D'improvviso, con un anno di ritardo, il Partito Democratico capisce cosa sta accadendo in Europa. Complimenti. Ora, chiedono a Mario Monti di fare un passo indietro e di non candidarsi (salvo a parole difenderne l'agenda politica).
Cade il velo del "governo tecnico". Il governo più politico degli ultimi anni, in realtà: quello che è riuscito là dove anche Berlusconi era fallito. Sterzare a destra il timone della politica economica italiana.
Cade il velo su di un partito diviso in due, fra liberisti e socialisti. Gente che ovunque nel mondo starebbe in due partiti differenti...
Cade il velo sulle manovre "salva Italia": in realtà finora hanno salvato solo gli interessi di un blocco sociale ed economico, il 10% che in Italia possiede il 50% della ricchezza, e le azioni delle banche piene fino al collo di debito pubblico italiano.
Ciò che andava fatto un anno fa, oggi non non si può più fare: mettere l'Europa di fronte alle responsabilità di Silvio Berlusconi, andare a elezioni immediate, trattare condizioni di rientro dal debito consci di essere "troppo grandi per fallire" e rifiutare l'austerità "alla greca" che in una fase di economia depressa è esattamente la politica opposta a quella necessaria. Questa doveva essere la linea un anno fa.
Il PD, no. Ha preferito salvare i ricchi. Salvare Berlusconi, ancora una volta. Creare un nuovo "mostro", il tecnocrate Mario Monti, elevare nuovamente l'Europa non a orizzonte destinale e a comunità di riferimento ma a deus-ex-macchina che decide per noi cosa è giusto e cosa è sbagliato. Si chiami TAV, rientro dal debito, privatizzazione dei servizi pubblici: si fa perché lo vuole l'Europa, non perché sia giusto o sbagliato.
Tristezza.
Tristezza vedere Vendola inseguire i pazzi scriteriati di una sinistra salottiera che insegue Monti. Tristezza osservare lo spaesamento di chi ha capito che comunque vadano le elezioni ci sono forze gigantesche e fortissime che premono per un proseguimento della macelleria sociale degli ultimi anni. E così ci si affretta a rassicurare i mercati... Non gli operai in cassa integrazione, non i giovani precari, non gli insegnati sottopagati o i Comuni che non riescono a chiudere i bilanci.
Qualcuno lo dovrebbe dire in modo chiaro: l'Italia sta peggio di un anno fa. La disoccupazione è aumentata, il reddito è calato. E i conti non sono migliorati. Col rischio di dar ragione al Berluska, lo spread è un indicatore assurdo per misurare i progressi economici di una nazione. La realtà è che non raggiungeremo il pareggio di bilancio e che il rapporto debito pubblico/PIL è ulteriormente peggiorato.
Per chi ancora non ci credesse, basta leggere un bel libro: "La cura letale" di Mario Seminerio. Rizzoli. Ma non c'è da preoccuparsi, il 2013 sarà peggio.
Vino e territorio. Musica e cultura. Pensieri, sogni e visioni di un Homo Sapiens di campagna
sabato 15 dicembre 2012
martedì 11 dicembre 2012
Lessico di un vignaiolo che dissente TOUR
Ecco le prossime tappe ufficiali di presentazione del libro:
- Jesi, 13 dicembre.
Antiche cantine del Porticello, con degustazione e aperitivo-cena. Ore 18.30
- Roma, 22 dicembre.
Atelier ESC, Via dei Volsci. Reading musicale featuring Giuliano Dottori. Ore 20.00
- Bologna, 10 gennaio.
Lortica Garden Wine.
- Corridonia, 12 gennaio.
Slow Food condotta di Corridonia.
- Macerata, 25 gennaio.
Centro Sociale Sisma, con cena a base di prodotti Biologici.
- Jesi, 13 dicembre.
Antiche cantine del Porticello, con degustazione e aperitivo-cena. Ore 18.30
- Roma, 22 dicembre.
Atelier ESC, Via dei Volsci. Reading musicale featuring Giuliano Dottori. Ore 20.00
- Bologna, 10 gennaio.
Lortica Garden Wine.
- Corridonia, 12 gennaio.
Slow Food condotta di Corridonia.
- Macerata, 25 gennaio.
Centro Sociale Sisma, con cena a base di prodotti Biologici.
martedì 27 novembre 2012
G come Gusto
C’è una matrice comune ad ogni forma estetica dell’oggi, a volerla cercare. E’ l’assoluta preponderanza dell’aspetto tecnologico. Il dominio della tecnica. Così come vengono “costruiti” i cantanti di successo dentro a vere fabbriche della canzone pop che si basano sul digitale e sulla computerizzazione della musica, così si fabbricano i vini attraverso protocolli enologici rigidi ed omologanti incentrati sulla chimica e sulle tecnologie dell’industria alimentare. E’ il vino al tempo della sua riproducibilità tecnica, per dirla con Michel Le Gris. Un vino figlio del suo tempo che si basa su di un gusto omologato. E se per caso il gusto cambia, perché qualche innovatore sposta l’attenzione verso qualcosa di nuovo, che problema c’é? Ci si adegua. Perché qualunque ricetta oggi può essere adeguatamente replicata.
Ma non basta. E’ anche la possibilità di una distribuzione immediata su larga scala, a creare le condizioni per cui tutto deve essere facilmente “consumabile” e comprensibile. E’ la cultura pop, bellezza.
Così un gusto “medio”, paradigmatico, borghese ed innocuo si fa pietra di paragone del bello e del buono. E devianza è ciò che a questo gusto non rassomiglia. Oppure difetto. Al massimo “alternativo”, se si vuol creare una nicchia da spremere.
Ed allora capita che dopo ottomila anni di vinificazioni l’uomo moderno salga in cattedra a dire che cosa sia il vino e di cosa debba sapere. E gli enologi ed i sommeliers prima di tutto cercano il difetto, nel bicchiere, non la fatica dei contadini.
"Non è il vino dell'enologo - Lessico di un vignaiolo che dissente" - ed. DeriveApprodi
lunedì 29 ottobre 2012
Non è il vino dell'enologo
Ecco le date delle prime presentazioni del mio libro, "Non è il vino dell'enologo - Lessico di un vignaiolo che dissente":
- Fornovo Taro, 4 novembre alle ore 15.00 nell'ambito del salone "Vini di vignaioli".
- Roma Teatro Valle, 14 novembre alle ore 18.30. Con Jonathan Nossiter ed un estratto da "Mondovino"
- Milano Leoncavallo spazio autogestito, 23 novembre nell'ambito de "La Terra Trema" - Orario da confermare
A breve altri appuntamenti a Jesi, Macerata, Udine, Roma.
Vi aspetto!
- Fornovo Taro, 4 novembre alle ore 15.00 nell'ambito del salone "Vini di vignaioli".
- Roma Teatro Valle, 14 novembre alle ore 18.30. Con Jonathan Nossiter ed un estratto da "Mondovino"
- Milano Leoncavallo spazio autogestito, 23 novembre nell'ambito de "La Terra Trema" - Orario da confermare
A breve altri appuntamenti a Jesi, Macerata, Udine, Roma.
Vi aspetto!
sabato 20 ottobre 2012
Vespe, calabroni e lieviti indigeni
E' stata pubblicata una importante ricerca scientifica che fa ulteriore chiarezza sul ciclo ecologico dei lieviti responsabili della fermentazione del vino. Qui di seguito potete trovare informazioni sulla ricerca: http://www.infowine.com/default.asp?scheda=11433.
Secondo questa ricerca i "lieviti “trascorrono” un periodo del loro ciclo vitale all’interno dell’intestino di vespe sociali e calabroni, al di fuori dell’ambiente di fermentazione... quando i frutti maturano, questi insetti sono attratti dal loro odore, li rompono grazie ai loro potenti apparati mandibolari e inoculano questi micro-organismi al loro interno. Questa indagine si lega ad una ricerca iniziata nel 1998 e chiude, di fatto, il ciclo ecologico dei lieviti che era ancora avvolto dal mistero. Per arrivare a questo risultato è stato anche sequenziato il genoma di questi lieviti trasportati dai calabroni ed è stato possibile individuare i ceppi dei lieviti in periodi dell’anno in cui non erano mai stati isolati ovvero da dicembre a febbraio".
L'importanza della ricerca si lega al fatto che finalmente si apre una prospettiva definitiva per la dimostrazione dell'esistenza di lieviti "autoctoni" o "indigeni", lieviti cioé legati in modo indissolubile al territorio o, perlomeno, ad una ben definita area di produzione.
Per chi fosse interessato alla materia lo stesso importante concetto di "lievito indigeno" viene indigato in una tesi di dottorato sulle fermentazioni spontanee che è possibile leggere qui: http://www.fedoa.unina.it/1664/1/Di_Maro_Scienze_Tecnologie.pdf
Sono ricerche che dimostrano quanta confusione ancora si faccia rispetto alla questione lieviti selezionati/lieviti indigeni e quanto sia fallace l'idea che i sostenitori delle fermentazioni spontanee - o naturali - siano degli alieni dalle assurde credenze mistiche.
"E’ emerso, dunque, che questi insetti – calabroni e vespe sociali – sono protagonisti della tipicità dei prodotti. Il calabrone infatti porta con sé le caratteristiche di un certo areale rispetto ad un altro e questo garantisce il mantenimento di una ricchezza indispensabile, ovvero la biodiversità dei micro-organisimi che sono fondamentali per la tipicità dei prodotti delle fermentazioni quali il vino e la birra. “Questa scoperta – conclude Roberto Viola, direttore del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele - apre la strada ad altre ricerche che intendano capire come questo microcosmo di micro-organismi possa essere associato alla tipicità dei prodotti, e di come sia importante conoscerlo, per proteggerlo, conservarlo e renderlo disponibile alle attività umane”.
Secondo questa ricerca i "lieviti “trascorrono” un periodo del loro ciclo vitale all’interno dell’intestino di vespe sociali e calabroni, al di fuori dell’ambiente di fermentazione... quando i frutti maturano, questi insetti sono attratti dal loro odore, li rompono grazie ai loro potenti apparati mandibolari e inoculano questi micro-organismi al loro interno. Questa indagine si lega ad una ricerca iniziata nel 1998 e chiude, di fatto, il ciclo ecologico dei lieviti che era ancora avvolto dal mistero. Per arrivare a questo risultato è stato anche sequenziato il genoma di questi lieviti trasportati dai calabroni ed è stato possibile individuare i ceppi dei lieviti in periodi dell’anno in cui non erano mai stati isolati ovvero da dicembre a febbraio".
L'importanza della ricerca si lega al fatto che finalmente si apre una prospettiva definitiva per la dimostrazione dell'esistenza di lieviti "autoctoni" o "indigeni", lieviti cioé legati in modo indissolubile al territorio o, perlomeno, ad una ben definita area di produzione.
Per chi fosse interessato alla materia lo stesso importante concetto di "lievito indigeno" viene indigato in una tesi di dottorato sulle fermentazioni spontanee che è possibile leggere qui: http://www.fedoa.unina.it/1664/1/Di_Maro_Scienze_Tecnologie.pdf
Sono ricerche che dimostrano quanta confusione ancora si faccia rispetto alla questione lieviti selezionati/lieviti indigeni e quanto sia fallace l'idea che i sostenitori delle fermentazioni spontanee - o naturali - siano degli alieni dalle assurde credenze mistiche.
"E’ emerso, dunque, che questi insetti – calabroni e vespe sociali – sono protagonisti della tipicità dei prodotti. Il calabrone infatti porta con sé le caratteristiche di un certo areale rispetto ad un altro e questo garantisce il mantenimento di una ricchezza indispensabile, ovvero la biodiversità dei micro-organisimi che sono fondamentali per la tipicità dei prodotti delle fermentazioni quali il vino e la birra. “Questa scoperta – conclude Roberto Viola, direttore del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele - apre la strada ad altre ricerche che intendano capire come questo microcosmo di micro-organismi possa essere associato alla tipicità dei prodotti, e di come sia importante conoscerlo, per proteggerlo, conservarlo e renderlo disponibile alle attività umane”.
Etichette:
agricoltura biologica,
biodinamica,
vino naturale
domenica 14 ottobre 2012
In vendita
E' possibile ordinare "Non è il vino dell'enologo - Lessico di un vignaiolo che dissente" in libreria. Qui la scheda del libro: http://www.deriveapprodi.org/2012/10/non-e-il-vino-dellenologo/
A breve la lista delle presentazioni.
"Che cos’è il vino, dunque?
Quel liquido misterioso che per millenni ha messo in correlazione l’uomo con lo spirito del mondo, o quella banale soluzione idroalcolica descritta dai manuali di enologia?
Alla fine arrivo a capire che la sofisticazione dei vini, scacciata dalla porta, rientra dalla finestra sotto forma di legalissima manipolazione. Una colossale manipolazione del gusto che viaggia a braccetto, essendone il completamento, con la manipolazione delle coscienze e delle intelligenze".
sabato 29 settembre 2012
C'è una grossa novità
Ok, ho trascurato il blog.
Ma non è colpa mia. C'è stata una vendemmia, come al solito incasinata. C'è stato mio figlio che ha iniziato le elementari. C'è stato da organizzare la Sagra dell'uva a Cupra. Ci sono le giunte del mercoledì sera e le riunioni di "maggioranza" del lunedì... E c'è stato da finire il libro.
Ora che è ufficiale posso scriverlo anche qui. Questo mese uscirà un mio libro, edito da DeriveApprodi. Per ora posto solo la copertina, poi si vedrà.
Ma non è colpa mia. C'è stata una vendemmia, come al solito incasinata. C'è stato mio figlio che ha iniziato le elementari. C'è stato da organizzare la Sagra dell'uva a Cupra. Ci sono le giunte del mercoledì sera e le riunioni di "maggioranza" del lunedì... E c'è stato da finire il libro.
Ora che è ufficiale posso scriverlo anche qui. Questo mese uscirà un mio libro, edito da DeriveApprodi. Per ora posto solo la copertina, poi si vedrà.
mercoledì 5 settembre 2012
Sette su dieci
Sette su dieci fra le estati più calde dal 1961 a oggi nelle Marche sono negli anni 2000. La 2012 è la seconda più calda di sempre dopo la 2003 ma in termini di precipitazioni è andata anche peggio.
Così l'ASSAM:
"La prolungata permanenza sul bacino del Mediterraneo del promontorio anticiclonico nord-africano e, in seno ad esso, dell'aria calda sahariana che troppo spesso ha interessato anche il territorio regionale marchigiano, ha reso l'estate 2012 molto calda, paragonabile a quella, terribile, del 2003. Numerose sono state le ondate di calore, la più intensa e duratura può essere individuata nel periodo che dal 16 giugno si è protratta fino al 15 luglio.
La temperatura media stagionale è stata di 24,9°C, con un incremento di 3,2°C rispetto al quarantennio di riferimento 1961-2000. Più calda fu l'estate del 2003, in cui la temperatura media regionale raggiunse i 25,4°C (+3,7 rispetto al 1961-2000). Quelle del 2003 e del 2012 sono risultate essere rispettivamente, la prima e la seconda stagione estiva più calde per le Marche dal 1961. Preoccupante osservare che, sempre dal 1961, tra le prime dieci estati più calde, ben 7 sono a partire dall'anno 2000.
Elevate, naturalmente, anche le temperature medie mensili, ben al di sopra ai valori di norma. Se
confrontate con il 2003, si scopre che mentre giugno e agosto 2012 sono stati più "freschi", il mese di luglio è stato addirittura più caldo (record mensile per luglio dal 1961)
Fra tutte le stazione della rete regionale di rilevamento dell'ASSAM, il valore massimo è stato di 43,1°C in località di Corinaldo il giorno 20 luglio; seguono i 41,7°C rilevati a Barbara il giorno 2 luglio quindi, il 28 luglio, i 41,6°C di Treia. La soglia dei 40°C è stata comunque superata in parecchie località.
Pessime le notizie anche sul fronte delle precipitazioni, decisamente più scarse rispetto a quelle del 2003. Con un totale medio regionale di 74mm ed una riduzione del -59% rispetto al 1961-2000, quella del 2012 è stata la terza estate più arida dal 1961. Nell'ambito mensile, da segnalare il record negativo delle piogge di giugno, con una pioggia media caduta di circa 16mm. Dunque, mettendo insieme temperature e precipitazioni, tramite l'indice di aridità calcolato come il rapporto fra le precipitazioni e l'evapotraspirazione potenziale, si arriva alla conclusione che le sofferenze agronomiche, colturali dell'estate 2012 sono state maggiori rispetto a quelle dell'estate 2003 con un valore dell'indice pari a 0,15 (classe di aridità) contro i 0,21 del 2003 (classe di semi-aridità).
Disastroso infine l'andamento dell'indice SPI a 12 mesi, sceso nel bimestre luglio-agosto nella classe di estrema siccità, a segnalare un'allarmante siccità idrologica, a causa anche delle poche precipitazioni dal mese di agosto dello scorso anno. Meglio, ma non troppo, l'indice stagionale SPI-3, anch'esso comunque sceso nella classe di siccità (severa)."
L'articolo completo qui: http://meteo.regione.marche.it/news/estate2012vs2003.pdf
Il risultato di questa dinamica è che abbiamo cominciato la vendemmia del Verdicchio il 24 agosto (e non si tratta di basi spumanti). Mai successo.
Così l'ASSAM:
"La prolungata permanenza sul bacino del Mediterraneo del promontorio anticiclonico nord-africano e, in seno ad esso, dell'aria calda sahariana che troppo spesso ha interessato anche il territorio regionale marchigiano, ha reso l'estate 2012 molto calda, paragonabile a quella, terribile, del 2003. Numerose sono state le ondate di calore, la più intensa e duratura può essere individuata nel periodo che dal 16 giugno si è protratta fino al 15 luglio.
La temperatura media stagionale è stata di 24,9°C, con un incremento di 3,2°C rispetto al quarantennio di riferimento 1961-2000. Più calda fu l'estate del 2003, in cui la temperatura media regionale raggiunse i 25,4°C (+3,7 rispetto al 1961-2000). Quelle del 2003 e del 2012 sono risultate essere rispettivamente, la prima e la seconda stagione estiva più calde per le Marche dal 1961. Preoccupante osservare che, sempre dal 1961, tra le prime dieci estati più calde, ben 7 sono a partire dall'anno 2000.
Elevate, naturalmente, anche le temperature medie mensili, ben al di sopra ai valori di norma. Se
confrontate con il 2003, si scopre che mentre giugno e agosto 2012 sono stati più "freschi", il mese di luglio è stato addirittura più caldo (record mensile per luglio dal 1961)
Fra tutte le stazione della rete regionale di rilevamento dell'ASSAM, il valore massimo è stato di 43,1°C in località di Corinaldo il giorno 20 luglio; seguono i 41,7°C rilevati a Barbara il giorno 2 luglio quindi, il 28 luglio, i 41,6°C di Treia. La soglia dei 40°C è stata comunque superata in parecchie località.
Pessime le notizie anche sul fronte delle precipitazioni, decisamente più scarse rispetto a quelle del 2003. Con un totale medio regionale di 74mm ed una riduzione del -59% rispetto al 1961-2000, quella del 2012 è stata la terza estate più arida dal 1961. Nell'ambito mensile, da segnalare il record negativo delle piogge di giugno, con una pioggia media caduta di circa 16mm. Dunque, mettendo insieme temperature e precipitazioni, tramite l'indice di aridità calcolato come il rapporto fra le precipitazioni e l'evapotraspirazione potenziale, si arriva alla conclusione che le sofferenze agronomiche, colturali dell'estate 2012 sono state maggiori rispetto a quelle dell'estate 2003 con un valore dell'indice pari a 0,15 (classe di aridità) contro i 0,21 del 2003 (classe di semi-aridità).
Disastroso infine l'andamento dell'indice SPI a 12 mesi, sceso nel bimestre luglio-agosto nella classe di estrema siccità, a segnalare un'allarmante siccità idrologica, a causa anche delle poche precipitazioni dal mese di agosto dello scorso anno. Meglio, ma non troppo, l'indice stagionale SPI-3, anch'esso comunque sceso nella classe di siccità (severa)."
L'articolo completo qui: http://meteo.regione.marche.it/news/estate2012vs2003.pdf
Il risultato di questa dinamica è che abbiamo cominciato la vendemmia del Verdicchio il 24 agosto (e non si tratta di basi spumanti). Mai successo.
Etichette:
caldo,
estate,
vendemmia,
verdicchio
giovedì 16 agosto 2012
Garanzia partecipata
Secondo l’IFOAM
(International Federation of Organic Agriculture Movements)
“I sistemi di
garanzia partecipata sono sistemi di assicurazione della qualità che agiscono
su base locale; la verifica dei produttori prevede la partecipazione attiva
delle parti interessate ed è costruita basandosi sulla fiducia, le reti sociali
e lo scambio di conoscenze”.
Negli ultimi anni
il dibattito sull’agricoltura biologica ha portato ad una critica sempre più
serrata della certificazione classica, di parte terza. Troppo onerosa per i
piccoli produttori, spesso incentrata più sugli aspetti burocratici che
produttivi, legata a disciplinari europei che spesso risultano essere ben poco
“biologici” nello spirito e nei contenuti, il classico “bollino” del biologico
è oramai un marchio distintivo degli “industriali” del bio e poco si adatta
alle vere produzioni artigianali delle piccole aziende agricole europee.
Per questi motivi
si è spesso parlato dell’autocertificazione come strumento di comunicazione ai
consumatori delle pratiche agricole e di trasformazione effettuate dagli
agricoltori. Soprattutto nel mondo del “vino naturale”, che spesso rifiuta in
toto la disciplina del biologico, la pratica dell’autocertificazione, lanciata nell’ambito del progetto Critical Wine, è stata recepita
come soluzione libertaria e trasparente al problema.
Oramai da qualche
anno, però, insieme ed accanto ai Gruppi di Acquisto Solidali, sono nate e si
sono sviluppate alcune esperienze che, partendo proprio dal concetto di
autocertificazione, hanno portato una profonda innovazione all’idea stessa di
“certificazione”: nei Sistemi di Garanzia Partecipata (PGS) la partecipazione
diretta dei produttori, consumatori ed altri parti interessate nei processi di
verifica non solo è incoraggiata ma viene richiesta. Questo coinvolgimento è
realistico e praticabile dato che i PGS sono verosimilmente adatti a piccoli
produttori e a mercati locali o vendita diretta. I costi della partecipazione
sono bassi e principalmente prendono la forma di impegno volontario di tempo
piuttosto che di spesa economica. Inoltre la documentazione cartacea è ridotta
al minimo, rendendo il sistema più accessibile ai piccoli operatori.
Gli elementi
chiave della garanzia partecipata sono:
Partecipazione. La credibilità del sistema è una
conseguenza della partecipazione attiva di tutti gli attori.
Progetto
condiviso. Cioè produttori
e consumatori devono condividere consapevolmente i principi ispiratori del PGS.
Trasparenza. Tutti gli attori coinvolti devono avere un
buon livello di consapevolezza delle modalità di funzionamento dl sistema.
Fiducia. Il sistema si basa sulla convinzione,
diffusa tra tutti gli attori, che i produttori agiscono in buona fede e che la
“garanzia resa” sia espressione di tale affidamento.
Apprendimento. La “garanzia” deve tradursi in un processo
di apprendimento collettivo permanente, che irrobustisce tutta la rete
coinvolta.
Orizzontalità. Tutti gli attori coinvolti nel PGS devono
condividere il medesimi livello di responsabilità e competenza nel processo.
Esperienze attive
sono ad esempio quelle di ASCI Toscana o di Campi Aperti. In questi casi
consumatori e produttori visitano le aziende agricole, approfondiscono la
conoscenza dei prodotti e dei metodi agricoli, controllano che tutto sia
corrispondente a quanto dichiarato dall’agricoltore in modo da creare una sorta
di “credibilità sociale” che vale molto di più rispetto al bollino dell’ente
certificatore basato essenzialmente su controlli cartacei.
La domanda è: possono
i PGS essere applicati al movimento del vino naturale? In che modo? Con quali
finalità?
Etichette:
agricoltura biologica,
biodinamica,
critical wine
venerdì 3 agosto 2012
L'isola del cinema
Reduce da una due giorni romana all'insegna del grande cinema (a proposito: L'emploi du temp di Cantet e Sunday di Nossiter sono due film eccezionali) e del vino naturale, resta una riflessione di fondo sul valore di queste commistioni: come vignaioli artigiani stiamo sfruttando ancora poco il gigantesco potenziale insito nei nostri vini e nel nostro lavoro.
Sta emergendo chiaramente negli ultimi anni come il nostro atto creativo sia un atto eminentemente culturale - forse non artistico come mi ha fatto notare Giovanni Bietti - ma certamente culturale (nell'accezione più moderna del termine "cultura"). Ma se è così, il confronto nell'ambito della cultura e dei suoi circuiti, deve divenire sempre di più il nostro obiettivo, la nostra missione. Come scrivevo recentemente (qui), dovremmo davvero rivoluzionare il modo con cui organizziamo i nostri saloni e cercare quanto più possibile la contaminazione con altre forme di cultura: il cinema, come sta facendo benissimo Jonathan Nossiter, ma anche la musica, la letteratura, la poesia. Immaginando laboratori innovativi e coinvolgenti che possano creare circuiti virtuosi, anche commercialmente, e che possano svecchiare definitivamente il mondo dell'agricoltura, rendendolo sempre più protagonista di una vera e propria rinascita.
Sta emergendo chiaramente negli ultimi anni come il nostro atto creativo sia un atto eminentemente culturale - forse non artistico come mi ha fatto notare Giovanni Bietti - ma certamente culturale (nell'accezione più moderna del termine "cultura"). Ma se è così, il confronto nell'ambito della cultura e dei suoi circuiti, deve divenire sempre di più il nostro obiettivo, la nostra missione. Come scrivevo recentemente (qui), dovremmo davvero rivoluzionare il modo con cui organizziamo i nostri saloni e cercare quanto più possibile la contaminazione con altre forme di cultura: il cinema, come sta facendo benissimo Jonathan Nossiter, ma anche la musica, la letteratura, la poesia. Immaginando laboratori innovativi e coinvolgenti che possano creare circuiti virtuosi, anche commercialmente, e che possano svecchiare definitivamente il mondo dell'agricoltura, rendendolo sempre più protagonista di una vera e propria rinascita.
lunedì 23 luglio 2012
Festa mesta
La domanda è: come è possibile che Einaudi abbia pubblicato un libro insulso, brutto e inutile come Che la festa cominci di Niccolò Ammaniti?
Io capisco che un buon scrittore, come è l'autore di Ti prendo e ti porto via, possa fare un passo falso. Essere in crisi. Non riuscire a scrivere una nuova storia credibile e affascinante. Quello che è inconcepibile è che una casa editrice che rappresenta la storia della letteratura e della cultura italiane si sia prestata ad una pubblicazione del genere. Pare la fotografia di questa Italia che non riesce a risollevarsi: ma se cede anche la cultura, allora siamo davvero finiti. Einaudi non può pubblicare roba simile. Ve ne regalo una briciola. Per capire di cosa sto parlando:
- Sono uscita da una storia difficile con un tipo che si voleva male. In altre parole, uno stronzo. E io dietro a lui ho rischiato di morire. Mi hanno salvato la comunità di don Toniolo e la fede.
Mentre Larita parlava, Fabrizio si ricordò di aver letto da qualche parte che lei era stata fidanzata con un cantante tossico e che per poco non erano morti di overdose.
- E poi una volta tornata alla vita non ho avuto il coraggio di farmi altre storie. Ho paura di incontrare un altro stronzo. Anche se stare soli, alle volte, è un pò triste.
Fabrizio la tirò a sé e le cinse la vita. - Noi due potremmo stare bene insieme. Me lo sento.
Agghiacciante. Cesare Pavese si rivolta nella tomba. Ma dico, non c'era un editor, un direttore editoriale, un correttore di bozze che si sia posto la questione della qualità di questo romanzo? Perché io capisco il pulp, capisco la farsa, capisco il grottesco... Ma penso ancora che tutto ciò che pubblica un editore come Einaudi dovrebbe avere in sé un potenziale di bellezza fuori dal comune. Altrimenti meglio lasciar perdere.
Io capisco che un buon scrittore, come è l'autore di Ti prendo e ti porto via, possa fare un passo falso. Essere in crisi. Non riuscire a scrivere una nuova storia credibile e affascinante. Quello che è inconcepibile è che una casa editrice che rappresenta la storia della letteratura e della cultura italiane si sia prestata ad una pubblicazione del genere. Pare la fotografia di questa Italia che non riesce a risollevarsi: ma se cede anche la cultura, allora siamo davvero finiti. Einaudi non può pubblicare roba simile. Ve ne regalo una briciola. Per capire di cosa sto parlando:
- Sono uscita da una storia difficile con un tipo che si voleva male. In altre parole, uno stronzo. E io dietro a lui ho rischiato di morire. Mi hanno salvato la comunità di don Toniolo e la fede.
Mentre Larita parlava, Fabrizio si ricordò di aver letto da qualche parte che lei era stata fidanzata con un cantante tossico e che per poco non erano morti di overdose.
- E poi una volta tornata alla vita non ho avuto il coraggio di farmi altre storie. Ho paura di incontrare un altro stronzo. Anche se stare soli, alle volte, è un pò triste.
Fabrizio la tirò a sé e le cinse la vita. - Noi due potremmo stare bene insieme. Me lo sento.
Agghiacciante. Cesare Pavese si rivolta nella tomba. Ma dico, non c'era un editor, un direttore editoriale, un correttore di bozze che si sia posto la questione della qualità di questo romanzo? Perché io capisco il pulp, capisco la farsa, capisco il grottesco... Ma penso ancora che tutto ciò che pubblica un editore come Einaudi dovrebbe avere in sé un potenziale di bellezza fuori dal comune. Altrimenti meglio lasciar perdere.
venerdì 13 luglio 2012
lunedì 9 luglio 2012
Il professor Monti e la nuova manovra
Qualche tempo fa, mentre discutevo sul decreto Salva Italia con alcuni amici cui il governo Monti non dispiaceva, ho sostenuto che comunque sarebbe servita una nuova manovra. L'ho pure scritto qui: la data è quella del 16 dicembre 2011. Monti ha sempre smentito in questi mesi che dopo il "Salva Italia" servisse una nuova manovra.
In questi giorni si parla di "Spending review", di tagli a giustizia e sanità, di accorpamenti di province. In linea di principio ci sono anche alcune misure corrette. Ma come la vogliamo chiamare questa "Spending review" se non "manovra aggiuntiva"? Il professor Monti è pure furbo. Questa è di fatto una piccola finanziaria che trova in alcuni tagli le risorse per evitare l'aumento dell'Iva al 23% (che sarebbe un disastro). Ma cos'è questa se non una manovra aggiuntiva di finanza pubblica? E quante ne serviranno ancora per salvare quest'Italia?
La realtà è che il gettito fiscale non sta andando bene causa recessione, dunque lo sbandierato pareggio di bilancio del 2013 si allontana. Non pareggiare il bilancio nel 2013 - dopo averlo annunciato - sarebbe un segnale pessimo, specie con lo spread che veleggia anche oggi a 480. Dunque, ancora tagli. Lasciare a casa qualche migliaia di esuberi in Pubblica Amministrazione fa risparmiare soldi ma deprime ulteriormente la domanda aggregata... Ma, oops! questo è Keynes, troppo fuori dal paradigma che ci ha portato al disastro...
Ribadisco quanto già scritto: l'unica strada per l'Italia sono misure straordinarie che riducano considerevolmente lo stock di debito (patrimoniale sui grandi patrimoni, contributo una tantum - tassa di scopo, tassazione rendite, vendita parte del patrimonio pubblico inefficiente, ritiro da tutte le "missioni di pace", taglio delle spese militari); con il forte risparmio di interessi sul debito lancio di un grande piano per lo sviluppo (non la crescita!), con investimenti in formazione, green economy, piccole opere, turismo e cultura, oltre a politiche di progressiva riduzione delle imposte (a cominciare dall'IRAP).
Ovvio: tutto ciò Monti non lo può fare, data la maggioranza vigente in Parlamento. E allora? Allora si cambi in fretta la legge elettorale e si vada a votare al più presto.
Il problema sarà chi cazzo votare.
In questi giorni si parla di "Spending review", di tagli a giustizia e sanità, di accorpamenti di province. In linea di principio ci sono anche alcune misure corrette. Ma come la vogliamo chiamare questa "Spending review" se non "manovra aggiuntiva"? Il professor Monti è pure furbo. Questa è di fatto una piccola finanziaria che trova in alcuni tagli le risorse per evitare l'aumento dell'Iva al 23% (che sarebbe un disastro). Ma cos'è questa se non una manovra aggiuntiva di finanza pubblica? E quante ne serviranno ancora per salvare quest'Italia?
La realtà è che il gettito fiscale non sta andando bene causa recessione, dunque lo sbandierato pareggio di bilancio del 2013 si allontana. Non pareggiare il bilancio nel 2013 - dopo averlo annunciato - sarebbe un segnale pessimo, specie con lo spread che veleggia anche oggi a 480. Dunque, ancora tagli. Lasciare a casa qualche migliaia di esuberi in Pubblica Amministrazione fa risparmiare soldi ma deprime ulteriormente la domanda aggregata... Ma, oops! questo è Keynes, troppo fuori dal paradigma che ci ha portato al disastro...
Ribadisco quanto già scritto: l'unica strada per l'Italia sono misure straordinarie che riducano considerevolmente lo stock di debito (patrimoniale sui grandi patrimoni, contributo una tantum - tassa di scopo, tassazione rendite, vendita parte del patrimonio pubblico inefficiente, ritiro da tutte le "missioni di pace", taglio delle spese militari); con il forte risparmio di interessi sul debito lancio di un grande piano per lo sviluppo (non la crescita!), con investimenti in formazione, green economy, piccole opere, turismo e cultura, oltre a politiche di progressiva riduzione delle imposte (a cominciare dall'IRAP).
Ovvio: tutto ciò Monti non lo può fare, data la maggioranza vigente in Parlamento. E allora? Allora si cambi in fretta la legge elettorale e si vada a votare al più presto.
Il problema sarà chi cazzo votare.
domenica 1 luglio 2012
Growin' up with Bruce
Era il pomeriggio dell'11 giugno 1988 quando Massi, Paolo ed io entravamo, sedicenni, allo Stadio Comunale di Torino per inseguire il Sogno. Senza ancora sapere che da quell'esperienza ne saremmo usciti diversi. Sono passati gli anni, e la fiaccola del rock'n'roll ha continuato a girare per il mondo. Con alti e bassi, dentro a diluvi pasquali, dentro ai fantasmi di Tom Joad, fra le note di una Jungleland da sempre sognata, nella rabbia di un'America umiliata dall'11 settembre prima, e da un presidente idiota poi, nelle pieghe del folk delle origini, con le illusioni di un nuovo presidente nero. Il rock, quella combinazione strana di musica e teatro, di poesia e fisicità, di sogno e realtà.
Ecco, siamo cresciuti con Bruce. Adolescenti, ragazzi, uomini, padri.
Così, a chiudere il cerchio, l'11 giugno 2012, esattamente ventiquattro anni dopo, entravo allo stadio Nereo Rocco con mio figlio Giacomo a vedere nuovamente il Jersey Devil dare tutto e di più in quella che è tuttora l'ultima grande messa del rock'n'roll.
venerdì 22 giugno 2012
sabato 16 giugno 2012
L'ortica, l'equiseto, e la riduzione del rame
Da quest'anno abbiamo cominciato a lavorare anche con le tisane. Abbiamo iniziato con il macerato di ortica, che cresce in dosi massicce intorno all'agriturismo. L'abbiamo raccolta, l'abbiamo messa in acqua (10 lt. di acqua non clorata per 1 kg. di ortica fresca) e l'abbiamo lasciata macerare. Poi abbiamo bloccato la fermentazione con dell'aceto. Infine abbiamo filtrato la massa.
Il preparato è stato poi spruzzato un paio di volte. L'ortica dovrebbe avere un effetto sia come anti parassitario sia come stimolatore e regolatore della crescita. Poi abbiamo anche usato l'equiseto, finora nella sua preparazione "commerciale" della Cerrus (c.f.r. Fondazione Le Madri). A breve, però, proviamo a prepararci in casa anche il macerato di equiseto, visto che ne ho riscontrato la presenza notevole lungo alcuni fossi qui vicino.
Il tutto è finalizzato a ridurre ulteriormente le dosi di rame e zolfo utilizzate. Quest'anno, complice una stagione finora piuttosto asciutta, dovremmo riuscire a non superare i 2 kg. di rame metallo ad ettaro senza mettere a rischio la sanità delle uve. Un risultato che ci riempie di orgoglio.
Il preparato è stato poi spruzzato un paio di volte. L'ortica dovrebbe avere un effetto sia come anti parassitario sia come stimolatore e regolatore della crescita. Poi abbiamo anche usato l'equiseto, finora nella sua preparazione "commerciale" della Cerrus (c.f.r. Fondazione Le Madri). A breve, però, proviamo a prepararci in casa anche il macerato di equiseto, visto che ne ho riscontrato la presenza notevole lungo alcuni fossi qui vicino.
Il tutto è finalizzato a ridurre ulteriormente le dosi di rame e zolfo utilizzate. Quest'anno, complice una stagione finora piuttosto asciutta, dovremmo riuscire a non superare i 2 kg. di rame metallo ad ettaro senza mettere a rischio la sanità delle uve. Un risultato che ci riempie di orgoglio.
giovedì 24 maggio 2012
C'era una volta "Terra e Libertà" - Seconda parte
Terra Libertà/Critical Wine aveva posto tre grandi problemi: l’autocertficazione, il prezzo sorgente, le Denominazioni Comunali. Erano tre giganteschi spunti di riflessione su cui costruire una agenda politica per i prossimi decenni nel mondo del vino italiano: la scomparsa di Gino e l’agonia dei movimenti hanno certamente pesato sulla chiusura del dibattito.
Le divisioni fra produttori e la deriva “commerciale” hanno fatto il resto. Col risultato che le commissioni assaggio DOC bocciano i nostri vini e la nostra reazione “tipo” è: chissenefrega declasso tutto, tanto il vino lo vendo lo stesso. Regalando le denominazioni, che sono beni comuni, agli industriali.
Nel frattempo nelle associazioni “naturali” è all’ordine del giorno il tema delle espulsioni e delle analisi per controllare chi fa il furbo… Tutto bene. Tutto comprensibile.
Però mi chiedo: non eravamo libertari? Non ne avevamo piene le scatole dei controllori e burocrazia? Non c’è il rischio di gossip e delazioni, soprattutto considerando che si tratta di associazioni private e non di enti terzi “super partes”? E’ questo che vogliamo? Una polizia Contadina?
Non volevamo invece costruire co-produttori, consumatori in grado di discernere l’autentico? E cosa pensiamo di chi magari ha zero residui in un vino ma sfrutta manodopera in nero? E’ naturale? E di chi ha zero residui in un vino prodotto ma spiana una collina per piantarci un vigneto? E’ naturale? E’ controllabile dalla polizia contadina?
Tutto ciò suona folle. Come suona folle la volontà di una ricerca scientifica “privata”. Sono i miliardari, generalmente, a finanziare privatamente la ricerca. E non lo fanno mai a scopo di beneficenza. La ricerca e la scienza devono essere pubbliche e pubblicamente confutabili. Sinceramente apprezzo maggiormente chi fa riferimento ai saperi tradizionali o chi se ne frega della scienza ufficiale e crede nelle forze dello spirito, di chi crede che si possa scoprire chissà quale Santo Graal della fermentazione spontanea.
L’autocertificazione ha fatto una brutta fine ma il prezzo sorgente è finito peggio. E’ talmente sparito il problema dei prezzi dal dibattito che oggi è quasi impossibile trovare vini naturali a prezzi umani. E spesso si trovano più cari nei mercati che sul Mercato. Certo, l’idea così come era nata non era forse granché… Ma da qui a far sparire il problema, ce ne corre.
Le Denominazioni Comunali, in compenso, sono state depotenziate e regalate a un paio di siti e a qualche Comune che ne fa “Testimonianza”. L’idea di Gino era quella di rivoluzionare il sistema delle denominaizioni di origine (sic): non poca la distanza fra la teoria e la prassi, a testimoniare il Vuoto che si apre innanzi a noi proprio nel momento del massimo successo dei vini naturali.
C’è voglia di ricominciare una riflessione su tutto ciò? L’alternativa è semplice: abbiamo dei prodotti richiesti, degli ottimi vini naturali apprezzati da un mercato in crescita. Possiamo fermarci a questo, che è già tanto, tantissimo, in un momento di crisi. Nessuno lo nega.
Ma ci basta? E, soprattutto, basta in prospettiva? Oppure è solo come rinviare una guerra (e intanto l’avversario affina le armi)?
In questo quadro penso che ritrovare una qualche unità sia impresa ardua se non impossibile. L’unica strada, a mio avviso, sarebbe quella di separare definitivamente l’aspetto commerciale (fiere e mercati) dall’aspetto più strettamente politico-culturale.
Io credo che la tanto vituperata “nicchia” costituisca un ottimo punto di partenza se osservata dal punto di vista di una comunità che si è incontrata sulla strada in questi anni.
Ecco, allora, una prima idea che mi viene per uscire dall’impasse: gli “Stati generali” del vino critico. Un grande momento di aggregazione e socializzazione di esperienze, vissuti, discussioni, ricerche dove mettere assieme tutti i soggetti che a diverso titolo si sono occupati di vino naturale o agricoltura contadina in questo decennio. Non una fiera, ma un grande happening aperto, un momento di riflessione “politica” sul tema. Un grande Critical Wine Forum Europeo, un festival del vino "alternativo", con seminari, discussioni, concerti, assemblee, degustazioni, proiezioni, letture. Un appuntamento annuale in grado di produrre un linguaggio comune, una cultura condivisa, una trasmissione di saperi. Con la prospettiva di aprire una rete nazionale che sia in grado poi di strutturarsi nelle singole regioni attraverso momenti locali di aggregazione.
Il vino non più come “fine” ma come “mezzo”: strumento potente di convivialità ed approfondimento culturale Per parlare di agricoltura e modelli di sviluppo.
Su questa strada – io credo - potremo incontrare soggetti che il vino, per ora, lo hanno solo sfiorato (reti di economia solidale, gruppi di acquisto, circoli culturali, associazioni agricole indipendenti) e pratiche ancora poco usate nel vino come la “garanzia partecipata”, unica risposta davvero alternativa alle certificazioni di qualità.
Rimettersi in discussione, quindi. Ripartire da zero, in un certo senso.
Superare l’idea commerciale di “fiera”, lasciando il commercio alle singole scelte aziendali e muovendosi, invece, a livello aggregato verso una riflessione culturale, filosofica, politica.
In una parola: superare il marketing del “naturale”.
Andare oltre il “vino naturale”.
Le divisioni fra produttori e la deriva “commerciale” hanno fatto il resto. Col risultato che le commissioni assaggio DOC bocciano i nostri vini e la nostra reazione “tipo” è: chissenefrega declasso tutto, tanto il vino lo vendo lo stesso. Regalando le denominazioni, che sono beni comuni, agli industriali.
Nel frattempo nelle associazioni “naturali” è all’ordine del giorno il tema delle espulsioni e delle analisi per controllare chi fa il furbo… Tutto bene. Tutto comprensibile.
Però mi chiedo: non eravamo libertari? Non ne avevamo piene le scatole dei controllori e burocrazia? Non c’è il rischio di gossip e delazioni, soprattutto considerando che si tratta di associazioni private e non di enti terzi “super partes”? E’ questo che vogliamo? Una polizia Contadina?
Non volevamo invece costruire co-produttori, consumatori in grado di discernere l’autentico? E cosa pensiamo di chi magari ha zero residui in un vino ma sfrutta manodopera in nero? E’ naturale? E di chi ha zero residui in un vino prodotto ma spiana una collina per piantarci un vigneto? E’ naturale? E’ controllabile dalla polizia contadina?
Tutto ciò suona folle. Come suona folle la volontà di una ricerca scientifica “privata”. Sono i miliardari, generalmente, a finanziare privatamente la ricerca. E non lo fanno mai a scopo di beneficenza. La ricerca e la scienza devono essere pubbliche e pubblicamente confutabili. Sinceramente apprezzo maggiormente chi fa riferimento ai saperi tradizionali o chi se ne frega della scienza ufficiale e crede nelle forze dello spirito, di chi crede che si possa scoprire chissà quale Santo Graal della fermentazione spontanea.
L’autocertificazione ha fatto una brutta fine ma il prezzo sorgente è finito peggio. E’ talmente sparito il problema dei prezzi dal dibattito che oggi è quasi impossibile trovare vini naturali a prezzi umani. E spesso si trovano più cari nei mercati che sul Mercato. Certo, l’idea così come era nata non era forse granché… Ma da qui a far sparire il problema, ce ne corre.
Le Denominazioni Comunali, in compenso, sono state depotenziate e regalate a un paio di siti e a qualche Comune che ne fa “Testimonianza”. L’idea di Gino era quella di rivoluzionare il sistema delle denominaizioni di origine (sic): non poca la distanza fra la teoria e la prassi, a testimoniare il Vuoto che si apre innanzi a noi proprio nel momento del massimo successo dei vini naturali.
C’è voglia di ricominciare una riflessione su tutto ciò? L’alternativa è semplice: abbiamo dei prodotti richiesti, degli ottimi vini naturali apprezzati da un mercato in crescita. Possiamo fermarci a questo, che è già tanto, tantissimo, in un momento di crisi. Nessuno lo nega.
Ma ci basta? E, soprattutto, basta in prospettiva? Oppure è solo come rinviare una guerra (e intanto l’avversario affina le armi)?
In questo quadro penso che ritrovare una qualche unità sia impresa ardua se non impossibile. L’unica strada, a mio avviso, sarebbe quella di separare definitivamente l’aspetto commerciale (fiere e mercati) dall’aspetto più strettamente politico-culturale.
Io credo che la tanto vituperata “nicchia” costituisca un ottimo punto di partenza se osservata dal punto di vista di una comunità che si è incontrata sulla strada in questi anni.
Ecco, allora, una prima idea che mi viene per uscire dall’impasse: gli “Stati generali” del vino critico. Un grande momento di aggregazione e socializzazione di esperienze, vissuti, discussioni, ricerche dove mettere assieme tutti i soggetti che a diverso titolo si sono occupati di vino naturale o agricoltura contadina in questo decennio. Non una fiera, ma un grande happening aperto, un momento di riflessione “politica” sul tema. Un grande Critical Wine Forum Europeo, un festival del vino "alternativo", con seminari, discussioni, concerti, assemblee, degustazioni, proiezioni, letture. Un appuntamento annuale in grado di produrre un linguaggio comune, una cultura condivisa, una trasmissione di saperi. Con la prospettiva di aprire una rete nazionale che sia in grado poi di strutturarsi nelle singole regioni attraverso momenti locali di aggregazione.
Il vino non più come “fine” ma come “mezzo”: strumento potente di convivialità ed approfondimento culturale Per parlare di agricoltura e modelli di sviluppo.
Su questa strada – io credo - potremo incontrare soggetti che il vino, per ora, lo hanno solo sfiorato (reti di economia solidale, gruppi di acquisto, circoli culturali, associazioni agricole indipendenti) e pratiche ancora poco usate nel vino come la “garanzia partecipata”, unica risposta davvero alternativa alle certificazioni di qualità.
Rimettersi in discussione, quindi. Ripartire da zero, in un certo senso.
Superare l’idea commerciale di “fiera”, lasciando il commercio alle singole scelte aziendali e muovendosi, invece, a livello aggregato verso una riflessione culturale, filosofica, politica.
In una parola: superare il marketing del “naturale”.
Andare oltre il “vino naturale”.
Etichette:
agricoltura biologica,
biodinamica,
critical wine,
moralista,
vino naturale
martedì 22 maggio 2012
C’era una volta “Terra e Libertà” - Parte Prima
Ho passato l’ultimo anno senza partecipare a fiere e mercati con l’intenzione di riflettere un pò sulla questione “vini naturali” o “viticoltura artigiana” o “agricoltura critica”, chiamatela come vi pare. Ovviamente ho le idee più confuse di prima.
Nel frattempo Porthos ha chiuso i battenti, i biodinamici sono tornati al Vinitaly, si moltiplicano le fiere che fanno riferimento all’idea di “naturale o “biologico” o “biodinamico”. Spesso celando interessi o personaggi ben poco chiari.
Da tempo avevo l’impressione che quella grande rivoluzione che all’inizio dello scorso decennio ha innovato fortemente il mondo del vino stesse un pò franando sotto i colpi della reazione industriale. E’ tipico del capitalismo divorare ogni sussulto “alternativo” creando immediatamente gli anticorpi: ci abbiamo fatto l’abitudine. Ciò che stupisce, in qualche modo, è la velocità della reazione. Alcune aziende che solo nel 2002 erano uscite da Vinitaly tentando una qualche forma di alternativa solo dieci anni dopo vi rientrano, e con tutti gli onori della cronaca.
Sia ben chiaro: non ho nulla contro la partecipazione al Vinitaly di una azienda commerciale. L’ho fatto anche io e magari lo farò ancora.
Quello che stupisce sono le modalità: il grande ritorno non avviene singolarmente ma in gruppo, attraverso l’immagine di un movimento, o perlomeno di una sua parte. Questo è avvenuto senza alcun tipo di dibattito, di elaborazione, di partecipazione.
Sono il primo a congratularmi del successo commerciale di ViViT. Ma certo d’ora innanzi, a mio avviso, niente sarà più come prima. I due grandi filoni del nostro movimento, infatti, Vini Veri e Critical Wine condividevano almeno una cosa: che Vinitaly non era il luogo adatto per parlare di agricoltura contadina. Poi vennero Vinnatur, la TriplaA e compagnia bella. Ma l’intuizione iniziale restava piuttosto chiara: la rivoluzione del vino passava attraverso una critica culturale all’egemonia dei grandi gruppi industriali. Quelli che fanno le leggi, quelli che fanno i disciplinari, quelli che indirizzano il mercato.
In questo decennio le contaminazioni da noi portate, attraverso le fiere, i mercati, le assemblee ma anche attraverso i pezzi di movimento che ci sono stati a fianco, hanno seminato idee e pratiche nuove ma, ciò che è più importante, hanno educato un’intera fascia di cittadini co-produttori ad un nuovo modo di avvicinare il vino.
Senza tutto questo il famigerato claim “vino naturale” non avrebbe avuto il successo che giustamente ha. Di fatto abbiamo “creato” un mercato. Quello stesso “mercato” che ora distributori, agenti, rappresentanti, giornalisti, ecc. reclamano come fosse un proprio orticello: dieci anni fa era relegato ai margini. Ci sono voluti gli sforzi e le scelte spesso difficili di molti di noi, le intuizioni di un Gino Veronelli o di un Sandro Sangiorgi, l’impegno dei tanti che si sono sbattuti quando eravamo una minuscola nicchia di gente “strana”.
Ecco perché io credo che quando si fanno delle scelte che chiamano in causa un intero movimento si debba pensare a questo “capitale sociale”, a questa credibilità collettiva, a questa “comunità” che si erano andati costruendo nel tempo.
Conosco perfettamente i ragionamenti fatti in questi mesi: l’uscire dalla nicchia, il parlare ad una platea più ampia, la voglia di crescere economicamente. Sono pure d’accordo, in linea di principio. Senza reddito l’agricoltura contadina è destinata a scomparire. Senza reddito, non ci può essere il ritorno alla terra che auspichiamo.
Il punto è: non eravamo già usciti dalla nicchia? Se vado in America, nelle liste di vino dei migliori ristoranti vedo un sacco di vini del “nostro giro”; in Giappone è boom di vini naturali; non c’è azienda che non abbia importatori in giro per il mondo; sui blog come sulle riviste mainstream non si parla d’altro che di biodinamica o di naturalità.
Non è che adesso vogliamo andare oltre? Che si vuole crescere e crescere e crescere e produrre di più e vendere di più, alla faccia di Latouche e della artigianalità?
Se, infatti, penso oggi ai “vini naturali” penso innanzitutto ad una grandissima operazione di marketing che ha creato un potentissimo strumento di attrazione commerciale. Un claim che mette assieme modernità e tradizione ma il cui potenziale è divenuto solo ed esclusivamente commerciale.
Il vino si deve anche vendere, si dice. La mia impressione è che ormai siamo arrivati (o tornati) al punto in cui “il vino si deve solo vendere”.
E allora qual è la differenza fra noi e gli altri? Non può essere semplicemente la sostenibilità o l’attenzione alla salute dei consumatori. Qui, nel giro di vent’anni, arriveranno tutti, volenti o nolenti. Il punto, semmai, è “come”.
La nuova legge sul biologico ci racconta il “come” ci si arriverà.
Aver abbassato la guardia sui contenuti culturali e politici ci rende vulnerabili e incapaci di trovare risposte. A breve saremo invasi da vini biologici con 150 mg/lt. di solforosa, enzimi e tannini enologici. E però… Tutti contenti al Vinitaly a spiegare che noi siamo diversi…
A breve la seconda parte del ragionamento.
Etichette:
agricoltura biologica,
biodinamica,
critical wine,
vino naturale
martedì 8 maggio 2012
sabato 5 maggio 2012
Primavera a Cupramontana
Passeggiando nel vigneto di San Michele in una spettacolare giornata di primavera.
Etichette:
agricoltura biologica,
biodinamica,
primavera
sabato 28 aprile 2012
La fabbrica dell'uomo indebitato
Ho appena finito uno di quei libri che ti lasciano col fiato sospeso. No, non è un thriller. Meglio: è un thriller ma non è finzione. Riguarda l'attuale crisi economica, letta con un respiro un pò più ampio rispetto al consueto "serve la crescita!" che ormai risuona a destra come a sinistra.
La fabbrica dell'uomo indebitato (sottotitolo: saggio sulla condizione neoliberista) è un pamphlet filosofico edito da DeriveApprodi che rilegge Marx e Nietzsche, Deleuze/Guattari e Foucault alla luce della nuova grande depressione, analizzando in modo spietato ed eterodosso gli ultimi trent'anni di costruzione del modello economico neoliberista.
Ne esce un processo di distruzione di alcuni capisaldi della sinistra riformista, così come una interessante indagine sociologica sul debito, sul precariato, sui working poors: in definitiva su un nuovo soggetto sociale tipico della post-mosernità, l'uomo indebitato appunto.
Qualche forzatura c'è, eppure l'analisi nel suo complesso ha una forza notevole, specie nella parte relativa alla moneta ed al ruolo centrale di certo monetarismo nella creazione della economia del debito e di un sistema economico dove, contrariamente al bla bla bla imperante, speculazione finanziaria ed economia reale sono inscindibili e strettamente connessi. Col risultato dirompente di negare il futuro, di riprodurre un eterno status quo, di impedire la libera espressione delle scelte individuali e collettive.
L'economia del debito riconfigura anzitutto il potere sovrano dello Stato, neutralizzando e facendo concorrenza a una delle sue regie prerogative, la sovranità monetaria ovvero il potere di creazione e distruzione della moneta. Negli anni settanta, la finanza ha avviato un processo di privatizzazione della moneta, che si è sviluppato in un secondo tempo e che è, per altro verso, la madre di tutte le privatizzazioni... La moneta scritturale, moneta che si esprime con semplici giochi di scrittura, viene emessa dalle banche private a partire da un debito - debito che in tal modo ne diventa l'intrinseca natura, così da prendere il nome di "moneta debito" o ancora di "moneta credito". Essa non è ricondotta ad alcun parametro materiale, non rimanda ad alcuna sostanza se non alla relazione col debito stesso. Così, con la moneta scritturale, non solo si produce il debito, ma la stessa moneta è "debito" e nient'altro che una relazione di potere tra creditore e debitore. All'interno della zona euro, l'emissione di moneta/debito privato rappresenta il 92,1% del totale della moneta in circolazione nell'aggregato monetario più importante (pag. 110)
Nella sua genealogia e nel suo sviluppo, la crisi dei subprime mostra il funzionamento di un blocco di potere, in cui l'economia "reale", la finanza e lo Stato costituiscono gli ingranaggi di uno stesso dispositivo e di uno stesso progetto politico, che abbiamo chiamato economia del debito. Anche qui, l'economia reale e la speculazione finanziaria sono indivisibili... Il dipendente e l'utente della previdenza sociale devono rispettivamente guadagnare e spendere il meno possibile per ridurre il costo del lavoro e il costo della previdenza sociale, mentre i consumatori devono spendere il più possibile per smaltire la produzione. Ma, nel capitalismo contemporaneo, il dipendente, l'utente e il consumatore finale coincidono. Ed è la finanza a pretendere di risolvere questo paradosso. La crescita economica neoliberista determina differenziali di reddito e di potere sempre più importanti, impoverendo i salariati, gli utenti e una parte della classe media, mentre pretende, dall'altro, di arricchirli, con un meccanismo molto ben esemplificato dai crediti subprime: ridistribuire redditi senza intaccare i profitti, ridistribuire redditi riducendo le imposte (soprattutto ai ricchi e alle imprese), ridistribuire redditi tagliando i salari e le spese sociali. In questa condizione di deflazione salariale e di distruzione di Stato sociale, per arricchire tutti non resta altro che il ricorso al credito. Come funziona questa politica? "Hai un salario basso, non c'è problema! Indebitati per comprare una casa, il suo valore aumenterà e diventerà la garanzia per altri prestiti". Ma non appena aumentano i tassi di interesse, questo meccanismo di "distribuzione" dei redditi - attraverso il debito e la finanza - crolla. (pagg. 122-123)
Sono solo alcuni brani di un libro del quale consiglio una lettura attenta e approfondita, nonché libera da filtri ideologici. Letto accanto all'ultimo Latouche (Per un'abbondanza frugale - Malintesi e controversie sulla decrescita) è un ulteriore tassello alla riflessione oramai sempre più necessaria sul tramonto del capitalismo (almeno per come lo abbiamo conosciuto).
mercoledì 11 aprile 2012
Facile profeta
Non è mai bello sapere di avere ragione quando in ballo c'è la salute pubblica.
In tempi non sospetti avevo scritto alcuni pezzi: la fine di un mondo, fuori dalla crisi? e ancora il default morale. Anche in questo post, Economisti, brutta razza, avevo inserito qualche riferimento alla realtà degli ultimi anni.
Ieri la borsa ha registrato l'ennesimo crollo ed il famigerato spread negli ultimi giorni è risalito. La disoccupazione è a livelli spaventosi, non passa giorno senza che qualche azienda chiuda, la situazione dei giovani è disperata. In questo contesto, tremendo in Italia ma non certo roseo in Spagna e Francia o Stati Uniti d'America, le politiche economiche nazionali in tutto il mondo vanno verso una direzione opposta a quella che sarebbe richiesta dalla ragione ovvero suggerita da un pizzico di verità storica.
L'esempio del tira e molla sul mercato del lavoro è emblematico: tutti i guru dell'economia a blaterare sulla necessità di una maggiore flessibilità. Nessuno che ricordi, anche solo per onestà intellettuale, che la rigidezza del contratto indeterminato era stata pensata esattamente in termini anti-ciclici, per impedire cioé che durante le crisi i licenziamenti "facili" aumentassero la disoccupazione deprimendo ulteriormente la domanda aggregata. Perché ogni lavoratore è anche un consumatore, no?
Ma Keynes è fuori moda dal 1971. Da quando, cioé, i potenti del mondo hanno iniziato la "grande rapina": le politiche neoliberiste che hanno prodotto i guasti della globalizzazione selvaggia della finanza. Quella per cui continuiamo a regalare soldi alle banche e a quel 1% della popolazione mondiale che detiene il monopolio di una oramai fragilissima pseudo-democrazia globale.
Mario Monti è un onesto professore. Credo che lui e la Fornero siano anche profondamente in buona fede. Hanno ereditato macerie da gente come Bossi, e non c'è da aggiungere altro. Il problema è che questo governo è un protettorato della finanza europea. Semplicemente non si può agire con strumenti che fanno riferimento ad un mondo che non c'è più. Pensando alle società del benessere degli anni passati, ad un "mondo occidentale" sviluppato che vive una crisi passeggera...
Cosa aspettano le sinistre globali a prendere posizione? E' davvero tutto finito? Non ci si accorge che è necessaria una gigantesca ristrutturazione dei debiti sovrani? Che dobbiamo cambiare il modo di pensare l'economia stessa?
In tempi non sospetti avevo scritto alcuni pezzi: la fine di un mondo, fuori dalla crisi? e ancora il default morale. Anche in questo post, Economisti, brutta razza, avevo inserito qualche riferimento alla realtà degli ultimi anni.
Ieri la borsa ha registrato l'ennesimo crollo ed il famigerato spread negli ultimi giorni è risalito. La disoccupazione è a livelli spaventosi, non passa giorno senza che qualche azienda chiuda, la situazione dei giovani è disperata. In questo contesto, tremendo in Italia ma non certo roseo in Spagna e Francia o Stati Uniti d'America, le politiche economiche nazionali in tutto il mondo vanno verso una direzione opposta a quella che sarebbe richiesta dalla ragione ovvero suggerita da un pizzico di verità storica.
L'esempio del tira e molla sul mercato del lavoro è emblematico: tutti i guru dell'economia a blaterare sulla necessità di una maggiore flessibilità. Nessuno che ricordi, anche solo per onestà intellettuale, che la rigidezza del contratto indeterminato era stata pensata esattamente in termini anti-ciclici, per impedire cioé che durante le crisi i licenziamenti "facili" aumentassero la disoccupazione deprimendo ulteriormente la domanda aggregata. Perché ogni lavoratore è anche un consumatore, no?
Ma Keynes è fuori moda dal 1971. Da quando, cioé, i potenti del mondo hanno iniziato la "grande rapina": le politiche neoliberiste che hanno prodotto i guasti della globalizzazione selvaggia della finanza. Quella per cui continuiamo a regalare soldi alle banche e a quel 1% della popolazione mondiale che detiene il monopolio di una oramai fragilissima pseudo-democrazia globale.
Mario Monti è un onesto professore. Credo che lui e la Fornero siano anche profondamente in buona fede. Hanno ereditato macerie da gente come Bossi, e non c'è da aggiungere altro. Il problema è che questo governo è un protettorato della finanza europea. Semplicemente non si può agire con strumenti che fanno riferimento ad un mondo che non c'è più. Pensando alle società del benessere degli anni passati, ad un "mondo occidentale" sviluppato che vive una crisi passeggera...
Cosa aspettano le sinistre globali a prendere posizione? E' davvero tutto finito? Non ci si accorge che è necessaria una gigantesca ristrutturazione dei debiti sovrani? Che dobbiamo cambiare il modo di pensare l'economia stessa?
giovedì 29 marzo 2012
Colpito ed affondato
Di ritorno da Verona. Tre giorni fra Cerea e Vinitaly, più che altro per salutare gli amici, incontrare qualche faccia vista finora solo sui nuovi social-media, respirare l'aria del ViViT.
Alla fine quello che mi è rimasto maggiormente impresso, quello che mi ha davvero colpito ed affondato, è l'editoriale del nuovo numero di Pietre Colorate affidato a Francesco De Franco.
"In natura non esiste il tempo, né tantomeno il tempo lineare, concetto immaginato dagli uomini come una freccia lanciata verso l'infinito, un procedere frazionato e ordinato di azioni utile a pianificare e dominare l'agire degli uomini e funzionale all'idea della crescita illimitata.
Nella nostra contemporaneità l'uomo ha creduto e crede che con l'ausilio della tecnica sia possibile realizzare tutto, dovunque. Penso sia necessario fare un passo indietro e provare a riascoltare la primavera. Vivere intensamente il presente, entrare nel flusso ciclico della natura e cercare di risuonare con essa per riacquisire la sensibilità che la cultura contadina aveva sviluppato in secoli di umile osservazione. Dimenticare il nostro tempo e riconoscere alla natura un ordine superiore alla vanità umana del fare senza limite".
Ecco, queste parole sole valgono più delle mille discussioni su Cerea o Vinnatur o Vinitaly, sui vini naturali o veri o biologici, sulla biodinamica o sulla certificazione. Siamo di fronte ad una contraddizione così radicale che riguarda l'intera dimensione ontologica dell'uomo. Pochi se ne rendono conto, ma la questione della Terra, e dunque solo in ultima istanza del vino naturale, è sempre più al centro di ogni riflessione sullo "sviluppo" o sul "progresso". Ed è una questione così radicale che risulta irriducibile ad ogni pretesa di riduzionismo economico o, peggio, markettaro.
A me fa piacere aver potuto incontrare in questi anni, lunghe le strade che ci hanno portato nelle varie "riserve indiane" del vino contadino - io preferisco chiamarle "comunità" - persone come Francesco. Con le quali è possibile condividere scelte e percorsi, inserendo le nostre identità particolari dentro uno scenario più vasto e generale, filosofico prima che economico.
Forse è possibile ripartire da qui. Da un concetto di comunità organizzata in grado di parlare una lingua differente. Il primo compito, allora, sarebbe quello di trovare un linguaggio.
Alla fine quello che mi è rimasto maggiormente impresso, quello che mi ha davvero colpito ed affondato, è l'editoriale del nuovo numero di Pietre Colorate affidato a Francesco De Franco.
"In natura non esiste il tempo, né tantomeno il tempo lineare, concetto immaginato dagli uomini come una freccia lanciata verso l'infinito, un procedere frazionato e ordinato di azioni utile a pianificare e dominare l'agire degli uomini e funzionale all'idea della crescita illimitata.
Nella nostra contemporaneità l'uomo ha creduto e crede che con l'ausilio della tecnica sia possibile realizzare tutto, dovunque. Penso sia necessario fare un passo indietro e provare a riascoltare la primavera. Vivere intensamente il presente, entrare nel flusso ciclico della natura e cercare di risuonare con essa per riacquisire la sensibilità che la cultura contadina aveva sviluppato in secoli di umile osservazione. Dimenticare il nostro tempo e riconoscere alla natura un ordine superiore alla vanità umana del fare senza limite".
Ecco, queste parole sole valgono più delle mille discussioni su Cerea o Vinnatur o Vinitaly, sui vini naturali o veri o biologici, sulla biodinamica o sulla certificazione. Siamo di fronte ad una contraddizione così radicale che riguarda l'intera dimensione ontologica dell'uomo. Pochi se ne rendono conto, ma la questione della Terra, e dunque solo in ultima istanza del vino naturale, è sempre più al centro di ogni riflessione sullo "sviluppo" o sul "progresso". Ed è una questione così radicale che risulta irriducibile ad ogni pretesa di riduzionismo economico o, peggio, markettaro.
A me fa piacere aver potuto incontrare in questi anni, lunghe le strade che ci hanno portato nelle varie "riserve indiane" del vino contadino - io preferisco chiamarle "comunità" - persone come Francesco. Con le quali è possibile condividere scelte e percorsi, inserendo le nostre identità particolari dentro uno scenario più vasto e generale, filosofico prima che economico.
Forse è possibile ripartire da qui. Da un concetto di comunità organizzata in grado di parlare una lingua differente. Il primo compito, allora, sarebbe quello di trovare un linguaggio.
Etichette:
critical wine,
filosofia,
moralista,
vino naturale
giovedì 15 marzo 2012
martedì 6 marzo 2012
Nausea
Mi rendo conto sempre più che l'anno sabbatico da fiere e mercati che mi sono concesso era assolutamente necessario. Per respirare. Per disintossicarmi. Per riflettere.
Sento sempre più netta una sensazione di fastidio rispetto al "carrozzone" fatto di degustazioni, chiacchiere, discussioni, punteggi, presentazioni, guide. Tutto quel contesto di professionisti, giornalisti, bloggers, nani e ballerine che pare oramai essere più importante del vino stesso.
Non ci accorgiamo, presi oramai dalla frenetica e sempre più onanistica esaltazione da degustazione - anche di vini naturali - che la gente beve sempre meno vino. Che si è perso il gesto, naturale sulle tavole italiane fino a poco tempo fa, di versare del vino per accompagnare un pasto, semplice o elaborato non importa.
Mi era venuta un pò la nausea di tutto quel chiacchiericchio pseudo-tecnico intorno ad un calice assaggiato in mezzo alla ressa, al casino, alla bolgia delirante di decine di fiere, piccole o grandi che fossero. Che il vino a me è sempre piaciuto berlo a larghe sorsate, a tavola, in compagnia, mangiando e conversando d'altro, e magari solo incidentalmente di vino. Quasi che il vino sia il mezzo e non il fine.
Come se il Verdicchio ci possa far parlare di Luigi Bartolini, anziché di acidità fissa e profumi primari... Che idea stravagante, eh?!
Così, se ti allontani un attimo, ti accorgi di ciò che stavi diventando... Della mutazione stessa del tuo linguaggio. Tipo ripetere cento volte "minerale"? Perché? Che senso ha? E macerazioni, solfiti, tannini, pratiche biodinamiche... Tutto bello, ma il punto è che si finisce inesorabilmente col perdere la verità del vino, dei gesti, delle persone.
E quel che è certo è che non sono tornato a vivere in campagna per ripetere la litania del "minerale" con qualche fighetto esaltato dalla moda dei vini naturali.
Una via ci dovrà pure essere per restare "naturali" fra di noi. Per restare umani. Per aprire una boccia di vino a tavola senza ottocentomila sovrastrutture mentali.
Insomma, buon Vinitaly a tutti.
Sento sempre più netta una sensazione di fastidio rispetto al "carrozzone" fatto di degustazioni, chiacchiere, discussioni, punteggi, presentazioni, guide. Tutto quel contesto di professionisti, giornalisti, bloggers, nani e ballerine che pare oramai essere più importante del vino stesso.
Non ci accorgiamo, presi oramai dalla frenetica e sempre più onanistica esaltazione da degustazione - anche di vini naturali - che la gente beve sempre meno vino. Che si è perso il gesto, naturale sulle tavole italiane fino a poco tempo fa, di versare del vino per accompagnare un pasto, semplice o elaborato non importa.
Mi era venuta un pò la nausea di tutto quel chiacchiericchio pseudo-tecnico intorno ad un calice assaggiato in mezzo alla ressa, al casino, alla bolgia delirante di decine di fiere, piccole o grandi che fossero. Che il vino a me è sempre piaciuto berlo a larghe sorsate, a tavola, in compagnia, mangiando e conversando d'altro, e magari solo incidentalmente di vino. Quasi che il vino sia il mezzo e non il fine.
Come se il Verdicchio ci possa far parlare di Luigi Bartolini, anziché di acidità fissa e profumi primari... Che idea stravagante, eh?!
Così, se ti allontani un attimo, ti accorgi di ciò che stavi diventando... Della mutazione stessa del tuo linguaggio. Tipo ripetere cento volte "minerale"? Perché? Che senso ha? E macerazioni, solfiti, tannini, pratiche biodinamiche... Tutto bello, ma il punto è che si finisce inesorabilmente col perdere la verità del vino, dei gesti, delle persone.
E quel che è certo è che non sono tornato a vivere in campagna per ripetere la litania del "minerale" con qualche fighetto esaltato dalla moda dei vini naturali.
Una via ci dovrà pure essere per restare "naturali" fra di noi. Per restare umani. Per aprire una boccia di vino a tavola senza ottocentomila sovrastrutture mentali.
Insomma, buon Vinitaly a tutti.
Etichette:
critical wine,
moralista,
vino naturale
domenica 26 febbraio 2012
giovedì 23 febbraio 2012
sabato 4 febbraio 2012
giovedì 26 gennaio 2012
Cinquant'anni di Amnesty International
Nel 1962 veniva fondata Amnesty International, nel 1962 usciva il primo disco di Dylan. Chimes of freedom è il disco che li festeggia entrambi.
venerdì 20 gennaio 2012
Della classicità
Settimana importante. Giornate di potature intense, spesso sotto un sole invernale quasi accecante.
E alcuni vini che mi fanno riflettere. In compagnia di due grandi del terroir jesino, Natalino Crognaletti ed Alessandro Fenino, uno straordinario Verdicchio Castelli di Jesi Villa Bucci 1992, quasi una pietra filosofale del nostro vitigno bandiera. Poi il grandissimo Mersault JM Roulot 2009, cristallino e puro, durante la bella serata alla cineteca di Bologna, inaugurazione della bella rassegna di Jonathan Nossiter. E infine, alla memoria, un commovente Amarone della Valpolicella Quintarelli 1993, in quel bellissimo winebar che è il twinside.
Così, discutendone avidamente anche con Jonathan e con Fabio Giavedoni, quello che è emerso da questo percorso casualissimo attraverso la storia di questi vini è una idea piuttosto condivisa di "classicità". Vini dove a farla da padrone è la tradizione, la fedeltà ad un canone, la riconducibilità ad un paradigma. E ciò che stupisce è l'assoluta mancanza di noia innanzi a tutto ciò. La meraviglia, anzi, di fronte a ciò che sembra assomigliare ad un ideale platonico. Che è poi tutto il contrario della sperimentazione, degli estremismi, della ricerca di effetti speciali di cui soffrono sia i più feroci difensori della Tecnica, sia i più accaniti rappresentanti della Nouvelle Vague naturalista.
E la riflessione che si può essere grandi classici senza essere per forza mainstream e conformisti e che la tradizione, quando è magica, può essere più rivoluzionaria di un progresso privo di senso.
E alcuni vini che mi fanno riflettere. In compagnia di due grandi del terroir jesino, Natalino Crognaletti ed Alessandro Fenino, uno straordinario Verdicchio Castelli di Jesi Villa Bucci 1992, quasi una pietra filosofale del nostro vitigno bandiera. Poi il grandissimo Mersault JM Roulot 2009, cristallino e puro, durante la bella serata alla cineteca di Bologna, inaugurazione della bella rassegna di Jonathan Nossiter. E infine, alla memoria, un commovente Amarone della Valpolicella Quintarelli 1993, in quel bellissimo winebar che è il twinside.
Così, discutendone avidamente anche con Jonathan e con Fabio Giavedoni, quello che è emerso da questo percorso casualissimo attraverso la storia di questi vini è una idea piuttosto condivisa di "classicità". Vini dove a farla da padrone è la tradizione, la fedeltà ad un canone, la riconducibilità ad un paradigma. E ciò che stupisce è l'assoluta mancanza di noia innanzi a tutto ciò. La meraviglia, anzi, di fronte a ciò che sembra assomigliare ad un ideale platonico. Che è poi tutto il contrario della sperimentazione, degli estremismi, della ricerca di effetti speciali di cui soffrono sia i più feroci difensori della Tecnica, sia i più accaniti rappresentanti della Nouvelle Vague naturalista.
E la riflessione che si può essere grandi classici senza essere per forza mainstream e conformisti e che la tradizione, quando è magica, può essere più rivoluzionaria di un progresso privo di senso.
Etichette:
cinema,
degustazioni,
filosofia,
vini
venerdì 13 gennaio 2012
Keef
Il libro definitivo. L'autobiografia di Keith Richards, Life. Una vita di rock'n'roll. Una vita oltre. Un libro fantastico, che racconta un'epopea, una cultura. Un mondo che non c'è più, di cui lui è stato l'autentico simbolo. Riff incredibili, avventure da cineteca, storie di donne e stupefacenti e ribellioni, il blues di un'anima scatenata. E poi le accordature aperte, le canzoni scritte con Jagger, le fughe in Marocco ed in Francia. Poi non resta che metter su Exile on main street e cantare a squarciagola.
...Ma che fine ha fatto l'auto? Noi l'abbiamo lasciata in quel garage, piena di droga. Mi piacerebbe sapere che fine ha fatto la roba. Forse nessuno ha mai rimosso i pannelli. Forse qualcuno la guida ancora, imbottita di stupefacenti...
...Il mondo non suscitava in noi altri interessi all'infuori degli stratagemmi per non perdere la fornitura dell'energia e sgraffignare qualcosa da mangiare al supermercato. Le donne erano solo al terzo posto della lista. Luce, cibo e poi, ehi, sei stato fortunato...
...La scrissi nel sonno Satisfaction. Non avevo la minima idea di averla scritta, ma grazie al cielo avevo un piccolo registratore a cassette Philips. Quella mattina lo guardai, per miracolo, ricordando di aver inserito una cassetta nuova di zecca la sera prima, e vidi che era alla fine. Premetti il tasto di riavvolgimento e trovai Satisfaction. Solo un'idea sommaria... Poi, quaranta minuti di me che russavo...
...Un'epopea di quel periodo fu il viaggio in auto a base di acidi che feci con John Lennon - un episodio di tale sregolatezza che riesco a malapena a evocarne un frammento... Io e Johnny eravamo talmente fusi che perfino anni dopo a New York alle volte lui mi chiedeva: "Cosa è successo in quel viaggio?"... Con noi c'era una ragazza molto dolce... Di recente l'ho consultata per questo libro, e la sua rievocazione differisce non poco dalla mia...
...La levitazione è probabilmente ciò che più s'avvicina, per analogia, a quel che provo - che si tratti di Jumpin' Jack, di Satisfaction o di All down the line - quando mi accorgo di aver centrato il tempo giusto, e tutta la band è dietro di me. E' come decollare... La gente mi dice: "Perché non smetti?". Ma io non posso andare in pensione finché non tiro le cuoia. Non credo che la gente capisca cosa sento. Non lo faccio per i soldi, o per voi. Lo faccio per me...
...Di fronte a Mick non mostrai alcuna reazione riguarda ad Anita. Decisi di vedere come le cose si sarebbero concluse. Non era la prima volta che entravamo in competizione per una bambola... Ma, sai, mentre tu ti divertivi, bello, io mi scopavo Marianne. L'avevi lasciata sola, toccava a me consolarla. Anzi dovetti sgattaiolare via di fretta, quando l'amico tornò a casa... Udimmo la sua auto parcheggiare di sotto, ci fu un gran trambusto, io mi sporsi dalla finestra, recuperai le scarpe e me la svignai attraverso il cortile, accorgendomi di aver dimenticato le calze. Bé, Mick non era il tipo da mettersi a cercare le calze. Io e Marianne ci scambiamo ancora questa battuta. Lei mi manda dei messaggi: - Non ho ancora trovato le tue calze...In ogni caso Anita non si divertì con quel pisellino striminzito. So che Mick ha un paio di coglioni enormi, ma non compensa il resto, giusto?...
sabato 7 gennaio 2012
L'anno che verrà
2012, ovvero i miei primi quarant'anni.
Che poi, biologicamente, son quaranta già da circa un mese... Sarà un anno sabbatico, nel senso che continuerà la mia pausa da fiere e mercati. Non so... Non ho buone sensazioni da ciò che sento in giro. Mi pare che ci stiamo incartando, noi "alternativi", dentro a questioni mal poste. Sarà crisi di crescita? Chissà. Manca leggerezza, però. Manca il sorriso irriverente dei primi anni.
Sarà un anno duro per la situazione economica e sociale generale. Ma ci saranno un nuovo disco ed un nuovo tour del boss, e ciò non è affatto male.
Ci saranno bei concerti e bei momenti. Alcune novità aziendali. Un Comune da continuare ad amministrare con coraggio ed un pizzico di follia.
Ci saranno alcune cose da fare prima dei quaranta. Per esempio la cima del Monte Bianco.
E poi ci sarà una grande festa, giusto intorno alla fine di agosto.
Siete avvisati.
Che poi, biologicamente, son quaranta già da circa un mese... Sarà un anno sabbatico, nel senso che continuerà la mia pausa da fiere e mercati. Non so... Non ho buone sensazioni da ciò che sento in giro. Mi pare che ci stiamo incartando, noi "alternativi", dentro a questioni mal poste. Sarà crisi di crescita? Chissà. Manca leggerezza, però. Manca il sorriso irriverente dei primi anni.
Sarà un anno duro per la situazione economica e sociale generale. Ma ci saranno un nuovo disco ed un nuovo tour del boss, e ciò non è affatto male.
Ci saranno bei concerti e bei momenti. Alcune novità aziendali. Un Comune da continuare ad amministrare con coraggio ed un pizzico di follia.
Ci saranno alcune cose da fare prima dei quaranta. Per esempio la cima del Monte Bianco.
E poi ci sarà una grande festa, giusto intorno alla fine di agosto.
Siete avvisati.
Iscriviti a:
Post (Atom)