lunedì 26 maggio 2008

Lungo il grande fiume - Parte quarta


Dopo molto tempo termina il racconto del viaggio lungo il Rodano di due anni fa. L'ultima parte riguarda i vini della parte sud della Cote du Rhone.

MARCEL RICHAUD – Cairanne.
Alcuni di noi conoscevano già questo vigneron, avendolo incontrato alla bella manifestazione di Fornovo Taro nel 2004. Oltre ad essere un ottimo produttore Marcel Richaud è anche animatore di una associazione molto interessante, Les Toqués des dentelles. Si tratta di un gruppo di vignerons del sud della Cote du Rhone, nelle sue diverse denominazioni, uniti da una comune etica da “contadini-viticoltori”. Orientata a fare una agricoltura sana e naturale, questa associazione è una delle tante espressioni di vitalità che il settore vitivinicolo francese dimostra di avere a livello di piccole aziende, vignaioli e contadini che tentano di reggere il monopolio dei grandi chateaux e negociants attraverso una offerta diversificata, di qualità spesso estrema e legata alla naturalità della coltivazione e della trasformazione.
In particolare i vini di Richaud ci hanno colpito per la loro essenza non omologata e singolare. La forzatura delle maturazioni porta a vini iper-concentrati che, certamente, non sono dalla beva facile, ma che esprimono molto bene le caratteristiche dei principali vitigni presenti nella zona: grenache, syrah, mourvedre e carignan. Il fatto che i vini più “facili” fossero esauriti ha, però, certamente rinforzato tale sensazione.

CAIRANNE ROUGE 2005.
E’ un assemblaggio di differenti vigneti con una età che va dai 40 ai 70 anni. La resa media è di 35 hl. a ettaro. L’elevazione avviene per il 20% in cemento e per l’80% in barriques e tonneaux mai nuovi. Il colore è un rosso denso, violaceo. Al naso emerge subito una vena alcolica possente che conduce sentori di inchiostro, grafite, pepe bianco, peperoncino. Prendendo aria si apre su toni di frutta rossa matura e cioccolato. In bocca è denso, grasso, molto caldo. I tannini sono larghi e impetuosi.

L’ESBRESCADE – CAIRANNE ROUGE 2004
Questo è il vino di punta di Richaud. Proviene esclusivamente da un vigneto singolo posto fra Cairanne e Rasteau con rese di 25 Hl. a ettaro. Il colore è un rosso scuro, quasi impenetrabile. L’olfatto è complesso, dominato anche qui dalla potenza dell’alcool (15,5%) e da sensazioni quasi liquorose di marmellata di amarena e cioccolato fondente cui seguono note spezie e affumicate tra le quali si fa strada il peperoncino verde, tipico di molte grenache che abbiamo assaggiato. In bocca è potente, largo, molto tannico ma i tannini sono precisi e maturi. La persistenza è lunghissima, così come imponente è il calore generato da ogni sorsata. Un vino da meditazione e da lungo invecchiamento dove la Mourvedre gioca un ruolo importante con la sua carica tannica.

CAVE DE CAIRANNE – Cairanne.
La visita a una cantina cooperativa è sempre importante per capire la qualità media di un territorio, la capacità di una denominazione di esprimere il suo potenziale e i vitigni che la caratterizzano. In questo senso la Cantina di Cairanne è un buon esempio di cooperativa in grado di svariare da prodotti di largo consumo e bassi prezzi a prodotti di qualità media fino a riserve dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Il “Percorso Sensoriale” offerto ai visitatori è un po’ troppo costruito per visitatori americani o giapponesi ma mostra come l’attenzione al turismo viticolo e alla clientela privata sia in Francia patrimonio anche delle realtà più commerciali.
Ci hanno colpito nella vasta panoramica di vini assaggiati l’estrema pulizia e precisione, specie olfattiva e una bevibilità mai banale ma espressiva dei caratteri varietali dei vitigni. In particolare il Cairanne blanc 2005, fresco e piuttosto fine nella sua nota dominante di mela verde, il Cairanne rouge 2004 La Réserve Camile Cayran con sentori nitidissimi di frutti di bosco, derivante per un 20% da macerazione carbonica, e dalla buona sapidità.

LES SALYENS - Cairanne 1999
Il colore è un rosso rubino con riflessi mattone. All’olfatto si presenta con sentori tipici di frutta rossa matura. Con l’aria vira verso sensazioni più acri, di erbe aromatiche. Poi di fiume e terra. In bocca è sapido, serrato, non lungo ma piacevole. La chiusura è quasi minerale, di pietra focaia che ritorna all’olfatto come cenere, sigaro e zolfo. Ma è anche la solforosa a essere forse un po’ troppo evidente. Un ottimo rapporto qualità/prezzo.

CHATEAU MONT REDON
Si tratta di un classico chateau francese, produttore di grande quantità ma di fama discreta. I vini bianchi ci hanno deluso notevolmente denotando solforose troppo evidenti, banalità espressiva, ed una scarsa finezza generale. I rosé sono risultati decisamente migliori, specialmente il Lirac 2005, ancora un po’ chiuso ma decisamente minerale. Sono i rossi a rimettere le cose a posto. A cominciare dal Cote du Rhone 2004 pulito, dai netti sentori di fragola, dalla sapidità piacevolissima. Per continuare con il Lirac 2004 dove sentori più animali di grasso e di prosciutto si fondono con la frutta rossa. Per arrivare agli Chateauneuf du Pape. Vini austeri, classici, affidabili. Quello che ci si aspetta dalla denominazione e dal marchio. D’altronde lo stesso Didier Fabbre afferma che “la filosofia dell’azienda è quella di cercare di fare vini sempre uguali a se stessi”. Non seguire l’annata, quindi, ma tentare di imporre sempre il proprio stile.
Se è vero che il rischio, evidente, è quello di produrre vini meno sorprendenti rispetto ad altri, certamente però non si può parlare di omologazione ma di una strada attraverso la quale Chateau Mont-Redon tenta di esprimere le caratteristiche salienti del territorio. E’ attraverso i tagli fra le differenti parcelle, i dosaggi dei differenti vitigni secondo uno stile bordolese e l’uso anche di legni nuovi che tale via si manifesta. Non vi è originalità ma il risultato sono vini che probabilmente non deludono mai e che in una cena cui si è invitati possono piacere certamente a molte persone.

CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
Un vino che all’inizio sembra essere già in fase discendente. Invece con l’aria si apre su sentori di visciola che si fanno via via più balsamici, quasi mentolati. In bocca è rotondo, armonico, molto pieno. I tannini smentiscono la sensazione iniziale e impongono la loro presenza in mezzo alla bocca. Il finale è lungo e riporta sensazioni di sottobosco, di cuoio, di foglie umide e ancora di amarena. Un vino davvero buono.

CHATEAUNEUF DU PAPE 1999
L’attacco è di ciliegia sotto spirito cui seguono sensazioni fluviali e terrose. Molto complesso e austero al naso, al palato risulta molto morbido e concentrato. Poi esce una vena minerale indefinibile, quasi di idrocarburo. I tannini sono maturi, perfetti. Con l’aria le sensazioni olfattive dominanti di amarena virano su note di tartufo e, ancora, di terra. Un altro classico. Un vino che è probabilmente al suo apice.

CLOS DU MONT OLIVET
Questa azienda di medie dimensioni fa in qualche modo da contraltare alla precedente. Si tratta di una famiglia di viticoltori da molte generazioni che tenta con ogni nuova generazione di rinnovarsi sebbene nel rispetto delle tradizioni. I vini sono quindi coraggiosi e moderni ma senza alcun cedimento al gusto internazionale. E’ soprattutto la grenache a brillare, con interpretazioni che ne esaltano le caratteristiche di vitigno del sud, caldo e potente ma che riesce ad esprimersi, soprattutto con l’evoluzione, attraverso una nitidezza olfattiva stupenda, anche per la totale assenza di sentori di legno tostato. E’ soprattutto con l’assenza di diraspatura in una certa percentuale del pigiato (ma si è arrivati anche al 100%) che si tenta al tempo stesso di lavorare sui tannini e di immettere una dose di complessità che risulta sempre più evidente con la terziarizzazione.
Il risultato finale sono vini “sudisti”, a volte duri, ma sempre intriganti e puliti, frutto di una “mano” enologica non invasiva ma che, specie all’olfatto, tende a orientare verso la finezza una materia sempre densa e concentrata. In questo senso anche vini più semplici emergono come esempi di una eleganza che riesce a dominare sostanze alcoliche e strutture tanniche a volte davvero imponenti. Lo Chateauneuf bianco 2005 si è presentato equilibrato, piuttosto fresco e dotato di una mineralità ancora solo accennata. La morbidezza si conferma nota dominante ma in modo meno banale che per altri bianchi del Rodano e con una pulizia olfattiva notevole. Stessa caratteristica riscontrata nel Cotes du Rhone 2004 da vecchie vigne con sentori di fragola e cannella nitidi ed eleganti; in questo caso la bocca viene chiusa da tannini molto buoni che lasciano indovinare una nota verde tutt’altro che fastidiosa o banale. Una caratteristica, che ritroveremo nei vini più importanti, della grenache noir di questa azienda e di questi luoghi.
Una valutazione complessiva non può non rimarcare come questa azienda aperta al mercato internazionale, specie americano, e con ottime valutazioni da parte del “guru” Robert Parker resti ben ancorata ad una visione tradizionale dei vitigni e del territorio. Una lezione che molti, in Italia e non solo, dovrebbero apprendere.

CHATEAUNEUF DU PAPE ROUGE 2004
L’attacco al naso è dominato all’inizio da note un po’ chiuse di fiume e terra umida. Vi è una nota verde molto elegante, una speziatura che tende verso il peperoncino. Appare ancora molto giovane. Anche al palato dove i tannini, sebbene non astringenti, sono davvero molto presenti. La chiusura è lunga e dritta. Prosciuga la bocca ma lasciando una sensazione di grande freschezza. E’ un vino ancora molto giovane che acquisterà valore dopo la degustazione delle annate successive.

CHATEAUNEUF DU PAPE 2003
Un vino con più frutto del precedente in cui le note di confettura sono bene integrate in una nota alcolica molto presente ma non fastidiosa. Ma sono poi note di resina, di chili, di peperoncino a dominare l’olfatto mostrando la grenache nella sua tipicità più piacevole. I tannini sono molto presenti insieme ad una concentrazione possente. Ma il vino non è mai stucchevole o eccessivamente morbido, anzi le note “verdi” si dimostrano quasi balsamiche (le ritroveremo nell’annata 1996 come splendide sensazioni di legno di ebano e di cedro).

CHATEAUNEUF DU PAPE 2001
I colori nei vini di questa azienda sono dei rossi rubini accesi e integri ma non eccessivamente fitti, a dimostrare un certo predominio della grenache su sirah e mourvedre. Al naso il 2001 si offre subito con sentori di legno di cedro, di resina, di frutti rossi aspri come il ribes o l’uva spina. Nuovamente emergono elegantissimi sentori verdi di spezie, di rosmarino, ginepro e, più in generale, di quella garrigue (macchia mediterranea) che risulta la quintessenza della grenache dello Chateauneuf du pape. In bocca è molto concentrato, austero, mai morbido. I tannini sono maturi, sebbene nella chiusura conducano sempre verso sensazioni verdi, mai vegetali ma balsamiche e sapide. E’ un grande vino con più di dieci anni davanti.

lunedì 19 maggio 2008

Maledetta primavera

Una fioritura incredibile degli ulivi ed una notevole quantità di "uva" sulla vite caratterizzano questa primavera più fredda del solito.
Sto leggendo la biografia di Pancho Villa, scritta da Paco Ignacio Taibo II (libro lunghissimo ed un pò noioso); sto ascoltando Warpaint dei Black crowes (in CD perché alla fine il vinile non è arrivato); sono incazzatissimo per una serie di ragioni che prima o poi scriverò; sto lavorando troppo e male; lo scudetto è andato all'Inter.
Eppure l'altra sera mi sono ritrovato nel meraviglioso piccolo teatro di Osimo ad ascoltare Steve Earle in acustico. E quando mi ha sparato Goodbye, pezzo incredibile da Train a comin' del 1995, tutto quanto mi pareva pieno di senso e bellezza; tutti i casini, i problemi, le contraddizioni mi sono apparsi per ciò che sono: piccoli accidenti poco importanti di fronte alla poesia di una pancia che si muove, di una vita libera e autentica, di una musica che per 5 minuti di ti fa dimenticare la realtà e ti trascina nel mondo dei sogni e dei desideri.
But I recall all of them nights down in Mexico
One place I may never go in my life again
Was I just off somewhere just too high
But I can't remember if we said goodbye"

mercoledì 14 maggio 2008

Extraparlamentari

Sono serviti molti giorni per maturare le prime reazioni alla batosta elettorale della sinistra alle recenti elezioni. Nel frattempo si sono lette interpretazioni, pensieri e contributi di ogni tipo e provenienza.
Passata la bufera mi sento di poter dire che va bene così. Perlomeno "il popolo" ha fatto una scelta chiara. La cosa peggiore sarebbe stata l'ennesimo pareggione. E poi la sinistra extraparlamentare ha sempre avuto su di me un certo fascino.
Ciò con cui ci si deve confrontare è il fatto che la società italiana è sempre stata di centro-destra. Le poche esperienze di centrosinistra che questo paese ha avuto non hanno mai rappresentato il ventre molle della società (e per questo non incisero come avrebbero voluto). Nei governi di centrosinistra degli anni sessanta, infatti, il PSI di Nenni era comunque subalterno alla Democrazia Cristiana di Fanfani e Moro. Mentre nel 1996 Prodi vinse esclusivamente perché la Lega non si alleò con Berlusconi, altrimenti, nonostante la desistenza con Rifondazione, il centrosinistra sarebbe stato ancora all'opposizione.
Le elezioni del 2006 sono state un caso a parte. Il sostanziale pareggio fu il risultato di cinque anni di malgoverno del centrodestra e di una forte opposizione sociale a quanto stava succedendo in Italia e nel mondo, inclusa la guerra in Iraq. Ma quel sostanziale pareggio elettorale ottenuto con una alleanza che andava dai trozkisti a Dini non garantiva alcun possibile futuro politico al centrosinistra. Dico questo prescindendo da ogni ragionamento, ormai inutile e noioso, sulle colpe e gli errori di questa o quella componente del governo.
La realtà, quindi, è che la sinistra in questo paese, che sia radicale o che sia riformista, resta minoritaria. Quello su cui è necessario interrogarsi è quale lezione trarre da questo fatto. Ed è su questo che molto probabilmente la sinistra continuerà a dividersi. Eppure, a questo punto, dopo una sconfitta senza appello, serve davvero una profonda riflessione sul futuro. Rallegrarsi di una sinistra radicale ormai extraparlamentare non aiuta; così come non aiuta polemizzare sul mancato sfondamento al centro del PD.
Le recenti elezioni inglesi dimostrano che ormai in tutta Europa, Spagna esclusa, la destra attrae vaste fasce di popolazione. E' sulla risposta a questa onda che la sinistra europea deve interrogarsi. Poiché la crisi del labour, iniziata con il forzato abbandono di Tony Blair prima della fine del suo mandato, è la crisi di una certa idea di sinistra. Di una sinistra che pare non essere più in grado di avere una visione progressiva del mondo. Che si limita a gestire l'esistente con l'idea, legittima, ma di fatto in questo momento perdente, che basti apportare qualche modifica, le famose riforme, a un sistema giudicato nel suo complesso corretto e giusto. Ma il sistema economico e sociale attuale è giusto? Funziona correttamente? E' il migliore possibile?
In realtà il problema è tutto qui, e non è un problema da poco. Di fronte alla globalizzazione, a processi internazionali dirompenti, al pensiero unico, ai focolai di guerra che si accendono ovunque, la sinistra non ha più una risposta credibile. Anzi, si è diffusa l'idea che la globalizzazione sia in qualche modo un fatto voluto e guidato dal centro-sinistra. E non è un pensiero del tutto errato se pensiamo alla metà degli anni novanta ed alle politiche di Clinton, di Schroeder, di Prodi, di Jospin. Da questo punto di vista il programma del Partito Democratico alle ultime elezioni era inquietante, poiché di fronte all'idea tanto sbandierata di "innovazione" altro non si celava se non la riproposizione di modelli già sperimentati. Ora a quell'idea genericamente riformista di mondo la società volta le spalle, spaventata dalla messa in crisi dei livelli di benessere raggiunti grazie alla crescita economica della seconda metà del novecento. E' una sindrome tipica delle società ad alto livello di sviluppo che si chiudono a riccio contro gli "invasori": l'Islam, i cinesi, gli esclusi, i diversi in genere. I nuovi barbari che si avvicinano all'Impero.
La destra vince rispolverando i propri classici pezzi da novanta: il protezionismo, la sicurezza, un nazionalismo che si tenta di accoppiare ad un localismo identitario, l'uso della forza, la competizione, lo Stato etico e, dunque, basato sulle radici cristiane. Il classico canovaccio di una destra conservatrice e, al contrario di quanto si pensi, radicale, non certo moderata.
Quella che vince, infatti, non è una destra moderata. Vince una visione che vuole una politica forte e misure radicali. Si vuole una politica che attacchi le logiche della "società aperta". Se non si capisce questo non si capisce il collante che tiene insieme la nostra destra. Rutelli, l'ultra moderato, che perde con Alemanno, ex giovane fascista, è l'emblema di tutto questo. L'emblema di una sinistra che a forza di rincorrere il centro ha perso tutti suoi riferimenti.
A questo punto non ci resta granché. La sinistra radicale, incapace di cambiare linguaggio e prospettive, è di nuovo extra-parlamentare. E ritorna fuori dal parlamento proprio quando molte delle teorie che aveva elaborato negli anni settanta (la fine del fordismo e dell'operaio-massa, ad esempio) si sono verificate corrette. La sinistra riformista, invece, vede cadere la propria guida spirituale, quel new labour che era la sua stella cometa. E si accorge che la vocazione maggioritaria significa che due/terzi degli italiani non la votano. Nel frattempo i movimenti, il loro entusiasmo, la loro capacità di creare pensieri e pratiche alternative, sono stati spazzati via da un riflusso che appare inarrestabile. E così, in questo clima, mentre l'orrendo stupro nella capitale è un fatto di "sicurezza" che decide una campagna elettorale, il pestaggio a sangue di un giovane ragazzo da parte di giovani neo-nazi passa come un fatto di cronaca. In una città, e in una regione, dove questi fatti si ripetono da tempo. Dove il primo gesto del sindaco leghista è stato sgomberare un centro sociale, eseguendo quanto già programmato dal precedente sindaco ulivista. Secondo la logica consueta per cui la sicurezza implica necessariamente la limitazione di ogni dissenso. Con una coerenza disarmante.
Per ricostruire la sinistra ci vorrà tempo. Ci vorranno energie. Ci vorranno persone in grado di evitare personalismi e nuove ideologie. La cosa peggiore sarebbe quella di pensare di aver fatto tutto al meglio. Le prime mosse del PD, da questo punto di vista, fanno spaventare, così come la "costituente comunista" immaginata da qualcuno. Si dovrebbe incominciare, invece, a rimettersi in discussione. Magari osservando che a Roma si è perso ed a Vicenza, cuore del Veneto leghista, si è vinto. Magari ragionando su un passato che vedeva una sinistra parlamentare ed extra-parlamentare minoritarie nel paese ma capaci di vincere grandi battaglie sociali, di influenzare il dibattito politico, di essere egemoni nella cultura, sulla base di una critica feroce al potere ed al modello socio-economico dominante.

martedì 6 maggio 2008

Musica Distesa

Ci siamo. Il cast di Musica Distesa 2008 è ufficiale. Rispetto allo scorso anno proviamo ad aggiungere una serata. Musicalmente abbiamo preventivato più varietà, con contaminazioni afro, cantautorato raffinato, folk-rock sperimentale e jazz progressivo. Sempre all'insegna della "distensione". Buoni vini, buona birra, grigliate, massaggi e tuffi in piscina. Una figata simile merita una visita. Per partecipare al meglio alla rassegna è possibile acquistare il pacchetto completo MUSICA DISTESA a 130 euro a persona: include tre notti con prima colazione in una delle strutture ricettive locali e le cene del 13, 14 e 15 giugno. Per info scrivete a: distesa@libero.it. Visitate il sito http://www.cupramontana-accoglie.it/ per avere maggiori informazioni sulle strutture di accoglienza. A breve on-line anche il myspace della rassegna: www.myspace.com/musicadistesa
Ecco il programma completo:
Venerdì 13 giugno
Ore 17.00 Apertura stands eno-gastronomici.
Ore 18.00 Inaugurazione Rassegna
Ore 19.00 Degustazione guidata di Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Ore 20.00 Cena.
Ore 22.00 ANIMA EQUAL (Cingoli) in concerto.
Ore 23.30 DJ set

Sabato 14 giugno
Ore 14.00 Piscina, calcetto, relax
Ore 16.00 Seduta di massaggi.
Ore 17.00 Apertura stands eno-gastronomici.
Ore 18.00 Aperitivo
Ore 20.00 Cena.
Ore 21.00 ALESSANDRO GRAZIAN (Padova) in concerto.
Ore 22.30 GNUT (Napoli) in concerto.
Ore 24.00 DJ set.

Domenica 15 giugno
Ore 14.00 Piscina, calcetto, relax
Ore 14.30 Seduta di massaggi.
Ore 15.30 Apertura stands eno-gastronomici.
Ore 16.30 Tavola rotonda: Turismo in Vallesina.
Ore 18.00 Reading di poesia.
Ore 19.00 INSTABILE JAZZ QUARTET (Ascoli) in concerto.
Ore 20.00 Cena.
Ore 21.00 JAM SESSION DI CHIUSURA.

mercoledì 30 aprile 2008

Analogico VS Digitale

Sono uscito dai miei problemi di connessione in modo del tutto parziale. Tornando alla vecchia linea analogica a 56K, visto che ancora l'ADSL non funziona. La cosa mi ha fatto fare una serie di riflessioni come sempre del tutto inutili. Ma quando ci si abitua a certi standard tecnologici tornare indietro è davvero uno shock. Avete mai provato a usare vecchi sistemi operativi ad esempio? Oppure ad armeggiare con elettrodomestici antiquati?
Eppure, se in effetti le vecchie connessioni paiono di una lentezza esorbitante, in alcuni settori devo ammettere di subire il fascino dell'analogico. Dell'analogico in senso lato. Del vintage, del decaduto, del superato, del passato. Un caso emblematico è la mia passione di ritorno per il vinile, per i vecchi LP. Non arriverò mai a dire che si sentono meglio delle migliori registrazioni digitali (sebbene siano sempre meglio di certi merdosi MP3). Ma il suono è decisamente più ampio, onesto e caldo; certi difetti mi paiono bellissimi; per non parlare delle copertine, dell'odore, del rito della puntina che si posa sul vinile.
Le emozioni sono vibrazioni strane, sotterranee, indecifrabili. Di rado sono direttamente legate alla perfezione. Molto più spesso sono legate, al contrario, alle imperfezioni, ai ricordi, alle dissonanze, ai contrasti. Ad una immaterialità fatta di nessi non causali ma lirici e psichedelici. Come il modo di suonare di Danny Phantom Federici, il mio unico riferimento come tastierista quando strimpellavo, da giovane, sui palchi di mezza Milano e Provincia. Se ne è andato, Danny, da un paio di settimane. Non era il migliore. Non aveva la classe e la precisione di Roy Bittan, per intenderci. Ma era un musicista dalla straordinaria sensibilità, dalla incredibile capacità di colorire i pezzi e costruire riff o forgiare assoli dal gusto unico. Di intuire il senso e la profondità delle canzoni. Un grande del rock.
E quella stessa magia "analogica" si trova in certi vini naturali, autentici, fatti da vignaioli. Dove la perfezione stilistica e tecnica lascia spazio all'immaginazione, alla evoluzione continua, al genio umano che sempre è fallibile ed imperfetto. Analogico, appunto.
Il digitale lo lascio volentieri al mondo dei computer, con la speranza che mi si risolvano al più presto i problemi di connessione.

sabato 26 aprile 2008

Problemi di linea

La nostra linea ADSL fa le bizze da giorni. Impossibile ogni connessione. Ne ho approfittato per una salutare disintossicazione da blog, siti, e-mail e tutto ciò che ha a che fare con questa nuova forma di dipendenza che è il mondo virtuale di internet. Oggi, poi, mentre lavoravo nell'orto, c'era una luce talmente bella, accecante e pervasiva che risultava evidente la superiorità definitiva del mondo reale. Godiamo, quindi, di queste giornate, di questa stagione di crescita ed esplosione di energia, di questa nostra terra/Terra che ancora resiste alle nefandezze umane.

giovedì 17 aprile 2008

Bruce and Obama

Dear Friends and Fans:
Like most of you, I've been following the campaign and I have now seen and heard enough to know where I stand. Senator Obama, in my view, is head and shoulders above the rest.
He has the depth, the reflectiveness, and the resilience to be our next President. He speaks to the America I've envisioned in my music for the past 35 years, a generous nation with a citizenry willing to tackle nuanced and complex problems, a country that's interested in its collective destiny and in the potential of its gathered spirit. A place where "...nobody crowds you, and nobody goes it alone."
At the moment, critics have tried to diminish Senator Obama through the exaggeration of certain of his comments and relationships. While these matters are worthy of some discussion, they have been ripped out of the context and fabric of the man's life and vision, so well described in his excellent book, Dreams From My Father, often in order to distract us from discussing the real issues: war and peace, the fight for economic and racial justice, reaffirming our Constitution, and the protection and enhancement of our environment.
After the terrible damage done over the past eight years, a great American reclamation project needs to be undertaken. I believe that Senator Obama is the best candidate to lead that project and to lead us into the 21st Century with a renewed sense of moral purpose and of ourselves as Americans.
Over here on E Street, we're proud to support Obama for President.

lunedì 14 aprile 2008

La maratona

Ieri ho corso la mia seconda maratona, a Torino. Nonostante l'allenamento scarso e il non perfetto stato di forma è andata bene, ho chiuso sotto il mio personale in 3 ore e 56 minuti, secondo più, secondo meno. Rispetto alla prima esperienza, a Roma due anni fa, ho distribuito meglio lo sforzo. Non che non sia stata dura, anzi. L'esperienza mistica, psichedelica, degli ultimi chilometri di una maratona credo sia sempre la stessa, nonostante l'esperienza, nonostante l'allenamento, nonostante l'età. Perché la sofferenza è parte del gioco.
In molti mi hanno chiesto e mi chiedono quale sia la ragione per questa sofferenza. La risposta è complessa. La maratona è greca, come la storia dell'uomo occidentale. La maratona è una sfida ai propri limiti, è un viaggio alla conoscenza di se stessi e della propria forza interiore. Riassume in sé molte delle caratteristiche che accomunano le grandi avventure, dall'alpinismo alle traversate dell'oceano. La costanza nell'allenamento, la volontà nel superare i momenti difficili, la paura di non farcela, tutto è parte di un lungo viaggio verso il limite: c'entra Ulisse, c'entra la volontà di potenza, c'entrano la tragedia greca e la catarsi, c'entra la competizione e c'entra la soliderietà coi tuoi simili, sofferenti come te. La maratona è una grande, stupenda esperienza spirituale prima che fisica. Chi l'ha corsa sa cosa intendo. Sa cosa si prova negli ultimi chilometri e a quali energie si deve fare affidamento. Sa cosa si prova dopo che tagli il traguardo, le contraddizioni che ti si scatenano dentro. Che giuri di smettere di correre e già pensi alla prossima.
Dopodiché, proprio perché parte della storia occidentale, la maratona è anche sponsor, affari, starlettes, deejays, gara, e tutto ciò che fa spettacolo. Ed anche questo è parte del gioco, con buona pace di Filippide.

sabato 12 aprile 2008

Tempo di elezioni

Ci siamo quasi. Dopo lunghe riflessioni ho deciso che voterò. Non so ancora dire chi e non sono ancora nemmeno troppo convinto. Troppo evidente è la crisi della nostra politica per avere entusiasmi. Crisi politica che è la crisi di un intero paese ma che è anche la crisi in qualche modo di un intero modello di sviluppo globale. Noi italiani tendiamo, infatti, a concentrarci sui nostri difetti che sono tanti. Ed è vero che la nostra classe politica è insopportabilmente peggiore di quelle degli altri paesi europei. Eppure molti dei problemi che attanagliano le nostre società sono problemi globali, e non mi pare di vedere all'orizzonte soluzioni innovative o rivoluzionarie, né dall'amico Zapatero, né dalla brava Merkel, né dal simpatico Sarkozy. Si sopravvive. Ci si barcamena. Si resiste.
Andiamo oltre, quindi. Degli scandali vinosi nostrani non ho più gran voglia di parlare. Vi racconto, allora, un gran vino. Il Carso Malvazija Istriana 2005 di Skerk. Vino da lunga macerazione sulle bucce, non filtrato, che presenta elegantissimi sentori di pasticceria secca, di crema e di erbe aromatiche. Poi la camomilla, un finissimo sentore floreale di rosa. In bocca è acido, salato, molto lungo in chiusura. Con un tannino che avvolge la bocca, non aggressivo ma anzi molto piacevole, grazie ai ritorni di erbe aromatiche e di sensazioni balsamiche di cui è il protagonista indiscusso.
Poi un libro: Il Vento contro di Stefano Tassinari, edizioni Marco Tropea. E' la storia di Pietro Tresso, trotskista, fondatore del PCI, amico di Gramsci, ucciso dagli stalinisti durante la Resistenza. E' un libro scritto benissimo, a metà strada fra ricostruzione storica e narrativa. Non so perché ma mi ha ricordato Terra e Libertà di Ken Loach.
E infine un disco, per non far torto a nessuno: American IV di Johnny Cash. Mi ha regalato il vinile mio fratello e devo dire che sono rimasto basito dalla grandezza del disco. Un concentrato di musica popolare americana, di folk, di rock, di country, di grande canzone pop. Una sorta di testamento di una delle più grandi personalità della musica americana, fra testi biblici e chitarre vintage.

lunedì 7 aprile 2008

L'Espresso ed il Brunello

Sono tornato da Verona con un misto di angoscia e di eccitazione. Eccitazione per il fatto che i miei vini continuino ad avere un riscontro importante. Angoscia per le notizie che circolavano, per lo scandalo del brunello, per la prima pagina de L'Espresso (vedi).
Tutto si può dire tranne che si vivesse una atmosfera gioiosa. Eppure quello che mi ha datto fastidio davvero è stato l'atteggiamento medio, tipicamente italiano, per cui tutto questo rumore non fa del "bene" al mondo del vino. Mi sono accorto di non essere d'accordo con i tanti che in qusti giorni hanno scritto e riflettuto, sui blog, nei corridoi della fiera, nei bar e negli stands.
Sono spaesato, dubbioso, frastornato. Perché è tutto vero: un giornalismo forse eccessivo, un tempismo sospetto, metodi in qualche modo pericolosi. Ma al tempo stesso io in questi giorni di fiera mi sono vergognato. Vergognato per il paese in cui vivo, per i commenti che sentivo in continuazione, per l’incapacità di capire la gravità di quello che sta succedendo nel mondo del vino. E allora mi chiedo: lasciamo stare la forma, per un attimo. Lasciamo stare ovvie e basilari distinzioni legali e penali fra un liquido capace di uccidere e una frode in commercio. Ma è mai possibile che non si capisca che si è passato il limite? Che non si capisca che in questi anni di crescita sfrenata si è instaurato un meccanismo mentale per cui tutto è considerato lecito? Che almeno una cosa accumuna le differenti inchieste citate da L’Espresso, e cioé il superamento di una soglia etica per cui non importa la salute del consumatore, non importa il rispetto dei disciplinari, non importa l’origine, non importa più nulla salvo la vendita, i numeri, i bilanci, il successo?Questo è il paese dei furbi. Che si uccidano le persone o le denominazioni di origine poco conta, l’importante è farla franca, è non parlare perché ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, è attaccare i giornalisti, sia quando tacciono sia quando denunciano. Quando tacciono sono omertosi e reticenti e quando denunciano è perché vogliono tirare la volata ai vini francesi o australiani. No, io non ci sto. Omertoso è il mondo del vino. Omertoso è un mondo che certamente è fatto per la maggior parte di persone serie e oneste ma che ha in sé una enorme serie di contraddizioni, una quantità enorme di mele marce, una quantità enorme di interessi poco limpidi e che davvero poco hanno a che fare con il mondo dell’agricoltura. I cattivi maestri, come li ha giustamente definiti Franco Ziliani, hanno seminato tanto e bene in questi anni, forse più di quel che immaginiamo. E la realtà vera è che sappiamo sempre meno che cosa ci sia nel bicchiere e a quali manipolazioni venga sottoposto il vino, in modo legale o illegale. Acidificazioni e arricchimenti come pratiche non eccezionali ma normali, concentratori, prodotti chimici di ogni natura usati ben al di là delle dosi consentite. Non sono mai stato un taliban del vino naturale ma è evidente a tutti che si è passato il segno, e lo dimostra il successo negli anni passati di chi ha intrapreso strade diffenti, che si chiamino viniveri o vininaturali o tripleA o criticalwine o come dir si voglia. Certo, si poteva dare la notizia in modo diverso, si poteva evitare una copertina eccessiva. Ma il problema non è la notizia, è la realtà. E la realtà è che molti, troppi, non hanno più chiara la distinzione fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato perché guardano solo a ciò che gli fa vendere una bottiglia in più. Purtroppo gli interessi in gioco per un radicale cambio di rotta sono troppo grandi e, passata la tempesta, i sofisticatori continueranno a fare i vini per i poveri, i disciplinari verranno adattati per consentire di fare vini più vendibili ai ricchi e le aziende legate all’enologia continueranno ad incrementare i propri utili con la garanzia dei tanti santoni delle cantine e delle loro ricette.
Per quanto mi riguarda sabato mattina mi sono fatto una bella sgambata in alta Valpolicella. Quindici chilometri di corsa in mezzo a stupendi cigliegi in fiore, terrazze fatte da muretti a secco, ulivi e vigneti. Respirando un'aria pulita, fresca, lontana da quella trita e ritrita che si respirava venti chilometri più in basso, nella piana veronese.
E poi mi sono sentito meglio.

mercoledì 2 aprile 2008

Vinitaly e altro

Venerdì e sabato prossimi sarò a Verona. Chi volesse venire a trovarmi e ad assaggiare qualche nuova o vecchia annata mi troverà presso il padiglione della Regione Marche nello stand della Azienda Agricola Malacari che, come sempre, molto gentilmente mi ospita e mi sopporta.
Non amo particolarmente la kermesse veronese, è banale dirlo. Ma quest'anno ci vado ancora meno volentieri visto che non potrò nemmeno partecipare a Critical Wine. Dopo cinque anni questo evento, infatti, non si terrà a causa dell'avvenuto sgombero del Centro Sociale La Chimica. Vorrà dire che mi aggirerò per Vinitaly con la maglietta di Terra e libertà/Critical wine, giusto per sentire meno la nostalgia. E sempre in tema di nostalgia qui si trova un filmato su La Terra Trema di novembre al Leonkavallo,
Per il resto mi aspettano il solito albergo in Valpolicella, i più o meno soliti appuntamenti di lavoro, i soliti giri per stands vari a bere vini immaturi, una cena con i clienti del nord Europa ed una con gli amici e importatori americani.
Infine annoto alcuni Riesling tedeschi che mi sono piaciuti a Dusseldorf: Weingut Becker Landgraf (Rheinessen) Herrgott Spfad 2006 (in botte grande); Heinz Schmidt (Mosel) Schweicher Annaberg Spatlese trocken 2007; Dr. Loosen (Mosel) Alte Reben trocken 2006; Georg Breur (Rheingau) Terra Montosa 2006.

giovedì 27 marzo 2008

Brunello e consorzi

E' di questi giorni la notizia, data per primo da Franco Ziliani (leggi qui), e poi rimbalzata su blog e siti italiani e stranieri, di una importante inchiesta della Procura di Siena riguardante alcuni produttori di Brunello di Montalcino. Pare che questi produttori abbiano utilizzato uve differenti dal Sangiovese, che per il disciplinare è l'unica uva ammessa. Ancora è da capire se questi Brunello venissero tagliati con vini del Sud, in particolare pugliesi, o se venissero impiegati vitigni differenti dal Sangiovese ma piantati a Montalcino. In ogni caso trattasi di frode in commercio. Frode grave, vista l'importanza della Denominazione in questione, forse la più blasonata all'estero.
Questa notizia mi porta a ricordare una battaglia condotta insieme all'amico Alessandro Starrabba della Cantina Malacari contro i decreti ministeriali che fin dal 2001 hanno delegato ai Consorzi di Tutela i poteri di controllo sulle denominazioni di origine. Estendendo tali poteri "erga omnes", ovvero sia nei confronti degli associati al Consorzio sia dei non associati. (Ricordo che per effettuare tali controlli viene anche richiesta la consueta italiana gabella che, ovviamente, non è sostitutiva di quanto già dovuto alle Camere di Commercio per i prelievi destinati alle commissioni di degustazione, bensì aggiuntiva).
Con Alessandro ed altri produttori marchigiani denunciammo al TAR del Lazio quello che a noi sembrava e tuttora sembra un sistema assurdo, ovviamente perdendo la causa perché questo è un paese civile e liberale... Quanto accade a Montalcino in questi giorni, e che potrebbe accadere ovunque e per qualunque denominazione (si pensi alla analoga questione che riguarda la Frascobaldi ), dimostra invece che avevamo ragione.
Le denominazioni di origine sono un bene comune. Esse sono infatti l'insieme di un territorio, dei vitigni autorizzati ad essere coltivati sul quel territorio per produrre il vino a denominazione e di regole che i produttori si sono date in base alla tradizione. Affidare il controllo a un ente privato, quale un Consorzio di tutela, altro non significa se non privatizzare un bene collettivo. Questa dinamica è rafforzata dal fatto che nei Consorzi i voti non sono tutti uguali: il grande produttore pesa di più, poiché i voti vanno di pari passo con gli ettari rivendicati a DOC. Cioé si mette in mano la denominazione di origine ai grandi industriali.
Vi chiederete: tutto qui? No, perché molto spesso i Consorzi nominano Presidenti o Direttori enologi legati alle grosse aziende che fanno consulenze per molte delle aziende associate. Dunque affidare il Controllo sulla denominazione di origine a queste persone significa sostanzialmente far coincidere il controllore con il controllato, venendo meno ogni ipotesi di terzietà che è basilare in ogni certificazione (chi fa il biologico ne sa qualcosa...). Tutto qui? No. Perché in nome della "tracciabilità" spesso si propongono sistemi informatici per le cantine che, guarda caso, sono prodotti da aziende vicine ai consorzi stessi. Ma non voglio farla lunga.
Il risultato di questo sistema è che i grandi industriali del vino (coloro che hanno interesse a barare) controllano i piccoli vignaioli (coloro che lavorano con serietà e rispetto dell'origine); che spesso il potere di controllo si trasforma, non si sa bene perché, in potere coercitivo: moltissimi produttori hanno paura di contestare questo sistema perché temono che poi i loro vini abbiano problemi nell'ottenere le autorizzazioni all'imbottigliamento; che i consumatori non hanno sufficienti garanzie sul fatto che ciò che bevono corrisponda a quanto stampato in etichetta.
Stupirsi di fronte a quanto sta accadendo a Montalcino è da ingenui. Ciò che si dovrebbe fare non è tanto scandalizzarsi quanto muoversi per riuscire a costruire un movimento che veda uniti i produttori onesti, i consumatori, i giornalisti seri e indipendenti. Un movimento che si ponga l'obiettivo di ridare alla collettività le denominazioni di origine, di riformare questo sistema sbagliato che trova consensi bi-partisan (da Pecoraro ad Alemanno a De Castro, per intenderci), di costruire un nuovo impianto al contempo meno burocratico (autocertificazione dell'origine) e più certo (controlli severissimi sul prodotto imbottigliato). Magari ripartendo dalle intuizioni veronelliane sulle Denominazioni Comunali.

venerdì 21 marzo 2008

La degustazione perfetta

Per il secondo anno consecutivo sono stato invitato ad una serata davvero speciale. Si svolge durante la Pro-wein a casa di Ulf Nilsson, grande appassionato di vini, nonché neo enotecario nella zona di Colonia. La sua cantina è davvero una chiesa pagana dedicata alla cultura del vino. Quello che accade in questa serata è un gioco affascinante e difficile. Mangiando dell'ottimo cibo Ulf serve ai commensali una serie di vini provenienti dalla sua cantina, rigorosamente alla cieca. E da lì parte un confronto collettivo, una prolungata ricerca fatta di discussioni, illuminazioni, castronerie e calcoli che dovrebbe portare, e a volte porta, alla scoperta del vino servito nel bicchiere. Vitigno, zona, età presunta. Un incubo. O un sogno meraviglioso. A seconda della compagnia e dell'approccio alla cultura del vino. Già lo scorso anno si era tornati in albergo col ricordo di una serata indimenticabile. Ma quest'anno siamo anche oltre. Questi i vini degustati nella sequenza originale (purtroppo spesso non ho segnato i produttori):
Cremant de Loire 2000, Riesling Sekt Mosel Franz Kern 2000, Dom Perignon 1990, Riesling 2005 Maastcht Olanda, Albarino Rias Baixas 2006, Pouilly Fumé 1998, Borgogna Pinot Noir 1999, Pinot Noir Alsazia 2000, Castellao Portogallo 2005, Shiraz Australia 1992, Brunello di Montalcino Lisini 1982, Chateau Palmer Margaux 1985, Volnay 1964, Barolo Borgogno 1958.
Potrei per molti di questi vini azzardare una descrizione ma mi pare noioso e superfluo. Quello che posso dire è che al ritorno, ore 4 della mattina, c'era in noi davvero la sensazione di avere aperto bottiglie indimenticabili e uniche. Per la cronaca, a fronte di grossi problemi col vino olandese, con i portoghesi, col Brunello e con il Pinot nero alsaziano, devo dire che mi sono mosso abbastanza bene, nonostante un fastidioso raffredore, arrivando spesso nei dintorni del vino giusto e, soprattutto azzeccando i tre vini che costituiscono il mio podio ideale: per il Dom Perignon avevo ipotizzato uno champagne a preponderanza di Pinot Noir di dieci anni (ne aveva quasi il doppio e sembrava ancora un bambino!); per il Margaux avevo detto un grande Bordeaux della zona del Medoc con preponderanza di Cabernet Sauvignon; per il Borgogno avevo candidamente dato come risposta unica un barolo degli anni cinquanta/sessanta. Mi pare che questo denoti in modo inequivocabile una volta di più la grandezza di quei vini: tutti e tre avevano una incredibile identità territoriale, una incredibile e irripetibile unicità nel rapporto vitigno/territorio/annata. Amen.

mercoledì 19 marzo 2008

Prowein 2008

Aereo per Dusseldorf. Un grosso industriale del vino spiega la sua filosofia ad un suo simile.
"In momenti come questi è bene non avere troppi vigneti. Sono costi fissi... Invece vai in Puglia o in Abruzzo compri tutto quelle che ti serve... Sangiovese, tac! Al limite sistemi con due chips quello che non funziona, e sei a posto. Abbatti i costi". L'altro annuisce. Con buona pace dei consumatori, delle etichette e dei Consorzi di Tutela.
Sono appena rientrato dalla ProWein. Il bilancio è positivo. I vini sono piaciuti. Gli ordini arrivano. C'è grande attenzione, mi pare, per vini con una spiccata identità. E poi il Reno è meraviglioso, la birreria Urege è un pezzo di storia e la compagnia di Alessandro (Cantina Malacari) e degli altri Piccoli Produttori (Grandi Vini) è sempre molto divertente. Ovviamente ci sarebbero parecchie cose da raccontare, in particolare una memorabile serata enologica, alcuni Riesling tedeschi, un ristorante da evitare con cura. Ne parlerò con calma... La domanda stasera è un'altra. Retorica, ovviamente. Perché alla ProWein non si fanno code, si parcheggia in 30 secondi, tutto è perfettamente organizzato, i bagni sono puliti, il biglietto della fiera vale per tutti i mezzi pubblici dell'intera renania, ferrovia compresa? Forse per la stessa ragione per cui le autostrade in Germania non si pagano e sono in condizioni ottime, i giardini pubblici sono belli e curatissimi e dall'alto di un aereo non si fa altro che vedere pannelli solari sui tetti e grandi mulini a vento sparsi per la campagna? Forse per la stessa ragione per cui la gente è civile, gentile e rispettosa del "bene comune"? Considerando che fra poco invece ci toccherà ritornare a Vinitaly, che è esattamente l'opposto di tutto ciò, c'è ben poco da stare allegri. Ovviamente è solo una opinione personale perché tanto noi continuiamo a ripeterci che siamo italiani, brava gente, pizza e mandolino, creativi, e anche campioni del mondo. Dunque va bene così.

giovedì 13 marzo 2008

Dalla terra per la Terra: Contadini Critici

L’agricoltura contadina è stata, da sempre, custode dei saperi e sapori della terra. Con l’avvento della società dei consumi, imperniata sull’industria e sullo sviluppo urbano, essa è rimasta un presidio fondamentale del territorio e del gusto, l’ultimo baluardo per la salvaguardia di antichi saperi, di tradizioni eno-gastronomiche, di varietà e specie locali, di beni collettivi, di territori e paesaggi agricoli.
Questo mondo, nonostante la dilagante retorica dei "prodotti tipici", è oggi fortemente attaccato da ogni parte e paga una profonda subalternità nei confronti della società urbanizzata.
In primo luogo, infatti, vi è un esproprio di valore che la distribuzione commerciale compie quotidianamente nei confronti del lavoro agricolo, grazie a consumatori oramai sempre più addomesticati dai messaggi del marketing.
In secondo luogo vi è il tentativo dell’agro-industria di modificare i prodotti stessi della terra, attraverso l’omologazione del gusto, la selezione e modificazione delle sementi e delle specie (fino agli OGM), la rottura del legame col territorio attraverso la negazione dell’origine e la preferenza per il concetto di "ultima trasformazione sostanziale".
Infine, come ultimo atto di questo accerchiamento, l’industria e lo Stato approfittano della dissoluzione delle comunità agricole per sferrare l’attacco al territorio in termini di sfruttamento dei suoli e devastazione ambientale a fini urbanistici, industriali e speculativi.
In Europa ogni tre minuti scompare un’azienda agricola, circa 600 ogni giorno, 250.000 ogni anno. Nel nostro Paese, i dati dell’ultimo censimento ISTAT, mostrano come siano in diminuzione il numero totale delle aziende a vantaggio delle dimensioni delle aziende superstiti. Si va sempre di più verso un’agricoltura industrializzata, con pochi addetti occupati e un enorme uso di mezzi tecnici e chimici, macchinari, energia; quindi enormemente più inquinante e dissipatrice di energia della tradizionale azienda contadina.
Oggi l’agricoltura industriale non produce per nutrire le popolazioni, ma per alimentare l’industria ed il commercio connesso. Il maggior profitto dell’industria agro-alimentare avviene nel processo di trasformazione, confezionamento e commercializzazione del prodotto.
Le quotazioni all’origine della frutta sono calate, nel 2005 rispetto al 2004, del 7,9%, mentre quelle di verdure ed ortaggi del 6,8%; complessivamente i listini dei prodotti agricoli sono scesi negli ultimi dodici mesi del 4%. In una regione ad agricoltura "ricca" come l’Emilia Romagna, si è calcolato che il reddito delle aziende agricole si è dimezzato negli ultimi 5 anni, ossia diminuisce del 10% l’anno. Per ogni euro di spesa in consumi alimentari, più della metà è assorbito dalla distribuzione finale.
In questo contesto si collocano le politiche di stampo corporativo e neo-liberista sviluppate dall’Unione Europea in questi ultimi anni. La legislazione europea in fatto di PAC, leggi igienico-sanitarie, certificazioni BIO, marchi e disciplinari di qualità, ha rafforzato le dinamiche di dissoluzione dell’organizzazione sociale contadina a vantaggio delle grandi industrie agro-alimentari (si ricorda che l’80% dei sussidi comunitari è andato al solo 20% delle aziende più grandi). Questo è avvenuto con il benestare di tutte le associazioni di categoria cui è interessato semplicemente che arrivassero finanziamenti da gestire, indipendentemente da ogni ragionamento sull’agricoltura di tipo sociale, culturale, ambientale.
Il risultato di queste dinamiche è oggi sotto gli occhi di tutti: i casi della mucca pazza e di Parmalat dimostrano che non sappiamo cosa mangiamo e che cosa ci sia dietro i bilanci delle grandi aziende; DOP, IGP, Presidi, marchi di qualità servono fondamentalmente alla vorace agro-industria ad occupare ogni pur piccola nicchia di mercato; l’omologazione dei gusti imposta dal grande commercio porta all’omologazione dei modi di produrre e delle varietà utilizzate; l’industrializzazione delle campagne ha creato un legame perverso con l’industria chimica producendo una incredibile perdita di fertilità dei suoli, oltre all’inquinamento dei terreni e delle acque; la proposta di riforma dell’Organizzazione Comune di Mercato, per quanto riguarda il settore vinicolo, sostanzialmente ha l’obiettivo di ridurre il vino a mera bevanda industriale, in nome della competizione (di prezzo) sui mercati globali.
Ogni realtà contadina vive oggi sulla sua pelle le contraddizioni di legislazioni fatte su misura per l'agro-industria: HACCP, tracciabilità, controlli per le DOC, certificazioni Bio, PAC, tutto quanto si tiene insieme per coalizzare le grandi industrie, raccogliere sussidi, creare problemi di natura burocratica, fiscale e sanitaria di ogni genere. Per quanto riguarda specificatamente il mondo del vino, ad esempio, la creazione dei Consorzi di tutela con compiti di controllo erga omnes (decreti attuativi della legge 164 del 1992) è l’ultimo esempio di questa politica perversa e corporativa. Consorzi di Tutela divenuti strumenti di coercizione in mano alle lobby dell’industria vinicola.
Vi sono una serie di rivendicazioni che vengono oggi dal mondo agricolo che coinvolgono il sistema dei prezzi e della distribuzione commerciale ma che si caricano di valenze sociali e culturali molto più vaste e che devono in qualche modo farsi resistenza. Tale resistenza implica un nuovo protagonismo contadino, oggi molto più attivo nei paesi del terzo mondo che in Europa.
In questi ultimi anni alcuni semi sono stati lanciati, ad esempio dal progetto Terra e Libertà/Critical Wine, dalla Associazione Contadinicritici o dal Foro Contadino. Ma anche dalle associazioni di produttori naturali o biologici, da gruppi di contadini impegnati per un’altra agricoltura, da progetti per la costruzione di filiere corte, dai numerosi gruppi di acquisto solidale nati in questi anni. Si tratta ora di tirare le fila, di riunire le istanze e le rivendicazioni intorno a una piattaforma condivisa.
Vi sono alcuni punti irrinunciabili: l’origine; l’autocertificazione; il prezzo sorgente; i mercati contadini, intesi come immediata realizzazione della “filiera corta”.
In primo luogo bisogna affermare con forza che i prodotti agro-alimentari non sono merci come le altre. Per questo non è possibile accettare la logica delle certificazioni di qualità applicate ai prodotti industriali ma, viceversa, va invocato il principio dell’origine, cioè del legame assoluto col territorio. Questo è il solo principio valido nell’identificare un prodotto agricolo poiché ne valorizza il territorio e le genti che vi abitano e che hanno contribuito alla evoluzione di una determinata qualità/specie.
In secondo luogo va ricostruito un rapporto diretto fra produttori e consumatori, un rapporto completamente sconvolto dalla logica dei “centri commerciali”: vanno proposti e creati Mercati Contadini autonomi ed auto-gestiti, ove non vi siano spazi fissi assegnati, ma dove ad ognuno sia consentito anche saltuariamente o stagionalmente proporre le proprie produzioni. Vanno incentivate tutte le forme possibili di distribuzione diretta, come i Gruppi di Acquisto Solidali o la produzione per famiglie su prenotazione.
In terzo luogo il rapporto fra produttori e consumatori oltre che diretto deve essere trasparente. Ma nessuna certificazione è più utile e responsabile di una auto-certificazione in cui venga dichiarato come si lavora la terra, quali sono i rapporti con il lavoro ed il capitale, come vengono trasformati i prodotti. Pensiamo a una bottiglia di vino: è sottoposta a una miriade di controlli ma nessun consumatore può davvero sapere, ad oggi, che cosa sia contenuto nel vino. L’auto-certificazione implica una assunzione di responsabilità. Ed obbliga i controllori a verificare il prodotto piuttosto che a controllare le carte e a moltiplicare la burocrazia.
Infine, il prezzo sorgente. O prezzo alla fonte. Il consumatore deve poter conoscere i prezzi medi cui l’agricoltore vende i propri prodotti. Immediatamente sarebbero visibili i ricarichi e l’estrazione del plusvalore da parte della filiera distributiva nei suoi passaggi. Il prezzo sorgente non è contro il mercato. E’ per un mercato più trasparente ed equo.
Su questi punti essenziali si gioca la partita per la costruzione dell’agricoltura del futuro: una agricoltura sana, naturale, sostenibile. Praticata da contadini che presidiano il territorio, ne difendono le specificità, ne custodiscono la storia e le tradizioni. Una agricoltura opposta da quella immaginata a Bruxelles o nelle stanze dell’attuale Ministero dell’Agricoltura.