mercoledì 2 gennaio 2008

L'anno nuovo

Eccomi reduce dal consueto baccanale di fine anno, festeggiato con abbondanti libagioni in compagnia di amici amici e nonostante i molti virus in circolazione. Reduce, soprattutto, da un tour de force iniziato il 23 sera a Milano (Fedro ed io abbiamo finito col ritrovarci in Piazza Bologna alle tre e mezzo fra birre e salamelle, circondati da una città sempre più triste e vuota), continuato con pranzi e cene con famiglie più o meno allargate, proseguito con lunghe nottate musical/goliardiche e terminato l'uno mattina 2008 intorno all quattro e mezza. Ora, cosa ci spinga a tutto questo non l'ho mai capito fino in fondo. Ma ogni civiltà ha i propri riti e questo è uno dei nostri, dunque va bene così. Posso qui ricordare alcune delle cose che più mi son piaciute: il Montebianco della zia di Valeria (e relativo Sauternes 2003 non-ricordo-più-il produttore), i cappelletti in brodo di mia mamma, un ottimo Brunello di Montalcino Tenuta Caparzo 1986 dritto, asciutto, con sentori spiccati di cenere di tabacco e legno d'ebano, i classici peperoni della mia amica Marina, un coscio di agnello "asado", il mio brasato al Nocenzio, l'incredibile, vulcanico Pinot Nero Burlenberg 1999 di Marcel Deiss, e lo stupendo, salatissimo Champagne Brut Reserve non dosato di Raymond Boulard. Questo, ovviamente, oltre agli abbracci ed agli auguri delle persone che pù mi sono care. Detto questo, e in attesa di una stra-meritata vacanza, fra poco inizierò a programmare le potature. Ma un pensiero all'anno appena trascorso lo voglio fare. Prescindendo dalle felicità famigliari che sono mie e solo mie, voglio ricordare ciò che di buono è accaduto ai miei vini: la classifica stilata da Spirito di Vino che ha riconosciuto a Gli Eremi 2004 lo status di secondo miglior Verdicchio, la finale dei trebicchieri raggiunta dal Terre Silvate 2006, l'Etichetta assegnata dalla Guida al vino quotidiano sempre al Terre Silvate 2006. Ma soprattutto il giudizio e la soddisfazione dei miei clienti, quando mi chiamano o mi scrivono, per dirmi che hanno goduto. Perché per questo si fa il vino, per far godere la gente.
Concludo con i due dischi più belli del 2007 per il sottoscritto: Because of the times dei Kings of leon e Sky blue Sky dei Wilco. Diversissimi, ma entrambi dischi di grande rock. Il fatto che non sia l'unico a pensarlo dimostra che sono sempre più banale. Ma l'età è quella che è.

domenica 16 dicembre 2007

Ecco l'inverno

Questa è l'immagine con cui mi sono svegliato questa mattina. La Distesa sotto la neve è sempre molto affascinante, specie se non si ripetono nevicate storiche come quella del gennaio 2005. Ma l'immagine con cui chiuderò gli occhi stanotte sarà un'altra. Quella di capitan Maldini. Quando smetterà, fra poco, saremo tutti un pò più tristi e vecchi.


giovedì 13 dicembre 2007

Verso l'inverno


Giorni di pioggia, giorni sempre più freddi. Giorni di decomposizione, di ritorno alla terra, di forze discendenti. Ho sempre amato la fredda decadenza del tardo autunno, le giornate dalla luce scarsa ed evanescente, i primi freddi che poi non sono mai primi per davvero. Mi è sempre piaciuto l'odore di foglie bagnate, di terra umida, di sottobosco marcescente, di fuoco appena acceso, di cenere spenta, di legna affumicata.
In mezzo a tutto questo i vini nuovi fermentano ancora, lentissimamente, pericolosamente sul confine fra grandezza e perdizione. In mezzo a tutto questo In rainbows dei Radiohead è un disco contraddittorio, ma bellissimo nella parte finale, adattissimo alla stagione e a questi anni instabili. In mezzo a tutto questo c'è il Natale che arriva, inesorabile, noioso e sempre necessario a rinsaldare per un attimo appena comunità disperse, distratte, distrutte.

giovedì 6 dicembre 2007

Francia

Mancano ancora più di sei mesi agli Europei di calcio quando ci troveremo ancora di fronte i cugini francesi. Fino ad allora è possibile gridare "Vive la France!" bevendo i loro vini stupendi. D'altronde che siamo campioni del mondo non si discute. A pallone. Ma per quanto concerne i vini continuo a pensare che abbiamo ancora un pò di strada da fare, noi vignaioli italiani. Questione di terre ma anche di teste. Perché sui vitigni, non c'è storia; anche lì siamo campioni del mondo.
Sono tornato ancora una volta in quel di Beaune e Mersault, insieme alla solita compagnia di amici, ma orfani di Izio, sempre magico vice-segretario (in pochi sappiamo il significato recondito di questa carica onoraria).
In realtà stavolta la Cote d'or è stata solo un buon trampolino per conoscere realtà come lo Jura e Chablis, trovandosi più o meno a metà strada fra queste due regioni. Rimando ai prossimi giorni i commenti più precisi a vini e produttori. Oggi mi interessa soprattutto sottolineare come abbiamo assaggiato, con pochissime eccezioni, vini davvero superbi, anche in relazione al prezzo (certo scordiamoci i vini da 3 euro!). Vini con una identità spiccata e un eccezionale rapporto col territorio, sia che si fosse nella grande "tasting room" di una azienda da milioni di bottiglie, sia nello Chateau fico da centinaia di migliaia di bottiglie, sia nella grotta piena di muffe e ragnatele del piccolo vigneron. La sensazione, cioé, è che indipendentemente dalle dimensioni aziendali, queste regioni stiano resistendo in modo vigoroso e tangibile alla standardizzazione del gusto imposta negli ultimi anni, proseguendo sulla strada della tradizione.
In particolare Chablis, di cui conoscevo i vini ma non il territorio, è stata una rivelazione. Un luogo magico cui tornare in futuro. Un terroir fondamentale soprattutto per chi non si rassegna al dominio del "vino rosso" nell'immaginario collettivo. Abbiamo assaggiato vini davvero stupendi, dalla freschezza incredibile, dalla mineralità decisa, dalla vita lunghissima. Una qualità media impressionante, a fronte di prezzi molto elevati sui grand crus, ma decisamente alla portata per le denominazioni inferiori, specie nel confronto con certi bianchi di grido italiani.

giovedì 29 novembre 2007

Il fuoco sacro del rock'n'roll

Aspettavo Adam raised a Cain dopo quasi vent'anni ed è arrivata. Aspettavo Incident on 57th street ed è arrivata, con tanto di infinito e bollente assolo di chitarra finale. I pezzi del nuovo disco dal vivo spaccano. Ma soprattutto ieri c'era di nuovo il fuoco sacro, la luce accecante del rock'n'roll. Non aggiungo altro, perché è inutile. Chi c'era sa di cosa sto parlando. E chi non c'era forse non potrebbe capire.

mercoledì 21 novembre 2007

La Terra Trema a Milano

Venerdì partirò per Milano. Che per me significa ancora casa. Pranzi e cene da mamma, la mia vecchia cameretta, lo sferragliare notturno dei tram, qualche birra con gli amici di sempre.
L'occasione è la fiera La Terra Trema al Leonkavallo, ultima tappa del percorso di movimento un tempo chiamato Critical Wine. Insieme ad altri agricoltori proveremo a portare, ancora una volta, i tempi e le storie della campagna nel centro della metropoli. Qui trovate tutte le informazioni. Come sempre mi piace molto il lavoro teorico che sta dietro a questi eventi e l'elaborazione politica che vi si cela. Qualcosa di molto lontano dall'aria fritta del Partito Democratico. Micropolitiche della resistenza le chiamano gli organizzatori. Che colgono nel segno quando vedono nel distorto rapporto fra città e campagne, fra centro e periferia, uno dei principali nodi irrisolti della post-modernità, generatore di corto circuiti fra cultura e colture, fra Terra e alimentazione, fra globale e locale, fra uomo e macchina. A tutto ciò si cercherà di rispondere attraverso "vini e vignaioli autentici, agricoltori periurbani e gastronomie autonome", come recita il sottotitolo de La Terra Trema.
Vi aspetto, dunque, venerdì, sabato e domenica all'interno dello Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo dalle 15.00 alle 22.00 per degustare, chiacchierare, riflettere e anche divertirsi.

lunedì 19 novembre 2007

Lungo il Grande Fiume - Parte terza

Dopo la Maison Chapoutier restiamo nella parte Nord della Valle del Rodano per incontrare una serie di produttori più piccoli ma egualmente molto interessanti.
GEORGE VERNAY – Condrieu.
Forse perché arrivati in ritardo all’appuntamento, ma qui l’accoglienza è decisamente più fredda. L’azienda Vernay, diretta da Paul Amsellem, è nota per i suoi Condrieu. Purtroppo i vini più interessanti sono esauriti, dunque la panoramica non può considerarsi esaustiva. In generale, però, si può affermare che lo stile aziendale è certamente orientato verso una impostazione internazionale, specialmente per quanto concerne la Sirah.LES TERRASSES DE L’EMPIRE – CONDRIEU 2005
Un classico giallo paglierino introduce a sentori di banana un po’ banali. Al naso è comunque molto pulito e fine. In bocca è morbido, corretto, senza una grande persistenza. Il viogner si offre qui nella sua mielata rotondità un po’ noiosa.
LES CHALEES DE L’ENFER – CONDRIEU 2005
Si presenta in un giallo paglierino carico. L’olfatto è subito elegantissimo e fine con una pulitissima nota di pera, di buccia di arancia caramellata, di marmellata di agrumi. In bocca ha un ottimo equilibrio fra morbidezza e acidità. La chiusura è lunga e minerale, e lascia presagire un grande futuro. Davvero un grande bianco.
LES DAMES BRUNES – SAINT JOSEPH 2004.
Un vino internazionale, una sirah che potrebbe essere australiana, sebbene a sua difesa vale la considerazione di un imbottigliamento ancora troppo ravvicinato. La tostatura del rovere è in grande evidenza. Comunque molto pulito al naso e di buona concentrazione.
MAISON ROUGE – COTE ROTIE 2004.
Un colore rosso cupo dai riflessi violacei introduce un naso pulito dove spiccano le note di spezie dolci, di pepe nero, di piccoli frutti rossi. Emerge più la sirah che la Cote Rotie, ma forse è anche la gioventù. I tannini sono comunque finissimi e precisi. Presente ancora la nota vanigliata sebbene più integrata nel frutto rispetto al vino precedente. Un esercizio di stile che risulta in fondo un po’ fine a se stesso.
VINCENT GASSE – Ampuis.
Vincent Gasse è un vignaiolo come tanti ce ne sono in Francia e in Italia. Ex insegnante in un Istituto per periti agrari, si è dato alla viticoltura biologica perché ha conosciuto e insegnato direttamente l’agricoltura chimica della “rivoluzione verde”. Un modello che considera ormai superato e dannoso. A parlarci, non sembra un integralista. Non lavora in biodinamica perché “si fa troppa fatica”, e in cantina è naturale solo perché così ha sempre fatto ed il vino che ne risulta lo soddisfa. Poi, però, ci porta nelle sue vigne, che sono piccolissime parcelle di diversi vigneti, e d’improvviso si illumina e veniamo travolti dalla sua passione per la terra.
Le parcelle, specie le prime due che ci mostra, sono proprio sopra al paese di Ampuis. Hanno pendenze incredibili. Il Rodano, enorme e fascinoso, compie una curva in modo tale che la costa vignata sia rivolta a sud, protetta dai venti più freddi (Mistral). Sembra di essere sulla Mosella più ancora che in Valtellina, con salti nel vuoto davvero affascinanti. La vendemmia qui è arte alpinistica ed i trattamenti principali vengono fatti, collettivamente e con prodotti biologici su tutte le parcelle, in elicottero. Poi, chi fa agricoltura convenzionale, se lo vuole, tratta ulteriormente le proprie vigne. Quando ha iniziato, Gasse era il primo a fare agricoltura biologica ad Ampuis e, ancora oggi, è fra i pochissimi. I suoi vini sono vini veri ma anche vini tecnicamente ineccepibili.
In cantina, un classica cantina da vigneron francese, dapprima ci fa assaggiare alcune prove di botte che subito si distinguono per autenticità e dirittura. Poi ci apre alcune delle poche bottiglie rimaste di annate precedenti.
COTE ROTIE 2001
Il colore è un rosso rubino classico. L’olfatto è invaso da note di pepe verde, rosmarino affumicato e di polvere di cacao. Poi sotto alla speziatura sembra emergere una interessante vena minerale, di grafite e asfalto. In bocca è stupendo per la freschezza quasi balsamica che lascia in bocca, risultante di tannini forse ancora un pò spigolosi e di una acidità ben presente e sapida. Un vino che può davvero invecchiare a lungo.
CONDRIEU 2003
E’ un viogner classico dal naso esplosivo di miele di acacia, confettura di pesca ed albicocca che in bocca delude per l’eccessiva morbidezza. Il vino, sebbene secco, risulta quasi dolce, stanco, senza alcuna presenza di sali minerali. Qui forse c’è di mezzo anche l’annata.
DOMAINE LIONNET – Cornas.
Lionnet è un altro vigneron classico, proveniente da una famiglia di viticoltori a Cornas dal 1575. La sua azienda produce un unico vino in 10.000 esemplari all’anno, circa. Siamo di fronte a quella realtà contadina francese viva, pulsante, fiera della propria storia. Una storia mai rinnegata per un salto verso l’industria o il mito cittadino. Sono le migliaia di piccole aziende come questa a costituire l’ossatura di un sistema-vino che, al contrario del modello degli chateaux bordolesi, regge la competizione globale attraverso una qualità distintiva, la fede nel terroir e la capacità di rivolgersi ad una clientela privata che raramente li tradisce, anche nelle annate meno fortunate.
Gli assaggi da barrique del Cornas 2005 ci fanno scoprire l’essenza del crus di Cornas, il vino più “sudista” del nord del Rodano. E’ un rosso cupo, concentrato, con spiccate doti di invecchiamento (anche 20 anni) in cui la sirah emerge come vitigno in perfetto equilibrio tra finezza e potenza, meno minerale che in Cote Rotie, bensì più grasso e morbido.
CORNAS 2004
Un vino che appare un po’ chiuso. Ci spiega Lionnet che i Cornas vanno bevuti molto giovani oppure almeno dopo 5 anni, poiché attraversano una fase “intimista” nel passaggio fra il fruttato giovanile e i sentori terziari della evoluzione. Si apre comunque su fini note di pepe nero, curry dolce, resina. Poi, delicatamente, si fanno strada frutti di bosco appena accennati. In bocca è molto buono, già in equilibrio perfetto fra alcool, tannini e acidità. Comunque la chiusura è verticale ed elegante. E’ il vino di un vignaiolo di razza.

giovedì 15 novembre 2007

Vini di vignaioli - impressioni

La fiera è creciuta ancora. A sensazione, però, il maggior numero di produttori non si è tradotto in un aumento di presenze. Come sempre ottimo il cibo durante i pranzi comunitari, occasione eccezionale per scambiarsi opinioni fra vignaioli, specie in questo periodo post-vendemmiale. Davvero molto interessante è stato il convegno del lunedì, partecipato ed intenso. E' emerso chiaramente dal lungo intervento di Antonio Onorati come le politiche dell'Unione Europea stiano portando l'agricoltura sulla strada della concentrazione industriale dell'offerta. Al tempo stesso, però, sono emerse le grandi potenzialità dei piccoli vignaioli "artigiani", capaci di imporre la forza del "terroir", dei vitigni autoctoni, della propria irripetibile personalità. Questo dualismo insanabile tra grande industria e piccola viticoltura di qualità sarà la cifra dei prossimi anni, ponendo una grande parte delle aziende di medie dimensioni di fronte a scelte difficili ma cruciali. Per quanto concerne i vini, mi sono piaciuti molto, mi limito a vini che conoscevo meno, i vini dei ragazzi di Cà de noci (uva Spergola e Lambrusco), assolutamente piacevoli e ricchi di freschezza, i vini dell'azienda friulana I Clivi, specie il Tocai 1997 e 1999 e il Merlot 2000, il sauvignon della Cascina Zerbetta, acidissimo, il bordeaux 2003 di Chateau Planquette, concentrato ma non stucchevole, e il Macon Cruzille 2006 di Julien Guillot (da vigneto impiantato nel 1929).
In generale, ho assaggiato vini molto più puliti e "corretti" rispetto ai primi anni, segno evidente che anche nel mondo dei vini naturali la ricerca di una certa bevibilità, giusta e necessaria, si stia imponendo. Speriamo che non si traduca in un eccesso di conformismo.



sabato 10 novembre 2007

Ancora pensieri sparsi

Fermentazioni ancora in moto, infinite. Spero di uscirne indenne. Nuova offerta di pubblicazione per il mio romanzo "La musica vuota", ma sempre con clausola di acquisto di copie. Ci penserò su. Letture: "Gli Autonomi" edito da DeriveApprodi, molto bello e ostico, su quella incredibile follia collettiva che è stata l'Autonomia Operaia intorno al 1977; sono a metà de "L'audacia della speranza" di Barack Obama. Finora davvero un grande libro. Una prosa asciutta e decisa. Un politico vero. Magari ne parlerò più diffusamente dopo averlo finito. Musica: l'ultimo di Ryan Adams è un bel disco. Ancora: sto tenendo un corso sulla "Conoscenza del vino" il giovedì sera, a Cupra. Bella classe. C'è interesse, c'è una risposta, c'è una attenzione che non è da fighetti che vogliono darsi un tono al ristorante. Capire il vino per diventare consumatori più attenti ed informati. Questo è il senso, credo. Olive: raccolto mai così scarso. C'è appena appena un pò di olio per casa. Infine la classica cena/degustazione di fine vendemmia. Stappate molte bottiglie, cito solo il Barolo "Brumate" 1999 di Roberto Voerzio e il Gewurztraminer Vendemmia tardiva 1999 di Trimbach. Buono il primo, modernista, concentrato, ben pieno di frutto. Ci ha ricordato un bel vestito di marca; considerando anche il prezzo è mancata l'emozione che regala il Nebbiolo "di sartoria". Quello vero. Quello di una volta. Grandissimo il secondo. Con la sua dolcezza non banale, con la sua vivace struttura acida e minerale, con la sua incredibile freschezza e pulizia olfattiva. Per la serie: vino aromatico dalla straordinaria finezza.

sabato 3 novembre 2007

Lungo il Grande Fiume - Parte seconda

Ecco la seconda parte del reportage sulla Cote du Rhone 2006, in attesa di partire a fine novembre con destinazione Jura e Chablis. Le degustazioni sono state effettuate dal sottoscritto in compagnia di Alessandro Fenino, Andrea Bianchin, Fabrizio D’Auria. Questa seconda parte è incentrata sulla Maison Chapoutier a Tain l’Hermitage.

Alle ore 10.00 entriamo nei locali della Maison M. Chapoutier, uno dei mostri sacri della viticoltura della Cotes du Rhone. Alcuni di noi ancora ricordano una memorabile degustazione di qualche anno fa, dunque le aspettative sono molto elevate. Abbiamo fissato un appuntamento dall’Italia per cercare di capire a pieno i segreti di questo colosso della agricoltura biodinamica.
Il sommelier Sebastien Dreville, uno dei responsabili dell’accoglienza, ci guida dapprima nei leggendari vigneti della collina dell’Hermitage. Inizia a parlare delle ere geologiche che l’hanno creata e della fondamentale divisione in due grandi parti, divise da una frattura geologica. A ovest predomina il granito, ultimo bastione del Massiccio Centrale, in molte delle sue differenti articolazioni. A Est è il calcare proveniente dalle Alpi a farla da padrone. I vigneti sono impressionanti, per la pendenza, le densità di impianto, la scarsità di sostanza organica. In certe parti le radici affondano dentro una vera e propria “sabbia di granito”.
“Il terroir è la combinazione del suolo, del clima - che segna il millesimo - e della conoscenza che deriva dalle tradizioni. Senza l’uomo non c’è il terroir. L’uomo fa il terroir. O lo distrugge”. In questa frase di Michel Chapoutier, riportata su ogni pubblicazione della maison, sta lo stile della azienda. In una sorta di umanesimo che vede l’agricoltura come un fatto culturale, dove è fondamentale l’interpretazione umana del dato naturale, risiede la sua caratteristica più profonda. Per cui la biodinamica diviene un mezzo per produrre grandi vini di territorio, e non il fine ultimo su cui basare tutta la propria azione. Così accade che non in tutte le vigne dell’azienda si faccia biodinamica. E che in cantina non si disdegni l’uso di lieviti selezionati, se l’uso dei lieviti indigeni per qualche ragione (annata, stato delle uve, tipo di vigneto) risultasse distorcere l’espressione del terroir. Stessa cosa per l’uso della solforosa, evidente anche in degustazione, specie sui bianchi, e legato al mantenimento di una incredibile longevità dei vini della azienda.
Sono considerazioni che fanno storcere il naso ai puristi dei vini naturali/biodinamici ma che nel contesto di una azienda che produce nel complesso milioni di bottiglie meritano, a nostro avviso, una certa considerazione. E’ un approccio interessante soprattutto in confronto a una realtà italiana sempre più dominata da una netta contrapposizione fra grandi aziende dove regna la chimica più sfrenata e piccoli viticoltori in cui l’idea forte di vino naturale può condurre a volte ad una eguale standardizzazione provocata dalle estreme ossidazioni, da macerazioni eccessive, da forti riduzioni. Con relativa perdita delle caratteristiche del terroir.
I vigneti della maison vengono tutti separati in parcelle a seconda del tipo di suolo/esposizione e le uve ottenute vengono vinificate separatamente. I grandi vini sono ottenuti da parcelle di vigneto (alcune dei quali con viti pre-fillossera) sulle quali non si opera alcun taglio. In generale i bianchi vengono da suoli più calcarei, e tale regola è stata riscontrata anche per altri produttori e in altre zone della denominazione Cotes du Rhone.
La visita alla cantina (una delle quattro della maison, la più a nord e la più piccola) conferma l’idea di una impostazione tradizionalista (uso di grandi tini di legno aperti per la macerazione dei rossi) senza alcuna predominio della tecnologia, ma di una grandissima attenzione ai particolari e alla tecnica enologica. In generale, i vini rossi compiono una breve macerazione pellicolare prima dell’avvio della fermentazione alcolica tumultuosa, con una diraspatura solo parziale delle uve a seconda del grado di maturazione dei raspi (entrambe queste caratteristiche vengono confermate anche in altre realtà). Nei bianchi viene privilegiata la pressatura soffice di uve intere senza alcuna macerazione.
La degustazione dei vini aziendali viene suddivisa in due giornate. Il primo giorno ci vengono sottoposti alcuni dei più importanti vini della azienda. Il secondo giorno assaggiamo i vini più semplici. E’ possibile affermare che si tratta di prodotti dallo stile inconfondibile. Dove, accanto alla incredibile pulizia e perfezione tecnica, è possibile ritrovare l’espressione distinta dei vitigni, dei suoli e delle stagioni in un continuo susseguirsi di complessità e diversità di caratteri. Questo ci ha stupito in particolar modo nei prodotti più accessibili (sia in fatto di gusto che di portafoglio) dove è stato davvero possibile elevare in modo emblematico a pietra di paragone, la sirah del Saint Joseph Deschants 2005, la grenache del Rasteau 2004, il viogner del Saint Peray Les Tanneurs 2005. Oppure il Crozes Hermitage Petite Buche blanc 2005 nella sua inconfondibile sapidità calcarea e il Tavel Beaurevoir rosé 2005 con un naso finissimo di mora e fragola.
Ancora, tale azienda pare confermarsi emblema della zona per il generale minore impatto destato in noi dai vini bianchi. Cosa strana in Francia, ma che contraddistingue una regione in cui Viogner, Marsanne e Roussanne, accanto a sensazioni olfattive sempre fini ed eleganti, tendono però a mancare sempre di quella vena acida che conduce al minerale.
INVITARE – CONDRIEU 2005
100% Viogner.
Al naso subito pulitissimo e fresco, si distingue per una nota spiccata di pera. Poi di frutta secca e albicocca con un ritorno balsamico molto intrigante. L’attacco in bocca è molto pulito, sapido con una discreta acidità e la totale assenza di note vegetali o amare. Il vino è secco, dritto, si apre solo alla fine su note agrumate. Manca, forse, di una mineralità spinta al palato, compensata però da una materia perfettamente integra.
CHANTE ALOUETTE - ERMITAGE 2004
100% Marsanne.
E’ un vino più morbido del precedente. Emerge una nota di solforosa appena accennata a coprire sentori di miele e pasticceria secca. In bocca il vino è morbido ma lunghissimo. Il frutto (fico e albicocca accanto a note mielate) è ancora un po’ coperto dal legno e da sentori sulfurei. E’ un vino che ha una vita lunghissima davanti e che mostra solo parte della sua potenzialità.
DE L’OREE – ERMITAGE 2001
100% Marsanne.
Vino proveniente da vigne che hanno fra gli 80 ed i 100 anni con una resa per ettaro di 15 hl. Al naso si presenta immediatamente con una piacevole nota sulfurea di terra, quasi tartufata. Poi si apre su note di pasticceria secca, su sentori affumicati, di miele di acacia che evolve verso il caramello. In bocca è concentrato, con una persistenza infinita. Vi è una morbidezza forse eccessiva, condotta anche da note di tostatura di legno. Ma poi i continui ritorni di agrume dolce, di albicocca secca e di miele tendono a dominare sul rovere, sebbene l’incredibile lunghezza non sembri essere supportata da una struttura acida/sapida adeguata.
LES BECASSES – COTE ROTIE 2004
100% Sirah.
Il vino si presenta di un rosso rubino acceso, fiammante. Al naso è dapprima un po’ chiuso. Quando si apre lo fa su sentori animali, poi di pepe e di ciliegia. Quando si apre completamente prendono il sopravvento sentori elegantissimi di ribes e uva spina. E’ un vino dalla straordinaria finezza che in bocca appare concentrato ma setoso, i cui tannini - pur ancora giovanissimi - sono già dolci e dove l’amaro è completamente assente. La chiusura in bocca è secca e senza alcun cedimento. Al naso prorompono note di pepe verde, di origano e di chiodo di garofano, quasi balsamiche, che lasciano poi il palato fresco e pulito. E ‘un vino con almeno dieci anni di vita davanti.
LA SIZERANNE – ERMITAGE 2004
100% Sirah.
E’ uno dei vini simbolo dell’azienda. Un Hermitage che proviene da parcelle poste nella parte bassa della collina e che vede una dominanza di sedimenti limosi e argillosi alluvionali del Rodano. In alcune parcelle vi è predominanza di granito, in altre di calcare; un terroir meno estremo rispetto alle altre parcelle in Hermitage e che, quindi, necessita di un invecchiamento inferiore per esprimersi.
Al naso emerge subito in modo più netto rispetto al vino precedente. Viola, petali di rosa appassita, prugna lasciano presagire un vino che si presenta già maturo. In bocca è pieno, concentrato. I tannini sono impetuosi ma assolutamente morbidi. Una nota sapida conduce a un finale un po’ amaro, forse sulfureo. Nel ritorno al naso l’amarena lascia il posto ai tipici sentori speziati della sirah dove spiccano il curry ed il pepe nero.
LA MORDOREE – COTE ROTIE 2000
100% Sirah.
Il colore è di un rosso rubino scuro. All’olfatto è subito pulitissimo. I ripidi terrazzamenti della Cote Rotie offrono sentori intriganti: inchiostro, sangue, viola. Poi è la sirah a regalare note finissime di pepe e zenzero assieme a sentori di ginepro, di cannella, di liquirizia. Poi dopo qualche momento evolve ancora verso sentori di pasta di olive, di cuoio e di polvere di cacao. In bocca ha tannini memorabili, nel pieno della loro potenza ma già vellutati. E’ un vino terroso, caldo, ma di una finezza assoluta. Verticale nonostante la struttura tannica e l’alcool, non concede alcuno spazio ad una facile morbidezza ma è anzi un inno alla complessità. Un vino che ha davanti a sé quindici anni di gloria.
LE MEAL – ERMITAGE 2000
100% Sirah.
Hermitage proveniente da parcelle poste circa a metà della collina, dunque con terreni meno sciolti, ricchi di scheletro, roccia madre, cristalli di quarzo. Uno scontro di ere geologiche dominato dalla lotta fra il granito ed il calcare scavati dal Rodano.
Il colore del vino è un rosso cupo, quasi impenetrabile. E’ subito liquoroso, con sentori terziari di frutta sotto spirito. La speziatura è qui chiusa, quasi affumicata. Il naso è complesso ma ancora intimo, introverso. Elegante. Lasciato nel bicchiere esprime note finissime di cioccolato fondente e tabacco, di pepe e di mirtillo. In bocca è pieno, potente e caldo. La maestosa concentrazione è comunque fine, non stanca, invita anzi alla beva in virtù di una mineralità sotterranea che rende il vino armonico. Un grande vino che è solo all’inizio di una lunga vita.

martedì 30 ottobre 2007

Vini di vignaioli

Domenica e Lunedì, 4 e 5 novembre, sarò nuovamente in quel di Fornovo Taro per la fiera "Vini di vignaioli/Vins de vignerons". E' una bella manifestazione, ideata ed organizzata da Marie Christine Cogez oramai da 5 anni. Una fiera viva, piena di bravi vignaioli e di vini veri, frequentata da appassionati e professionisti. Una occasione divenuta importante per capire lo stato dell'arte per quanto concerne i vini "artigianali", direi anche contadini, vini che - senza cadere nella retorica dei disciplinari ad ogni costo - vengono fatti nel modo più naturale possibile.
Posso dire di esserci stato fin dall'inizio, sebbene non abbia partecipato alla prima edizione, e fin da subito, quando la fiera era solo una piccola esposizione di vini in uno stanzone nemmeno troppo bello, avevo colto la ricchezza di relazioni e di emozioni che si era venuta a creare fra vignaioli italiani e francesi che condividevano lo stesso approccio al vino.
Non posso fare altro, quindi, che invitare il maggior numero di appassionati a visitarci per conoscere una fiera certamente di grande valore. Per chi desiderasse maggiori informazioni è possibile visitare il sito: http://www.vinidivignaioli.com/

giovedì 18 ottobre 2007

Vendemmia 2007 - Parte terza

Le fermentazioni stanno rallentando. E' possibile cominciare ad avere un'idea più precisa di quali vini posso aspettarmi dalla vendemmia 2007. Innanzitutto la produzione. Mai così scarsa da quando produco vino. Fortunatamente sono riuscito a raccogliere un pò di uva da un nuovo vigneto in affitto che era stato abbandonato dal proprietario. E ho un piccolo conferitore certificato bio dove ho potuto gestire personalmente la vendemmia. Altrimenti erano cazzi.
Ho usato pressioni davvero bassissime per avere un mosto fiore dal colore accettabile. E' l'unica via per chi fa vini naturali, in annate come queste in cui la buccia spesse volte era marrone per le scottaure, per ottenere mosti fiore decenti, non marroni e non amari. Il che ha provocato, oltre alla bassa resa in vigna, una bassa resa in mosto. Il 2008 non potrà che vedere, quindi, un aumento dei prezzi.
A inizio fermentazione c'era da mettersi le mani nei capelli, perché i mosti erano assolutamente neutri, privi di carica aromatica, scarichi. Poi man mano si sono dischiusi i primi profumi. Nulla di trascendentale pensando agli agrumi, all'anice ed alla menta fresca dei mosti 2006. Però sono usciti dei sentori interessanti di arancia candita, di mandarino, di albicocca. Rispetto al balsamico dell'anno scorso predomina una sensazione di frutta matura e secca. Attendo che l'evoluzione porti con sé naturalmente quella vena minerale classica dei miei vigneti, in modo da ottenere vini un pò più dritti e scattanti. Le acidità sono ancora buone, grazie al grande anticipo nella vendemmia. Soprattutto, mi soddisfano i PH, più bassi anche dello scorso anno e del 2005, mi ricordano quelli del 2004. Tutto questo per quanto riguarda i bianchi. Per quanto concerne il rosso credo che, vista la scarsità di produzione, il Nocenzio 2007 non vedrà proprio la luce. Il Montepulciano ha reso la metà dello scorso anno, come del resto il Sangiovese. E' un peccato perché il poco vino prodotto è di una potenza e di una eleganza incredibili.
Sono molto soddisfatto sinora delle operazioni di vinificazione che, per la prima volta, sono avvenute - per tutti e tre i vini - col solo uso di qualche grammo di solforosa, cioé senza lieviti selezionati, prodotti azotati, enzimi, chiarificanti, tannini enologici. E' arrivato a compimento, quindi, quel progetto di vinificazione naturale iniziato nel 2004 e progressivamente sviluppatosi passo dopo passo, eliminazione dopo eliminazione. Con l'obiettivo di restituire nel bicchiere esclusivamente il territorio e la stagione. Certamente resto dell'opinione che preferisco fare vini buoni che siano i più naturali possibili (ciòé non rifiuto a-priori alcuni limitatissimi interventi, se necessario) piuttosto che fare vini naturali e basta. Perché mi è capitato di assaggiarne alcuni al limite della potabilità. La qual cosa, se non altro per una idea di rispetto per il consumatore, mi lascia un pò interdetto.
In ogni caso mi pare una annata di medio livello, ma da valutare attentamente con l'evoluzione nel tempo.

venerdì 12 ottobre 2007

Magic

Fra i tanti difetti che ho, uno dei peggiori è che sono uno sfegatato springsteeniano. Se vi chiedete perché questo sarebbe un difetto vi consiglio la lettura di "Accecati dalla luce" edito da Gianluca Morozzi per Fernandel. Oppure chiedete a mia madre.
Non poteva mancare, quindi, una mia opinione sul suo ultimo lavoro, Magic. Innanzitutto confesso che, come promesso al mio amico Daniele questa estate, per ascoltare il disco ho aspettato l'uscita del vinile. Da qualche mese sono tornato, infatti, ad acquistare quasi solo vinili. Non sto qui a spiegare perché, magari ne scriverò prossimamente.
A scanso di equivoci dico subito che aspettavo questo disco da più di vent'anni. Questo disco nel senso di un disco come questo. Un disco che Bruce non è stato in grado di, o non ha voluto, pubblicare per più di due decenni. E lo dico ben sapendo che la sua voce non è più quella di vent'anni fa, che Brendan 'O Brien non è forse il produttore giusto per la E street Band, che la copertina non è granché, che certi suoni sono bruttini... Però di fronte ad un pugno di canzoni bellissime e suonate in modo splendido alcune critiche circolate in rete mi hanno davvero stupito. Perché questo è un grande disco, cosa che non erano né The RisingDevil and Dust. Ma soprattutto questo è un disco di grandi canzoni rock, pure, semplici, dirette, mainstream, springsteeniane. Ed è perlomeno da Born in the USA che non sentivamo nulla di simile. Ho letto critiche che parlano di un disco "di mestiere", di "mancanza di ispirazione", di un disco pensato solo per il live. Ognuno certamente avrà i suoi gusti e le sue preferenze. Quello che a me sembra, è che questo sia un disco che cresce incredibilmente ascolto dopo ascolto. Che ci sia più buona melodia in una singola canzone di questo disco che in tutto The Rising. Che sia un pò come il maiale nelle campagne di una volta, non si butta vi niente; non c'è una sola canzone debole o scarsa. La qualità media della scrittura (melodie e testi) è alta. Ed in più ci sono canzoni davvero bellissime: Long walk home sarà un classico, Radio Nowhere è il più bel singolo di Springsteen dai tempi di Hungry Heart, Girls in their summer clothes è una melodia straordinaria, degna del miglior Brian Wilson, I'll work for your love è puro Springsteen style rock'n'roll, Gypsy biker sembra un pezzo di Lucky Town suonato dalla E street (il che è quasi un sogno), Last to die è una botta come lo era Roulette ai tempi belli. La band è di nuovo la band, con la sua potenza e i suoi ricami, e non è quell'insieme di buoni turnisti che pareva su The Rising. Si sente di nuovo Danny, vivaddio, con i suoi discreti tweeeee tweeee, si sente un muro di chitarre e c'è materia finalmente per il grande Max, grandissimo davvero per tutto il disco. Mi spiace per i tanti falsi web giornalisti e per i neo-springsteeniani sboroni ma a riascoltare The Rising dopo questo disco si percepisce quanto loffio fosse.
Vengo ai testi. Certo non siamo di fronte a Jungleland o Darkness. Ma se pensiamo che ci siamo dovuti sorbire Secret Garden e Sad eyes, ragazzi non scherziamo! Le liriche sono molto buone e raccontano personaggi vaganti alla ricerca di qualcosa, spiriti fraintesi fra ciò che è vero e ciò che non lo è, con una cifra generale che è quella dello smarrimento, della paura, di nuove fughe, di movimento senza quiete, lontano da un mondo dominato da relazioni sociali disgreganti, alienanti, sfasciate, da città che sono in rovina o in fiamme. E sullo sfondo, costantemente, fra metafore ed accuse evidenti, quella guerra che sta ricacciando l'america indietro nel tempo. Alla faccia di chi ci ha detto, casa discografica in primis, che questo non era un disco "politico": è il disco più politico di Springsteen da Born in the USA, se si considera Tom Joad un disco di denuncia sociale. Qui la magia non è quella di Born to run, qui si intendono i giochi di prestigio di un governo che fa credere quello che non è, che falsa il gioco, che cambia il significato stesso delle parole libertà, democrazia, pace. "The freedom that you sought's driftin' like a ghost amongst the trees, this is what will be" oppure "You said heroes are needed, so heroes get made. Somebody made a bet, somebody paid". E poi ci sono le bare del cimitero dove verrà seppellito il motociclista gitano: "You slipped into your darkness, now all that remains is my love for you brother lying still and unchanged to them that threw you away... Now I'm counting white lines, countin' white lines and getting stoned my gypsy biker's coming home". E ancora gli errori di Last to die: "Who'll last to die for a mistake, whosw blodd will spill, whose heart will break...". Persino in un pezzo spensierato come Livin' in a future, nel contesto di una crisi di coppia si fa riferimento alla delusione per le elezioni con una emblematica nave chiamata "Liberty" che se ne naviga lontano verso un orizzonte rosso sangue.
Ma in questo sfacelo ecco apparire una strada, un sentiero, quello che Bruce indicava ai tempi del Vote for Change, quel concetto di comunità locale che può rendere l'individuo meno solo, che costituisce a sua volta comunità più grandi e complesse. E' una lunga strada verso casa, a Long walk home, questo muoversi senza una meta apparente, fuggendo l'oscurità. Una casa che non sono solo quattro mura dove rinchiudere le proprie incertezze, ma una casa che è invece una comunità che ti abbraccia, dove non sei affollato ma nemmeno solo, dove c'è una bandiera, che in fondo è quella stessa bandiera che stava sulla copertina di Born in the USA. "You know that flag flying over the courthouse, means certain things are set in stone. Who we are, what we'll do and what we won't". Springsteen riparte dai padri fondatori, come sempre. Da quella Costituzione calpestata dall'attuale amministrazione. E dà una direzione ai suoi nuovi spiriti vaganti. "Everybody has a neighbor, everybody has a friend, everybody has a reason to begin again". Questo è Bruce. Questo è il rock con cui sono cresciuto e che mi fa battere il cuore.
Tutto bene? Ovviamente no. La voce certamente non è più quella di un tempo, appesantita anche da una produzione forse eccessiva. I suoni non sono indimenticabili e certi arrangiamenti sono ridondanti. Forse una produzione alla Steve Van Zandt vecchi tempi avrebbe arricchito ulteriormente i pezzi facendo di Magic il capolavoro della maturità di Springsteen. Invece ci tocca ancora una volta avere dei rimpianti.
Ma quando il pianoforte annuncia l'inizio di Terry's song non posso che pensare a quando urlavamo "Terry!" da sotto il palco a Genova o a Nizza, con Massi e il Lello, e ascoltare in silenzio una ballata meravigliosa, sicuro che erano vent'anni che aspettavo un disco come questo. Semplicemente un disco di Bruce e della E street band.

mercoledì 10 ottobre 2007

Domanda banale

La domanda più banale cui mi tocca di rispondere da sette anni a questa parte, e cioé da quando Valeria ed io ci siamo trasferiti a Cupra, è se mi manca Milano. Poiché ottobre era per me il mese più bello a Milano, ci provo a sentire una specie di nostalgia per quella che tuttora considero la "mia città". Mi ci metto di impegno.
E allora posso dire che mi mancano le zingarate a qualche festa fighetta insieme agli amici di sempre, le birre al Nidaba con Massi, magari ascoltando Joe Valeriano, mi manca pisciare sotto il ponte della Darsena alle tre del mattino, sedermi sul letto di camera mia a improvvisare per ore schifosi pedaloni psichedelici con mio fratello, mi manca il sabato pomeriggio al Jungle col Tenca e magari fedrone, l'alba di certe domeniche insieme a Ivano e Claudio quando si andava ad arrampicare, mi mancano le gite a Piacenza a mangiare lo gnocco fritto col Bianco e Izio e JointVanni, che se poi ci facevano il palloncino altro che patente a punti, mi mancano il rubare vestiti alla Rinascente con Paola o il parlare di politica con Riquiz nel bar dietro il Manzoni, le peregrinazioni notturne al Leonkavallo, quello vecchio, mi mancano le corse alla cavallina in Piazza Sraffa col Mala, Daniele, Pedro e Fede, scavalcare la vecchia recinzione del Meazza per vedere concerti o partite del Milan, le prime degustazioni di vino nei primi wine bar della prima rivoluzione enoica milanese, e potrei continuare per ore con un noiosissimo elenco. E alla fine dell'elenco scoprirei che non è Milano a mancarmi, ma certe persone e forse anche un pò i miei vent'anni.
Dunque si fa molto più presto, per rispondere alla domanda banale, a dire che no, Milano non mi manca per niente. E poi perché dovrebbe?

venerdì 5 ottobre 2007

Lungo il Grande Fiume - Parte prima

In attesa della prossima consueta visita in terra francese in novembre, con la solita banda di degustatori-beoni-gaudenti-fintiesperti-enologi-da-strapazzo, posto il racconto dell'uscita dello scorso anno lungo il Rodano.

Raggiungiamo il gite rural da noi prenotato che sono le tre e mezzo di notte. L’aria è calda, considerando che siamo prossimi all’inverno. Svegliamo la proprietaria, che ci mostra le stanze e ci ricorda l’ora della colazione. E’ gentilissima, nonostante il nostro imperdonabile ritardo. L’accoglienza gentile e professionale di tutti gli operatori, nelle chambres d’hotes come nelle cantine e nei ristoranti, sarà una caratteristica piacevole e apprezzata durante tutto il nostro soggiorno.
Il Rodano ci accoglie con il suo immenso alveo, solcato da raffiche di vento che ne increspano la corrente rendendolo ancora più impressionante. La collina dell’Hermitage vista dal ponte che collega Tournon a Tain è uno spettacolo imperdibile anche per chi non è un appassionato di vino. Gli enormi cartelloni “pubblicitari” delle cantine poste sui crus aziendali, più che infastidire lo sguardo, paiono quasi far parte del paesaggio con la loro veste vecchia e decadente.
La denominazione madre, AOC Cotes du Rhone, si estende su una zona molto ampia dal sud di Lione fino ad Avignone. Si tratta di una geografia molto complessa dal punto di vista geologico, climatico, agronomico, enologico. Tanto che i vini che ne risultano sono spesso completamente differenti. La qualità media di questa denominazione appare molto buona e i prezzi sono corretti, per non dire accessibili. Non si può dire che sia una AOC di “ricaduta”; semplicemente vengono orientati a questa denominazione i vini provenienti dai territori più fertili, meno complessi, e con rese un po’ più alte.
La Cote du Rhone settentrionale coi suoi famosi Crus è la patria della sirah. Un vitigno che proprio a questi luoghi deve la sua fama mondiale. Qui la vite, importata dai romani dopo la sottomissione delle fiere tribù galliche, ha trovato un habitat fantastico, dove il duro lavoro dei vignaioli per la coltivazione su pendenze spesso durissime e su suoli aridi, per il mantenimento dei terrazzamenti, per la costruzione e manutenzione dei muretti a secco, è stato ripagato dal raggiungimento di una combinazione fra vitigno, suolo e tradizione riscontrabile davvero in poche altre realtà viticole.
Da subito assaggiamo vini magnifici dove, in generale, risulta preponderante la ricerca della finezza sulla concentrazione. In cui, spesso, il terroir vince sul vitigno, regalando sempre eleganze, armonie e complessità.
Il poco tempo a disposizione ci fa compiere scelte spesso difficili nella selezione dei produttori; altre volte, come nella caso della rinomata Maison Guigal non ci è possibile essere accolti. Ma il quadro risulta comunque chiaro. Ed è il quadro raffigurante una situazione produttiva e commerciale per nulla in crisi, dove le scelte compiute da viticoltori e grandi maison è quella di produrre vini senza grandi compromessi con il mercato e con una fortissima identità. Quando accade che si voglia strizzare l’occhio ad un consumatore globale in cerca di vini “più facili”, ciò avviene su fasce di prezzo elevate, ma per vini in cui la sostanza è sempre davvero importante.
Ciò che ci colpisce subito, in particolare, sono la semplicità delle vinificazioni e la non eccessiva tecnologia presente nelle cantine. Qui appare davvero evidente come buoni contadini con grandi terroirs possano produrre vini importanti senza una chimica invadente o una tecnologia soffocante.
I rossi sono giocati tutti sulla finezza di una sirah che non risulta mai banale, grezza o stancante. La mineralità dei Cote Rotie si alterna al caldo frutto degli Hermitage, la grazia dei Saint Joseph alla potenza delicata dei Cornas. Sono i bianchi a fare più fatica. L’incredibile pulizia olfattiva lascia spesso il posto ad una generale mancanza di acidità che impedisce al palato di uscire rinfrescato. Sono bianchi caldi, morbidi, dominati da toni mielati. Diventano intriganti con l’evoluzione ma sempre senza entusiasmi clamorosi.
Fra la parte settentrionale e quella meridionale della Cotes du Rhone ci sono più di cento chilometri. In mezzo non vi è viticoltura. Questa cesura geografica si rivela tale anche per quanto concerne la tipologia di vino prodotta, e non poteva essere diversamente.
La Cotes du Rhone meridionale è dominata dalla Grenache, sebbene quasi mai usata in purezza. Dominano vini concentrati, potenti, dalla trama tannica fittissima. E’ una zona più eterogenea, fondamentalmente perché la valle del Rodano è in questa parte larga, si apre su una pianura che arriverà in breve fino al mare. Siamo sostanzialmente in Provenza, dunque anche le temperature si fanno molto più elevate.
Scegliamo di iniziare i nostri assaggi dalla zona dei Cotes du Rhone Villages, una zona in grande crescita e con notevoli potenzialità. In particolare i Cairanne e i Rasteau destano in noi un certo interesse, accanto ai più blasonati Gigondas e Vaqueyras.
Sono vini moderni, con concentrazioni importanti, a partire dal colore, frutto di vitigni come la mourvedre, dalla grande potenza tannica, e di una sirah più mascolina che al nord. I suoli vedono argille, sabbie e limo fondersi con residui alluvionali ricchi di pietre e scheletro di roccia madre, principalmente il calcare dominante tutta la Provenza.
Viaggiando sulla strada del vino ci accorgiamo che il territorio è stupendo, con colpi d’occhio maestosi su vigneti, ulivi e cipressi che arriva sino alla piana del Rodano da una parte e fino alle pendici del Mont Ventoux dall’altra. E’ una terra dove la calura estiva è davvero incredibile e costantemente battuta da venti importanti. Proprio il vento e una certa elettricità dell’aria sembrano confermare la tesi di un magnetismo strano proveniente dal Mont Ventoux, il Monte calvo, famoso per alcune mitiche tappe del Tour de France.
Lasciateci alle spalle le falde del Mont Ventoux arriviamo a Chateauneuf du pape. La più famosa delle denominazioni del sud ci accoglie con vigneti che paiono cave per la quantità di sassi e ciotoli presenti. Spesso non esiste proprio terra, se non negli strati inferiori. E allora più che di terra bisogna parlare di strati limosi completamente sciolti. Le basse colline altro non sono, infatti, se non i depositi alluvionali del Rodano che qui inizia la sua ultima corsa cominciando ad allargarsi in quel delta che pochi chilometri più a sud diventerà la Camargue. E’ una viticoltura che deve combattere contro il grande caldo della pianura provenzale circostante e che la pietra non fa altro che rimbalzare sulle viti. Unico aiuto è il Mistral, vento da nord secco e fresco, che asciuga l’umidità del grande fiume e tende a mitigare la canicola estiva. Il mix di queste condizioni regala vini sempre molto potenti ma che non mancano di una certa finezza.
La grande concentrazione tannica dei vitigni del sud viene affrontata cercando di vendemmiare seguendo la maturità fenolica, il che produce inevitabilmente gradazioni alcoliche impetuose. L’arte del taglio si eleva quindi a vera dominate enologica dovendo i produttori confrontarsi con 13 vitigni differenti ammessi, fra bianco e rosso, e differenti scelte vendemmiali.
Prima di un’ottima cena visitiamo le rovine della antica residenza papale, battute da un instancabile vento. Proprio alla presenza della corte papale deve la fama il vino di questi luoghi. E’ l’ennesimo esempio di come la grande Storia umana si svolga nel tempo seguendo strade affascinanti.
Quando ripartiamo per l’Italia c’è ancora lo strano caldo che ci ha accompagnato per tutta la nostra permanenza. Ci segue fino al tunnel del Frejus, insieme al magnetismo del Mont Ventoux e al ricordo della vista sul Rodano dalla cappella dell’Hermitage. Dopo, è tutta un’altra storia.

Per dormire:

CHANOS CURSON
Gite de France: LA FARELLA.
Les Champs Ratiers
Tel. +33 (0)4 75073544
http://www.lafarella.com/

COURTHEZON
Maison d’hotes ANNONCIADE
M.me PASSCHIER
1185 chemin St Dominique
Tel. +33 (0)4 90708722
http://annonciade.chez.tiscali.fr

Per mangiare:

TOURNON SUR RHONE
Restaurant et Hotel LA CHAUMIERE
Quai Farconnet

CHATEAUNEUF DU PAPE
Restaurant et Hotel LA MERE GERMAINE
3 Rue du cdt Lemaitre