell’autocertificazione, lanciata per la prima volta nell’ambito del progetto Critical Wine, è stata recepita come soluzione libertaria e trasparente al problema.
Oramai da qualche anno, però, insieme ed accanto ai Gruppi di Acquisto Solidali, sono nate e si sono sviluppate alcune esperienze che, partendo proprio dal concetto di autocertificazione, hanno portato una profonda innovazione all’idea stessa di “certificazione”: nei Sitemi di Garanzia Partecipata (PGS) la partecipazione diretta dei produttori, consumatori ed altri parti interessate nei processi di verifica non solo è incoraggiata ma viene richiesta. Questo coinvolgimento è realistico e praticabile dato che i PGS sono verosimilmente adatti a piccoli produttori e a mercati locali o vendita diretta. I costi della partecipazione sono bassi e principalmente prendono la forma di impegno volontario di tempo piuttosto che di spesa economica. Inoltre la documentazione cartacea è ridotta al minimo, rendendo il sistema più accessibile ai piccoli operatori.
Gli elementi chiave della garanzia partecipata sono:
Partecipazione. La credibilità del sistema è una conseguenza della partecipazione attiva di tutti gli attori.
Progetto condiviso. Cioè produttori e consumatori devono condividere consapevolmente i principi ispiratori del PGS.
Trasparenza. Tutti gli attori coinvolti devono avere un buon livello di consapevolezza delle modalità di funzionamento dl sistema.
Fiducia. Il sistema si basa sulla convinzione, diffusa tra tutti gli attori, che i produttori agiscono in buona fede e che la “garanzia resa” sia espressione di tale affidamento.
Apprendimento. La “garanzia” deve tradursi in un processo di apprendimento collettivo permanente, che irrobustisce tutta la rete coinvolta.
Orizzontalità. Tutti gli attori coinvolti nel PGS devono condividere il medesimi livello di responsabilità e competenza nel processo.

Esperienze attive sono ad esempio quelle di ASCI Toscana o di CAMPI APERTI. In questi casi consumatori e produttori visitano le aziende agricole, approfondiscono la conoscenza dei prodotti e dei metodi agricoli, controllano che tutto sia corrispondente a quanto dichiarato dall’agricoltore in modo da creare una sorta di “credibilità sociale” che vale molto di più rispetto al bollino dell’ente certificatore basato essenzialmente su controlli cartacei.

La domanda è: possono i PGS essere applicati al movimento del vino naturale? In che modo? Con quali finalità?

5 commenti:

Unknown ha detto...

Ho il libro tra le mani "il vino 'naturale' i numeri gli intenti e altei racconti" è dal 2013 su uno scaffale della libreria. Rileggendolo adesso mi da un effetto diverso, direi maggior chiarezza e consapevolezza. Ma non mi sembra che si siano fatti passi avanti. Direi più una situazione consolidata.

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Luca Paolo ha detto...

Se questo indubbiamente rappresenta un interessante spunto su cui lavorare in ottica futura, mi domando quanto sia applicabile a bottiglie - e dunque aziende - che per l'80-90% vanno a finire fuori dai confini nazionali.
Il vino non è un prodotto di consumo locale come possono essere frutta e verdura, immagino lo sia stato in passato ma ora non è così. E d'altro canto la sussistenza di una piccola azienda non può passare oggi - non in queste condizioni - dalla vendita in loco, anche perché se pure una piccola produzione venisse venduta interamente sfusa che prezzi si potrebbe spuntare sul territorio?

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