sabato 27 novembre 2010

Per chiarire il concetto

Visto che il mio ultimo post "si è fatto sentire" e che a La Terra Trema si discute dei "Cosiddetti", posto un contributo che avevo scritto (con l'editing di A. Morichetti che ringrazio) per Intravino sette mesi fa e che pare "profetico" (non certo perché lo abbia scritto io bensì perché è la questione ad essere centrale). Di fatto la questione è:
1) Se la mettiamo solo sul piano delle sostanze che possono finire in un vino nel giro di qualche anno l'industria replicherà in laboratorio i vini "naturali" e ci sbatterà fuori dal mercato.
2) Se noi vignaioli continuiamo a dividerci e a fare percorsi differenti siamo più deboli.
3) Come diceva Gino: La terra, la terra, all'infinito la Terra.

Il vicolo cieco
Forse non tutti sanno che” sarebbe un inizio niente male. Sentite che bel titolo ha questa recente ricerca dell’Università di Sassari: “Individuazione di ceppi di Saccharomyces cerevisiae medio-basso produttori di etanolo” . Traduco in italiano lo scopo: isolare lieviti da vino che producano poco alcol. Curioso, no?Ricordo male io o fino a ieri l’altro la ricerca microbiologica faceva l’esatto contrario – cioé selezionare ceppi in grado di garantire una più elevata resa alcolica? Partiamo da qui per continuare la discussione iniziata con alcuni interessanti articoli di Intravino.
Leggendo tra le righe, la ricerca menzionata ci comunica qualcosa di importante. In ambito agronomico ed enologico si tende continuamente a sperimentare tecniche, tecnologie e prassi in grado di seguire il Mercato. Oggi il Mercato chiede vini più “leggeri”? Messaggio ricevuto, il “sistema-vino” si adegua. Come ieri si era adeguato ai vini-frutto. Purtroppo, ho la brutta sensazione che la discussione sui “vini naturali” stia prendendo la stessa piega. Oramai si parla apertamente di moda, le fiere ed i saloni alternativi riscuotono successo e i produttori di questa nicchia paiono risentire meno della crisi rispetto ai “convenzionali”. Si arriva ad ipotizzare un padiglione comune al prossimo Vinitaly.
Sarà mica che il percorso “naturale” sta finendo in un pericoloso vicolo cieco? Quando ci si relaziona al vino naturale adottando le medesime modalità con cui si era cavalcata l’onda modernista del vino-frutto, il rischio è serio e non possiamo negarlo. Quando la bottiglia di vino naturale diventa merce esattamente come fu il Supertuscan costruito in laboratorio con vitigni pompati, la deriva commerciale e mediatica è dietro l’angolo. Sono solo cambiate le parole d’ordine: il vino non deve più essere morbido, opulento e fruttoso bensì “sano”, genericamente “eco-compatibile” e magari “misterioso” o comunque bioqualcosa. Concordo con Porthos quando parla di implosione dell’avanguardia naturale.
Fare vino seguendo le (presunte) richieste del mercato significa negare l’essenza del movimento “naturale”, che sintetizzo in 3 punti: critica radicale al modo con cui oggi l’umanità si relaziona alla natura, visione totalmente alternativa dell’agricoltura, lotta ai processi socio-economici dominanti. Oggi è impossibile parlare di “vino naturale” senza affrontare i nodi legati al sistema industriale di produzione, accumulazione e commercio ma soprattutto senza un approccio organico – che partendo dal vignaiolo arriva fino al consumatore, inteso come co-produttore (termine figlio della riflessione di Terra e Libertà/Critical Wine). È altrettanto necessario contestualizzare vino, cibo e agricoltura in orizzonti socio-culturali irriducibili ad una certa idea di Mercato. Valutare i “vini naturali” solo in base a caratteristiche sensoriali è limitante e ingeneroso nei confronti di chi da anni lavora ad un’idea integralmente diversa del vino e, oserei dire, della vita stessa.
Stiamo assistendo a un fenomeno enorme, cioé al totale sovvertimento del paradigma agronomico-enologico cui si era approdati negli anni ‘80/’90. Questo grazie agli studi di Claude e Lydia Bourguignon e di Jules Chauvet, grazie ai testi classici della biodinamica, antichi e moderni (Rudolf Steiner, Ehrenfried E. Pfeiffer, Alex Podolinsky, Nicholas Joly), e alle prassi dei pionieri del vino naturale (Lapierre, Overnoy, Breton, Binner, ecc). E il fermento è tutt’altro che terminato.
In questo contesto è stato meno appariscente, ma non meno rilevante, il cambio di approccio in termini di vendita e commercializzazione. Si ricorre sempre meno a grandi distribuzioni, grandi agenzie di rappresentanza e catene commerciali, ma sempre di più al rapporto diretto col co-produttore (attraverso vendita diretta, fiere, gruppi di acquisto) o con piccoli operatori specializzati, locali ed esteri. Diventano centrali un approccio differente al settore agricolo e l’interazione tra vignaiolo – artigiano/artista – e consumatore finale. Nella bottiglia di vino naturale, così come in un’opera d’arte, si cercano magia e piacere estetico, materiale ed intellettuale, dove il bello e il buono divengono fenomeno culturale e presidio etico. Altro che merce. Altro che banale e brutale bene di consumo. Altro che status symbol.
Se tutto ciò è vero – e può benissimo non esserlo – apparirà chiaro quanto sia delicata e complessa la questione dell’eventuale partecipazione del “movimento dei vini naturali” al Vinitaly. Personalmente, non sono nemmeno contrario per principio e non rinnego la mia passata partecipazione. Credo però che una scelta simile possa avere un senso solo in quanto gesto politico di rottura rispetto alle problematiche odierne in agricoltura: la sovrapproduzione, denominazioni di origine, certificazioni, burocrazia, uso sfrenato di chimica e tecnologia, standardizzazione del gusto e via dicendo. Dubito che allo stadio attuale il movimento naturale abbia la forza di proporsi compatto con un’identità forte e determinata. Dubito inoltre che il Sistema-vino – rappresentato dal Vinitaly – abbia davvero interesse ad accogliere dentro al “palazzo” il dissenso e l’alternativa. Temo, invece, che le sirene del marketing e dell’industria stiano già lavorando per concentrarsi su nuove forme e nuove apparenze, tralasciando ancora una volta la sostanza.

martedì 23 novembre 2010

Basta!

Se il mondo del vino naturale è questo io non sono un produttore di vini naturali.
E' questa la riflessione che nasce in me dalla manifestazione Semplicemente Uva, fiera del vino "cosiddetto" naturale organizzata dal "gastronauta" Davide Paolini, che si svolgerà a Milano in concomitanza - guarda caso - dell'annuale appuntamento al Leoncavallo (La Terra Trema).
Sono stato contattato mesi fa da una società che - immagino - è stata incaricata di organizzare l'evento. Comunicazione ultra markettara, messaggi poco chiari, sovrapposizione con l'appuntamento ex-critical wine. Varie ragioni mi hanno fatto declinare l'invito, nonostante una certa, pressante, richiesta.
Bene. Oggi ricevo dagli splendidi ragazzi organizzatori da anni, con sbattimenti notevoli, della rassegna leoncavallina un comunicato che potete leggere qui di seguito. Inutile aggiungere che lo sottoscrivo in pieno. Spiace un pò che questa deriva coinvolga anche persone che stimo...

"Da che parte stiamo/Brevi considerazioni in merito alle “cosiddette” coincidenze


Scriviamo questo breve comunicato mossi da una specie di senso d'urgenza, vuoi per le numerose sollecitazioni arrivate dai vignaioli de La Terra Trema, vuoi per le “mezze parole” o per altro tipo di suggestioni sopraggiunte da agenti "esterni".
La questione riguarda una manifestazione – nuova - che si svolge contemporaneamente alla nostra: Semplicemente Uva, organizzata da Davide Paolini.
Il sovrapporsi con altri eventi non è mai stato un problema per noi, è capitato altre volte e La Terra Trema non impone, né pretende alcun tipo di monopolio, anzi si augura che le economie dei vignaioli girino e bene.
Per questo motivo, quando ci hanno segnalato questa “fortuita coincidenza” non abbiamo dato troppo peso, abbiamo detto “si vedrà, aspettiamo di capire”.
La struttura comunicativa della suddetta manifestazione, sito e comunicati stampa, non aiutavano a capire però; per lungo tempo, avari di informazioni, non spiegavano né chi, né come, né perché.
Le cose sono emerse piano e con chiarezza solo pochi giorni fa, per merito dei vignaioli che - da parecchi anni - con La Terra Trema collaborano, ragionano, reagiscono.
In tanti hanno chiamato. E i racconti che ci riportavano rasentavano l’intimidazione mafiosa: vignaioli che, in nome del vino “cosiddetto naturale” si trovavano costretti a partecipare all’evento, a rinunciare alla partecipazione a La Terra Trema, un ricatto che arriva ritornava in modo prepotente anche da agenti e distributori.
Lo diciamo da un pezzo: le teorie del “buono, pulito e giusto”, del biologico naturale, sincero e semplice, da sole, non bastano e rischiano di diventare la miglior foglia di fico per nascondere ambigui interessi privati, economie balorde.
La Terra Trema lavora da molti anni perché le economie del vino (e delle agricolture in generale) girino intorno a chi le mani le sporca a fondo, nella terra, tra le foglie e i grappoli e non intorno a chi fa giusto lo sforzo di aggrapparsi a un telefono e chiamare e intimidire, minacciare ed escogitare deliranti ricatti.
Manifestazioni come Semplicemente Uva sono per noi l’esempio schietto di un mercato degenerato, malato e marcio, che - sfacciatamente - serve e protegge solo le solite lobbies.
Per questo motivo abbiamo deciso di imporre - per la prima volta - il nostro out out a quei produttori (pochissimi a dire il vero, giusto 2/3) che hanno aderito ad entrambi gli eventi; questo passaggio per noi si rende obbligatorio perché se per i vignaioli che partecipano a La Terra Trema non è chiaro il nostro tipo di discorso un progetto come La Terra Trema non ha motivo d’essere.
A onor del vero i produttori in questione hanno ritenuto di disdire la loro partecipazione a Su per partecipare a LTT, comprendendo a pieno le motivazioni che ci hanno portato a chiamarli.
Siamo sicuri che da quest’anno a Milano inizierà una guerra, quel che propone un evento come il nostro affossa per bene questi mestieranti del vino e della distribuzione, è la nostra (e la vostra) rivoluzione.
Questa discussione, ci auguriamo, si arricchisca delle vostre osservazioni, auspichiamo il vostro riscontro in merito - è fondamentale.


LaTerraTrema"

domenica 7 novembre 2010

L'olio d'oliva e l'invenzione dell'economia

Dunque siamo alle olive. Le giornate sono brevi, si alternano giorni di luce e giornate dominate dall'elemento acqua: gialli Van Gogh e nebbie grigio esistenzialista. Ore e ore passate sugli alberi. Si parla. Si scherza. Si riflette. C'è, nel lavoro agricolo, un qualcosa che favorisce immediatamente la socializzazione. E' bello, questo fatto. Storicamente nelle campagne ci si aiutava, fra contadini. Scambio manodopera, cooperazione, mutuo soccorso. Tutto scomparso, o quasi, con l'avvento dei "coltivatori diretti", degli "imprenditori agricoli", delle "aziende". E' la modernità, bellezza.

C'entra forse nulla, ma mi ci ha fatto anche pensare la lettura di un libro che ho trovato illuminante e fondamentale: L'invenzione dell'economia di Serge Latouche. In questo libro c'è una tesi forte: l'assurdità di considerare l'economia una "scienza" che si muove secondo leggi naturali. E' un dibattito vecchio eppure nessuno, nemmeno i marxisti più intransigenti, aveva mai portato una critica così serrata e costitutiva al mondo degli economisti. La scienza economica per Latouche altro non è se una scienza necessaria a un determinato modo di produrre e scambiare merci, quello capitalistico. Modo che non è nato con l'uomo e che non morirà con esso.
Ecco, per l'agricoltura è un pò la stessa cosa. Non è sempre stato che i contadini comprassero il seme sul mercato. Per migliaia di anni i contadini hanno selezionato ed usato i propri semi. E nemmeno è sempre stato che gli agricoltori vendessero i loro prodotti sul mercato. Per quasi tutta la storia dell'umanità le merci dell'agricoltura erano destinate in gran parte all'autoconsumo oppure, spesso, prodotti e venduti "su prenotazione" (a famiglie più abbienti e cittadine). Un altro mondo. E però non è detto che sia meglio oggi, che il prezzo del grano lo fa la borsa di Chicago.

Quel che è certo è che la nostra civiltà mediterranea è caratterizzata dall'olivo forse ancor più che dal vino. L'olio extra-vergine di qualità è davvero uno dei beni agricoli più affascinanti, importanti, basilari. E certamente il "mercato", totem della moderna economia, non è oggi in grado di valorizzarlo adeguatamente.

PS L'extra vergine Pantarei di Arianna Occhipinti è veramente mostruosamente buono.