Ci ho messo un anno a scrivere questo post "sulla pandemia".
Stava lì nelle "bozze". Cancellato e ricominciato mille volte. Ad ogni chiusura e a ogni riapertura. A ogni nuova notizia o polemica. A ogni commento di Tizio o di Caio che mi parevano aver torto o ragione.
Ora nelle Marche siamo in una situazione di siccità estrema e ci sono temperature che in giugno non si erano quasi mai viste. E penso che tutto si tiene, che tutto è correlato. E allora ci riprovo.
Da dove posso cominciare?
Forse dal riso amaro che mi ritrovo stampato in faccia da mesi scorrendo i social media e i giornali on-line, alla ricerca di opinioni che mi aiutino a capire e ad approfondire i temi di questa pandemia.
Il riso amaro di fronte allo stato di questo paese e di questo nostro occidente.
Siamo bombardati da opinioni e informazioni di ogni tipo. E la pioggia torrenziale di questa inesauribile comunicazione si fa subito fango, pantano dove è impossibile trovare una via percorribile verso una qualche forma di conoscenza stabile, sicura, definita.
Vorrei allora provare un ragionamento differente. Che abbracci uno sguardo da lontano. Che metta da parte l'informazione singolare e immediata cui ci stiamo abituando sempre più, e provi a collocare questi giorni nella loro complessità plurale.
Stiamo assistendo ad una violentissima accelerazione della Storia.
Parlando coi miei figli ho provato a spiegarglielo. Tutte le generazioni vivono almeno un momento storico fondamentale, decisivo. Per la mia generazione - ad esempio - è stato il crollo del muro di Berlino, nella sua dimensione ideologica prima che fisica. Per la generazione precedente certamente il ciclo di movimenti sessantotto/settantasette.
Questa pandemia sarà molto probabilmente il "loro" evento: qualcosa che sposta i destini e muta le dinamiche sociali e politiche. Non fraintendetemi. Non sono così naif da pensare al singolo evento (la scoperta dell'America, l'invenzione della macchina a vapore...) come unica determinante della Storia: la storiografia moderna, marxista e non, ha da tempo mostrato l'importanza delle "derive", dei tempi lunghi, delle accumulazioni, dei movimenti sotto-traccia, delle dialettiche sociali ed economiche, spesso invisibili, che incidono sui grandi fatti.
È incontestabile, però, che l'arrivo di questo virus - uno shock esogeno direbbero gli economisti - sta mettendo sotto pressione tutte le delicate strutture con cui le moderne democrazie occidentali più o meno liberali avevano provato a mantenere un fragile equilibrio: quello tra benessere economico, coesione sociale e libertà personali. Non solo. L'arrivo del virus ha rimesso di colpo in discussione paradigmi che sembravano inscalfibili.
Si pensi, ed è l'esempio più clamoroso, all'Europa: nel giro di pochi mesi il COVID-19 ha raso al suolo decenni di pensiero ordo-liberale basato sull'austerità. Nemmeno la crisi finanziaria ci era riuscita: solo il governo italiano negli ultimi mesi ha speso decine e decine di miliardi di euro in deficit, qualcosa di inimmaginabile anche solo un anno fa.
E ovviamente ci sarà un prezzo da pagare. Ma non è questo davvero il punto...
Si tratta di una sensazione prima che di una ragionamento limpido.
Come posso spiegarlo?
Lo dimostrano in modo incontestabile alcune delle reazioni più assurde al virus, tipo le lacrime per le mancate vacanze sugli sci in piena seconda ondata: pensiamo per un istante all'Europa del 1918 e pensiamo agli effetti combinati di una orribile guerra mondiale e di una epidemia come la spagnola e proviamo a sovrapporre queste immagini alle fotografie di certe corse all'aperitivo o allo shopping natalizio. L'effetto è di puro straniamento.
Per questo motivo trovo insopportabile questa ipocrisia diffusa per cui intere masse di individui che hanno per decenni vissuto sopra le proprie possibilità - a danno degli altri abitanti del globo e delle risorse naturali del pianeta - negli ultimi mesi si siano fondamentalmente lamentati per la limitazioni di alcune del tutto prescindibili libertà borghesi.
Per questo motivo trovo insopportabile questa ipocrisia diffusa per cui intere masse di individui che hanno per decenni vissuto sopra le proprie possibilità - a danno degli altri abitanti del globo e delle risorse naturali del pianeta - negli ultimi mesi si siano fondamentalmente lamentati per la limitazioni di alcune del tutto prescindibili libertà borghesi.
Una ipocrisia che si sostanzia poi in un altro modo: milioni e milioni di cittadini che negli ultimi decenni hanno voluto meno Stato e più Mercato, che hanno votato in modo coerente e convinto per partiti di destra e/o di sinistra tutti quanti in modo trasversale favorevoli alla riduzione delle tasse (e dunque alla riduzione di stato sociale), alla riduzione del debito, alle privatizzazioni, ecco questi stessi cittadini si sono messi a pretendere all'improvviso l'assunzione di medici e infermieri, la ri-apertura di ospedali, la garanzia di tracciamenti su larga scala, la sistemazione dei trasporti pubblici e l'erogazione di sussidi a pioggia. Così, di colpo.
Certo, la povertà sta aumentando a dismisura. E certo, ci sono intere fasce di popolazione che soffrono pesantemente: ma c'erano anche prima e a chi interessavano? Questa è l'ipocrisia di Dan Aycroyd: si accorge della povertà solo quando diventa povero, che è esattamente ciò che sta succedendo.
Ma non era questo, in fondo, quel che sognavano i comunisti? Uno scambio fruttuoso e sostenibile tra libertà personale e diffusione dei diritti? Ed è - me ne rendo conto - un ragionamento orribile perché da anarchico ho sempre sofferto questa scelta. Non dovremmo proprio arrivarci a uno scambio del genere. Ma nel guardarmi intorno non posso non notare come la stragrande maggioranza dei comportamenti individuali - sui quali volenti o nolenti poggia l'idea di autogestione - abbia in questi ultimi mesi delineato in occidente una inequivocabile scelta valoriale: mettere in conto la convivenza con il virus e la sua diffusione, e dunque un certo numero di vittime, per mantenere in piedi, anche se zoppicante, il nostro "stile-di-vita".
Si dirà, come sempre, TINA: There Was No Alternative.
Ma ne siamo proprio sicuri?
La domanda non è oziosa. E sì! Sottende un certo moralismo. Ma non c'è nulla di male nel moralismo: dipende dai valori cui si fa riferimento. Anche il privilegiare l'economia ad ogni costo è una scelta morale. Si tratta di privilegiare l'utilitarismo e, questo, come ben sappiamo, è la base di Homo oeconomicus: un attore razionale teso alla massimizzazione della propria utilità personale. È un cazzo di valore. Ed è, in definitiva, il valore che fonda il capitalismo.
La domanda non è oziosa per il semplice fatto che questa pandemia può essere vista in qualche modo come una "prova generale": il cambiamento climatico ci obbligherà a rinunciare per sempre ad alcune libertà personali in cambio della sopravvivenza della specie. Passato questo virus, che prima o poi passerà, ce ne saranno forse altri più gravi - o forse no - ma in ogni caso dovremo fronteggiare un paio di verità incontestabili:
1) il caos climatico che ci attende produrrà effetti profondi e strutturali sulle nostre vite sociali
2) non saremo mai in grado di vivere in dieci/undici miliardi di essere umani sul pianeta Terra e ottenere contemporaneamente benessere economico, salute ecologica e libertà personale.
È una visione troppo pessimista? Troppo Malthusiana? Forse.
Ma non dobbiamo sprecare l'unica nota positiva che la pandemia ci ha consegnato: la sperimentazione del mondo che verrà se non cambiamo rotta. Perché ciò che stiamo vedendo in larga parte non è altro che un mondo vecchio che prova a resistere nell'unico modo che conosce: garantire un livello di consumismo che possa salvaguardare la sopravvivenza del sistema.
È questo che davvero vogliamo?
O forse è urgente mettere in conto un'alternativa sapendo fin d'ora ch'essa non potrà essere il migliore dei mondi, l'utopia degli anarchici? Che nella società dell'Antropocene dovremo tutti rinunciare a qualcosa (un po' di benessere economico? qualcuna delle tante libertà che gli ultimi decenni ci avevano regalato?) purché queste rinunce siano nel senso della sobrietà e, soprattutto, della eguaglianza?
Non è socialismo questo?
E non appare come l'unica soluzione alla barbarie?
7 commenti:
Buongiorno Corrado,
ho letto con molto interesse le tue considerazioni “a margine” della pandemia. Rilevi alcuni dati e alcuni comportamenti di grande attenzione, che andrebbero sicuramente approfonditi, parte dei quali sono già endemici in questo lungo presente: mi riferisco, ad esempio, al cambiamento climatico.
Vorrei soffermarmi un secondo, perché anche su questo due parole non bastano, sulla presunta contrapposizione tra anarchismo e socialismo. Come sai, o credo d di averti detto, sono stato a lungo militante della Federazione anarchica italiana (dove per italiana sta peri lingua italiana): il nostro riferimento andava al Programma anarchico del 1919 redatto da Errico Malatesta e altri per il congresso dell’Unione anarchica italiana. L’incipit diceva, a chiare lettere, che il programma dell’Unione anarchica è il programma comunista anarchico rivoluzionario. Come vedi i termini anarchico e comunista non venivano messi in contrapposizione come, in passato, neppure lo furono socialismo e anarchismo. L’anarchismo si sviluppò, a partire dalla Prima Internazionale, come movimento organizzato dei socialisti antiautoritarii: per farla brevissima il socialismo senza libertà significa dittatura e libertà senza socialismo significa privilegio e diseguaglianza.
Credo che il futuro verrà segnato dallo stesso dilemma che poni nel tuo scritto: socialismo o barbarie? Ma, per quanto mi riguarda, è indubbio che a questa domanda, ne segue un’altra di altrettante rilevanza: quale socialismo? Perché il socialismo realizzato che abbiamo conosciuto è stato anche barbarie e, in alcuni momenti, della peggiore. Quindi continuo a pensare che il socialismo libertario, o socialismo anarchico, o comunismo libertario o comunismo anarchico (saranno poi le nuove generazioni a declinarlo) rimanga il nostro futuro carico di passato.
Con affetto
Pietro Stara
Ciao Pietro, grazie del commento! In realtà non era mia intenzione contrapporre alcunché. Da vecchio camusiano quale sono considero il socialismo libertario, o comunismo anarchico, evidentemente come l'unica prospettiva per un futuro decente. Volevo solo riflettere su come il cambiamento climatico (così come una pandemia per la prima volta davvero globale) stressino ulteriormente le già complicate relazioni individuo/stato e libertà/eguaglianza e su quanto ancora più lontana di un tempo appaia l'utopia libertaria in un contesto in cui certe soluzioni debbano per forza fondarsi su una qualche idea di Istituzione Statuale (si pensi alla sanità pubblica nel caso della pandemia o al coordinamento globale più o meno governativo necessario per la messa al bando dell'energia da fossili... Un abbraccio
La vita a volte può essere divertente, un minuto è bello e il minuto successivo è completamente diverso. Io e il mio coniuge abbiamo vissuto una vita molto bella prima del caos inaspettato, una vita senza difetti o diffidenza, fino a quando non abbiamo avuto problemi con il sostegno dei nostri figli, ha smesso di pagare e ha trovato un'avventura fuori a flirtare con la sua casa matrimoniale prodigando tutto ciò che abbiamo sofferto e per quello che abbiamo lavorato sul piacere inutile ho sentito questo vuoto dentro di me non avevo idea di come aiutare a salvare la mia unione con lui perché non tornava a casa, stava fuori fino a tardi, beveva, fumava fa ogni genere di cose lui mai fatto ... Ma grazie all'uomo che ha portato gioia con stabilità a casa mia, il dottor Egwali, un uomo di buone opere, è così reale e accomodante perché ho provato e mi sono fidato ... Parlagli delle tue paure e sarai felice di averlo fatto. WhatsApp o Viber +2348122948392 o via e-mail dregwalispellbinder@gmail.com
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