E dunque eccoci.
Si moltiplicano i “disciplinari” del vino naturale. Aveva iniziato la sigla V.A.N. (Vignaioli Artigiani Naturali) qualche tempo fa, con una sorta di carta di intenti/disciplinare (leggere qui) sottoscritto da un centinaio di vignaioli... Ma l'annuncio di VinNatur, l'associazione condotta da Angiolino Maule, è di quelli che davvero lasciano il segno. Soprattutto per le intenzioni di "istituzionalizzare" il regolamento stesso attraverso una collaborazione col MIPAAF. In questo articolo si può leggere nel dettaglio di cosa si tratta e - perché no? - iniziare a dividersi su quello che c'è e quello che manca, sui livelli di solforosa (troppo alti o troppo bassi a seconda dei gusti), sul fatto se il regolamento in questione sia troppo restrittivo o troppo "largo".
Un dibattito che non mi appassiona.
Perché il problema non sta in quelle regole, ma nell'idea stessa di regolamentare il vino naturale: idea che secondo me equivale a farlo morire (dando ragione ex-post ai tanti nobili pensatori de "il-vino-naturale-non-esiste").
Le ragioni del mio dissenso sono molteplici e vorrei provare a spiegarle qui: sintetizzando in qualche modo i ragionamenti che dal Dioniso Crocifisso di Michel Le Gris al mio Non è il vino dell'enologo, attraverso Resistenza Naturale (film) e Insurrezione Culturale (libro) di Jonathan Nossiter, disegnano un percorso interpretativo del vino naturale che può non piacere ma credo abbia una sua rilevanza storica e filosofica.
Il vino naturale non è "un tipo di vino". Si tratta di un movimento di contro-cultura. Il vino naturale non è "un metodo". Si tratta di un atteggiamento etico ed estetico. Il vino naturale non è "un marchio". Si tratta di uno sguardo critico (uno dei molteplici possibili) rispetto alla catastrofe economico-ecologica del mondo attuale.
La vera e potente insurrezione dei vignaioli naturali (termine che ho sempre utilizzato preferendolo a "vino naturale" destinato a divenire immediato feticcio) non riguarda tanto, o non solo, quello che c'è o non c'è nella bottiglia di vino da loro prodotto, ma la ridiscussione profonda della relazione fra agricoltura ed industria, fra città e campagna, fra cultura e natura, fra tecno-scienza e vita biologica. Ridurre il vino naturale a un disciplinare di produzione significa piegarsi al gioco del "nemico", ridurre il proprio percorso ad una questione in definitiva ancora una volta tecnica (che cosa è infatti un disciplinare se non un "tecnicismo"?), riconducendo per l'ennesima volta la Natura all'Uomo, quando l'utopia del vino naturale stava invece nel ritorno dell'uomo nella natura (non da buon selvaggio, ma da animale sociale storicamente determinato! Cioè qui e ora, dopo quasi 50 anni di riflessione su ecologia, consumismo, sviluppo e decrescita).
Insomma, con il massimo rispetto che si deve ad una associazione seria come VinNatur, qual è l'immaginario prodotto da questo "disciplinare" se non un vino biologico con dei limiti più stretti? Ma allora non aveva senso una lotta per modificare il disciplinare bio? E soprattutto: non ci si accorge che così facendo il vino naturale viene ridotto all'ennesimo "bollino di garanzia" frutto dell'ennesimo "piano dei controlli", cioè a nicchia della nicchia in un mercato che andrà avanti esattamente come prima? L'insurrezione ridotta a controllo, in collaborazione col Ministero per giunta. Il paradigma della sussunzione.
La realtà è che chi opta per questa direzione sa benissimo tutto ciò, e che questa era la scelta fin dall'inizio di una certa parte del movimento: ridurre la portata "politica" dell'aggettivo naturale accostato al sostantivo vino, per farne principalmente strategia di marketing. Cosa legittima, peraltro.
Ma che mina potentemente ogni prospettiva di "insurrezione culturale".
Insomma, con il massimo rispetto che si deve ad una associazione seria come VinNatur, qual è l'immaginario prodotto da questo "disciplinare" se non un vino biologico con dei limiti più stretti? Ma allora non aveva senso una lotta per modificare il disciplinare bio? E soprattutto: non ci si accorge che così facendo il vino naturale viene ridotto all'ennesimo "bollino di garanzia" frutto dell'ennesimo "piano dei controlli", cioè a nicchia della nicchia in un mercato che andrà avanti esattamente come prima? L'insurrezione ridotta a controllo, in collaborazione col Ministero per giunta. Il paradigma della sussunzione.
La realtà è che chi opta per questa direzione sa benissimo tutto ciò, e che questa era la scelta fin dall'inizio di una certa parte del movimento: ridurre la portata "politica" dell'aggettivo naturale accostato al sostantivo vino, per farne principalmente strategia di marketing. Cosa legittima, peraltro.
Ma che mina potentemente ogni prospettiva di "insurrezione culturale".
30 commenti:
E ti stupisci? la tua analisi, molto lucida, non è che l'ennesima dimostrazione di un meccanismo antico quanto il mercato: datemi un'idea, prima ancora che un oggetto, e io la trasformerò in merce.
Sorprende piuttosto che esistano - e resistano - molti vignaioli che come te ancora non ne hanno fatto un cosiddetto "business". Per quanto può valere, hai la mia piena solidarietà.
A mio parere e' impossibile stabilire cos'e' un disciplinare se non ne esamini minuziosamente i contenuti, e la storia che l'ha portato a essere quello che e'. In fondo si tratta di un patto, di un accordo. Puo' essere un'operazione economica, di marketing, come puo' avere una forte valenza etica e politica. O magari anche tutte e due, le cose non sono necessariamente in contraddizione, perlomeno non per chi tenta di vivere del proprio lavoro. Quello che sposta l'asticella dal marketing verso l'etica sarebbero i contenuti. Il disciplinare del bio e' giustappunto una presa per il culo. Ma allora la capacita' di fare rete tra vignaioli e stabilire standard agricoli ben piu' rigorosi non e' affermare un'etica diversa? Non e' un atto politico e non di marketing? Insomma a me interesserebbe di piu' capire dove si colloca questo disciplinare. Mi fermo senz'altro, anche perche' scrivere col telefonino e' uno strazio. Un abbraccio
Ciao Corrado. Il link corretto è questo:
http://gustodivino.it/home-gusto-vino/il-primo-disciplinare-del-vino-naturale-italiano-e-una-realta-un-protocollo-agronomico-e-di-vinificazione-universale-che-non-determinera-la-costituzione-di-una-nuova-associazione/massimiliano-montes/16515/
Comunque, tu sei giovane, l'idea di vino naturale è molto più vecchia della tua "discesa in campo". Il vino naturale nasce in Francia, nel 1974, per mano di Jules Chauvet, con l'idea nobile di opporsi all'industrializzazione del vino e dell'agricoltura. La prima cosa che fanno i francesi... è proprio regolamentare il vino naturale, per consentire l'uso di questa definizione senza le critiche di chi poteva accusarli di parlare di fumo. Il primo disciplinare dell'Association des Vin Naturel afferma che il vino naturale è un vino prodotto senza lieviti selezionati, senza additivi, con livelli di solforosa non superiori a 30 mg/l per i rossi e 40 mg/l per bianchi, dolci e mossi.
Una definizione comune di vino naturale, un gentlmen's agreement tra produttori, non un disciplinare di legge (qui ti do ragione, non deve esserci alcuna imposizione di legge), aiuta gli onesti che si sforzano di fare vero vino naturale, spesso rischiando. Ostacola i furbetti, chi pensa solo al lato commerciale, le associazioni territoriali miste di produttori naturali e industriali, gli investitori di capitale, gli ambigui (l'Italia ne è piena), gli approfittatori che invece di ammettere che non vogliono o non possono fare vino naturale preferiscono dare contro a coloro che ci mettono l'anima, i soloni.
Un disciplinare che parte dal basso, dai vignaioli stessi, non è la morte del vino naturale, ma una benedizione, la salvezza per gli onesti.
La morte del vino naturale si avvicina ogni volta che un (ex) vignaiolo/a naturale va in radio o in tv a dire che il vino naturale non esiste, magari subito dopo essersi iscritta ad un associazione di categoria di produttori industriali, oppure ogni qual volta un produttore in cerca di notorietà ed evidenza porge il fianco e le argomentazioni ai detrattori o agli ambigui.
Io starò sempre dalla parte degli onesti, sorry
Massimiliano, lo dico una volta per tutte: in un mondo che si sta "estinguendo", con l'economia che abbiamo, con tutto ciò che accade intorno a noi, a me di fare "vino naturale" non me ne frega un beato cazzo. Forse se i vignaioli naturali pensassero di più al prezzo del grano o allo sfruttamento della manodopera in campagna farebbero più bella figura... Questo continuo riferimento moralistico ai furbetti, agli onesti, agli ambigui non mi piace: in questo momento una azienda come la mia viene controllata da 7 enti differenti e non accetto che qualcuno faccia anche lontanamente passare l'idea che serva un disciplinare per garantire la mia moralità o la mia etica. Parliamo proprio due linguaggi differenti. Quanto alla storia della vinificazione naturale di Jules Chauvet, ho letto, in francese, i suoi testi tanti anni fa non c'era bisogno di darmi lezioni (anche perché lo stesso Chauvet spesso viene citato a sproposito). E ti posso assicurare che anche il disciplinare dell'AVN non è stato "pacificamente" accettato in Francia, anzi. Un saluto. Corrado
Eppure, credo che fare vino naturale sia un buon modo per difendersi da una deriva industriale, di sfruttamento e di globalizzazione. Ma forse sbaglio.
Fossi produttore avrei probabilmente il tuo identico umore.
Da consumatore mi accontenterei di un regolamento più restrittivo (o solo diverso?) sull'agricoltura Bio e l'obbligo di menzione di ingredienti e compagnia bella in etichetta. Tanto di cappello per un'associazione come VinNatur, ma capisco che i presupposti iniziali del movimento erano diversi.
Scusa Corrado, ma l'unione non fa la forza? Un esercito ordinato e addestrato (perdona il paragone bellico, ma credo che renda l'idea) non è più efficace di un gruppo di incursori disorganizzato? Se di fronte avete (abbiamo) un pubblico inesperto, spesso pigro e prevenuto, non può esserci d'aiuto un programma comune, un insieme di parametri, un "marchio" se vuoi, che nasconda dei contenuti importanti ovviamente, per penetrare ancora meglio nel mercato, nell'orizzonte culturale che abbiamo di fronte?
Penso un po' alla differenza tra impressionisti e futuristi, da un lato un movimento organizzato, che oggi viene riconosciuto come una delle pagine più importanti dell'arte contemporanea, dall'altro quattro o cinque personalità geniali sempre in conflitto, non supportate dalla critica, e che oggi non figurano, come dovrebbero, in nessun testo critico di portata internazionale.
Poi capisco e concordo su questa tua impressione di voler imbrigliare e istituzionalizzare quello che per te è prima di tutto un atto etico e sovversivo (ho letto anch'io l'ultimo libro di Nossiter e sono d'accordo con i presupposti da cui muovete), ma ti chiedo il rischio non è quello di rimanere solo dei grandi predicatori solitari, estranei ad un contesto globale (o nazionale, poco cambia) con cui oggi, volente o nolente, dobbiamo confrontarci? Scusa la lunghezza. Un abbraccio
Ringrazio tutti i commentatori e cerco di riassumere alcune considerazioni che mi sembrano importanti perché questo post ha avuto più di 3600 letture in sei giorni (la media è 2500 al mese) e il post gemello su FB 7700 persone raggiunte: significa che in qualche modo ciò che ho scritto un suo senso forse ce l'ha...
Cerco di rispondere ad alcune delle obiezioni che sono state sollevate (segue)
1) Serve una distinzione fra vino naturale e vino industriale.
Bene, la storia delle DOC e del BIO dimostra esattamente e perfettamente, oserei dire da caso scuola, ad occhi non prevenuti che l'istituzione di un disciplinare produttivo è esattamente la strada maestra per fare rientrare gli industriali all'interno di un percorso che doveva essere di distinzione e qualità. La distinzione non può ridursi ad un protocollo, cioè ad un metodo, perché in quel caso TUTTO diviene replicabile, compresa la naturalità e l'artigianalità.
2) Il disciplinare fa ordine in un movimento che dopo tanti anni non ha un'identità condivisa.
Credo che il disciplinare privato di una associazione privata sintetizzato in un marchio registrato, più che ordine in un movimento porti alla semplice "estrazione di valore economico" da un approccio agricolo ed "enologico" vasto e complesso: non si discosta in nessun modo da altre operazioni come "tripleA", "I vini biodinamici", "vino libero", ecc. Come scrivo nel post è solo marketing del naturale. Da questo punto di vista è un punto di non ritorno nella divisione del mondo naturale più che percorso verso l'unità.
(segue)
3) Il consumatore qua, il consumatore là (ovvero la tutela del consumatore da supermercato).
Questo è l'appunto che più mi fa incazzare: dopo quindici anni passati a parlare di co-produttore, di mercati contadini, di fiere naturali, di avvicinare la filiera, di Gruppi di Acquisto, di reti distributive alternative, ci troviamo di fronte al solito assunto: il consumatore è in confusione, non capisce, è pigro. E come lo si risolve? Col marchietto naturale... Vi rendete conto che è la fine di tutto? Che di questo passo ciò che è naturale sarà sintetizzato solo ed esclusivamente in un marchio che discriminerà sui banchi di un supermercato - magari per soli ricchi come Eataly - ciò che è "naturale"? Abbiamo perso ore e ore a tentare di educare il consumatore, a far crescere co-produttori a fare ragionamenti "complessi", ed ora bisogna sintetizzare perché il consumatore è pigro? Tra l'altro faccio notare due questioni a tutti voi: 1) gran parte delle assunzioni di qualunque eventuale disciplinare "naturale" sono ad oggi NON VERIFICABILI, dunque prese in giro per il consumatore. 2) A tutti i detrattori della certificazione BIO (il cui disciplinare deriva da legge pubblica ed ha carattere dunque NORMATIVO, con le conseguenze del caso), ricordo che la gran parte dei vignaioli naturali seri è certificato bio o biodyn e che per avere chiarezza sulle pratiche in cantina basterebbe richiedere la fornitura o la pubblicazione del registro di cantina bio dove sono segnate (e comunicate all'ente di controllo) TUTTE le pratiche effettuate sui vini durante l'anno, con tanto di elenco dei prodotti acquistati. Come dicevo, anziché sperimentare strade personalistiche o privatistiche bisognerebbe fare la pressione più ampia possibile per ricavare spazi all'interno del disciplinare bio già esistente.
4) Dottori è intelligente e scrive bene ma è ingenuo e utopista perché il Sistema....
Ecco, ammetto che il lato politico della vicenda "movimento vino naturale" possa non piacere. O perché si è di destra. O perché si è di sinistra. O perché non si è né di destra né di sinistra... Insomma alla fine si tratta solo di una bottiglia di vino, no? E invece no. Perché come non si trattava solo di rock'n'roll, qui non si tratta solo di vino ma della sopravvivenza stessa della razza umana su questo pianeta. Perché come si coltiva, come si trasforma e come si consuma non possono essere orpelli ma essere al centro della politica attiva del prossimo secolo: ora ditemi voi se tale questione possa essere affrontata con la visione ridotta e parziale di un piccolo gruppo di vignaioli (contro i quali non ho nulla, anzi, avendo un sacco di amici dentro VinNatur)... Non vi è nessun portato di reale critica sistemica nel ragionamento di un disciplinare produttivo privato, quando in realtà le politiche agricole europee necessiterebbero davvero di prese di posizione unitarie e di lotta sui pesticidi, su prezzi delle uve, sui Consorzi e la gestione dell'origine, sulle autorizzazioni all'impianto, sull'etichettatura: praticamente su tutti gli aspetti del nostro lavoro!
Quindi, come detto, si potrebbe fare una analisi molto approfondita del disciplinare VinNatur e spiegare cosa funziona e cosa no, ma ripeto: un conto è un manifesto generale di intenti che spiega i valori entro cui ci si muove, un conto è un testo che diviene immediatamente un protocollo produttivo buono per agronomi ed enologi per "replicare" perfettamente un "vino naturale"®, cioè un brand. Non è difficile da capire questa operazione.
Buona sera caro Corrado, seguo sempre con molta attenzione il suo lavoro ed i suoi scritti.
Non ho però capito bene se lei faccia oppure no il vino naturale.
Sarei grado di leggere la sua risposta.
Buona vigna.
Andrea
Secondo lei cos'è il "vino naturale"?
Per quanto mi riguarda io vorrei fare solo vino, senza aggettivi, quella bevanda che l'uomo vinifica da circa 8000 anni senza grandi interventi correttivi. Ad ogni modo le basta sapere che potrei agilmente rientrare nel disciplinare VinNatur?
Corrado, "conosco le abitudini so i prezzi e non (vorrei) comperare nè essere comprato". Tuttavia non ricordo nessun vignaiolo (naturale o artificiale) che mi abbia mai fatto sentire qualcosa di diverso da ciò oggi è inteso essere un consumatore (quello che paga). Le categorie esistono e le regole, purtroppo, servono. Poi anch'io non vedo grandi differenze tra il bollino Vinnatur e quello "triple A". Ma ne sono consapevole.
P.S. Tu non sei (solo) un vignaiolo :-)
Nic, scusa ma ti contraddici. Tu sei un consumatore-ma-consapevole (lo affermi tu) perché in tutti questi anni alcuni vignaioli, anziché mettere un bollino su un'etichetta e lasciare che altri - magari la grande distribuzione - vendessero il proprio vino, hanno macinato chilometri e chilometri per andare a milano, fornovo, roma, bologna, parigi, londra ecc ecc. ecc. a metterci la faccia, spiegare il proprio lavoro nel dettaglio, spendere ore ore e ore (e conseguentemente soldi) dietro scomodi banchetti per incontrarvi. Così questo movimento è cresciuto, così abbiamo convinto enotecari restii, giornalisti incazzosi e importatori dubbiosi. Così abbiamo "creato" una comunità che - sebbene nomade e confusa - risulta certamente più consapevole oggi rispetto a quindici anni fa di cosa sia un vino vero. Anche io credo che servano delle regole. Sto dicendo che le regole VERIFICABILI sul processo e sul prodotto esistono già, e sono quelle di un orribile disciplinare del biologico che se facessimo pressione politica forte - noi produttori e voi consumatori - si potrebbe modificare. Poi ci sono delle regole arbitrarie, frutto di compromessi fra ALCUNI vignaioli, che vogliono ambire ad essere gli unici detentori della naturalità. A me non piace questa idea. Posso dirlo? Posso dire che è un percorso molto pericoloso? Posso affermare senza ombra di smentita che un sacco di gente che fa parte integrante di questo movimento la pensa come me?
Pur non essendo un sostenitore dei bollini, bisogna ammettere che quello di VinNatur non ha nulla a che vedere con quello di triple a. Triple A è una società commerciale di distribuzione di vino, che guadagna vendendo vino, quindi il bollino è un marchio commerciale. VinNatur è un Associazione di vignaioli, senza scopi di lucro. Se un gruppo di vignaioli si associa e si da delle regole, si autoregolamenta, questo non può essere visto che come un fatto positivo. È una cosa che parte dal basso, dagli stessi vignaioli. Perchè non dovrebbero farlo se hanno simili sensibilità? Per non urtare la suscettibilità di altri produttori che non sono d'accordo?
Poi, concentrare l'attenzione sul bollino è un arma dimdistrazione. Si vuole distogliere l'attenzione del fatto che dei vignaioli in Italia per la prima volta si stanno dando quattro semplici regole in vigna e in cantina. Chi non è d'accordo può fare altro, mica l'ha prescritto il dottore di fare vino naturale. Senza cercare di danneggiare consapevolemente il lavoro altrui.
La mia impressione è che c'è qualche furbetto di troppo che getta fumo negli occhi per avere le mani libere.
Infine chiederei a Corrado perchè se la prende con vignaioli che tutto sommato si sono associati (sia nel disciplinare proposto da Emilio Falcione e Christine Marzani che in quello di VinNatur) seguendo assonanze, sensibilità simili e simile visione del vino (naturale), e lui invece è tra i soci fondatori di un'associazione che associa produttori industriali e non, come Terroir Marche? Quale coerenza dimostra? Personalmente preferisco VinNatur e VAN, almeno hanno un'identica sensibilità rispetto al vino.
Non è che il tuo tentativo di svilire la scelta di non usare lieviti selezionati e di limitare la solforosa entro precisi parametri sia un tentativo di sdoganare produttori amici BIO- industriali marchigiani?
Caro Montes, Vinnatur non è l'unica associazione con un disciplinare. Tutte le associazioni hanno il proprio disciplinare: Vini Veri, Vite (vivit) e Renaissance. Il disciplinare di Vinnatur è il meno restrittivo.
Saluti
Vini Veri fino a 80 mg/l di solforosa, Renaissance fino a 100 mg/l entrambi senza controlli (VinNatura analizza per solforsa, pesticidi ed erbicidi i vini ogni anno) ed ambigui sulle fermentazioni. Si molto molto restrittivi ;-)
Come al solito Montes capisce Roma x toma...
Dimenticavo ViTe, alias ViViT: solforsa nei limiti del biologico ovvero fino a 370 mg/l per vini particolari ;-)
http://gustodivino.it/home-gusto-vino/quanta-solforosa-possiamo-trovare-nel-vino-biologico-fino-a-370-mgl/massimiliano-montes/15914/
Gusto nudo vestiti, ci fai più figura. Sei notoriamente economicamente interessato al vino. Io no.
@Montes, ma il vino naturale è quello senza solforosa o con meno solforosa? Non ci siamo proprio. Il vino naturale è tanto altro. Per esempio è non comprare uva oppure usare i lieviti sulla buccia non come il tuo amico Angiolino Maule che nel 2014 ha compratutto tutta l'uva NON BIOLOGICA e non ha detto niente a nessuno e non lo ha scritto in etichetta. Inoltre Maule non fa fermentazioni spontanee ma si è fatto selezionare i suoi lieviti dall'università. Ma di cosa stiamo parlando Montes!!!!!!
Informarsi, conoscere, creare una relazione tra produttore e consumatore e poi comprare (vino, frutta verdura, formaggio ........) che siano allineati a ciò che si vuole nella propria vita: chimica, solfiti, succo d'uva. Ognuno hai le sue preferenze. Richiede tempo? Che cosa di meglio possiamo fare che cercare ciò vogliamo nella nostra Vita....
@Andrea Urtario: scusami ma questo attacco ad Angiolino non lo accetto sul mio blog. Si possono avere idee diverse e discutere con animosità ma non è giusto attaccare in questo modo un altro vignaiolo.
Azz... Non avevo considerato che può scrivere solo chi campa d'aria... mi rivedrò e torno nella mia villa alle Cayman.
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