martedì 14 agosto 2007

Sul vino naturale

«Colgo l’occasione per mettere in guardia i consumatori dal bere vini senza solforosa, perché il vino potrebbe non avere tenuta microbiologica o, ancora peggio, contenere elementi sostitutivi, non ammessi dalla legge e nocivi». Riccardo Cotarella (da un’intervista radiofonica).
E' una breve citazione dall'ultimo numero di Porthos. L'uomo la cui firma vale il successo sui mercati USA, il Michell Rolland de' noantri, l'uomo che ha inondato l'Italia di Merlot, si schiera apertamente contro il vino naturale. E non poteva essere altrimenti. Dopotutto difende una categoria. Ma il fatto che Cotarella si sia esposto pubblicamente significa che "l'enologia italiana" si è accorta che qualcosa sta cambiando, sulla scia di una domanda sempre più diffusa: l'enologia deve essere per forza solo ed esclusivamente utilizzo smodato di prodotti chimici? O può essere, invece, come molti grandi vini dimostrano, ottimizzazione di variabili e sostanze naturalmente presenti nell'uva e incentivo a pratiche agronomiche e di cantina sempre migliori ed efficienti?
Io sono arrivato al vino naturale lentamente. Per sottrazione. Eliminando anno dopo anno, vendemmia dopo vendemmia, quasi tutti quei coadiuvanti più o meno invasivi che stanno ormai alla base della totalità dei vini in commercio. E' stata una scelta coerente con l'idea di praticare una agricoltura biologica e naturale. Solo in seguito ho scoperto il "mondo del vino naturale". Un mondo alternativo, indipendente, di nicchia. Un mondo fatto di splendidi vignaioli, di consumatori attenti, di giornalisti appassionati, di fiere interessanti e ben fatte.
Questo mondo si sta espandendo. E qualsiasi cosa ne pensino i detrattori, è un bene. Per la Terra e per i consumatori. Ma era ovvio che l'Industria se ne accorgesse. Lo Stato - dunque, la Legge - se n'era già accorto da tempo: le grande parte della legislazione alimentare dell'Unione Europea e delle nostre ASL vogliono dimostrare che è sano ciò che è industriale e microbiologicamente stabile (ovvero morto). Dai formaggi ai vini, dal latte al miele tutto ciò che mangiamo dovrà essere, nelle intenzioni delle lobbies industriali e dello Stato, "organoletticamente morto".
Il mondo del vino naturale, e del cibo naturale, altro non è, quindi, che uno dei campi della battaglia mondiale per una agricoltura naturale e sostenibile. E' importante, a mio avviso, che non si chiuda in se stesso, che non cada nell'errore di voler restare "nicchia", che non si piaccia a tal punto da diventare "radical chic". In questo senso alcune dinamiche che coinvolgono in particolare una parte di questo mondo, e principalmente chi fa agricoltura biodinamica, non possono che preoccupare. Mi riferisco alla volontà di dividere questo movimento anziché di unirlo. Di estraniarsi col fine di attirare i riflettori e l'interesse. Di moltiplicare le fiere e i disciplinari. Di privilegiare i personalismi e le diffidenze. Col risultato di seminare confusione nei consumatori e di far prevalere, in fondo, considerazioni di natura commerciale.
Si dirà che è necessario porre dei limiti per impedire che tutti salgano sul "carro dei vincitori", per seguire la moda, per fuggire dalla crisi, per sfruttare l'onda. Ma la storia dei disciplinari e delle certificazioni insegna che chi ha barato con le DOC o con il BIO potrà agevolmente barare con altre limitazioni, pubbliche o private che siano.
Come uscirne? Io credo che il vino naturale, e più in generale la lotta per un'altra agricoltura, possa avere un futuro se andrà nella direzione di una unità di intenti su alcune semplici idee forti, condivise e diffuse fra tutti gli agricoltori "naturali". E se questa unione si saldasse in un patto sociale con le esigenze e le aspettative dei consumatori "critici", sulla base di due criteri fondamentali: l'origine e la trasparenza. In questo senso l'autocertificazione, dunque l'assunzione di responsabilità diretta del produttore di fronte al consumatore, rappresenterebbe il cardine di questo patto. Non un dettagliato disciplinare che impone in modo integralista dei limiti (quantità di solforosa, tipologia di lieviti, ecc.), ma una comunicazione trasparente sui metodi di coltivazione e trasformazione utilizzati, all'insegna del "dico quel che faccio, faccio quel che dico". Il consumatore sceglierà di conseguenza. Se il giorno dopo si ritroverà col mal di testa, state certi che dal furbo di turno in pochi torneranno.
Quel che trovo importante, però, è prepararsi alla controffensiva industriale. L'uscita di Cotarella sarà il primo di una serie di attacchi: legislativi, di marketing, commerciali. Divisi non si potrà che perdere.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Corrado, sono molto felice di leggerti così determinato e consapevole in questa scelta rivolta "al naturale"! Felice di sentire come ci sei arrivato passo dopo passo, sperimentando di persona, perchè questo orientamento è una scelta di vita, un insieme di valori che diventano parte di noi giorno dopo giorno. Condivido il tuo punto di vista. E la necessità di apertura!
Saluti a tutta La Distesa!

Corrado Dottori ha detto...

Ciao Chiara, ti aspettiamo se passi in zona!

Anonimo ha detto...

Ciao,
sono Marco, ho 27 anni e scrivo da Milano. Mi occupo dei vini nella vineria di famiglia e conosco i tuoi prodotti grazie ad un bravo distributore che me li ha presentati. Condivido tutto di quello che scrivi. Chi ama il vino non può non comprendere la differenza che passa (e non solo ideologicamente, ma anche organoletticamente!) tra prodotti naturali e non. Ritengo che i grandi vini non possano che essere “naturali”, nel senso più ampio che credo tu attribuisca alla espressione. Condivido ogni tua preoccupazione e le cerco di esprimere con una una storiella stupidina. Pino Gino e Rino scoprono in un boscaccio scuro una piccola radura. -Che bella la radura!-, dicono, -però ora dobbiamo dividercela!-
E quindi si siedono, discutono, poi il primo cerca di farsi un piccolo recinto, il secondo un altro piccolo recinto, il terzo un altro piccolo recinto ancora. Troppo piccoli i tre recinti perché potessero resistere ai perfidi cinghiali-calpesta-radure. La morale? Avrebbero dovuto prima costruire insieme, concentrando le forze, un bel recintone anti-cinghiale... Spero vivamente che si accorgano del pericolo che comunemente corrono, i vari Pino Gino e Rino, prima che arrivino i cinghialoni cattivi a guastare le feste (anche perché io umanamente non riesco proprio a farmi 3 fiere – o più- di vini “VERI NATURALI ORGANICI” in pochi giorni!).
Con tanta stima,
Marco.

Corrado Dottori ha detto...

Ciao Marco, grazie della visita. La storiella è una buona metafora di ciò che sta accadendo. Credo che sia importante che tutta la filiera, da noi vignaioli fino ai consumatori, includendo i bravi professionisti del settore, capiscano che l'unico modo per resistere alla GDO e alla standardizzazione del gusto sia un patto culturale e sociale.

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e