E' di questi giorni la notizia, data per primo da Franco Ziliani (leggi qui), e poi rimbalzata su blog e siti italiani e stranieri, di una importante inchiesta della Procura di Siena riguardante alcuni produttori di Brunello di Montalcino. Pare che questi produttori abbiano utilizzato uve differenti dal Sangiovese, che per il disciplinare è l'unica uva ammessa. Ancora è da capire se questi Brunello venissero tagliati con vini del Sud, in particolare pugliesi, o se venissero impiegati vitigni differenti dal Sangiovese ma piantati a Montalcino. In ogni caso trattasi di frode in commercio. Frode grave, vista l'importanza della Denominazione in questione, forse la più blasonata all'estero.
Questa notizia mi porta a ricordare una battaglia condotta insieme all'amico Alessandro Starrabba della Cantina Malacari contro i decreti ministeriali che fin dal 2001 hanno delegato ai Consorzi di Tutela i poteri di controllo sulle denominazioni di origine. Estendendo tali poteri "erga omnes", ovvero sia nei confronti degli associati al Consorzio sia dei non associati. (Ricordo che per effettuare tali controlli viene anche richiesta la consueta italiana gabella che, ovviamente, non è sostitutiva di quanto già dovuto alle Camere di Commercio per i prelievi destinati alle commissioni di degustazione, bensì aggiuntiva).
Questa notizia mi porta a ricordare una battaglia condotta insieme all'amico Alessandro Starrabba della Cantina Malacari contro i decreti ministeriali che fin dal 2001 hanno delegato ai Consorzi di Tutela i poteri di controllo sulle denominazioni di origine. Estendendo tali poteri "erga omnes", ovvero sia nei confronti degli associati al Consorzio sia dei non associati. (Ricordo che per effettuare tali controlli viene anche richiesta la consueta italiana gabella che, ovviamente, non è sostitutiva di quanto già dovuto alle Camere di Commercio per i prelievi destinati alle commissioni di degustazione, bensì aggiuntiva).
Con Alessandro ed altri produttori marchigiani denunciammo al TAR del Lazio quello che a noi sembrava e tuttora sembra un sistema assurdo, ovviamente perdendo la causa perché questo è un paese civile e liberale... Quanto accade a Montalcino in questi giorni, e che potrebbe accadere ovunque e per qualunque denominazione (si pensi alla analoga questione che riguarda la Frascobaldi ), dimostra invece che avevamo ragione.
Le denominazioni di origine sono un bene comune. Esse sono infatti l'insieme di un territorio, dei vitigni autorizzati ad essere coltivati sul quel territorio per produrre il vino a denominazione e di regole che i produttori si sono date in base alla tradizione. Affidare il controllo a un ente privato, quale un Consorzio di tutela, altro non significa se non privatizzare un bene collettivo. Questa dinamica è rafforzata dal fatto che nei Consorzi i voti non sono tutti uguali: il grande produttore pesa di più, poiché i voti vanno di pari passo con gli ettari rivendicati a DOC. Cioé si mette in mano la denominazione di origine ai grandi industriali.
Vi chiederete: tutto qui? No, perché molto spesso i Consorzi nominano Presidenti o Direttori enologi legati alle grosse aziende che fanno consulenze per molte delle aziende associate. Dunque affidare il Controllo sulla denominazione di origine a queste persone significa sostanzialmente far coincidere il controllore con il controllato, venendo meno ogni ipotesi di terzietà che è basilare in ogni certificazione (chi fa il biologico ne sa qualcosa...). Tutto qui? No. Perché in nome della "tracciabilità" spesso si propongono sistemi informatici per le cantine che, guarda caso, sono prodotti da aziende vicine ai consorzi stessi. Ma non voglio farla lunga.
Il risultato di questo sistema è che i grandi industriali del vino (coloro che hanno interesse a barare) controllano i piccoli vignaioli (coloro che lavorano con serietà e rispetto dell'origine); che spesso il potere di controllo si trasforma, non si sa bene perché, in potere coercitivo: moltissimi produttori hanno paura di contestare questo sistema perché temono che poi i loro vini abbiano problemi nell'ottenere le autorizzazioni all'imbottigliamento; che i consumatori non hanno sufficienti garanzie sul fatto che ciò che bevono corrisponda a quanto stampato in etichetta.
Stupirsi di fronte a quanto sta accadendo a Montalcino è da ingenui. Ciò che si dovrebbe fare non è tanto scandalizzarsi quanto muoversi per riuscire a costruire un movimento che veda uniti i produttori onesti, i consumatori, i giornalisti seri e indipendenti. Un movimento che si ponga l'obiettivo di ridare alla collettività le denominazioni di origine, di riformare questo sistema sbagliato che trova consensi bi-partisan (da Pecoraro ad Alemanno a De Castro, per intenderci), di costruire un nuovo impianto al contempo meno burocratico (autocertificazione dell'origine) e più certo (controlli severissimi sul prodotto imbottigliato). Magari ripartendo dalle intuizioni veronelliane sulle Denominazioni Comunali.