Alla fine l'onda anomala è arrivata. L'Italia, paese abituato per cinquant'anni a flebili movimenti nelle dinamiche elettorali e poi per un ventennio ad una sterile contrapposizione fra due poli, si trova
spazzata da una tempesta. E no, non è Mario Monti.
Seguivo con angoscia crescente ciò che si muoveva nel paese e ne ho scritto anche in questo blog. Per chi volesse ripassare:
http://ladistesa.blogspot.it/2011/12/la-sinistra-non-ce-piu.html
http://ladistesa.blogspot.it/2011/12/il-default-morale.html
http://ladistesa.blogspot.it/2012/12/cade-il-velo.html
Il sugo del discorso è chiaro: la sinistra riformista sceglie il neoliberismo e le politiche di austerità ne prosciugano totalmente il consenso, ne sconvolgono l'identità, ne minano la credibilità. E' una dinamica in atto da decenni ma che è stata accelerata dal devastante governo tecnico di Mario Monti e dal
clamoroso errore di Napolitano di non andare ad elezioni un anno fa, certificando con questa mossa la totale subalternità al "ce lo chiede l'Europa, ce lo chiedono i mercati".
Ma il punto non è più questo.
Il punto è che le elezioni comunicano nella loro crudezza il fallimento completo della mia generazione politica. Quella, per intendersi, che ha cominciato a far politica dopo l'89, che ha vissuto la stagione di tangentopoli e l'affermarsi della prima Lega, che ha creduto nelle prime liste civiche, che ha intravisto un orizzonte nel movimento altermondialista di Seattle e di Genova, che ha rimesso al centro del dibattito il tema dei beni comuni e che ha percepito, in qualche modo riprendendo e rinnovando i temi dell'autonomia anni settanta, la crisi della rappresentanza, il grande bluff del capitalismo del terzo millennio, il capolinea di un intero modello di sviluppo.
Ora, la domanda è: dove siamo noi? Che fine abbiamo fatto, proprio nel momento della massima possibilità di affermazione delle nostre idee su crisi e precariato, su decrescita e nuova economia, su centralità di beni comuni e partecipazione?
Molti di noi non hanno votato. Alcuni hanno votato il giustizialismo politichese di Ingroia. Qualcuno ha votato l'inutile buona fede di Vendola.
La stragrande maggioranza ha votato un movimento antropologicamente di destra come quello di Beppe Grillo.
Ecco dove siamo finiti. In un disastro della politica, totalmente risucchiati dal buco nero della crisi morale, sociale, economica italiana. Senza voce in capitolo. Esclusi.
Relegati ad un precariato della rappresentanza, prima ancora che del lavoro.
Siamo ad una svolta decisiva per il nostro paese. O si fa la terza repubblica o si muore, verrebbe da dire. Ma il problema è che gli attori di questo psicodramma sono il solito nano miliardario, sempre meno rilevante, un partito che non ci ha capito un cazzo di cosa sta succedendo, ed un comico che ha fatto
un capolavoro di tattica politica ma che non si sa bene cosa voglia davvero fare.
Non è possibile capire il successo dei "5 stelle" senza parlare della crisi dei movimenti anti-capitalisti in questo paese. Su questa linea è utile citare Wu Ming:
...il grillismo ha occupato con un discorso diversivo (contro la «Kasta» invece che contro le politiche liberiste, contro la disonestà degli amministratori anziché contro le basi strutturali di un sistema che mostra la corda in tutto l’occidente, per l’efficientismo «meritocratico» etc.) lo spazio che in altri paesi europei è occupato da movimenti nitidamente anti-austerity, quando non esplicitamente anticapitalistici...
...Non solo: la «cattura» grillina ha retroagito su una condizione di debolezza, marginalità e riflusso del movimento altermondialista (quello frettolosamente etichettato «no global»), che a partire dal 2002-2003 aveva subito tutti i possibili contraccolpi e «aftershock» della batosta genovese. Il M5S, appropriandosi di parte dei discorsi altermondialisti e proponendoli in un’altra chiave, ha dato il colpo di grazia a quell’ambito già sfiancato e deperito...
Di fatto Grillo, già a partire dal primo V-day (2007), fa quello che per molte, troppe ragioni, non hanno fatto - ma avrebbero potuto fare - altri movimenti: auto-organizzare una nuova proposta politica dal basso, saltando e, anzi, devastando, la forma-partito, residuo ideologico di un tempo totalmente differente (ciò che
Alba e
Cambiare si può hanno provato a fare è nato con un gigantesco ritardo e si è vista come è andata la vicenda Ingroia).
Proprio nel 2007, guarda caso, nasce il Partito Democratico, cioè uno dei problemi più seri nell'attuale panorama politico italiano. Un partito nato esattamente per fare l'opposto di ciò che servirebbe: la pace sociale fra ex-culture politiche, fra classi sociali, fra ricchi e poveri, fra capitale e lavoro, attraverso la prospettiva di un riformismo che si muove totalmente dentro alla prospettiva capitalistica... Fuori persino dal socialismo più tradizionale che, almeno, in altri paesi due cose semplici semplici contro l'austerità ed il neoliberismo è riuscito ancora a dirle.
Il problema esplode però ora. Perché se è vero che Grillo ha costruito gran parte del suo consenso (e dei suoi militanti) su temi cari ai movimenti di sinistra (democrazia diretta, reddito di cittadinanza, green economy, ecc.), è anche vero che la sua esplosione si è verificata cavalcando il claim populista "né di destra, né di sinistra" e inserendo nella propria proposta accenti evidentemente fascistoidi come quelli relativi al sindacalismo, agli immigrati, al lavoro.
Ora si naviga a vista.
Il disastro potrebbe anche essere costituente. Ma dovrebbe essere chiaro, ai protagonisti di questa stagione, che una volta sparita la Casta, una volta mandati tutti a casa,
il capitalismo sarà ancora lì al suo posto, a creare debito, disoccupazione, insostenibilità ambientale, gigantesche e incontrollate ricchezze finanziarie. Perché alla fine la Casta siamo anche noi, con i nostri modelli di consumo, le nostre contraddizioni, le nostre debolezze, le nostre aspettative. E questo, ai ventenni che oggi votano Grillo, bisognerebbe spiegarglielo bene.