Sono serviti molti giorni per maturare le prime reazioni alla batosta elettorale della sinistra alle recenti elezioni. Nel frattempo si sono lette interpretazioni, pensieri e contributi di ogni tipo e provenienza.
Passata la bufera mi sento di poter dire che va bene così. Perlomeno "il popolo" ha fatto una scelta chiara. La cosa peggiore sarebbe stata l'ennesimo pareggione. E poi la sinistra extraparlamentare ha sempre avuto su di me un certo fascino.
Passata la bufera mi sento di poter dire che va bene così. Perlomeno "il popolo" ha fatto una scelta chiara. La cosa peggiore sarebbe stata l'ennesimo pareggione. E poi la sinistra extraparlamentare ha sempre avuto su di me un certo fascino.
Ciò con cui ci si deve confrontare è il fatto che la società italiana è sempre stata di centro-destra. Le poche esperienze di centrosinistra che questo paese ha avuto non hanno mai rappresentato il ventre molle della società (e per questo non incisero come avrebbero voluto). Nei governi di centrosinistra degli anni sessanta, infatti, il PSI di Nenni era comunque subalterno alla Democrazia Cristiana di Fanfani e Moro. Mentre nel 1996 Prodi vinse esclusivamente perché la Lega non si alleò con Berlusconi, altrimenti, nonostante la desistenza con Rifondazione, il centrosinistra sarebbe stato ancora all'opposizione.
Le elezioni del 2006 sono state un caso a parte. Il sostanziale pareggio fu il risultato di cinque anni di malgoverno del centrodestra e di una forte opposizione sociale a quanto stava succedendo in Italia e nel mondo, inclusa la guerra in Iraq. Ma quel sostanziale pareggio elettorale ottenuto con una alleanza che andava dai trozkisti a Dini non garantiva alcun possibile futuro politico al centrosinistra. Dico questo prescindendo da ogni ragionamento, ormai inutile e noioso, sulle colpe e gli errori di questa o quella componente del governo.
La realtà, quindi, è che la sinistra in questo paese, che sia radicale o che sia riformista, resta minoritaria. Quello su cui è necessario interrogarsi è quale lezione trarre da questo fatto. Ed è su questo che molto probabilmente la sinistra continuerà a dividersi. Eppure, a questo punto, dopo una sconfitta senza appello, serve davvero una profonda riflessione sul futuro. Rallegrarsi di una sinistra radicale ormai extraparlamentare non aiuta; così come non aiuta polemizzare sul mancato sfondamento al centro del PD.
Le recenti elezioni inglesi dimostrano che ormai in tutta Europa, Spagna esclusa, la destra attrae vaste fasce di popolazione. E' sulla risposta a questa onda che la sinistra europea deve interrogarsi. Poiché la crisi del labour, iniziata con il forzato abbandono di Tony Blair prima della fine del suo mandato, è la crisi di una certa idea di sinistra. Di una sinistra che pare non essere più in grado di avere una visione progressiva del mondo. Che si limita a gestire l'esistente con l'idea, legittima, ma di fatto in questo momento perdente, che basti apportare qualche modifica, le famose riforme, a un sistema giudicato nel suo complesso corretto e giusto. Ma il sistema economico e sociale attuale è giusto? Funziona correttamente? E' il migliore possibile?
In realtà il problema è tutto qui, e non è un problema da poco. Di fronte alla globalizzazione, a processi internazionali dirompenti, al pensiero unico, ai focolai di guerra che si accendono ovunque, la sinistra non ha più una risposta credibile. Anzi, si è diffusa l'idea che la globalizzazione sia in qualche modo un fatto voluto e guidato dal centro-sinistra. E non è un pensiero del tutto errato se pensiamo alla metà degli anni novanta ed alle politiche di Clinton, di Schroeder, di Prodi, di Jospin. Da questo punto di vista il programma del Partito Democratico alle ultime elezioni era inquietante, poiché di fronte all'idea tanto sbandierata di "innovazione" altro non si celava se non la riproposizione di modelli già sperimentati. Ora a quell'idea genericamente riformista di mondo la società volta le spalle, spaventata dalla messa in crisi dei livelli di benessere raggiunti grazie alla crescita economica della seconda metà del novecento. E' una sindrome tipica delle società ad alto livello di sviluppo che si chiudono a riccio contro gli "invasori": l'Islam, i cinesi, gli esclusi, i diversi in genere. I nuovi barbari che si avvicinano all'Impero.
La destra vince rispolverando i propri classici pezzi da novanta: il protezionismo, la sicurezza, un nazionalismo che si tenta di accoppiare ad un localismo identitario, l'uso della forza, la competizione, lo Stato etico e, dunque, basato sulle radici cristiane. Il classico canovaccio di una destra conservatrice e, al contrario di quanto si pensi, radicale, non certo moderata.
Quella che vince, infatti, non è una destra moderata. Vince una visione che vuole una politica forte e misure radicali. Si vuole una politica che attacchi le logiche della "società aperta". Se non si capisce questo non si capisce il collante che tiene insieme la nostra destra. Rutelli, l'ultra moderato, che perde con Alemanno, ex giovane fascista, è l'emblema di tutto questo. L'emblema di una sinistra che a forza di rincorrere il centro ha perso tutti suoi riferimenti.
A questo punto non ci resta granché. La sinistra radicale, incapace di cambiare linguaggio e prospettive, è di nuovo extra-parlamentare. E ritorna fuori dal parlamento proprio quando molte delle teorie che aveva elaborato negli anni settanta (la fine del fordismo e dell'operaio-massa, ad esempio) si sono verificate corrette. La sinistra riformista, invece, vede cadere la propria guida spirituale, quel new labour che era la sua stella cometa. E si accorge che la vocazione maggioritaria significa che due/terzi degli italiani non la votano. Nel frattempo i movimenti, il loro entusiasmo, la loro capacità di creare pensieri e pratiche alternative, sono stati spazzati via da un riflusso che appare inarrestabile. E così, in questo clima, mentre l'orrendo stupro nella capitale è un fatto di "sicurezza" che decide una campagna elettorale, il pestaggio a sangue di un giovane ragazzo da parte di giovani neo-nazi passa come un fatto di cronaca. In una città, e in una regione, dove questi fatti si ripetono da tempo. Dove il primo gesto del sindaco leghista è stato sgomberare un centro sociale, eseguendo quanto già programmato dal precedente sindaco ulivista. Secondo la logica consueta per cui la sicurezza implica necessariamente la limitazione di ogni dissenso. Con una coerenza disarmante.
Per ricostruire la sinistra ci vorrà tempo. Ci vorranno energie. Ci vorranno persone in grado di evitare personalismi e nuove ideologie. La cosa peggiore sarebbe quella di pensare di aver fatto tutto al meglio. Le prime mosse del PD, da questo punto di vista, fanno spaventare, così come la "costituente comunista" immaginata da qualcuno. Si dovrebbe incominciare, invece, a rimettersi in discussione. Magari osservando che a Roma si è perso ed a Vicenza, cuore del Veneto leghista, si è vinto. Magari ragionando su un passato che vedeva una sinistra parlamentare ed extra-parlamentare minoritarie nel paese ma capaci di vincere grandi battaglie sociali, di influenzare il dibattito politico, di essere egemoni nella cultura, sulla base di una critica feroce al potere ed al modello socio-economico dominante.
Le elezioni del 2006 sono state un caso a parte. Il sostanziale pareggio fu il risultato di cinque anni di malgoverno del centrodestra e di una forte opposizione sociale a quanto stava succedendo in Italia e nel mondo, inclusa la guerra in Iraq. Ma quel sostanziale pareggio elettorale ottenuto con una alleanza che andava dai trozkisti a Dini non garantiva alcun possibile futuro politico al centrosinistra. Dico questo prescindendo da ogni ragionamento, ormai inutile e noioso, sulle colpe e gli errori di questa o quella componente del governo.
La realtà, quindi, è che la sinistra in questo paese, che sia radicale o che sia riformista, resta minoritaria. Quello su cui è necessario interrogarsi è quale lezione trarre da questo fatto. Ed è su questo che molto probabilmente la sinistra continuerà a dividersi. Eppure, a questo punto, dopo una sconfitta senza appello, serve davvero una profonda riflessione sul futuro. Rallegrarsi di una sinistra radicale ormai extraparlamentare non aiuta; così come non aiuta polemizzare sul mancato sfondamento al centro del PD.
Le recenti elezioni inglesi dimostrano che ormai in tutta Europa, Spagna esclusa, la destra attrae vaste fasce di popolazione. E' sulla risposta a questa onda che la sinistra europea deve interrogarsi. Poiché la crisi del labour, iniziata con il forzato abbandono di Tony Blair prima della fine del suo mandato, è la crisi di una certa idea di sinistra. Di una sinistra che pare non essere più in grado di avere una visione progressiva del mondo. Che si limita a gestire l'esistente con l'idea, legittima, ma di fatto in questo momento perdente, che basti apportare qualche modifica, le famose riforme, a un sistema giudicato nel suo complesso corretto e giusto. Ma il sistema economico e sociale attuale è giusto? Funziona correttamente? E' il migliore possibile?
In realtà il problema è tutto qui, e non è un problema da poco. Di fronte alla globalizzazione, a processi internazionali dirompenti, al pensiero unico, ai focolai di guerra che si accendono ovunque, la sinistra non ha più una risposta credibile. Anzi, si è diffusa l'idea che la globalizzazione sia in qualche modo un fatto voluto e guidato dal centro-sinistra. E non è un pensiero del tutto errato se pensiamo alla metà degli anni novanta ed alle politiche di Clinton, di Schroeder, di Prodi, di Jospin. Da questo punto di vista il programma del Partito Democratico alle ultime elezioni era inquietante, poiché di fronte all'idea tanto sbandierata di "innovazione" altro non si celava se non la riproposizione di modelli già sperimentati. Ora a quell'idea genericamente riformista di mondo la società volta le spalle, spaventata dalla messa in crisi dei livelli di benessere raggiunti grazie alla crescita economica della seconda metà del novecento. E' una sindrome tipica delle società ad alto livello di sviluppo che si chiudono a riccio contro gli "invasori": l'Islam, i cinesi, gli esclusi, i diversi in genere. I nuovi barbari che si avvicinano all'Impero.
La destra vince rispolverando i propri classici pezzi da novanta: il protezionismo, la sicurezza, un nazionalismo che si tenta di accoppiare ad un localismo identitario, l'uso della forza, la competizione, lo Stato etico e, dunque, basato sulle radici cristiane. Il classico canovaccio di una destra conservatrice e, al contrario di quanto si pensi, radicale, non certo moderata.
Quella che vince, infatti, non è una destra moderata. Vince una visione che vuole una politica forte e misure radicali. Si vuole una politica che attacchi le logiche della "società aperta". Se non si capisce questo non si capisce il collante che tiene insieme la nostra destra. Rutelli, l'ultra moderato, che perde con Alemanno, ex giovane fascista, è l'emblema di tutto questo. L'emblema di una sinistra che a forza di rincorrere il centro ha perso tutti suoi riferimenti.
A questo punto non ci resta granché. La sinistra radicale, incapace di cambiare linguaggio e prospettive, è di nuovo extra-parlamentare. E ritorna fuori dal parlamento proprio quando molte delle teorie che aveva elaborato negli anni settanta (la fine del fordismo e dell'operaio-massa, ad esempio) si sono verificate corrette. La sinistra riformista, invece, vede cadere la propria guida spirituale, quel new labour che era la sua stella cometa. E si accorge che la vocazione maggioritaria significa che due/terzi degli italiani non la votano. Nel frattempo i movimenti, il loro entusiasmo, la loro capacità di creare pensieri e pratiche alternative, sono stati spazzati via da un riflusso che appare inarrestabile. E così, in questo clima, mentre l'orrendo stupro nella capitale è un fatto di "sicurezza" che decide una campagna elettorale, il pestaggio a sangue di un giovane ragazzo da parte di giovani neo-nazi passa come un fatto di cronaca. In una città, e in una regione, dove questi fatti si ripetono da tempo. Dove il primo gesto del sindaco leghista è stato sgomberare un centro sociale, eseguendo quanto già programmato dal precedente sindaco ulivista. Secondo la logica consueta per cui la sicurezza implica necessariamente la limitazione di ogni dissenso. Con una coerenza disarmante.
Per ricostruire la sinistra ci vorrà tempo. Ci vorranno energie. Ci vorranno persone in grado di evitare personalismi e nuove ideologie. La cosa peggiore sarebbe quella di pensare di aver fatto tutto al meglio. Le prime mosse del PD, da questo punto di vista, fanno spaventare, così come la "costituente comunista" immaginata da qualcuno. Si dovrebbe incominciare, invece, a rimettersi in discussione. Magari osservando che a Roma si è perso ed a Vicenza, cuore del Veneto leghista, si è vinto. Magari ragionando su un passato che vedeva una sinistra parlamentare ed extra-parlamentare minoritarie nel paese ma capaci di vincere grandi battaglie sociali, di influenzare il dibattito politico, di essere egemoni nella cultura, sulla base di una critica feroce al potere ed al modello socio-economico dominante.
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