"Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che... tendenze apparentemente distinte erano unite da un'idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l'epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un'azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l'idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l'idea di comunità. ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea..." (Naomi Klein, The Guardian).
Nel frattempo anche le DOC sono in mano ai geni del branding. E di qui a poco non si produrranno più vini ma "etichette".
3 commenti:
Di no brand non ne vedo tanto, anzi, specialmente nel mondo del vino ne sono nati tanti come mai prima nel recente passato. Non sono quelli delle DOC e delle DOCG che fioriscono in questi tempi, figlie della politichetta dell'italietta, piuttosto che dei geni del marketing che non conoscono nulla dei mercati. Sono piuttosto quelle delle parole d'ordine in voga oggi, quelle si dei geni del marketing.
So a cosa ti riferisci e in un certo senso sono anche d'accordo. Penso però che vi sia una gigantesca e tremenda differenza fra chi può permettersi di investire risorse colossali nel sostegno di marchi prestigiosi e chi si limita a forzare quelle "parole d'ordine in voga oggi". E' una questione di mezzi.
la differenza esiste, ma non perche' uno e' piccolo è necessariamente migliore di uno grosso. Anche i grossi sono fatti di persone, che ognuno individualmente lavora per la sua pagnotta, come e forse di piu' di tanti piccoli proprietari, che se vai a guardare non vivono esattamente nell'indigenza.
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