martedì 29 novembre 2016

Io voto No!

Non ho scritto granché finora sul referendum costituzionale del 4 dicembre.
Volutamente.
Mi pare evidente che si sia raggiunto uno dei punti più bassi nella storia del dibattito politico pubblico in Italia. Gli schieramenti in campo hanno dato sfogo a tutto l’armamentario retorico della politica 2.0; la comunicazione interna e internazionale ci ha messo del suo a confondere e incasinare ulteriormente le cose; e si è pure ottenuto il risultato non trascurabile di riesumare salme della prima e della seconda repubblica che si credevano sepolte per sempre (i nomi li tralascio, tanto li sapete).

Oggi mi sembrava giusto, però, a pochi giorni dal voto, esprimermi pubblicamente, sia per il ruolo di piccolo amministratore pubblico ricoperto per 5 anni, sia per continuare la tradizione che mi ha visto commentare in modo netto gli accadimenti della società, dell’economia e della politica degli ultimi anni.
Io voterò no e invito tutti a farlo in modo convinto, sebbene moltissimi fattori remino contro: non tanto al “no” in sé, quanto alla voglia di votare e/o di farlo convintamente. Me ne rendo conto.
Eppure.

Eppure questa “riforma” va respinta con forza. Non per lanciare un messaggio contro Renzi o contro “i poteri forti” o a favore della Costituzione nata dalla Resistenza (che già non è più tale da un po’ o meglio non è mai stata).
Il mio “no” è un no tutto politico, ma molto diverso da quello di una sinistra-non-sinistra (D’Alema e Bersani) che fino a ieri ha fatto di peggio (cioè votare la riforma costituzionale di Monti) o di una destra-non-destra (Berlusconi) che in Parlamento ha votato quasi fino alla fine la riforma di Renzi, in virtù del patto del Nazareno, salvo poi - come sempre - sfilarsi all’ultimo metro.
Mi si dirà che allora è un “no” salviniano e grillino. Populista.
Ed io allora incasso e faccio spallucce, ridendo. Perché mi pare del tutto evidente che sia la lega-lepenista che i grillini-no-a-tutto hanno trovato nel referendum semplicemente l’occasione d’oro di travolgere Renzi e di sfruttare l’onda brexit/trump. A loro, in fondo in fondo, della Costituzione frega poco nulla.

E allora?
E allora credo che il “no” debba molto semplicemente essere come era stato l’oxi in Grecia: un sussulto di indignazione, un segnale popolare contro la deriva tecnocratica degli ultimi anni, un “no” della cittadinanza alla oligarchia europea. Con buona pace di Scalfari.
Come ho già avuto modo di ricordare, questo referendum non è il referendum di Renzi ma quello di Napolitano. L’ex Presidente della Repubblica ha nominato prima Letta e poi Renzi a patto di realizzare ciò che era contenuto nella lettera della Commissione Europea dell’estate 2011. Quella che scatenò la speculazione “telefonata” contro il governo Berlusconi  (Monti già allertato da tempo col beneplacito del PD di Bersani che ora fanno “quelli di sinistra”). Da quel “vulnus” nasce il pantano politico degli ultimi anni in cui sia Renzi che Grillo che Salvini hanno sguazzato allegramente, unica vittima una vera sinistra anti-sistema (scomparsa).
E dunque prima il Fiscal Compact (pareggio di bilancio, riforma costituzionale votata da tutti, Lega compresa – governo Monti), poi la riforma del lavoro (Jobs act, votata da larga parte del PD, compresi molti dissidenti odierni – governo Renzi), infine la riforma costituzionale destinata alla “governabilità”. Tutte riforme fortemente ideologiche e fortemente volute dal Capitale.

Ecco perché come dice Ida Dominijanni in questo pezzo di rara lucidità http://www.internazionale.it/opinione/ida-dominijanni/2016/11/29/referendum-costituzionale-si-no “il sì chiude un ciclo, mentre è solo il no, con tutti i suoi imprevisti, che può aprirne uno nuovo”.    

Mi piacerebbe che i molti – nei movimenti – che sono propensi a non votare cogliessero questo passaggio cruciale.