giovedì 23 dicembre 2010

Per qualche dollaro in più

C'è questa scena nel film di Sergio Leone: il pistolero Clint Eastwood va dallo sceriffo per incassare la taglia sui fuorilegge che ha appena ucciso. Lo sceriffo era colluso, aveva inutilmente avvertito i fuorilegge del pericolo. Il pistolero prende i soldi, lo guarda di sbieco e gli fa, sarcastico: "Ma lo sceriffo non deve essere coraggioso, leale ed onesto?". Poi prende la stella e la strappa dal bavero.
Il pistolero esce. Due campesinos sono fuori dall'ufficio dello sceriffo. Il pistolero li guarda, getta la stella per terra e bofonchia: "Cercatevene un altro".

martedì 14 dicembre 2010

Roma brucia

...Inoltre donne di illustri famiglie escogitavano per sé occupazioni indecorose. Nel bosco, che Augusto aveva piantato intorno al lago della battaglia navale, vennero costruiti dei luoghi di ritrovo e delle bettole dove si metteva in vendita tutto ciò che serve a fomentare la dissipazione. Si distribuivano anche delle monete che ognuno doveva spendere: le persone oneste per necessità, le disoneste per vanità.
S'ebbe un pullulare di scandali e di infamie e nulla ai costumi già da tempo corrotti fornì maggiore incentivo al vizio di quell'accolta di viziosi. A fatica, con occupazioni onorate, si riesce a conservare il senso dell'onore, tanto meno si potevano salvare, in quella gara di vizi, la pudicizia, la modestia o un minimo di virtuoso costume. Per ultimo salì sulla scena egli stesso, con molto impegno accordando la cetra e provando il tono giusto della voce, con i maestri di canto al suo fianco. Erano venuti allo spettacolo una coorte di soldati, centurioni, tribuni e Burro al tempo stesso attristato e plaudente. Allora, per la prima volta, furono arruolati dei cavalieri romani, chiamati Augustiani, tutti giovani e di taglia robusta, spinti alcuni dall'indole sfrontata, altri della speranza di diventare importanti. Questi, giorno e notte, facevano risuonare i loro applausi, lodando la bellezza del principe e la sua voce con appellativi divini: così vivevano in fama e onore come se lo dovessero a qualche loro virtù...
(Tacito - Annali, libro XIV)

sabato 11 dicembre 2010

Già, le Marche e il problema alcool

Grande dibattito sui blog questa settimana: Oscar Farinetti ha lanciato la nuova bomba. Già 2010: Langhe Rosso che esce a due mesi dalla vendemmia senza essere un novello. Solo undici gradi alcolici grazie ad una operazione di dealcolizzazione fisica con filtri molecolari.
Si è detto e scritto di tutto sull'operazione, non aggiungo nulla.
Se non che ho scoperto che nella mia regione, le Marche, si è da poco svolto su iniziativa - guarda un pò - dell'Istituto Marchigiano di Tutela proprio un convegno sul tema della riduzione dell'alcool.
Perle di saggezza da evidenziare rispetto a quanto emerso nel convegno:
...Gli illustri relatori hanno unanimemente sottolineato che, aldilà di valutazioni preconcette, la riduzione del grado alcolico è una realtà prevista dalla normativa vigente e, pertanto, è indispensabile approfondirne la ricerca, in quanto a livello internazionale si stanno sviluppando queste nuove tecniche che già registrano significativi riscontri sui mercati...
...In Australia, nel ventennio tra il 1984 ed il 2004 si è assistito ad un aumento di circa due gradi alcolici e, di conseguenza, la riduzione dell’alcool è una realtà che va presa in seria considerazione, in quanto è orientata ad esaudire la richiesta dei mercati nazionali ed esteri, soprattutto alla luce delle risultanze di questo workshop che conferma la sicurezza del procedimento, paragonabile ad un semplice filtraggio, peraltro già previsto dalle leggi vigenti, e senza implicazioni di carattere salutistico o sanitario!
...Siamo veramente orgogliosi - ha dichiarato Mazzoni (direttore di IMT) concludendo i lavori - di essere i primi in Italia ad affrontare ed approfondire una tematica che può sicuramente rappresentare un’ulteriore opportunità, offerta ai produttori, per ottenere positivi riscontri sui mercati della domanda ed una giusta remunerazione per il loro lavoro!
Parola più ripetuta: Mercati. Domandina ingenua: che siano quegli stessi "mercati" che, solo dieci anni fa, richiedevano vini più concentrati, strutturati ed alcolici?
Boh, io non so se il vino dealcolizzato avrà un futuro roseo, se è buono come dicono, se berremo tutti vini a 11 gradi e potremo bere un ricco mezzo bicchiere in più senza aver paura del palloncino.
So ciò che diceva Mario Soldati in Vino al vino: "Il Verdicchio, specialmente se buono e vero, assume naturalmente una gradazione alcoolica piuttosto vibrata: 13, anche 14, e qualche volta verso i 15, mai sotto i 12"
So che il vino è un equilibrio. Se togli qualcosa perdi qualcosa. Oppure aggiungi qualcos'altro.
So che nelle Marche si organizzano convegni. E nel frattempo Oscar Farinetti è Già sui cosiddetti mercati.

mercoledì 1 dicembre 2010

Il cofanetto definitivo


The promise: the making of Darkness on the edge of town è il feticcio definitivo. Per un fan di Springsteen è come un viaggio in Borgogna per un appassionato di vino. Come un trip per un tossico. Un intero film, un intero doppio album di perle nascoste (sebbene conosciutissime dagli estremisti), un intero concerto del 1978, l'intero album risuonato live nel 2009, il disco originario rimasterizzato. E poi foto magnifiche, il notebook originario - su cui lavorava Bruce per scrivere i testi - riprodotto come solo dei geni del marketing potevano fare.
L'unico limite alla perversione: due piccole, innocenti, creature bionde con gli occhi azzurri, che mi impediscono di arrivare ai lettori CD e BluRay...

sabato 27 novembre 2010

Per chiarire il concetto

Visto che il mio ultimo post "si è fatto sentire" e che a La Terra Trema si discute dei "Cosiddetti", posto un contributo che avevo scritto (con l'editing di A. Morichetti che ringrazio) per Intravino sette mesi fa e che pare "profetico" (non certo perché lo abbia scritto io bensì perché è la questione ad essere centrale). Di fatto la questione è:
1) Se la mettiamo solo sul piano delle sostanze che possono finire in un vino nel giro di qualche anno l'industria replicherà in laboratorio i vini "naturali" e ci sbatterà fuori dal mercato.
2) Se noi vignaioli continuiamo a dividerci e a fare percorsi differenti siamo più deboli.
3) Come diceva Gino: La terra, la terra, all'infinito la Terra.

Il vicolo cieco
Forse non tutti sanno che” sarebbe un inizio niente male. Sentite che bel titolo ha questa recente ricerca dell’Università di Sassari: “Individuazione di ceppi di Saccharomyces cerevisiae medio-basso produttori di etanolo” . Traduco in italiano lo scopo: isolare lieviti da vino che producano poco alcol. Curioso, no?Ricordo male io o fino a ieri l’altro la ricerca microbiologica faceva l’esatto contrario – cioé selezionare ceppi in grado di garantire una più elevata resa alcolica? Partiamo da qui per continuare la discussione iniziata con alcuni interessanti articoli di Intravino.
Leggendo tra le righe, la ricerca menzionata ci comunica qualcosa di importante. In ambito agronomico ed enologico si tende continuamente a sperimentare tecniche, tecnologie e prassi in grado di seguire il Mercato. Oggi il Mercato chiede vini più “leggeri”? Messaggio ricevuto, il “sistema-vino” si adegua. Come ieri si era adeguato ai vini-frutto. Purtroppo, ho la brutta sensazione che la discussione sui “vini naturali” stia prendendo la stessa piega. Oramai si parla apertamente di moda, le fiere ed i saloni alternativi riscuotono successo e i produttori di questa nicchia paiono risentire meno della crisi rispetto ai “convenzionali”. Si arriva ad ipotizzare un padiglione comune al prossimo Vinitaly.
Sarà mica che il percorso “naturale” sta finendo in un pericoloso vicolo cieco? Quando ci si relaziona al vino naturale adottando le medesime modalità con cui si era cavalcata l’onda modernista del vino-frutto, il rischio è serio e non possiamo negarlo. Quando la bottiglia di vino naturale diventa merce esattamente come fu il Supertuscan costruito in laboratorio con vitigni pompati, la deriva commerciale e mediatica è dietro l’angolo. Sono solo cambiate le parole d’ordine: il vino non deve più essere morbido, opulento e fruttoso bensì “sano”, genericamente “eco-compatibile” e magari “misterioso” o comunque bioqualcosa. Concordo con Porthos quando parla di implosione dell’avanguardia naturale.
Fare vino seguendo le (presunte) richieste del mercato significa negare l’essenza del movimento “naturale”, che sintetizzo in 3 punti: critica radicale al modo con cui oggi l’umanità si relaziona alla natura, visione totalmente alternativa dell’agricoltura, lotta ai processi socio-economici dominanti. Oggi è impossibile parlare di “vino naturale” senza affrontare i nodi legati al sistema industriale di produzione, accumulazione e commercio ma soprattutto senza un approccio organico – che partendo dal vignaiolo arriva fino al consumatore, inteso come co-produttore (termine figlio della riflessione di Terra e Libertà/Critical Wine). È altrettanto necessario contestualizzare vino, cibo e agricoltura in orizzonti socio-culturali irriducibili ad una certa idea di Mercato. Valutare i “vini naturali” solo in base a caratteristiche sensoriali è limitante e ingeneroso nei confronti di chi da anni lavora ad un’idea integralmente diversa del vino e, oserei dire, della vita stessa.
Stiamo assistendo a un fenomeno enorme, cioé al totale sovvertimento del paradigma agronomico-enologico cui si era approdati negli anni ‘80/’90. Questo grazie agli studi di Claude e Lydia Bourguignon e di Jules Chauvet, grazie ai testi classici della biodinamica, antichi e moderni (Rudolf Steiner, Ehrenfried E. Pfeiffer, Alex Podolinsky, Nicholas Joly), e alle prassi dei pionieri del vino naturale (Lapierre, Overnoy, Breton, Binner, ecc). E il fermento è tutt’altro che terminato.
In questo contesto è stato meno appariscente, ma non meno rilevante, il cambio di approccio in termini di vendita e commercializzazione. Si ricorre sempre meno a grandi distribuzioni, grandi agenzie di rappresentanza e catene commerciali, ma sempre di più al rapporto diretto col co-produttore (attraverso vendita diretta, fiere, gruppi di acquisto) o con piccoli operatori specializzati, locali ed esteri. Diventano centrali un approccio differente al settore agricolo e l’interazione tra vignaiolo – artigiano/artista – e consumatore finale. Nella bottiglia di vino naturale, così come in un’opera d’arte, si cercano magia e piacere estetico, materiale ed intellettuale, dove il bello e il buono divengono fenomeno culturale e presidio etico. Altro che merce. Altro che banale e brutale bene di consumo. Altro che status symbol.
Se tutto ciò è vero – e può benissimo non esserlo – apparirà chiaro quanto sia delicata e complessa la questione dell’eventuale partecipazione del “movimento dei vini naturali” al Vinitaly. Personalmente, non sono nemmeno contrario per principio e non rinnego la mia passata partecipazione. Credo però che una scelta simile possa avere un senso solo in quanto gesto politico di rottura rispetto alle problematiche odierne in agricoltura: la sovrapproduzione, denominazioni di origine, certificazioni, burocrazia, uso sfrenato di chimica e tecnologia, standardizzazione del gusto e via dicendo. Dubito che allo stadio attuale il movimento naturale abbia la forza di proporsi compatto con un’identità forte e determinata. Dubito inoltre che il Sistema-vino – rappresentato dal Vinitaly – abbia davvero interesse ad accogliere dentro al “palazzo” il dissenso e l’alternativa. Temo, invece, che le sirene del marketing e dell’industria stiano già lavorando per concentrarsi su nuove forme e nuove apparenze, tralasciando ancora una volta la sostanza.

martedì 23 novembre 2010

Basta!

Se il mondo del vino naturale è questo io non sono un produttore di vini naturali.
E' questa la riflessione che nasce in me dalla manifestazione Semplicemente Uva, fiera del vino "cosiddetto" naturale organizzata dal "gastronauta" Davide Paolini, che si svolgerà a Milano in concomitanza - guarda caso - dell'annuale appuntamento al Leoncavallo (La Terra Trema).
Sono stato contattato mesi fa da una società che - immagino - è stata incaricata di organizzare l'evento. Comunicazione ultra markettara, messaggi poco chiari, sovrapposizione con l'appuntamento ex-critical wine. Varie ragioni mi hanno fatto declinare l'invito, nonostante una certa, pressante, richiesta.
Bene. Oggi ricevo dagli splendidi ragazzi organizzatori da anni, con sbattimenti notevoli, della rassegna leoncavallina un comunicato che potete leggere qui di seguito. Inutile aggiungere che lo sottoscrivo in pieno. Spiace un pò che questa deriva coinvolga anche persone che stimo...

"Da che parte stiamo/Brevi considerazioni in merito alle “cosiddette” coincidenze


Scriviamo questo breve comunicato mossi da una specie di senso d'urgenza, vuoi per le numerose sollecitazioni arrivate dai vignaioli de La Terra Trema, vuoi per le “mezze parole” o per altro tipo di suggestioni sopraggiunte da agenti "esterni".
La questione riguarda una manifestazione – nuova - che si svolge contemporaneamente alla nostra: Semplicemente Uva, organizzata da Davide Paolini.
Il sovrapporsi con altri eventi non è mai stato un problema per noi, è capitato altre volte e La Terra Trema non impone, né pretende alcun tipo di monopolio, anzi si augura che le economie dei vignaioli girino e bene.
Per questo motivo, quando ci hanno segnalato questa “fortuita coincidenza” non abbiamo dato troppo peso, abbiamo detto “si vedrà, aspettiamo di capire”.
La struttura comunicativa della suddetta manifestazione, sito e comunicati stampa, non aiutavano a capire però; per lungo tempo, avari di informazioni, non spiegavano né chi, né come, né perché.
Le cose sono emerse piano e con chiarezza solo pochi giorni fa, per merito dei vignaioli che - da parecchi anni - con La Terra Trema collaborano, ragionano, reagiscono.
In tanti hanno chiamato. E i racconti che ci riportavano rasentavano l’intimidazione mafiosa: vignaioli che, in nome del vino “cosiddetto naturale” si trovavano costretti a partecipare all’evento, a rinunciare alla partecipazione a La Terra Trema, un ricatto che arriva ritornava in modo prepotente anche da agenti e distributori.
Lo diciamo da un pezzo: le teorie del “buono, pulito e giusto”, del biologico naturale, sincero e semplice, da sole, non bastano e rischiano di diventare la miglior foglia di fico per nascondere ambigui interessi privati, economie balorde.
La Terra Trema lavora da molti anni perché le economie del vino (e delle agricolture in generale) girino intorno a chi le mani le sporca a fondo, nella terra, tra le foglie e i grappoli e non intorno a chi fa giusto lo sforzo di aggrapparsi a un telefono e chiamare e intimidire, minacciare ed escogitare deliranti ricatti.
Manifestazioni come Semplicemente Uva sono per noi l’esempio schietto di un mercato degenerato, malato e marcio, che - sfacciatamente - serve e protegge solo le solite lobbies.
Per questo motivo abbiamo deciso di imporre - per la prima volta - il nostro out out a quei produttori (pochissimi a dire il vero, giusto 2/3) che hanno aderito ad entrambi gli eventi; questo passaggio per noi si rende obbligatorio perché se per i vignaioli che partecipano a La Terra Trema non è chiaro il nostro tipo di discorso un progetto come La Terra Trema non ha motivo d’essere.
A onor del vero i produttori in questione hanno ritenuto di disdire la loro partecipazione a Su per partecipare a LTT, comprendendo a pieno le motivazioni che ci hanno portato a chiamarli.
Siamo sicuri che da quest’anno a Milano inizierà una guerra, quel che propone un evento come il nostro affossa per bene questi mestieranti del vino e della distribuzione, è la nostra (e la vostra) rivoluzione.
Questa discussione, ci auguriamo, si arricchisca delle vostre osservazioni, auspichiamo il vostro riscontro in merito - è fondamentale.


LaTerraTrema"

domenica 7 novembre 2010

L'olio d'oliva e l'invenzione dell'economia

Dunque siamo alle olive. Le giornate sono brevi, si alternano giorni di luce e giornate dominate dall'elemento acqua: gialli Van Gogh e nebbie grigio esistenzialista. Ore e ore passate sugli alberi. Si parla. Si scherza. Si riflette. C'è, nel lavoro agricolo, un qualcosa che favorisce immediatamente la socializzazione. E' bello, questo fatto. Storicamente nelle campagne ci si aiutava, fra contadini. Scambio manodopera, cooperazione, mutuo soccorso. Tutto scomparso, o quasi, con l'avvento dei "coltivatori diretti", degli "imprenditori agricoli", delle "aziende". E' la modernità, bellezza.

C'entra forse nulla, ma mi ci ha fatto anche pensare la lettura di un libro che ho trovato illuminante e fondamentale: L'invenzione dell'economia di Serge Latouche. In questo libro c'è una tesi forte: l'assurdità di considerare l'economia una "scienza" che si muove secondo leggi naturali. E' un dibattito vecchio eppure nessuno, nemmeno i marxisti più intransigenti, aveva mai portato una critica così serrata e costitutiva al mondo degli economisti. La scienza economica per Latouche altro non è se una scienza necessaria a un determinato modo di produrre e scambiare merci, quello capitalistico. Modo che non è nato con l'uomo e che non morirà con esso.
Ecco, per l'agricoltura è un pò la stessa cosa. Non è sempre stato che i contadini comprassero il seme sul mercato. Per migliaia di anni i contadini hanno selezionato ed usato i propri semi. E nemmeno è sempre stato che gli agricoltori vendessero i loro prodotti sul mercato. Per quasi tutta la storia dell'umanità le merci dell'agricoltura erano destinate in gran parte all'autoconsumo oppure, spesso, prodotti e venduti "su prenotazione" (a famiglie più abbienti e cittadine). Un altro mondo. E però non è detto che sia meglio oggi, che il prezzo del grano lo fa la borsa di Chicago.

Quel che è certo è che la nostra civiltà mediterranea è caratterizzata dall'olivo forse ancor più che dal vino. L'olio extra-vergine di qualità è davvero uno dei beni agricoli più affascinanti, importanti, basilari. E certamente il "mercato", totem della moderna economia, non è oggi in grado di valorizzarlo adeguatamente.

PS L'extra vergine Pantarei di Arianna Occhipinti è veramente mostruosamente buono.

martedì 26 ottobre 2010

Autunni

C'è questa voce che mi sta letteralmente stregando... Cat Power col suo disco, Juke Box (grazie Giuli!)... Toni alla Joni Mitchell, lampi alla Janis, una produzione tipo Daniel Lanois per Bob Dylan. Disco perfetto per questo autunno che già si presenta con piogge e nebbie e vigne giallo canarino. Tra l'altro lei è bellissima ed è del 1972. Che annata!
E poi c'è l'autunno di una nazione. Questo nostro paese che naviga nel declino senza nemmeno rendersene conto, pensando d'essere ancora un "paese avanzato". Che l'unica è galleggiare cercando una qualche corrente che ci dia un senso.
Ci sono libri come American Tabloid di James Ellroy, che in realtà ho letto quest'estate, ma che è così pieno di decadenza ed immoralità da essere giocoforza autunnale. Un capolavoro. Un romanzo che ha dentro tutto, mafia, terrorismo, guerra fredda, puttane d'alto bordo, grandi politici, piccole comparse, strade secondarie e tonnellate d'alcolici. Così cinico, così esaltante.
E infine non è autunno senza Fornovo. Vini di Vignaioli/Vins de vignerons, forse la mia fiera preferita. Pioverà, farà freddo (è sempre così) ma ci si scalderà, come sempre, tra persone e vini autentici. Qui informazioni sulla fiera. 

mercoledì 20 ottobre 2010

Minchia, l'Abruzzo

Un paio di giorni in libertà. Dalle Marche scendiamo a sud. Controguerra, Torano Nuovo e Teramo. Poi Assergi, Campo Imperatore e Santo Stefano Sessanio, bellissimo paese medievale colpito dal terremoto. E ancora: L'Aquila, scioccante e deprimente; le case di Berlusconi; la scoperta di un posto incredibile, fuori dal mondo, come la Rocca di Calascio.
Quanto è bello l'Abruzzo? Come mai non c'eravamo mai stati? Si mangia bene, si beve bene, si spende poco, cosa volere di più?
A Teramo il Ristorante Cantinone, a Fonte Cerreto l'albergo ristorante Nido d'Aquila, a Calascio il Rifugio della Rocca, sono posti consigliatissimi (con carni buone e non solo).
L'Igt Indigena di Cioti 2009 (Trebbiano+altri vitigni autoctoni) è fresco, leggero ma piacevolissimo e molto pulito. Il Montepulciano d'Abruzzo Marina Cvetic 2006 di Masciarelli è di stile bordolese, fine, potente, con tannini dolci ed un naso elegante di cacao, rabarbaro e frutti rossi. Il Montepulciano "base" di Cataldi Madonna 2008 ha una beva facile ed è asciutto e pieno. L'azienda, sita nella piana di Ofena, fa vini di stile molto moderno, ma decisamente buoni e a prezzi corretti.
Insomma, verrebbe voglia di tornarci immediatamente, all'ombra del Gran Sasso.

giovedì 14 ottobre 2010

Tempo di guide

Piove, fa freddino e c'è un nebbione impenetrabile... Tempo di guide eno-gastronomiche, insomma. Pronte per il mercato natalizio. Finite le anticipazioni e gli scoop, abbiamo i nomi e i cognomi. I dibattiti si accavallano su forum e blog, come ogni anno.
E' il bello (ed il brutto) delle guide, baby.
Essendo pure un consumatore di vino cerco di tenermi aggiornato. Mi stupisco di contraddizioni evidenti, di mancanze o presenze, di roboanti risultati regionali. Come tutti.
In verità un pò mi rende perplesso tutta l'attenzione rivolta da Intravino (sottotitolo: un altro vino è possibile) a questo gran bailamme generale. Le liste dei premiati attirano sempre, eppure reputo eccessivo tutto il gossip e l'attenzione, da parte di chi insegue (e spesso fa) una informazione alternativa, verso selezioni che sono, in ogni caso, anche il frutto di scelte editoriali e strategiche.
Voglio esser chiaro: mando i miei campioni da più di dieci anni alle principali guide del vino italiane con risultati spesso molto buoni; stimo molti dei giornalisti che lavorano duro per la costruzione di queste "enciclopedie" del vino italiano; credo che nella stragrande maggioranza dei casi facciano un lavoro molto professionale di censimento della migliore realtà produttiva italiana. Al tempo stesso percepisco, però, (per quel poco che capisco di vino) una tendenza delle varie guide a ragionare sempre più in termini di posizionamento sul mercato, tipo "quale è il mio lettore?"o "quale è il mio spazio di manovra?" oppure "chi voglio accontentare?" 
E dunque: ci sono aziende nuove da cavalcare, ci sono stili da imporre, ci sono mode enologiche da seguire con più attenzione, ci sono i grandi classici da non far arrabbiare: chi più, chi meno, ogni guida, vecchia o nuova che sia, cerca di accontentare un mercato di riferimento. Non esiste altro modo per spiegare incoerenze e/o differenze profonde tra le guide e fra diversi metri di giudizio nella stessa guida. Tutto ciò non è un male a prescindere: diviene un male quando ci dobbiamo sorbire la retorica - trita e ritrita - della "degustazione cieca" o della "attenzione al territorio". 
Non sono di quei produttori che vuol criticare i critici. Penso, a scanso di equivoci, che o scegli di non mandare i campioni in degustazione (scelta legittima, se fatta alla Cappellano) oppure, se li mandi, devi accettare il responso. Ciascuno fa il suo mestiere. Ed è giusto così.
Penso anche da tempo, però, che il mondo del vino dia ancora troppo peso a qualcosa che sul mercato tanto peso non ha, o non ha più. Il futuro dell'informazione eno-gastronomica dovrà e potrà essere sempre più in opere come Mondovino, in riviste davvero innovative come Pietre Colorate, in libri come Terrà e Libertà/Critical Wine o Il vino degli altri, in siti internet dall'approccio e dal linguaggio originali (come è certamente Intravino).  Ecco, soprattutto, la Rete: il luogo dove davvero può esistere un continuo confronto critico in divenire su questo o quel vino, su questo o quel produttore. 
Detto tutto ciò, e alienatemi probabilmente pure le simpatie di chi ha appena premiato il Nur 2008 come Vino dell'Eccellenza, non posso fare a meno di gioire per i tanti colleghi/amici che stimo e che hanno vinto premi importanti, da Alessandro Fenino di Pievalta ad Arianna Occhipinti, da Giovanni Scarfone di Bonavita agli Aurora. Continuando con Daniela e Antonio de Gruttola, Stella di Campalto, Stefano Amerighi, Mario Zanusso, Angiolino Maule, Carlo Venturini (mi perdoni chi non ho citato, ma vado a memoria): tutti "compagni di banco" nelle varie e sempre più numerose fiere bio/naturali. Segno che la nostra piccola/grande rivoluzione sta avendo lentamente successo.

PS Vedete, ci sono cascato anch'io: ho appena parlato di premi e guide eno-gastronomiche...

martedì 5 ottobre 2010

La squadra 2010



Daniele, Pietro, Giovanni, Io, Brooke e Bruce. Siamo in dirittura d'arrivo.

sabato 25 settembre 2010

Una vendemmia attendista

Ci sono vendemmie muscolari e vendemmie cerebrali. Vendemmie in cui bisogna correre ed altre in cui si deve aspettare. Questa 2010 pare decisamente del secondo tipo. E' un settembre con notti fredde, una certa umidità e ondate di maltempo seguite da finestre di bel tempo. Il tutto dopo un agosto non particolarmente caldo. In un contesto simile il terroir conta il doppio: a San Michele l'uva vendemmiata ieri faceva 20° babo con 8,3 di acidità totale. A San Paolo siamo a 18° con un'acidità di poco inferiore. Stesso carico d'uva e 2 km in linea d'aria fra le due vigne.
Quel che si dice in giro a cupra è che gli zuccheri siano bassi. In effetti quel che ho visto finora sono gran basi spumanti, uva verde e grandi diluizioni.
Per quanto riguarda noi, siamo solo a un terzo di uva raccolta. Presto per dare un giudizio. Certamente dopo tre annate stracotte è quasi un piacere vedere un pò di muffe. Fatte le selezioni, ora è il tempo di attendere un pò.

venerdì 17 settembre 2010

2010

Qualcosa si è già cominciato a raccogliere. Siamo indietro, come previsto. Acidità alte, zuccheri ancora bassini, sul Verdicchio la media è intorno ai 17,5° babo. Una annata più stile 2005 che 2004. Per ora. Ma c'è ancora tempo. Ondate di sole e pioggia previste da qui fino ai primi di ottobre. Sono le annate che mi piacciono di più, basta non innervosirsi e fare le scelte giuste.
La settimana prossima via col Sangiovese. E poi si vedrà.

domenica 12 settembre 2010

Formula 1

Che gran pilota Fernando Alonso. E quanto mi manca papà... L'ultima volta a Monza insieme è stato con Berger e Alesi in Ferrari. A lui piacevano i piloti veloci ma celebrali. Non i supereroi alla Senna o Hamilton ma piloti veloci, costanti e concreti come Lauda o Prost. E Alonso, appunto. Non l'ha potuto vedere in Ferrari ma so che lo aspettava. La giornata di oggi lo avrebbe esaltato.

mercoledì 8 settembre 2010

L'importanza di chiamarsi Barolo

Grande degustazione a La Distesa domenica scorsa. Protagonisti grandi vini, ma soprattutto grandi persone. Un pranzo allegro e spensierato a base di prosciutto nostrano e carni alla griglia. Un sole già autunnale ed una brezza piacevole. Ingredienti perfetti per un bel pomeriggio pre-vendemmia.
Cito solo le bottiglie migliori, fra le tante stappate: Champagne Blanc de Blanc Brut Nature Laherte Frère, nervoso, scattante e salato come il mare. Sancerre Alphonse Mellot La Moussiere 1995, fantastico nei toni evoluti di idrocarburo e miele, accompagnati da una bocca dinamica e dal finale eterno. Riesling Mosella Schieferterrassen Heymann-Lorvenstein 1999, con una dolcezza non banale ed un naso esplosivo di frutta esotica, agrumi, pietra. Barolo Domenico Clerico 1985, che dire? ci siamo commossi, soprattutto per la trama dei tannini. Marsala Vecchio Samperi Ventennale De Bartoli, intrigante ed affascinante viaggio tra profumi cui siamo sempre meno abituati.
Considerando che la sera prima l'amico Riccardo Vendrame mi ha fatto il gran regalo di stappare un Rinaldi Barolo Brunate 1989, direi che il week end si è contraddistinto soprattutto per un ritorno al Nebbiolo più importante. Impossibile non notare la classe superiore delle due bocce di Langa. Più elegante il Clerico, più ruvido e scalpitante il Rinaldi, ma entrambi incredibilmente austeri, equilibrati, autunnali, nei loro rimandi boschivi e terrosi. Confrontarsi con vini di questo livello fa capire perché, all'estero, chi capisce di vino identifica l'Italia soprattutto col Barolo.

giovedì 2 settembre 2010

Aspettando la vendemmia 2010

Qualche millimetro di pioggia lo scorso fine settimana. Poi crollo delle temperature: ora di notte fa molto fresco (intorno ai 12 gradi) con escursioni giorno/notte molto interessanti per il profilo aromatico dei vini. Si sta delineando, insomma, il profilo di una bella annata.
In questo video è possibile avere un'idea dei vigneti in questo preciso momento:


giovedì 26 agosto 2010

L'estate sta finendo...

...Un anno se ne va... Nel senso che il ciclo annuale della vite inizia la sua fase finale. Fatto già qualche campionamento. Apparentemente siamo un pò più indietro con le maturazioni rispetto agli ultimi 3 anni, complice una prima metà di agosto piuttosto fredda. In compenso ora fa molto molto caldo e non piove seriamente dal 21 di giugno. Il che non è mai una bella cosa, specie per l'aromaticità dei vini bianchi. Intanto si lava e si prepara la cantina. Incredibile come ogni anno questo momento arrivi così in fretta.

domenica 15 agosto 2010

Coincidenze

Adoro le coincidenze. Strani percorsi destinali che si intrecciano senza alcuna logica apparente.
Ieri è arrivata in agriturismo una famiglia di Milano per una settimana di ferie a La Distesa. Si parla per un pò. Scoprono che uno dei miei cani si chiama Bruce. "Come il cantante preferito del papà!" dice la mamma ai due piccoli più o meno dell'età di Giacomo e Giulia.
Si finisce a parlare col padre, allora. Classe 1972, come me. Primo Concerto: Torino, Stadio Comunale 11 giugno 1988, Bruce Springsteen&ESB. Come me. Ovviamente eravamo assieme, senza saperlo, ad una caterva di concerti di Bruce (fra cui un Nizza 1997). Ma anche al Palalido, 1994, per i Black Crowes. O al Castello di Villafranca, 1997, per un indimenticabile Bob Dylan.
Alla fine dopo tutte queste compresenze ci siamo incontrati davvero, dopo più di vent'anni, a parlare di Steve Earle. Davanti a una bottiglia di vino.
Il vino in questione era lo Stragaio 2006, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva di Fattoria Coroncino. Un vino davvero Stra. Stramaturo, Stralegnoso, Stramorbido, Straalcolico. Un Verdicchione possente alla Lucio Canestrari. Da una grande annata. Forse non è più il mio stile, davvero buono però... E la bottiglia è rimasta vuota.
Per la cronaca: appena tornati dalla Tunisia per una breve - troppo - vacanza abbiamo trovato pioggia e 18 gradi. Bene così.

mercoledì 4 agosto 2010

Tu vò fà l'americano... mericano...

Un paio di mesi fa il mio importatore americano mi ha segnalato che si parlava de Gli Eremi 2006 sul Wall Street Journal. Vengo così a sapere che in un ottimo ristorante di New York City (marea), di fronte a Central Park in pieno centro Manhattan, a uno dei redattori della celebre rivista economica americana è stata servita la mia riserva di verdicchio.
Queste le sue note: "The wine was the 2006 Gli Eremi Verdicchio di Jesi Classico Riserva from La Distesa. “I’ve never heard of it before,” I said to Richard. “No one has,” he replied, adding that it was a tiny-production Verdicchio from a small but highly-regarded estate. It’s rich but possessed of a firm minerally note, said Richard, like a Cru Chablis. I was happy to follow his lead.
The Gli Eremi was as Richard had described it: unctuously rich yet tempered by a bright and penetrating minerality that was, indeed, an echo of a Grand Cru Chablis. And most importantly, it complemented our food — even the intensely-flavored fusilli with grilled octopus in a red wine sauce that my friend ordered. I want to go back to Marea right away — to drink another bottle and to eat more of chef Michael White’s fabulous pastas. But time is tight; according to Francesco, the six cases they ordered is just one..."
Che dire? Il Wall Street Journal non è propriamente uno dei miei riferimenti ideologici, però il paragone con un Grand Crus di Chablis per un bianchista non può che far piacere, no?

venerdì 30 luglio 2010

Pordenone, Europa.

E' stato fatto semplicemente quello che andava fatto: eliminare una coltura illegale. Esattamente come i governi di tutto il mondo provano a fare con la coca in sudamerica, i papaveri in asia e la canapa nel nordafrica. Eppure è dovuta intervenire Greenpeace, che un'istituzione non è, per arare gli ettari di mais transgenico piantati illegalmente in Provincia di Pordenone.
Teniamo gli occhi aperti. In Europa si sta lentamente sfaldando il fronte anti-ogm e c'è bisogno più che mai di attenzione ed opposizione sociale. Con la scusa delle sperimentazioni e delle contaminazioni accidentali potremmo davvero avere presto a che fare con situazioni come questa.

giovedì 22 luglio 2010

Crosby,Stills&Nash

Ci sono band che davvero hanno fatto la Storia della musica. CS&N è sicuramente una di queste, a maggior ragione con l'aggiunta di Young. Il primo "supergruppo" della storia del rock con elementi provenienti dai Byrds (Crosby), Buffalo Springfield (Stills) e Hollies (Nash), per fare una summa degli anni sessanta e dirigersi verso il decennio post Woodstock.
Lunedì scorso mi son fatto lo sbattone per andare a Roma, nello splendido Auditorium Parco della Musica, per ascoltarli. Un concerto davvero strano, contraddittorio. Eppure bisognava esserci. Assolutamente.
Crosby Stills Nash in Italia a luglio: Milano, Roma, LuccaPerché strano? Perché non siamo più abituati ad un certo modo di suonare e di porsi sul palcoscenico. Ho avuto davvero in certi momenti la sensazione netta, davvero paradossale per chi ha sentito dal vivo quasi tutti i mostri sacri del rock, di essere catapultato in un'altra epoca. Mi spiego: non è che Dylan o Springsteen o i Rolling Stones suonino così "moderni". Ma certamente il loro sound, il loro modo di stare sul palco, il timing di certi pezzi, il repertorio, l'immagine complessiva che viene dal palco, hanno avuto un'evoluzione nel tempo. Nel concerto dell'altra sera, invece, è stato come se ci avessero fatto viaggiare con la macchina del tempo per arrivare lì, negli anni sessanta. Con l'unica differenza di uno Stills in pessime condizioni fisiche e di un Crosby totalmente immobile, pareva davvero d'essere nella west coast in quegli anni, nel bene e nel male.
Un batterista che suona costantemente dopo il beat (a differenza di oggi dove suonano tutti ben prima); suoni analogici bellissimi e nitidi ma un un modo di suonare tremendamente sporco; una sezione ritmica appena presente e sempre in appoggio; armonie vocali davvero extra-terrestri e psichedeliche; un approccio sul palco easy e lontanissimo da ogni divismo del rock anni '70 e '80 o dalle pose di qualunque ragazzetto indie di oggi; un volume della chitarra solista davvero spaventoso. 
Tutto quanto lontano anni luce da un live odierno.

Bene. Il fatto è che dopo essersi abituati, e dopo qualche minuto di riscaldamento, ma l'età è quella che è, è arrivata anche la magia. Gemme come Long time gone, Marrakesh Express, Long may you run, Deja vù. E poi, soprattutto, il set acustico con le rivisitazioni di Norwegian Wood (Beatles), Girl from the North country (Dylan) e Ruby Tuesday (Stones in versione da brividi). Giusto, così, a ribadire il tono della serata.
Stills fa davvero fatica e qua e là piazza qualche sbavatura, però il suono delle sue chitarre è magnifico ed è il vero collante del gruppo. Nash è in forma smagliante, a piedi nudi su tappeti freak, è l'unico a parlare ed a muoversi sul palco. Crosby è sostanzialmente immobile, in postura da grande saggio, ma ha una voce pazzesca che il tempo non ha né scalfito né indebolito.
Così quando arrivano Behind blue eyes (Who) e Almost cut my hair (capolavoro totale di Deja vù) capisco definitivamente cosa cazzo sono stati quegli anni per la cultura pop.

lunedì 19 luglio 2010

Pietre colorate

E' da poco uscito il nuovo numero di Pietre Colorate . Si tratta di una nuova pubblicazione che parla di vino. Anzi: di terra, radici e mani. Io ve lo consiglio. Non perché mi sia stato chiesto di scrivere l'editoriale di questo numero. Ma perché è una bella rivista. Bella la carta, belle le foto, bella la grafica. C'è bisogno, con tutta la grettezza e la bruttezza che ci circonda, di tornare alle cose belle. Belle nel senso lato che c'è nella purezza, nell'idealismo, nella diversità. Nella competenza. Ecco, in questa rivista c'è l'approccio all'agricoltura che più mi piace, quello che fa rima con cultura, quello che lascia parlare i sentimenti più che i duecentosettansei descrittori organolettici di un vecchio Borgogna.  

venerdì 16 luglio 2010

Altai

Bello, bello, bello. L'ultimo libro del collettivo Wu Ming (quelli di Q, 54, Manituana).
I grandi bivi della Storia. Le scelte ed i sogni dei perdenti. Il nostro mondo che affiora in trasparenza dentro altri luoghi ed altri tempi. Libri, cultura, scienza e la loro influenza sulle civiltà umane. Ritmo, ritmo e ancora ritmo. Tutto ciò è Altai. Dal nome di una razza di falchi da caccia.

mercoledì 7 luglio 2010

Voglia di vini beverini e rock'n'roll

Finalmente l'estate. Ci voleva proprio. Lino sulla pelle e vini freschi nei bicchieri. Gli ultimi: André Vatan Sancerre Rosé 2008, Domaine Labet Jura Savagnin 2002, Ettore Sammarco Ravello costa d'Amalfi rosso 2004, Jean Foillard Morgon Cote du Py 2007. Ovviamente uso i termini "beverino" e "fresco" in senso molto allargato e positivo: si tratta infatti di vini eccellenti, accomunati da una impressionante facilità di beva e di abbinamento.
Estate: sete di vini freschi, magari di qualche buona birra. E rock'n'roll. Nel senso più antico del termine: festival, sudori mischiati, caldo, batterie feroci, danze e salti. Come ieri sera a Mestre al Parco San Giuliano per l'ultima sera dell'Heineken Jammin' Festival: Gomez, Gossip, Skunk Anansie, Ben Harper e Pearl Jam il menù della serata, assieme a sole feroce ed una spruzzata di pioggia per non farsi mancare nulla. Sui Pearl Jam non dico altro se non quello che sostengo oramai da molti anni: sono il Live Act Rock migliore in circolazione in questo momento. Fantastici anche ieri sera con un set veramente duro e compattissimo. Mi ha però veramente impressionato il concerto di Ben Harper con la nuova band. Meraviglioso. Con Heartbreaker di ledzeppelinana memoria e Red House ad omaggiare Hendrix. Minchia, ci voleva!
E poi...

venerdì 2 luglio 2010

Diamante pazzo

Ieri notte si tornava in auto da Ancona verso casa. A un certo punto dall'autoradio, sintonizzata su Virgin Radio, si diffondono le inconfondibili note della chitarra di David Gilmour.
C'era un locale nell'isola di Ios dove Massi, Paolo ed io iniziavamo la serata. Era gestito da un pazzo inglese capellone e rockettaro che apriva il suo locale verso le 22.30 ed attaccava la programmazione musicale tutte le sante sere con Shine on you crazy diamond ad un volume sconsiderato. E noi tutte le sere ce ne stavamo al bancone a spararci qualche ciupito di tequila, così tanto per iniziare la serata. Era il 1995, cazzo.
Allora ieri notte ho alzato l'autoradio a palla, ho pigiato sull'acceleratore e mi son goduto l'aria finalmente estiva che entrava dal finestrino.

mercoledì 23 giugno 2010

Gli dei della pioggia

Bene così. Anche quest'anno ci siamo riusciti. E nonostante la sfiga che ci perseguita inviandoci sempre tempo di merda, umido e freddo, non possiamo lamentarci. Gli dei della pioggia ci hanno disturbato non poco ma, in definitiva, non hanno voluto infierire. Appena riposti gli strumenti, domenica notte, si è scatenata una pioggia battente che il lunedì si è trasformata in nubifragio. Non solo. Sabato sera diluviava in Ancona e in diverse parti della provincia ma non su La Distesa.
Programma regolare, dunque.
Bellissima l'atmosfera venerdì durante la proiezione di La Faccia della terra di Firriolo e Capossela: il cinema all'aperto si conferma capace di emozionare e catturare l'attenzione.
Ottima partecipazione di pubblico al sabato con i concerti di Lucia Manca (straordinaria), Marco Fabi (ottimo concerto, tirato e convincente) e The Record's (che si confermano un band veramente tosta dal vivo).
Molto, molto carina la presentazione del libro Rockitchen nella tarda serata di domenica con tanto di degustazione di pasta di farro su crema di zucchine (abbinata a Verdicchio e Born to run: praticamente un'apoteosi). Mi spiace per la mancanza di pubblico ai concerti della domenica: faceva davvero molto freddo ed ha smesso di piovere solo alle sette di sera. Però chi mancava s'è perso due concerti davvero incredibili. Laua Loriga col suo Mimes of Wine mi ha davvero emozionato con le sue atmosfere sospese tra canzone d'autore, richiami classici e jazz, psichedelia vocale. E poi il grande Fabrizio Coppola ha sparato un concerto da paura di vero e puro rock'n'roll, mettendo a dura prova la resistenza del nuovo palco in legno.
Ora facciamo i conti e vediamo di quanto siamo in perdita. Ma va bene così.

mercoledì 16 giugno 2010

Partenza col botto

Musica Distesa 2010 è partita da Ancona sabato scorso. Partenza col botto, con un grandissimo concerto di Daniele Tenca e Band. Factory da pelle d'oca. Suoni splendidi. Blues e rock sudati, il cortile della Mole Vanvitelliana a far da cornice alle storie di Blues for the working class.
Lunedì abbiamo inaugurato la mostra fotografica di Francesco Orini a Jesi.
Si prosegue venerdì, per tutto il week-end, a La Distesa, con l'oramai solito meteo problematico. Ma sarà una festa comunque. Info: http://musicadistesa.weebly.com

mercoledì 2 giugno 2010

La stagione dei bianchi

Col primo caldo ho inaugurato la stagione dei bianchi con un ottimo Chardonnay. Sebbene sia più conosciuta per i Pinot, bianchi e neri, la cantina altoatesina Stroblhof produce anche un buon Chardonnay. L'annata 2007 è degna di nota per l'assoluto equilibrio, l'eleganza, la bevibilità. Un bel bianco senza grilli per la testa: calcareo, definito, dissetante. Mi ha ricordato certi Borgogna base (specie nel Maconnais) che si bevono a garganella. Un altoatesino che non concede nulla all'aromaticità ed al facile frutto e gioca tutto, invece, sulla finezza.

mercoledì 19 maggio 2010

Acqua da tutte le parti.

Piove, la gatta non si muove. Piove sulle tamerici salmastre ed arse. Piove, guarda come piove, guarda come viene giù. Insomma, piove che Dio la manda da giorni.
E' un pò l'incubo del vignaiolo bio: pioggia quotidiana e non riuscire a trattare il vigneto. E quando tratti, l'acqua si porta via tutto. Non resta che attendere e credere nel potere della biodinamica...
Who'll stop the rain cantava il grande John Fogerty, con l'eco vigoroso di Bruce e della E Street. Già. Chi fermerà la pioggia?

giovedì 13 maggio 2010

Elemento acqua

Mi accorgo di avere trascurato un pò questo spazio, ultimamente. Molti gli impegni che si sono accavallati. Imbottigliamenti, spedizioni, ripetuti tagli d'erba, sistemazioni d'agriturismo, sistemazioni di cantina, adempimenti burocratici, l'orto. Due figli sempre più attivi. E poi l'organizzazione della quarta edizione di Musica Distesa.
Le giornate sono dominate dall'elemento acqua. Organizzare i lavori di campagna diventa difficile. Sogno un paio di giorni solo per me, lontano. Leggero. Ho letto un libello interessante. Che fare? Trattatello di fantasia politica a uso degli europei di Daniel Cohn-Bendit, ore leader di Europe-Ecologie  e già leader dei Verdi tedeschi e del maggio francese. Una boccata d'aria nel marasma del dibattito nostrano.
Nel frattempo ho rilasciato interviste (qui ) e dichiarazioni spontanee (qui ).

domenica 2 maggio 2010

Lavoratori...

Appena passato il 1° Maggio. Ho letto cifre agghiaccianti. Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è al 27% (media, per cui è facile immaginarsi il dato del solo Sud). Le persone che stanno usufruendo di qualche forma di ammortizzatore sociale (tipo cassa integrazione) sono 4 milioni.
In un post di circa un anno fa (qui) ironizzavo su quanti dicevano che si era fuori dalla crisi. Dopo un anno i dati generali sono piuttosto negativi e la situazione di Grecia, Portogallo e Irlanda tutt'altro che tranquilla. I principali paesi industrializzati hanno livelli di debito pubblico elevatissimi, a cominciare da Stati Uniti ed Inghilterra. Livelli di debito che rendono complicate politiche forti di espansione della domanda aggregata.
Ma il problema più serio è che si continuano ad usare argomenti vecchi. Argomenti di una economia anni ottanta che è esattamente quella che ci ha portato dentro alla crisi. Non ci si accorge della fine di un mondo.  Non ci si accorge del mutamento drammatico delle mappe economiche e geo-politiche mondiali, del progressivo impoverimento della classe media e di tutto il mondo del "lavoro dipendente" così come del pericoloso vicolo cieco nel quale ci hanno portato la fede nella "crescita" ed il folle sfruttamento delle risorse naturali.
Non si esce vivi dagli anni ottanta diceva Manuel Agnelli. E non sapeva quanto avesse ragione.

lunedì 19 aprile 2010

Il vino naturale ed il dominio della tecno-scienza.




Pare che d'improvviso tutti si siano accorti dei Vini naturali. Tutti a scrivere di filosofia "vinoverista", di biodinamica, di marketing del bio, di vininaturali dentro Vinitaly, fuori, a metà strada.
Assisto con interesse e preoccupazione al dibattito. Noto, soprattutto, gli attacchi, i distinguo, le critiche, le insinuazioni.
Una larga parte di produttori “convenzionali”, di commentatori vari, di giornalisti, di bloggers, sostiene che l’aggettivo “naturale” sia fuorviante, sbagliato, eccessivo.
La critica più forte è fondata su tre questioni interconnesse:
1) Il vino "naturale" non esiste, perché l'uva naturalmente o marcisce o diventa aceto.
2) L'atto agricolo stesso è "innaturale", poiché atto umano.
3) In ogni caso il riferimento a processi che limitano l’utilizzo della chimica deve restare nell’ambito di ciò che è normato dallo Stato (disciplinari del biologico).
Mentre i produttori "naturali" faticano a trovare un terreno comune di discussione, i loro "avversari" già sono in grado di affermare che il vino naturale è una falsificazione.
Trovo questa impostazione del problema facile e poco interessante. Nega, infatti, all’origine l’esistenza stessa del concetto di vino naturale. In questo modo si è risolto il problema, no?
E' esattamente l'approccio occidentale nel momento del trionfo della tecno-scienza, per dirla con Heidegger. L'uomo sta su un piedistallo, nuovo dio, e la natura è fuori da sé. Perfettamente conoscibile, modellizzabile, manipolabile.

Ma è proprio così? O questa è proprio la deriva da evitare, proprio la strada verso l'abisso?
Qui non c'entra nulla l'ecologismo radicale. E', invece, una questione ontologica. E' una questione esistenziale. Se cioé l'uomo stia “nella” natura e non “contro” o “sopra” la natura. Se debba abitare il mondo o se, invece, lo debba piegare alle prorie necessità.
Quando nasce il movimento per l’agricoltura biologica la prima rottura, immediatamente, è sulla visione del mondo, sulla filosofia della scienza, su un nuovo umanesimo. Non certo su quali e quanti prodotti si possano o non si possano utilizzare.
L’uomo è - esiste - in quanto agisce "nella" natura, in quanto parte dell'essere tutto. In questo senso non è affatto un caso che la biodinamica sia filosoficamente fondata (per quanto poi si possa avere una opinione critica sulla filosofia steineriana).
E’ partendo da qui, dunque, che si può e si deve rispondere in modo critico e dialettico alle tre questioni sopra esposte.

Veniamo alla prima. Innanzitutto è falso che, pressata l'uva, il mosto diventi naturalmente aceto.
L'acetobacter necessita di etanaolo, cioé di alcool. Dunque ogni acetificazione segue sempre una fermentazione alcolica. La quale avviene per una dinamica microbiologica naturale, per l'appunto. A me, cioé, pare vero, esattamente l’opposto di quanto si sostiene: nella fermentazione alcolica spontanea è la natura, è l’energia, è la vita. Dove interviene l'uomo? Nella decisione iniziale di pressare l'uva per farne vino, certo. L’uva non si pressa “da sola”. E poi nella corretta gestione del liquido, finita la fermentazione alcolica. Esaurita la carbonica, l’ossigeno inizia la sua azione destabilizzante, e l’uomo ha sperimentato nel tempo una serie di tecniche per frenarne l’azione.
Torniamo, allora, al punto filosofico. La contrapposizione fra tecnica e natura era presente già nei greci. Ma solo con l’uomo moderno diviene netta, come frutto di una visione schematica e tecno-scientifica dell'uomo.
Perché l'uomo decide di pressare l'uva e vinificarne il succo? Perché parte del proprio tempo, parte della propria esistenza, sono per l’uomo legate al piacere. Le bevande fermentate entrano nella storia come aspetto dionisiaco che costituisce, fonda l'uomo. Lo definisce, lo caratterizza ontologicamente. Si potrebbe dire che per sua natura l'uomo, perlomeno dagli egizi in avanti, trae giovamento, godimento materiale e spirituale, dal vino. Per-sua-natura. Cioé come fatto naturale, legato alla propria specie.
Se, dunque, esiste la possibilità di produrre naturalmente vino, senza alcuna aggiunta (ed è possibile, è sempre accaduto e sempre accadrà, si pensi ai famosissimi vini di Lesbo o Chios nell'antichità), per trarne quel godimento che è naturale-per-la-specie, ciò che resta aperto è il secondo problema, quello dell'”atto umano", cioé della tecnica. Agricola, in primo luogo. E di conservazione del liquido, in secondo luogo.

Ora, in natura anche i castori adottano una tecnica per costruire le proprie dighe. Anche i leoni adottano una tecnica di caccia. Anche i formicai sono costruiti secondo una certa tecnica. Eppure a nessuno verrebbe da dire che sono "innaturali". Anche l'ostetricia, oramai, è fatta di tecniche e procedure. Eppure usiamo ancora correntemente il termine "parto naturale", per distinguerlo dal parto cesareo, frutto di una chirurgia molto più invasiva.
Dire che l'agricoltura è innaturale, poiché frutto di scelte umane, è un colossale fraintendimento. E' un fraintendimento che nasce proprio dal fatto di immaginare l'uomo separato dalla natura. Dal fatto che ci pare più importante la storia recentissima rispetto all'intero della storia evolutiva umana.
L'agricoltura è parte integrante dell'evoluzione dell'uomo ed, anzi, fatto costitutivo dell'ultimo anello evoluzionistico. Non siamo più cacciatori-raccoglitori ma diveniamo agricoltori. E nei secoli sviluppiamo tecniche agricole. Certamente tali tecniche prevedono l'atto, l’intervento, umano. Ma perché considerarlo innaturale? Perché considerare innaturale seminare, addomesticare varietà, bonificare i terreni? Esattamente come l'orso aspetta i salmoni sul bordo del fiume e, con una certa tecnica affinata in milioni di anni, pesca, così l'homo erectus a un dato punto della sua storia evolutiva coltiva i campi per nutrirsi.

E dunque? E dunque la rottura sta quando l'uomo si distacca dalla natura in seguito al progresso scientifico, al capitalismo, allo sviluppo, all'industria. Quando cioé tecnica e natura smettono di dialogare, di relazionarsi. Quando la Tecnica, dopo la grande rivoluzione scientifica, si pone in posizione dominante. Quando si rompe, cioé, l'equilibrio naturale attraverso la forzatura industriale (I rifiuti, ad esempio, nascono con l’industria: in natura non esistono rifiuti). Parliamo degli ultimi 300 anni di storia umana, a stare larghi.
Qui iniziano i problemi. Qui si perde a strada. Qui si dividono i sentieri. Questa non è assolutamente una posizione luddista o anti-progressista. E’ solo una breve ricostruzione per ricordare che la fondazione del “biologico” avviene come reazione alla rottura del rapporto fra uomo e natura. Per sottolineare che ciò che è innaturale non è l'agricoltura, ma l'agro-industria. Ciò che è innaturale non è il vino, ma il vino costruito in laboratorio. Se non eliminiamo questa linea di demarcazione netta, come troppi tendono a fare, allora tutto diventa possibile.

Si viene, così, all’ultima questione. Perché, cioé, non è più possibile riferirsi al solo termine biologico e perché si sta diffondendo il termine "naturale". Non è furbizia. E' che con l'avvento dei disciplinari e della certificazione, di fatto, sono venuti meno i fondamenti stessi sui quali era poggiato il movimento bio. L’industria ci ha defraudato del termine. I disciplinati biologici e, in parte, biodinamici, poggiano oggi sulla stessa mentalità industrialista per cui ciò che conta sono le molecole, le quantità, i prodotti. E non il rapporto uomo-natura. Basta leggere il prossimo disciplinare dei "vini biologici" per capirlo.
"Naturale" è termine ambiguo, sono il primo ad ammetterlo. Eppure con le conoscenze attuali e nelle annate giuste si può fare vino senza null'altro che non sia uva. Così come in campagna si può fare una viticoltura sana e produttiva col solo moderato uso di zolfo e rame. Per quanto riguarda il rame molti vignaioli riescono a rimanere sotto i 3 kg. di rame metallo all’ettaro all'anno (0,3 grammi al meto quadro). Quantità che non lascia residui nel terreno.

Trovo, quindi, che non sia l'uso di una tecnica umana a negare la naturalità, bensì l’innaturale dispiegarsi della Tecnica rispetto ad un mondo della natura in cui l’uomo da semplice attore diviene dapprima protagonista, poi regista, infine produttore. Da questo punto di vista il dominio della tecno-scienza altro non è se non l'altra faccia della medaglia di ciò che Nietszche aveva chiamato "Volontà di potenza". Il novecento, con la sua follia atomica e superomista, non ci ha insegnato nulla. Ed in questo senso, io credo, va collocato il problema degli OGM, delle clonazioni animali, ecc.
Da questa prospettiva mi pare che si possa e si debba parlare tranquillamente di "vino naturale" e, semmai, dividersi e discutere sulla qualità di quel vino. Buono o cattivo. Ossidato, ridotto, pulito, espressivo, complesso, acetico e chi più ne ha più ne metta.
In conclusione credo che, in realtà, la moda di cui tanto si parla consista più nell'attaccare il vino naturale che nel vino naturale stesso.
Quando passeggio per le nostre campagne in aprile e maggio tutta questa moda naturale non la vedo: vedo soprattutto grandi macchie arancione-Round-Up.
Chissà a chi dà tanto fastidio il fatto che il vino naturale possa esistere?

lunedì 12 aprile 2010

Futuro imperfetto

Vini Naturali d'Italia - Manuale del bere sanoDi ritorno da Cerea. Varie domande in testa. Sul vino, sull'agricoltura, sul giornalismo. Sulla maratona. Sul futuro. Innanzitutto: dove va il movimento dei vini naturali (veri, bio, ecc.)?
C'è chi parla di implosione , dopo averne stimolato ed illuminato il percorso. E chi ci si butta a capofitto , dopo averne snobbato molti protagonisti.
E c'è chi, invece, con molta buona volontà ed ottimi risultati cerca di tracciarne un profilo. E' il caso di Giovanni Bietti che ha presentato, proprio a Cerea, il suo manuale. Non una guida ma una "cassetta degli attrezzi" ad uso di consumatori ed appassionati, per fare un pò di chiarezza sulla spinosa questione.
L'importanza del volume è innanzitutto teorica. Il fatto che ora esista un manuale sui vini naturali (qualche volume in francese già c'era, per la verità) sgombera il campo dal primo grande equivoco, quello cavalcato da chi sostiene che "i vini naturali non esistono" (esisterebbe solo l'aceto). No, il vino naturale esiste. Ed è definito secondo alcuni criteri molto bene esposti.
In secondo luogo questo primo volume, dedicato al centro Italia, oltre a presentare alcuni dei protagonisti di questo mondo, è importante perché affronta di petto alcune questioni essenziali: gli additivi enologici, la questione della solforosa, l'aspetto centrale della digeribilità e bevibilità dei vini naturali.
Ma allora dove va il movimento dei vini naturali? C'è chi dice dentro a Vinitaly. Non so. La voce girava già lo scorso anno. Ne avevo anche scritto. Non sarei contrario a priori, a patto di riuscire prima a trovare un terreno comune, una identità condivisa, un percorso unitario (pur con tutte le legittime diversità di vedute).
A parte le divisioni in gruppi ed associazioni, si assiste ad una fastidiosa reclusione autoreferenziale dentro un recinto. C'è indubbiamente la corsa ad auto-proclamarsi "quelli bravi". C'è anche sicuramente qualche spinta un pò fighetta verso una dorata, e pericolosa, torre d'avorio. Non credo, però, che partecipare a Vinitaly sia "La" soluzione. Anzi. La sistemazione di quest'anno mi è parsa molto bella, funzionale, attraente. Ed anche con notevoli potenzialità di espansione, se questa fosse la volontà.
Quello che so è che i vini presenti a queste fiere sono sempre più buoni. Di VinoVinoVino2010 faccio solo alcuni nomi: il veracissimo Chianti Le trame 2007 di Giovanna Morganti; i vini finissimi di Cascina delle Rose, in particolare mi ha colpito il Barbaresco Tre Stelle 2007; lo stupendo Le vieux clos 2006 di Nicolas Joly, salino, dominato da sentori elegantissimi di frutti di mare; il bevibilissimo Morgon 2007 di Foillard; tutti i borgogna bianchi di Pierre Morey; tutti i vini di Beppe Rinaldi.
Il futuro non si sa. Non so se correrò un'altra maratona, ad esempio. Bene a Milano, tutto sommato. Considerando l'allenamento risicato, i tre giorni di fiera, il freddo al via ed il vento contrario per buona parte della gara. Ho chiuso in 3h54m51s cioé un minuto sotto il mio personale. La sensazione era, ed è, che avrei potuto fare decisamente meglio se non mi fosse venuto un dolore al ginocchio sinistro già intorno al 13 km. Ho cercato di gestire al meglio la corsa e il dolore. Ovviamente, però, l'azione e la postura ne hanno risentito. Poi, al 39°, si è spenta la luce ed arrivare è stato veramente molto difficile.
Lasciar perdere sapendo di potersi migliorare ancora è dura. Ma l'impegno di una corsa del genere è davvero davvero molto grande.

mercoledì 7 aprile 2010

Vini Veri

Ci vediamo da domani a sabato a Cerea (Verona) per la fiera Vini Veri. Per info: www.viniveri.net

venerdì 2 aprile 2010

Agriturismo nelle Marche? Sì grazie...

Se state progettando un week-end fuori porta o una vacanza estiva in una regione ancora poco conosciuta, ed ai margini del gran turismo di massa, la Regione Marche è ciò che far per voi. E se venite nelle Marche mi pare una scelta obbligata soggiornare a La Distesa.
Siamo infatti nel cuore delle Marche, a un'ora e mezzo d'auto sia da Urbino che da Ascoli, i due gioielli urbanistici della regione; a dieci minuti dalle Grotte di Frasassi, le più belle d'Italia e dal Parco della Gola della Rossa dove è possibile passeggiare ed arrampicare; e poi Gubbio e Assisi, le spiagge di Senigallia e Portonovo, le rocche ed i Castelli di Jesi, gli eremi e le abbazie sparse nel territorio; per non parlare del Verdicchio e dell'ottima offerta eno-gastronomica.


La struttura offre diverse soluzioni per il soggiorno: gli appartamenti Sant'Urbano, Sant'Elena e La Romita, ampi e confortevoli, completi di bagno e cucina ed in grado di accogliere 3/4 persone ciascuno; l'appartamento Esinante, dalla caratteristica architettura rurale marchigiana, in grado di ospitare 4/5 persone, suddiviso in due camere da letto, bagno, cucina e soggiorno con grande camino colonico.
Le strutture de La Distesa comprendono una sala comune per letture e svago completa di TV satellitare, una sala degustazioni dove consumare le colazioni e, nei fine settimana, merende, aperitivi o cene a base di prodotti del territorio. Una piscina privata, ad uso esclusivo dei clienti, completa l'ospitalità agrituristica de La Distesa.
Su richiesta organizziamo tour enologici e corsi sul Verdicchio e sul vino in generale. Che volete di più?
Sul sito www.ladistesa.it trovate prezzi ed altre informazioni. 

domenica 28 marzo 2010

Forze di luce

Dalla neve di inizio mese al sole meraviglioso di questi giorni. Amo marzo. Tutto sorge e tende al cielo. I verdi son verdi fosforescenti e la terra pare come gonfiarsi, soffice come un croissant.
Oggi, dentro alle forze di luce, ho fatto l'ultimo lunghissimo in preparazione della maratona di Milano. 3 ore e 12 minuti, oltre 30 chilometri in saliscendi. Ma credo che sarà la terza ed ultima maratona. Si fa veramente troppa fatica. (Fra parentesi: sono tornato sotto i 64 Kg).

sabato 20 marzo 2010

E' la primavera, baby

Finestra di bel tempo, finalmente. Una settimana di lavoro super intenso ci ha portato a terminare l'impianto del nuovo vigneto di Verdicchio. Nonostante l'inverno inclemente siamo in corsa "su tutti i fronti". Resta solo da legare la Spescia, poi si trinceranno i sarmenti e magari faremo una piccola ripuntatura a filari alterni. Poi imbottigliamenti, spedizioni, primi trattamenti, e via così verso la nuova stagione.
Bel confronto, recentemente, fra storie spumantistiche. Confronto apparentemente impari. Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1997 contro Champagne Blanc de Blanc del-piccolo-produttore-qualunque-di-annata-qualunque. Beh, lo Champagne aveva una marcia in più, mi spiace proprio dirlo. Buono il Ferrari, anzi grande. Eppure non ci ha proprio lasciato con le lacrime (tra l'altro aveva ancora una tostatura legnosa piuttosto invadente). Mentre la beva dello sciampagnino era commovente. E noi ci siamo commossi. Nel senso che i bicchieri erano rapidamente vuoti. Sale, mare, salivazione, freschezza, brillantezza, gioventù, primavera, gioia di vivere, che ti vien voglia di prender la macchina e sparare a tutto volume un bel disco in autoradio, e correre via dentro il tramonto cantando a squarciagola, pensando alla tua ragazza che t'aspetta.
Bringing down the horse, ad esempio, dei Wallflowers. E' un disco che per me rappresenta molto bene certi anni novanta. Non lo ascoltavo da molto tempo, ed oggi me lo sono goduto tutto di un fiato. Coi suoi suoni limpidi, con le chitarre scintillanti, con la voce profonda ed ispirata di Jacob Dylan, con l'alternarsi di ballate e cavalcate elettriche, di pop agile e rock più aggressivo. Col Giuli, il Tenca, Ueppe e Lino si suonava One Headlight ed era proprio un treno. Ci si divertiva, con volumi di suono spaventosi. Ricordo che Springsteen proprio su One Headlight si unì ai Wallflowers in un MTV Music Awards, doppiando meravigliosamente bene la voce di Jacob sui toni alti.
Gran bel disco. Gran bel periodo.

domenica 14 marzo 2010

I nuovi fenomeni

L'altro giorno chiacchieravo di vino col mio amico Guido Galli, enotecario in Senigallia. A un certo punto Guido se ne esce con la definizione "nuovi fenomeni", parlando dei nuovi sboroni del vino. E mi sono accorto che finalmente avevo trovato quello che cercavo: la definizione per i tanti personaggi che ultimamente affollano i banchi degustazioni delle fiere e i tanti spazi virtuali di discussione (blog, forum, social network, ecc.). Perché i fenomeni son sempre esistiti, ma ora siamo alla evoluzione della specie. Dai basici "Fa legno?" o "Questo vino ha fatto la malolattica" o "No, rosso no, sto facendo il giro dei bianchi" siamo passati a ben altre argomentazioni, a ben altre sovrastrutture.
I nuovi fenomeni riconoscono il tipo di rovere. I nuovi fenomeni sanno perfettamente quale ceppo di lievito ha svolto gli zuccheri. I nuovi fenomeni sanno precisamente quanti giorni ha macerato sulle bucce il vino. I nuovi fenomeni, in virtù dei molteplici corsi e seminari che hanno frequentato e delle decine di manifestazioni dove bazzicano ogni anno, riconoscono centinaia di sentori ed aromi, incensano i vini estremi ma odiano l'acidità volatile, cercano in continuazione le nuove "chicche" enologiche ma poi si gasano coi vini blasonati, maneggiano i concetti della biodinamica e ricordano benissimo l'andamento stagionale in Borgogna, Cote de Nuits, nel 1997.
Inutile dire che per noi produttori avere a che fare coi nuovi fenomeni è un piacevole inferno. Si impara sempre qualcosa. Arriverà il tempo in cui riceveremo regolari fatture per le consulenze prestate. D'altronde è ciò che fa il capostipite dei nuovi fenomeni, no?

 

martedì 9 marzo 2010

Brutta aria

Nevica ancora in questo inverno duro che non vuole più finire. E nel frattempo scopro che esistono i "decreti interpretativi". Non ne ricordavo proprio l'esistenza. E' ben vero che ne è passato di tempo da quando studiai diritto pubblico. Eppure qualcosa non mi torna.
Lo scorso anno nel Comune di Staffolo, che sta vicino a Cupra, i cittadini votarono per un unico candidato Sindaco in quanto il centro-destra fece casino con la presentazione della lista (ma va?!). Nessuno si sognò di decretare alcunché. Il Comune di Staffolo ha circa 3000 abitanti ma, evidentemente, il loro "diritto al voto" vale molto meno di quello di altri.
Tira una brutta aria, lo dico da tempo. Il fatto è che a me piace il vino, l'olio di ricino non tanto.

venerdì 5 marzo 2010

Sorgente del vino

Da domani a lunedì sarò ad Agazzano, in Provincia di Piacenza, per la fiera Sorgente del vino Live nella bella rocca Anguissola Scotti - Gonzaga. Ci saranno 100 vignaioli con i loro vini e loro storie.

mercoledì 3 marzo 2010

Anniversari

Esattamente dieci anni fa, il 3 marzo del 2000, uscivo per l'ultima volta dalla agenzia di Piazza De Angeli dell'importante banca tedesca dove lavoravo. Poi, il giorno dopo, un sabato, si sarebbe fatta una grande festa a casa del Bianco, fino a tarda notte, fino ad esaurimento, con tutti gli amici di quegli anni.
Avevo ventisette anni e, in modo fortunatamente del tutto diverso, seguivo le orme di Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain, seppellendo la mia vecchia vita.
Nessuno può sapere come sarebbe andata se da quella banca non me ne fossi mai andato o se l'avessi fatto in modo diverso. Magari oggi sarei un colletto bianco di successo, pelaticcio, con qualche chilo in più ed un pò sfigato. Oppure un ricco dirigente a Francoforte, single e sciupafemmine, affezionato al boccale di birra. Oppure uno di quegli analisti economici, licenziati, che portavano via le proprie cose in grosse scatole durante i giorni più duri della crisi finanziaria. Chissà.
Quello che so è che oggi, mentre piantavo pali e barbatelle nel nuovo vigneto, ero contento. Così a casa, dopo aver ballato come un matto con Giacomo e Giulia sulle note di The River, disco che quest'anno compie trent'anni, ho aperto una bottiglia di Franciacorta Il contestatore Pas Dosé dell'azienda Il pendio di Monticelli Brusati. Elegantissimo, austero, marino. Spumante che passata la bolla si fa vino vero, dominato da sentori finissimi di pietra focaia, iodio, delicate erbe aromatiche, e dalla lunghissima persistenza gustativa di lievito e crosta di pane. Una bella scoperta fatta quest'anno a Vini di Vignaioli di Fornovo. Un vino che certamente mi fa vedere il Franciacorta sotto una luce differente.

martedì 23 febbraio 2010

Dave Matthews Band

Veloce apparizione a Milano per assistere con Massi al concerto della Dave Matthews Band al Palasharp di Milano. Ascoltavo la band soprattutto negli anni novanta sulla scia del successo delle jam band dell'epoca, a cominciare dai Phish. Poi li ho un pò persi per strada, ma sempre con la curiosità di vederli dal vivo. L'anno scorso a Lucca pare fecero un concerto memorabile.
Ieri è stata una bella serata. Un ottimo concerto, in grado di ben rappresentare il lavoro della band in più di quindici anni di carriera. Preceduti dagli Alberta Cross, ottima band al primo disco (mix di southern rock americano e rockblues inglese), i DMB sono partiti piano per poi crescere e riscaldarsi progressivamente durante il concerto. Fino ad un livello decisamente bollente. Merito innanzitutto della ritmica, fondata su un batterista di caratura davvero eccezionale e su di un basso sempre presente, netto, aggressivo. Ma è l'intera band a garantire un sound unico ed irripetibile, a cominciare dalla splendida voce del leader, col violino elettrico a segnare i riff più importanti, la sezione fiati a creare arrangiamenti puntuali ed assoli straordinari, la chitarra elettrica a tessere la tela egregiamente.
Il risultato è un genere indefinibile che si muove fra il jazz, il funky (citazione di Prince), il rock più sperimentale (cover dei Talkin' Heads), il crossover. Musicisti affiatatissimi che suonano in modo tirato ed ispirato, restando sempre in bilico fra scrittura ed improvvisazione, fra canzone popolare e musica alta. Assolutamente da vedere/sentire.

giovedì 18 febbraio 2010

Con le mani pulite

Diciotto anni fa partiva l'inchiesta "mani pulite". Avevo vent'anni e già avevo fatto un pò di politica al liceo, seppure come sempre da bastian contrario ed indipendente. Quel periodo, il primo di mani pulite, fu centrale per la mia formazione e per quella di una generazione che non poteva avere più gli stessi riferimenti di quella immediatamente precedente, non fosse altro perché era caduto il muro di Berlino. I Borrelli, i Davigo, i Di Pietro a Milano, così come i Falcone ed i Borsellino a Palermo, divennero allora delle importanti figure cui aggrapparsi in un periodo di crisi dei partiti, dell'intero sistema della Prima Repubblica e di un'economia in forte recessione per la prima volta dopo i gloriosi anni ottanta.
Ricordo alcune giornate passate fuori dal palazzo di giustizia a manifestare. Compagni di viaggio tra i più diversi: missini, leghisti della prima ora, vetero comunisti, tutti insieme a certificare il crollo di un sistema diffuso e sopportato fin tanto che l'economia poteva reggere la "tassa implicita" che era prevista secondo gli usi del tempo.
Poi, crollato in modo nemmeno molto elegante il Palazzo, vennero le stragi di mafia, venne l'epoca del tutti contro tutti e del fuggi fuggi generale, l'inchiesta "mani pulite" subì una ovvia involuzione, ci fu l'avvento di Berlusconi, alla famigerata "soluzione politica" si mise, volontariamente, una bella pietra sopra. E tutto ricominciò lentamente come prima. Diversi gli attori. Medesima l'attitudine degli imprenditori e della politica a colludere a danno dei cittadini.
Dopo quasi vent'anni, e nel pieno di una nuova recessione, evidentemente il peso della "tassa" chiamata tangente si fa nuovamente sentire se è vero, come è vero, che ricominciano le denunce da parte degli imprenditori. A Milano così come altrove amministratori pubblici vengono beccati in flagranza di reato come se nulla fosse cambiato rispetto a vent'anni fa.
L'inchiesta di Firenze, quella sul sistema della Protezione civile, mostra il lato più orrendo e decadente di questo nostro paese senza futuro. Fatto di donne oggetto prestate agli uomini in cambio di favori, di appalti pilotati, di cricche politico-affaristiche in grado di fare il bello ed il cattivo tempo su ogni "grande evento", di una informazione sempre più al servizio del potere. Il quotidiano voltastomaco di un cittadino normale che lavora con le mani pulite, sporcate nel mio caso dalla terra e dai tannini del vino, si trasforma in cinismo, in nichilismo di fronte alla impossibilità di qualsiasi riforma, di qualunque cambiamento. Il quadro che emerge è quello della solita italietta dei furbi. L'Italia del favore, della clientela, della raccomandazione. Dove ciò che soccombe sono il mercato, il merito e la fiducia dei cittadini onesti in un futuro migliore. Nel frattempo gli stipendi arrancano, i disoccupati aumentano, il debito pubblico sale e dal vocabolario della sinistra è sparita una parola che per tanto tempo ha dato un senso all'agire politico: rivoluzione.

lunedì 15 febbraio 2010

Istinti

Ancora neve e freddo. Ieri ho corso due ore e dieci minuti, in preparazione della maratona di Milano. Sono arrivato fino alla gola della Rossa e poi oltre. Guardavo le pareti di calcare, a picco sull'Esino, e ripensavo a tutte le giornate passate a scalare pareti, alle sveglie all'alba, ai viaggi in cerca di pietra ed emozioni, alle attese su scomode soste, alle infinite ripetizioni di passaggi duri.
Correvo e pensavo che la vita è proprio strana. Che da quando abito a dieci minuti scarsi da ottime falesie ho smesso di arrampicare... In realtà ho smesso parecchie altre cose, ma ho come l'impressione che l'appuntamento con l'arrampicata, così come lo è stato per la corsa, sia solo rimandato. Correre e arrampicare: istinti primitivi cui è difficile resistere, basta guardare un bambino per rendersene conto. Istinti che divengono forme, movimenti, posture. Attimi in cui si è davvero soli con se stessi, in cui è possibile estraniarsi da tutto, in cui la solitudine è anche libertà, di azione e pensiero.

sabato 6 febbraio 2010

Lavori ed invecchiamenti

Duro lavoro negli ultimi giorni. Fra scavare buche per rimpiazzare viti nelle vigne vecchie, squadrare per bene, manco fossimo geometri esperti, mezzo ettaro di vigna nuova e piantare pali da mattina a sera, Giovanni ed io abbiamo riempito le prime giornate davvero belle ed asciutte dall'inizio dell'anno. Sono i giorni in cui lavorare in campagna è una vera soddisfazione e non si finirebbe mai di camminare i vigneti.
Martedì 9 febbraio, invece, sarò ancora in giro. Si torna al Ristorante La Tana degli orsi di Pratovecchio (AR) dei bravi Caterina e Simone, in pieno casentino, per una mangiata/degustazione tutta dedicata ai vini La Distesa. Si comincerà col Terre Silvate 2008 per poi fare un salto all'indietro nel tempo. Sarò anch'io curioso di vedere come saranno invecchiati, se meglio o peggio del sottoscritto, Gli Eremi 2002, Gli Eremi 2000 e uno dei primi Verdicchio targati La Distesa, ovvero il San Michele 1998. La serata è solo su prenotazione, questi i riferimenti:  
Ristorante Cantineria “La Tana degli Orsi”
Via Roma 1, Pratovecchio AR.
Tel. e Fax 0575 583377
Cell. 329.8981473 - 329.5829483
E.mail tana.orsi@aruba.it

giovedì 28 gennaio 2010

Giornate invernali

Stamattina -4° ed una gran gelata che ha irrigidito la poca neve scesa l'altro ieri. Freddo secco, come piace a me, tagliente. Tutto fermo in vigna. Poco male, siamo già a metà delle potature. Ne approfitto per qualche consegna, per sistemare la solita mole di burocrazia, per qualche manutenzione in cantina.
Prima che arrivassero i bimbi Valeria ed io passavamo queste giornate invernali chiusi in casa, ben coperti, che all'inizio i soldi non c'erano ed il riscaldamento era spesso spento, a leggere libri, bere camomilla bollente e dormire più del solito. Ora ci resta quel poco tempo fra la nanna dei bimbi e la nostra, unico momento di tranquillità in una casa altrimenti sospesa nel caos. E' allora che ne approfitto per leggere, più voracemente del solito. Gli articoli più interessanti di Internazionale, oppure gli amati libri.
La montagna ed io di Alexander Huber è un fantastico libro sull'arrampicata, sull'amore perverso e folle per uno sport che ho praticato e che vorrei ritrovare prima o poi lungo il mio cammino. Scritto dal più forte arrampicatore di questi tempi, ti inchioda, ti porta in luoghi strani e mitici, ti fa tremare e rabbrividire, ti fa anche un pò sognare.
Comunisti immaginari di Francesco Cundari è un irriverente e sarcastico racconto, molto ben documentato, della storia dei comunisti italiani, da Gramsci fino al PD. Lungo un percorso segnato da frasi e parole chiave, si ripercorre la storia dei compagni che venivano da lontano e volevano andare lontano. Solo che si sono persi e non sanno bene il perché.
Il mercante di utopie di Anna Sartorio è la biografia di Oscar Farinetti, l'ex proprietario dell'impero Uni-Euro, poi inventore di Eataly ed ora proprietario di diverse prestigiose aziende vinicole. Una storia bella, un libro molto ben scritto, lo spaccato di un'Italia che non c'è più. Un unico appunto: non riesco a scorgere l'utopia nella vicenda di un imprenditore di successo, anche se di sinistra. Ma questo credo sia un mio problema.
In viaggio contromano di Michael Zadoorian è un bel romanzo, triste, ma tremendamente originale e intenso. Un bel giorno due anziani coniugi, malati entrambi, decidono di lasciare la loro casa middle class fuori Detroit e lasciarsi tutto alle spalle: medici, figli troppo preoccupati, agi borghesi. Salgono sul loro vecchio camper e si immettono sulla route 66 per un viaggio lungo le strade d'america e fra i ricordi di una vita intera.