Non ho scritto granché finora sul referendum costituzionale
del 4 dicembre.
Volutamente.
Mi pare evidente che si sia raggiunto uno dei punti più
bassi nella storia del dibattito politico pubblico in Italia. Gli schieramenti
in campo hanno dato sfogo a tutto l’armamentario retorico della politica 2.0; la comunicazione interna e internazionale ci ha messo del suo a confondere e
incasinare ulteriormente le cose; e si è pure ottenuto il risultato non
trascurabile di riesumare salme della prima e della seconda repubblica che si
credevano sepolte per sempre (i nomi li tralascio, tanto li sapete).
Oggi mi sembrava giusto, però, a pochi giorni dal voto,
esprimermi pubblicamente, sia per il ruolo di piccolo amministratore pubblico
ricoperto per 5 anni, sia per continuare la tradizione che mi ha visto
commentare in modo netto gli accadimenti della società, dell’economia e della
politica degli ultimi anni.
Io voterò no e invito tutti a farlo in modo convinto,
sebbene moltissimi fattori remino contro: non tanto al “no” in sé, quanto alla
voglia di votare e/o di farlo convintamente. Me ne rendo conto.
Eppure.
Eppure questa “riforma” va respinta con forza. Non per
lanciare un messaggio contro Renzi o contro “i poteri forti” o a favore della
Costituzione nata dalla Resistenza (che già non è più tale da un po’ o meglio non è
mai stata).
Il mio “no” è un no tutto politico, ma molto diverso da
quello di una sinistra-non-sinistra (D’Alema e Bersani) che fino a ieri ha
fatto di peggio (cioè votare la riforma costituzionale di Monti) o di una
destra-non-destra (Berlusconi) che in Parlamento ha votato quasi fino alla fine
la riforma di Renzi, in virtù del patto del Nazareno, salvo poi - come sempre - sfilarsi all’ultimo metro.
Mi si dirà che allora è un “no” salviniano e grillino.
Populista.
Ed io allora incasso e faccio spallucce, ridendo. Perché mi
pare del tutto evidente che sia la lega-lepenista che i grillini-no-a-tutto
hanno trovato nel referendum semplicemente l’occasione d’oro di travolgere
Renzi e di sfruttare l’onda brexit/trump. A loro, in fondo in fondo, della
Costituzione frega poco nulla.
E allora?
E allora credo che il “no” debba molto semplicemente essere come
era stato l’oxi in Grecia: un sussulto di indignazione, un segnale popolare
contro la deriva tecnocratica degli ultimi anni, un “no” della cittadinanza
alla oligarchia europea. Con buona pace di Scalfari.
Come ho già avuto modo di ricordare, questo referendum non è
il referendum di Renzi ma quello di Napolitano. L’ex Presidente della
Repubblica ha nominato prima Letta e poi Renzi a patto di realizzare ciò che
era contenuto nella lettera della Commissione Europea dell’estate 2011. Quella che scatenò la
speculazione “telefonata” contro il governo Berlusconi (Monti già allertato da
tempo col beneplacito del PD di Bersani che ora fanno “quelli di sinistra”). Da quel “vulnus” nasce il pantano politico degli ultimi anni
in cui sia Renzi che Grillo che Salvini hanno sguazzato allegramente, unica
vittima una vera sinistra anti-sistema (scomparsa).
E dunque prima il Fiscal Compact (pareggio di bilancio,
riforma costituzionale votata da tutti, Lega compresa – governo Monti), poi la
riforma del lavoro (Jobs act, votata da larga parte del PD, compresi molti
dissidenti odierni – governo Renzi), infine la riforma costituzionale destinata
alla “governabilità”. Tutte riforme fortemente ideologiche e fortemente volute
dal Capitale.
Ecco perché come dice Ida Dominijanni in questo pezzo di rara lucidità http://www.internazionale.it/opinione/ida-dominijanni/2016/11/29/referendum-costituzionale-si-no “il sì chiude un ciclo, mentre è solo il no,
con tutti i suoi imprevisti, che può aprirne uno nuovo”.
Mi piacerebbe che i molti – nei movimenti – che sono propensi a non
votare cogliessero questo passaggio cruciale.