La realtà è che non bisognerebbe mai mancare. Lo dice anche Ermanno Labianca in un bel post sul concerto torinese (che è possibile leggere su Backstreets.com). Aggiungendo, veramente cattivissimo, che se ti sei perso Drive all night a Torino puoi anche smettere di seguire Springsteen, ritirarti e passare il resto della tua vita a pescare o a cercare perle sul fondo del mare… Io ci aggiungo anche Streets of fire a Udine, giusto per farsi più male.
Sono, però, perversioni e fanatismi dai quali sto lentamente e con grande fatica cercando di disintossicarmi. Sia perché ci sono un lavoro ed una famiglia che non posso e non voglio lasciare per giorni e giorni, sia perché a sentire i veri die hard fans quasi ogni concerto è il migliore e quasi ogni scaletta è la più bella. Salvo essere smentiti al concerto successivo.
Cerco quindi di dimenticare i miei conti ancora aperti, dopo 24 concerti, con mr. Springsteen (racin’ in the streets, drive all night, stolen car ed una impossibile the price you pay…) e provo a fare un ragionamento razionale. In questo momento un concerto di Springsteen & ESB è ancora il miglior live act rock in circolazione. Inarrivabile per durata, potenza, ritmo, precisione, repertorio. Punto.
Premesso questo, sappiamo poi che Bruce è in grado di fare concerti molto diversi uno dall’altro per scaletta ed intensità ma tutti di un livello altissimo. Le differenze sono minime e soprattutto sono soggettive e relative alle sensibilità ed ai gusti di ciascuno. Trovo quindi piuttosto inutile stare a disquisire ore, giorni, anni su quale concerto sia stato il migliore, quali scalette più azzeccate, quali tours più indimenticabili. Anche io ho le mie preferenze ma di ogni concerto ho ricordi ed emozioni belle e forti.
Il concerto di Roma di domenica scorsa, ad esempio, ha avuto una scaletta meno incisiva rispetto a Torino ed Udine, eppure è stato un concerto favoloso. La prima ora addirittura devastante per intensità, senza pause, senza fronzoli, con una Outlaw Pete incredibile, una Seeds pazzesca, più grande di quella a Torino 1988, con una Raise your hand integrale e una Pink Cadillac tutta da godere. La dedica all’Abruzzo è stata toccante, American Skin, suonata solo in Italia e in questo particolare momento, è un messaggio chiaro e netto sulle politiche della sicurezza e sul razzismo. Max Weimberg era in stato di grazia, così come un Big Man immobile o zoppicante ma che ha suonato divinamente. Certo, poi dalle richieste sono uscite cose un pò sconsiderate visto il contesto ma in un concerto di tre ore e con 28 pezzi, francamente ci può stare tutto, credo. La band e la belva feroce erano quelle che avevo lasciato un anno ed un giorno prima nel memorabile concerto di Barcellona a chiusura del tour europeo.
Risolta, dunque, la mia crisi invernale? Non del tutto.
I concerti sono davvero imperdibili. Arrivo a dire fra i migliori di sempre. Basti sentire questa Something in the night a Francoforte o quasiasi altro concerto di questo tour estivo (o del tour dello scorso anno). Bruce canta in modo stellare e la band è pazzesca, sera dopo sera dopo sera. Ciò non toglie che non riesco a vedere più una coerenza artistica in ciò che sta facendo Springsteen. E la coerenza è uno dei tratti che ha contribuito negli anni ’70 e ’80 alla costruzione del suo mito. La faccenda delle richieste, divertente in un primo momento, è diventata infatti il nucleo centrale dello show, il che muta completamente l’idea stessa di spettacolo. Perché non c’è più un artista che dà un taglio allo show, un concept, una linea interpretativa, ma ci sono, invece, una serie di pezzi e di “chicche” più o meno rare che escono dal cilindro su richiesta, stile juke-box. Così l’idea di questi show a me pare quella di un grande calderone di puro rock’n’roll, probabilmente il migliore in circolazione, che mischia greatest hits springsteeniani al meglio dei classici rock, soul, punk della storia e da cui esce una sintesi di 40 anni di musica pop. Figata totale da un certo punto di vista. Ma da un altra visuale ci si potrebbe chiedere quale sia il senso dell’operazione, artisticamente parlando.
Sono, però, perversioni e fanatismi dai quali sto lentamente e con grande fatica cercando di disintossicarmi. Sia perché ci sono un lavoro ed una famiglia che non posso e non voglio lasciare per giorni e giorni, sia perché a sentire i veri die hard fans quasi ogni concerto è il migliore e quasi ogni scaletta è la più bella. Salvo essere smentiti al concerto successivo.
Cerco quindi di dimenticare i miei conti ancora aperti, dopo 24 concerti, con mr. Springsteen (racin’ in the streets, drive all night, stolen car ed una impossibile the price you pay…) e provo a fare un ragionamento razionale. In questo momento un concerto di Springsteen & ESB è ancora il miglior live act rock in circolazione. Inarrivabile per durata, potenza, ritmo, precisione, repertorio. Punto.
Premesso questo, sappiamo poi che Bruce è in grado di fare concerti molto diversi uno dall’altro per scaletta ed intensità ma tutti di un livello altissimo. Le differenze sono minime e soprattutto sono soggettive e relative alle sensibilità ed ai gusti di ciascuno. Trovo quindi piuttosto inutile stare a disquisire ore, giorni, anni su quale concerto sia stato il migliore, quali scalette più azzeccate, quali tours più indimenticabili. Anche io ho le mie preferenze ma di ogni concerto ho ricordi ed emozioni belle e forti.
Il concerto di Roma di domenica scorsa, ad esempio, ha avuto una scaletta meno incisiva rispetto a Torino ed Udine, eppure è stato un concerto favoloso. La prima ora addirittura devastante per intensità, senza pause, senza fronzoli, con una Outlaw Pete incredibile, una Seeds pazzesca, più grande di quella a Torino 1988, con una Raise your hand integrale e una Pink Cadillac tutta da godere. La dedica all’Abruzzo è stata toccante, American Skin, suonata solo in Italia e in questo particolare momento, è un messaggio chiaro e netto sulle politiche della sicurezza e sul razzismo. Max Weimberg era in stato di grazia, così come un Big Man immobile o zoppicante ma che ha suonato divinamente. Certo, poi dalle richieste sono uscite cose un pò sconsiderate visto il contesto ma in un concerto di tre ore e con 28 pezzi, francamente ci può stare tutto, credo. La band e la belva feroce erano quelle che avevo lasciato un anno ed un giorno prima nel memorabile concerto di Barcellona a chiusura del tour europeo.
Risolta, dunque, la mia crisi invernale? Non del tutto.
I concerti sono davvero imperdibili. Arrivo a dire fra i migliori di sempre. Basti sentire questa Something in the night a Francoforte o quasiasi altro concerto di questo tour estivo (o del tour dello scorso anno). Bruce canta in modo stellare e la band è pazzesca, sera dopo sera dopo sera. Ciò non toglie che non riesco a vedere più una coerenza artistica in ciò che sta facendo Springsteen. E la coerenza è uno dei tratti che ha contribuito negli anni ’70 e ’80 alla costruzione del suo mito. La faccenda delle richieste, divertente in un primo momento, è diventata infatti il nucleo centrale dello show, il che muta completamente l’idea stessa di spettacolo. Perché non c’è più un artista che dà un taglio allo show, un concept, una linea interpretativa, ma ci sono, invece, una serie di pezzi e di “chicche” più o meno rare che escono dal cilindro su richiesta, stile juke-box. Così l’idea di questi show a me pare quella di un grande calderone di puro rock’n’roll, probabilmente il migliore in circolazione, che mischia greatest hits springsteeniani al meglio dei classici rock, soul, punk della storia e da cui esce una sintesi di 40 anni di musica pop. Figata totale da un certo punto di vista. Ma da un altra visuale ci si potrebbe chiedere quale sia il senso dell’operazione, artisticamente parlando.
Io amo lo Springsteen che osa. Che incide Nebraska. Che a Torino suona Born to run acustica e indispettisce chi voleva The River e Thunder road sparando soul music da antologia e raccontando i fantasmi dell’amore. Che lascia a casa la band e chiede il silenzio sui pezzi di Tom Joad. Che fa un tributo a Pete Seeger nel pieno della amministrazione Bush. Forse sono incontentabile. Ma non mi piacciono i “greatest hits”. Non mi piacciono le operazioni a rischio zero. Non mi piacciono le star autoreferenziali, e Springsteen non lo è mai stato.
Dopo il fantastico Magic tour c’era bisogno di una pausa. L’ho detto e lo ribadisco. Pausa non è stata. E’ uscito un disco contraddittorio, ma con una certa linea pop orchestrale, a suo modo interessante e coraggiosa. Ma di questo disco sostanzialmente Bruce suona solo 2 o 3 pezzi a sera. Non era un disco da stadio, non era un disco per questo tipo di esibizioni. Ha senso l’operazione? Non lo so.
Io seguo Springsteen da quasi 25 anni. Ho goduto come una scimmia urlatrice a Roma. Però - forse - rispetto alla centesima Bobby Jean e alla settantesima Born to run avrei preferito una proposta live di questo disco in teatro, magari con una orchestra. Oppure, se dobbiamo omaggiare il passato, un concerto diviso in due parti con pezzi di Working on a dream e Magic nella prima e l’intera esecuzione di un disco storico nella seconda. Oppure se proprio vogliamo esagerare, un vero concerto concept sulla recessione che andasse da Darkness attraverso The river, Nebraska e Born in the USA fino al Fantasma. Sarebbe stato molto, molto, molto rock ugualmente, ma con un senso artistico immensamente superiore.
Ma in fondo sono solo riflessioni assurde. La realtà è che se il rock and roll non ha più molto da dire, i concerti di questo personaggio e dei suoi compagni di strada danno ancora senso a tutto quanto: alla promessa che è racchiusa in una chitarra elettrica, alla polverosa strada che abbiamo da correre.
Dopo il fantastico Magic tour c’era bisogno di una pausa. L’ho detto e lo ribadisco. Pausa non è stata. E’ uscito un disco contraddittorio, ma con una certa linea pop orchestrale, a suo modo interessante e coraggiosa. Ma di questo disco sostanzialmente Bruce suona solo 2 o 3 pezzi a sera. Non era un disco da stadio, non era un disco per questo tipo di esibizioni. Ha senso l’operazione? Non lo so.
Io seguo Springsteen da quasi 25 anni. Ho goduto come una scimmia urlatrice a Roma. Però - forse - rispetto alla centesima Bobby Jean e alla settantesima Born to run avrei preferito una proposta live di questo disco in teatro, magari con una orchestra. Oppure, se dobbiamo omaggiare il passato, un concerto diviso in due parti con pezzi di Working on a dream e Magic nella prima e l’intera esecuzione di un disco storico nella seconda. Oppure se proprio vogliamo esagerare, un vero concerto concept sulla recessione che andasse da Darkness attraverso The river, Nebraska e Born in the USA fino al Fantasma. Sarebbe stato molto, molto, molto rock ugualmente, ma con un senso artistico immensamente superiore.
Ma in fondo sono solo riflessioni assurde. La realtà è che se il rock and roll non ha più molto da dire, i concerti di questo personaggio e dei suoi compagni di strada danno ancora senso a tutto quanto: alla promessa che è racchiusa in una chitarra elettrica, alla polverosa strada che abbiamo da correre.